Secondo il NYT, Trump ha Vinto perché ha Parlato di Più…(Non Ridere, Please). Matteo Castagna.
16 Novembre 2024
Pubblicato da Marco Tosatti
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, Matteo Castagna, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sulle reazioni dell’establishment liberal-progressista-dem alla vittoria schiacciante di Donald Trump. Buona lettura e diffusione.
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di Matteo Castagna
The Financial Times riporta che Trump e Harris hanno speso ben 3,5 miliardi di dollari nelle elezioni presidenziali, che risultano le più costose della storia. Quando gli elettori si sono recati alle urne, il giorno delle elezioni, entrambi i candidati erano in svantaggio nei sondaggi. I dati finali, comunicati a metà ottobre, hanno confermato che i quartier generali, i gruppi esterni e i comitati di partito hanno raccolto un totale di quasi 4,2 miliardi di dollari.
Harris ha superato il suo rivale repubblicano: i gruppi, tra cui il Comitato nazionale democratico, e i veicoli di raccolta fondi affiliati – tra cui i Super Pac, che possono raccogliere somme illimitate dai singoli – hanno raccolto più di 2,3 miliardi di dollari e speso 1,9 miliardi di dollari.
I gruppi di Trump e il Comitato nazionale repubblicano hanno raccolto poco più di 1,8 miliardi di dollari e speso 1,6 miliardi. Circa la metà di tutte le spese nella corsa presidenziale è stata destinata alla pubblicità e ai media, secondo un’analisi del Financial Times sui documenti finanziari della campagna. Gran parte del denaro è stato destinato a sette Stati “in bilico”. I gruppi di Harris, da soli, hanno speso più di 1 miliardo di dollari in pubblicità sui media tradizionali e social.
Complessivamente, sia le campagne che i gruppi esterni hanno speso circa 1,5 miliardi di dollari in pubblicità nei sette Stati più importanti, secondo AdImpact, un gruppo che tiene traccia degli annunci. Solo in Pennsylvania, dove erano in gioco 19 voti elettorali, sono stati spesi oltre 400 milioni di dollari, più dei 358 milioni di dollari spesi in tutti i 43 Stati, in cui non ci sono candidati.
Nonostante questo, un interessante articolo del New York Times, a firma Eva Washington e Francesca Paris, da sempre media d’area Dem, pare dare la colpa della sconfitta di Harris al fatto che “Trump ha parlato il doppio di Harris, durante la campagna elettorale”, tramite un’analisi dettagliata che mostra il divario nei tempi di parola, tra le varie piattaforme.
Quindi, neppure Oltreoceano vi è, al momento, una seria autocritica o un editoriale che ponga delle riflessioni. Va detto che, in Italia, l’unico giornale di sinistra, che ha snocciolato i guai della sinistra è Il Fatto Quotidiano, che con un tagliente e puntuale Marco Travaglio appare l’unica voce seriamente critica, anche per come si è espresso in un lungo, quanto preciso, monologo sul canale televisivo Il Nove.
Eppure, i kompagni che non mangiano caviale, ma masticano amaro dall’esito elettorale americano, sono tutti uguali nel dare, sempre, la colpa agli altri, nonostante la sconfitta si presenti come cocente, sul piano occidentale, anche perché le ultime elezioni hanno decretato che in molti Stati europei soffia forte il vento identitario e sovranista. E sappiamo che Trump non ha solo vinto con i Grandi Elettori, ma ha ottenuto un’ampia maggioranza dal popolo statunitense. Congresso e Senato sono saldamente in mano ai Repubblicani.
Ma il New York Times non ci sta. E prosegue: “in termini di volume di parole pronunciate, Donald J. Trump ha dominato questa elezione. Nuovi dati mostrano quanto fosse grande il divario con Kamala Harris”. Mentre, attenti bene, il numero degli eventi in cui poter parlare sono stati a favore di Harris: 206 contro i 213 di Trump. “… ma Trump ha parlato per più del doppio del tempo di Harris: 172 ore dal 23 luglio in poi, tra media, ed eventi, contro le 69 di Kamala, secondo i dati di Roll Call FactBa.se.
“Non sappiamo se la sua loquacità lo abbia aiutato a vincere, lo abbia ostacolato o non abbia avuto alcun effetto” – chiosano, sornioni, al NYT – però darne risalto è salutare, per chi si sta leccando le ferite negli ambienti progressisti.
“La Signora Harris, (poverina [n.dr.] ) – prosegue il NYT – ha dovuto dedicare del tempo a prepararsi per assumere il controllo dell’apparato della campagna di Biden, quindi ha dato priorità alle apparizioni di persona. Ne ha fatte più di Trump, presentandosi in tutto il Paese da barbieri, nei ristoranti, ai funerali e servizi religiosi, oltre ai suoi comizi. Ma i suoi interventi sono stati spesso brevi. Quelli di Trump sono stati, come al solito, lunghi”. Perciò il tycoon ha stravinto per aver parlato troppo. Avrebbe dovuto stare più zitto per favorire l’avversaria, che doveva riprendere il bandolo della matassa dove l’aveva lasciata il Presidente uscente Joe Biden, non ricandidato dal partito di Harris per evidenti motivi, del tutto estranei alle responsabilità di the Donald. Capito come si ragiona a sinistra?
“Entrambi i candidati hanno attirato grandi folle nelle arene di tutto il paese. Ma Harris, in genere parlava per mezz’ora o meno. Le apparizioni del Sig. Trump si sono spessissimo dilungate fino a un’ora e mezza o due ore”.
“La Sig. ra Harris – continua il New York Times – ha avuto un netto vantaggio nel numero di eventi più piccoli e di persona. Ha incontrato i soccorritori in North Carolina, studenti in Wisconsin e consumatori a Philadelphia. E poi “ha parlato vicino a uno stabilimento di semiconduttori in Michigan, ha pronunciato un elogio funebre per la deputata Sheila Jackson Lee a Houston (attenzione, non è Cetto Laqualunque! n.d.r.) e ha partecipato a una teleconferenza con donne di colore”. Pensate un po’ come si è data da fare, per poi perdere perché Trump è un chiacchierone!
“Anche il Sig. Trump ha fatto questo genere di eventi, anche se un po’ meno”- puntualizza il NYT: “si è fermato in un ristorante in Virginia e in un negozio di alimentari in Pennsylvania; ha parlato (troppo? n.d.r.) con il Fraternal Order of Police in North Carolina e ha tenuto un’assemblea cittadina in Wisconsin; ha fatto notizia quando ha visitato un McDonald’s in Pennsylvania, appena prima delle elezioni”. Insomma, tra un hamburger e una Coca Cola, ha ubriacato i presenti di parole…provocando lesa maestà alla regina del mondo in pectore dei Dem.
L’evento più importante della campagna elettorale di Kamala Harris “è stato partecipare a “Call Her Daddy”, un popolare show rivolto alle giovani donne. Ha anche parlato con la ricercatrice e autrice Brené Brown, l’ex star della NFL Shannon Sharpe e gli ex giocatori della NBA Stephen Jackson e Matt Barnes. Ma alla fine, ha fatto molto meno del signor Trump, che aveva “la colpa” di avere dalla sua le tante comparsate sui canali di Fox News, storicamente vicini ai Repubblicani.
Ma non si menziona che la maggioranza dei media americani sono di area Democratica e non si vuole ammettere che il fallimento di Harris e del suo “campo largo”, come in Italia e come in UE, è dovuto al fatto che la gente è stanca della globalizzazione, del mondialismo, delle guerre, della precarietà lavorativa ed economica, della ridicola ma reale cancel culture di minoranze woke, nonché dei deliri gender e della società fluida, dei proclami antifascisti modello Peppone, senza fascismo e senza don Camillo (oggi i più sono dei don Chichì, come direbbe il grande Giovannino Guareschi) della retorica e del monopolio liberal.
Dopo aver provato cosa comportano questi modelli, in tutto l’Occidente si vira a destra, sperando nella salvaguardia delle identità, della sovranità, della ripresa dalla decadenza degli ultimi 50 anni, della riscoperta del Sacro e di ciò che conta davvero nella vita. Trump ha sbaragliato gli avversari e si è, addirittura, permesso di vincere, per la seconda volta, a causa della sua eccessiva loquacità. Questo è quanto dall’area Dem, et de hoc, satis…
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Tag: castagna, elezioni, nyt, trump
Categoria: Generale