Il Martirio dei Cattolici nella Cina Comunista. Antonello Cammarozzo.
1 Novembre 2024
2 CommentiMarco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, Antonello Cannarozzo, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sulla situazuone della fede sotto i regimi comunisti. Buona lettura e diffusione.
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Martirio dei cattolici nella Cina comunista
L’ideologia comunista non è morta nel 1989, ma continua ancora ad avvelenare il mondo per la sua mancanza di libertà dove essa è al potere. Sono ancora molte le nazione che vivono e che hanno vissuto questa tragedia ideologica che noi racconteremo.
Antonello Cannarozzo
Agli inizi degli anni’50, il celebre cardinale Fulton Sheen, intervenendo ad una trasmissione radiofonica negli Usa, raccontò la vicenda che gli era stata raccontata da alcuni missionari gesuiti in fuga dalla Cina di Mao. Era la storia di una bambina dal nome brevissimo Li, che viveva in un piccolo villaggio della Cina del Nord a maggioranza allora ancora cattolica.
Un giorno, nella piccola località, arrivarono dei soldati inviati dal partito comunista per sgominare “l’idolatria” di Dio, frutto, a loro avviso, dell’ignoranza capitalista occidentale e del famigerato Vaticano presso i contadini. Dopo aver minacciato di arresto gli abitanti assai sgomenti se non avessero abiurato alla loro fede, per dimostrare che non scherzavano affatto entrarono nella piccola chiesa del luogo e prendendo il ciborio pieno di ostie consacrate le gettarono sul pavimento proibendo a chiunque di entrarvi a raccoglierle, pena la morte.
Davanti a tanta crudeltà la giovane Li cercò di trovare un modo per salvare le ostie sparse su pavimento.
La sera, non vista, entrava in chiesa e con molta attenzione si chinava con la lingua a prendere le particole una per volta perché così le avevano insegnato al catechismo perchè Gesù si poteva prendere che una volta soltanto, ma anche non toccarle con le mani per non commettere un sacrilegio. Siamo ovviamente prima della tragica era post-Conciliare!
La ragazzina, dunque, con la sua fede e il suo coraggio prendeva ogni sera le ostie e ormai ne mancava solo una, ma questa volta venne scoperta da una guardia che si era insospettita dai rumori all’interno dell’edifico. Entrando non esitò a uccidere la piccola Li per la sua trasgressione. Non sapeva che la bambina aveva assolto fino in fondo il suo dovere di cristiana e con la sua azione violenta aveva aperto le porte del Cielo a una piccola martire.
Una martire fra le migliaia che il comunismo ha prodotto nella sua follia ideologica, davanti alla quale non possiamo non ricordare la celebre frase di Nostro Signore: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Giovanni 15:18-21) con la quale cominciò la storia del cristianesimo: una contraddizione che il mondo non può accettare e per questo sarà sempre perseguitato fino alla fine dei tempi.
Il martirio in nome di Dio
Ogni epoca ha visto persecuzioni e martirii, però, sono sempre avvenute all’interno di una contrapposizione religiosa, vuoi protestante, mussulmana, pagana e quant’altro. Dio, nella sua accezione ideale, non è stato mai negato. Quando si parla, poi, delle persecuzioni dei cristiani in Cina, non possiamo dimenticare che dal XVII secolo, con l’arrivo dei primi gesuiti e negli anni a seguire non ci sia stato da soffrire dure persecuzioni, ma mai così su larga scala e imponendosi come uno Stato ateo.
Bisognerà arrivare al recente secolo breve, il Novecento, per trovare nella storia nazioni dichiararsi atee e intolleranti verso tutto ciò che esula dal materialismo verso il trascendente. Ecco l’essenza del Comunismo.
“L’obiettivo non è quello di sradicare le religioni, ma di renderle inoffensive e sotto l’egida del Partito” ha dichiarato Ying Fuk Tsang, direttore del Christian Study Center on Chinese Religion and Culture dell’Università cinese di Hong Kong. “Il presidente Xi Jinping sta cercando di stabilire un nuovo controllo sulla religione, fermandone lo sviluppo. Il governo cinese mira a regolamentare il cosiddetto ‘mercato religioso’ nel suo complesso”.
Per comprendere cosa era la Chiesa fino alla piena presa del potere di Mao, già nel 1946 la Santa Sede aveva nominato il primo cardinale cinese di nascita, dando un assetto organizzativo definitivo con la creazione della gerarchia ecclesiastica ordinaria specialmente locale. Il territorio era suddiviso in ben 20 arcidiocesi, 85 diocesi e 34 prefetture apostoliche e i vescovi cinesi da 6 sono diventati 20. In Cina i cattolici erano circa 4,5 milioni e su 5.788 sacerdoti la metà era cinese, 2.698, lo stesso per le suore: su 7.463 ben 5.112 erano locali come anche più della metà degli ordini monastici.
A tutto questo bisogna aggiungere 216 ospedali con case di ricovero, 6 lebbrosari, 781 dispensari medici, 254 orfanotrofi, 3 università ed ancora 189 scuole superiori e secondarie, 2011 scuole elementari, 2243 scuole di catechesi, 32 tipografie ed ancora una cinquantina di giornali e riviste.
Una ricchezza infranta dal correre degli avvenimenti politici.
La presa del potere dei comunisti
Con la fine del conflitto, nel 1944 con la vittoria sul Giappone, sembrava per la Cina aprirsi una nuova era di pace, purtroppo un nuovo capitolo doloroso e violento si apriva per la nazione già in quegli anni: la guerra civile tra i nazionalisti e il partito comunista nelle rispettive figure di Chiang kai- shek e di Mao Tse Tung.
Nel 1949, con la sconfitta del capo dei nazionalisti, Mao ebbe l’intero potere sulla immensa nazione e lo esercitò da par suo cioè da vero tiranno.
La Chiesa fu da subito considerata “nemica del popolo” e ogni accenno di religiosità venne duramente represso. Molti missionari stranieri furono costretti a lasciare il Paese, altri vennero incarcerati e poi espulsi come spie di una pericolosa potenza straniera: il Vaticano.
La cattedrale di Nostra Signora della Consolazione, ad esempio, una delle più rappresentative in Cina, presso la cittadina di Yangjiaping, a 180 chilometri a nord di Pechino, venne più volte saccheggiata e quando non poterono rubare più nulla, la incendiarono, ma ciò non bastò loro. Con efferatezza non esitarono a catturare i monaci rimasti, tra loro molti vecchi e malati.
Furono legate loro le mani con del filo di ferro e a marce forzate nel gelo invernale, li condussero dove sarebbero stati trucidati di lì a poco, nonostante molti di loro erano già morti di stenti.
Prima di essere uccisi dovettero anche assistere ad un ridicolo “Processo Popolare” dove i religiosi vennero accusati davanti ad un popolo silente e impaurito, dei peggiori crimini, ovviamente senza alcuna prova e solo dopo vennero vigliaccamente trucidati.
E questo fu solo un inizio.
Una ondata di arresti e di esecuzioni sommarie percorse tutta la Cina nei due anni tragici tre il 1951 e il 1952. Nella lotta contro la Chiesa, furono prese di mira anche le associazioni laicali considerate come “organizzazioni antigovernative” e qui merita un accenno alla paranoia del partito contro la “pericolosissima” Legio Mariae considerata nientemeno che un’organizzazione para militare e terroristica verso la quale furono fatti centinaia di arresti.
Davanti a tanto scempio della dignità e della vita umana non solo dei cattolici insorse papa Pio XII che nel 1952 pubblicò una lettera apostolica, Cupimus imprimis, a protezione del popolo cinese e della sua spiritualità, ma la risposta del regime non si fece attendere.
Più di tremila missionari stranieri ancora presenti e 12 vescovi stranieri in breve vennero espulsi; 23 vescovi cinesi furono messi in carcere tra percosse, torture e lavori forzati insieme ad oltre trecento sacerdoti stranieri e cinesi.
Ormai la Cina si stava trasformando in una grande prigione, con le nuove direttive del partito tanto che alla fine del 1954 non c’era nessuna attività, per quanto marginale, libera e anche quel poco che rimaneva dei cattolici continuava a dare fastidio perché, nonostante le persecuzioni, Mao sapeva che a Roma, dietro le mura Vaticane, c’era, almeno allora, un vero papa, Pio XII, con tutta la sua autorità morale e spirituale a cui i cattolici, nonostante prigione, fame, torture, guardavano con fede viva sapendo che non li avrebbe abbandonati e il papa non lasciò mai soli anche se ormai la situazione per i cattolici era sempre più drammatica.
Probabilmente per questo, alcuni fedeli della regione dello Sichuan, forse sotto l’egida stessa del partito comunista, scrissero un appello per aprire uno spiraglio con il regime dal titolo;” Proclama sull’indipendenza e la riforma”, in seguito venne chiamato il Manifesto delle tre autonomie. Il regime vide di buon occhio questa iniziativa tanto da voler convincere i cattolici ad allinearsi con questo documento che, come vedremo, in realtà era nella sua esposizione più ampia, un vendersi alle autorità del regime distruggendo qualsiasi residua autonomia dei fedeli. Le tre indicazioni recitavano: 1) proibizione della presenza di missionari stranieri; 2) conduzione delle chiese solo da parte di prelati locali; 3) divieto di ogni finanziamento dall’estero. In pratica un allontanamento definitivo dal papa.
La tragedia della Chiesa
Era la fine della Chiesa cattolica, per questo, nel rivendicare la propria indipendenza di culto, i vescovi locali ancora fedeli a Roma insorsero, pur sapendo i rischi a cui andavano incontro, ma la risposta dal regime, anche in questo caso non si fece attendere, facendo terra bruciata di ogni forma di cattolicesimo romano.
Ancora nell’ottobre di quell’anno Pio XII pubblicò ancora l’enciclica Ad Sinarum Gentem, 7ottobre 1954, un grido al mondo per una condanna senza mezzi termini davanti alle violenze perpetrate e alla assurda creazione di una Chiesa cattolica cinese separata da Roma, tra carcerazioni e crudeltà verso i veri fedeli. Il documento papale, se rincuorava i pochi cattolici rimasti fedeli, fece ancora di più infuriare le autorità comuniste.
Nel 1955 la Chiesa cattolica di Shangai, la più estesa della nazione, venne distrutta e il suo arcivescovo, Ignazio Kung Pin Mei, venne arrestato e imprigionato l’8 settembre di quell’anno e rilasciato solamente, dopo 30 anni di carcere e sofferenze inenarrabili, nel 1985.
Una nota che amo ricordare di questo prelato coraggioso fu la sua fedeltà alla Messa in latino, nonostante la sciagurata riforma liturgica di Paolo VI fosse già ormai avviata.
Seguirono anni ancora terribili fino ad per arrivare al 2 agosto del 1957 con la definitiva costituzione della cosiddetta ormai Chiesa patriottica, nata dal Manifesto delle tre autonomie e soggetta al comunismo che tagliava di fatto ogni legame con Roma, e, senza neanche il senso del ridicolo, cominciarono anche le fasulle ordinazioni episcopali. Da allora la Chiesa cattolica entrò definitivamente nella clandestinità e cominciò ad essere chiamata “La Chiesa Sotterranea“ o, come in Europa in quegli stessi anni sotto il comunismo, La Chiesa del Silenzio.
Ai cattolici venne imposto di iscriversi alla nuova realtà ecclesiale voluta dal partito e per chi si rifiutava, rimanendo fedele alla Santa Sede, la vita era solo un vero inferno.
L’impegno di Pio XII
La situazione ormai era precipita. I martiri in nome della vera e unica Chiesa non si contavano più. Il 28 giugno 1958 ancora Papa Pio XII pochi mesi prima di morire, proclamò una nuova enciclica sulla Cina, Ad Apostolorum Principis, in cui accusò la persecuzione in atto e asserì illecita ogni nomina di vescovi da parte della chiesa autocefala.
Tra il 1966 e il 1969, dilagò in una Cina, già devastata dalle carestie e dalle fallimentari ricette economiche, la drammatica Rivoluzione culturale voluta da Mao per liberarsi, da buon dittatore, dei suoi eventuali nemici.
Le terre anche le più lontane dalla capitale furono messe a ferro e fuoco da questi giovani esaltati (Si parla di qualche milioni di vittime, ndr) facendo terra bruciata di ciò che rimaneva dell’antica Cina.
Ogni forma di spiritualità era definita nemica del popolo e, dunque, andava distrutta. Insieme ai cattolici soffrirono in quegli stessi anni anche le comunità protestanti e le comunità tibetane, questi ultimi avevano visto distruggere la loro patria e la loro cultura in nome del ‘nulla’ ideologico.
Le pochissime chiese, così come i templi tibetani, rimasti ancora miracolosamente aperte subirono il vandalismo e la distruzione ad opera delle Guardie rosse e pensare che, proprio in quegli stessi anni, in Occidente furoreggiava il Libretto rosso di Mao, sventolato come manifesto rivoluzionario di progresso e di libertà.
Dal 1958 al 1962 morirono di fame, o uccisi dai soldati, tra i 30 e i 40 milioni di persone, per quanto riguarda i crimini delle Guardie Rosse, si conta oltre le migliaia di vittime anche di coloro che scomparvero letteralmente nei campi di lavoro, i famigerati laogai.
Il “Grande Timoniere”, Mao Tse Tung poteva finalmente annunciare trionfalmente che: “La Cina si presenta al mondo come un Paese completamente ateo, con l’eliminazione radicale di ogni religione e la proibizione di qualsiasi manifestazione di fede“.
Sfortunatamente di tutti i perseguitati e martiri si conosce ben poco, molto è andato ovviamente distrutto, rimangono solo le testimonianza scritte di chi ha vissuto quegli orrori.
C’è in merito un libro molto intenso e realista “Sei mesi nelle carceri di Mao” pubblicato nel 1961 per le Edizioni missionarie di Parma che ho avuto l’occasione di leggere.
L’autore, il saveriano Padre Pasquale De Martino, Prefetto Apostolico di Padang (Indonesia) che patì sei mesi di prigionia, scrisse una nota introduttiva, al libro autobiografico, per dire il clima che anche allora si respirava, dove attesta: “L’autore – uscito dalle carceri comuniste di Cengciow, nel Honan – è quasi certo che i fatti narrati in queste memorie di prigionia saranno creduti da pochi”.
Era l’epoca del fallimentare Grande Balzo in avanti, la folle campagna di modernizzazione comunista dell’economia della Cina imposta da Mao.
Dopo la morte del dittatore, avvenuta nel 1976, il partito cominciò a concedere una pur limitata libertà religiosa e per la prima volta nel 1979 dopo quasi un quarto di secolo i cristiani potevano celebrare pubblicamente il Natale in tutto il Paese e in breve si aprirono al culto nuove chiese.
Un miracolo? Una repentina conversione dei dirigenti di partito? Assolutamente no!
Semplicemente tutto era rigidamente sotto l’occhio vigile dell’Associazione Patriottica, che gestiva in nome e per conto del partito la nuova Chiesa, ma per coloro che non accettavano l’attuale realtà erano considerati sovversivi e, quindi, andavano perseguiti.
La ridicola Chiesa Patriottica
A chiarire la situazione, il partito pubblicò un documento, ancora in vigore, definito l’atto fondativo della nuova politica religiosa di Deng Xiaoping, l’attuale erede di Mao e ora alla guida del Paese.
La dichiarazione affermava che tutte le religioni in Cina sono per una chiara dinamica storica destinate semplicemente a scomparire, ma non devono più essere combattute; “sono tollerate in quanto sostengono la guida del partito comunista e la modernizzazione del Paese“.
Ovviamente per i cattolici si riferisce solo alla Chiesa Patriottica, gli altri, quelli “non ufficiali” rimaneva il carcere o nei campi di lavoro. Non era certo una grande scelta, ma a differenza di quanto aveva sperato Deng Xiaoping, questa politica non conseguì lo scopo di indebolire e a piegare i fedeli del papa i quali, pur nella clandestinità, cercarono di vivere la loro missione sacerdotale.
Numerosi e assai documentati, sono i casi di sacerdoti morti in seguito a torture per la quale la Cina è stata condannata negli anni a livello internazionale, ma non è servito a nulla sapere che nei quasi 1.500 campi di lavoro, i famigerati laogai, sono ancora attivi, dove sono rinchiusi una cifra che oscilla tra i tre e sei milioni di persone anche se le vere cifre non si conoscono essendo queste informazioni per la “democratica Cina” un segreto di Stato. Lo stesso per i mussulmani uiguri e i tibetani, molti dei quali sono stati imprigionati solo per aver avuto il coraggio di testimoniare la propria fede.
Con i nuovi regolamenti tutte le religioni per non diventare fuorilegge dovevano attenersi alle norme statali, con un ulteriore inasprimento del controllo governativo su tutte le organizzazioni religiose. Esse non potranno più celebrare riti, raduni e progetti vari senza l’approvazione del dipartimento per gli Affari religiosi del governo con l’obbligo di aderire alla guida del Partito comunista cinese e al principio di indipendenza e di auto-governo senza alcun intervento dall’estero. Inutile segnalare che tutto questo per la Chiesa cattolica è obbedire a Pechino per attuare i valori del socialismo invece che al Papa.
Gli accordi tra Vaticano e Cina
L’obiettivo del Partito comunista è chiaro, trasformare la Chiesa cattolica, come altre realtà, in un gruppo che appartiene al Partito.
Un serio pericolo per la sopravvivenza della vera Chiesa cinese, da quando sono stati introdotti i nuovi regolamenti non c’è stato altro che persecuzioni, chiese demolite, il divieto di leggere la Bibbia o promuoverla, oltre all’arresto di migliaia di cristiani, e non solo, con l’accusa d’ incitamento alla sovversione del potere statale.
A proposito della Chiesa patriottica, padre Li, sacerdote dell’Hebei intervistato da Ucanews pone in proposito delle tragiche domande: “Così non si abolisce forse il tradizionale modello della Chiesa guidata dai vescovi? Se la Chiesa non ha una guida cattolica, si può ancora chiamare Chiesa cattolica?”.
Dopo il clamore dei fatti di Tienanmen (1989) furono pubblicati in Occidente i diari dei sopravvissuti ai campi di rieducazione come quelli di Padre Huang e di Padre Tiande, rispettivamente per 25 anni e per 30 anni sottoposti a continue sedute di rieducazione ed a privazioni di ogni genere senza mai rinnegare la propria fede.
Il mandato del teocrate Xi, caratterizzato da un consolidamento del controllo del partito, ha portato ad un maggiore rigore ideologico evidenziato da un forte nazionalismo in grado di assicurare l’adesione al governo del popolo che stranamente, secondo molti osservatori, si identifica sempre di meno con l’ideale comunista ormai annacquato ideologicamente, ma sempre più autoritario come ogni dittatura che si rispetti.
Questi regolamenti sono contrasto con gli accordi del 2018 tra Santa Sede e Cina, per quanto il testo sia segreto, il Vaticano ha sempre ribadito che il governo comunista, nonostante alcuni ostacoli, ha riconosciuto papa Francesco capo della Chiesa cattolica in Cina, ma questo riconoscimento, sarebbe da ricordare ai promotori della Santa Sede, mal si concilia con la nascita di un’assemblea nominata dallo Stato che non includerà i vescovi fedeli a Roma ancora non riconosciuti dal governo, ma che avrà il compito di definire la vita e agli insegnamenti della Chiesa? Come stanno insieme l’autorità del Papa e il riconoscimento del principio di indipendenza e di auto-governo della Chiesa cinese? Queste domande, per ora, rimangono senza risposta.
Tanti martiri per una chiesa che risorgerà
In conclusione, voglio ricordare come esempio di tanti religiosi martirizzati alcuni a me cari per aver conosciuto le loro storie.
Nel 1997 venne stato arrestato monsignor Francesco An Shuxin, rettore del seminario di Baoding con i suoi sacerdoti e liberati dopo 10 anni lunghi anni di carcere duro senza processo, il vescovo Yao Liang, che non poteva allontanarsi dalla sede parrocchiale o padre Giuseppe Lu Genjun, visse in pratica isolato dalla propria comunità, così per monsignor Giovanni Yang Shudao, visse tra continui arresti e controlli, infine monsignor Tommaso Zeng Jingmu, il quale, dopo aver passato 35 anni nei campi di lavoro, fu sottoposto ancora agli arresti domiciliari.
Ha scritto il 24 settembre u.s. padre Bernardo Cervellera, missionario del PIME e direttore dell’agenzia Asia News: né «Nella notizia dell’accordo, né nelle sue spiegazioni vi è un minimo accenno alla persecuzione che i cattolici e tutti i cristiani stanno sostenendo in questi tempi. Come testimoniato tante volte sull’agenzia, in nome della “sinicizzazione”, in Cina vengono bruciate e distrutte croci, demolite chiese, arrestati fedeli e ai giovani sotto i 18 anni è vietata la partecipazione alle funzioni e l’educazione religiosa. In più ci sono vescovi e sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia; vescovi agli arresti domiciliari; vescovi non ufficiali considerati come criminali; controlli d’ogni tipo nella vita delle comunità».
La Chiesa cattolica cinese vanta un primato nel mondo: è quella che da più tempo è perseguitata.
Il Governo, da Mao in poi, ha cercato sempre di assoggettare vescovi e clero allo Stato. Tutto si conosce dei lager nazisti; poco dei “gulag” sovietici, dei quali ci è pervenuto qualcosa; ma quasi nulla degli orrori perpetrati nei “laogai” cinesi.
Tutto in un silenzio colpevole.
Realtà drammatiche a chi le ha subite e le subisce ancora. Persone che hanno provato nella loro stessa vita tutta la violenza di un potere offuscato dall’ideologia comunista, un potere che si vantava – dopo aver vinto il nemico armato il nazionalista Chiang Kai-shek –secondo i dettami di Mao, di sterminare anche tutti i ‘nemici senza fucile’ come intellettuali, credenti e oppositori della società civile e tanti altri. Non ci è dato di sapere, almeno ufficialmente, come proseguono gli accordi tra Santa Sede e Cina, ma almeno che la Santa Provvidenza non intervenga, il futuro, visti i risultati fino ad ora raggiunti, sono assai incerti per non dire fallimentari.
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Tag: cannarozzo, cina, comunisti
Categoria: Generale
Ed oggi- la vigente nuova moderna romana chiesa sinodale- contribuirà ad invocare l’ intervento della Santa Provvidenza affinchè intervenga ? Resto colma di Speranza ringraziando per l’ attenzione
La chiesa non è sinodale.
Qui di si può solo parlare, eventualmente, di ANTI CHIESA SINODALE, contraria a Dio.