Le Ragioni per Preferire Trump ad Harris (anche se non è il Massimo…). Mario Adinolfi.

16 Ottobre 2024 Pubblicato da 2 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione questo post pubblicato su Facebook da Mario Adinolfi, che ringraziamo per la cortesia. Buona lettura e diffusione.

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LE RAGIONI PER PREFERIRE TRUMP A HARRIS
di Mario Adinolfi
Tra tre martedì si vota per le elezioni americane più importanti del secolo e sapete perché i giornali italiani non citano più i sondaggi? Perché gli ultimi mostrano che il presunto vantaggio che Kamala Harris aveva accumulato con la demonizzazione di Donald Trump, arrivato fino a 5 punti, si è dissolto. Persino i commentatori di Nbc, rete certo non ostile ai dem, ammettono costernati che da 49 a 44 ora si è in un testa a testa 48 a 48.
Hanno provato ad ammazzare Trump tre volte, una volta sono andati a pochi centimetri dall’ottenere lo scopo, poi è partito il massacro mediatico, si è tentato di fargli perdere l’unico confronto televisivo con una conduzione smaccatamente a favore della Harris, infine si è tentata la via di screditare il suo vice Vance, che però ha stradominato il faccia a faccia con l’omologo dem Walz. Ora la domanda che faccio a tutti coloro che mi guardano strano quando dico che preferisco nettamente una presidenza Trump alla prosecuzione dell’amministrazione Biden-Harris è: perché non proviamo a confrontarci sui temi politici anziché sulle narrazioni e sulle mostrificazioni dell’avversario?
L’argomentazione degli italiani che hanno una smorfia schifata al solo pronunciare la parola “Trump” è: è un fascista. Aggettivazione usata ormai a caso, di solito aggiuntiva all’accusa di aver fatto marciare i suoi seguaci su Capitol Hill. I fatti dicono altro. Trump ha vinto democraticamente le elezioni 2016 dopo aver sbaragliato nelle primarie gli avversari repubblicani di “dinastia nobile” come i Bush, facendo lo stesso con la moglie di Clinton alle elezioni.
I Bush e i Clinton avevano dominato la Casa Bianca per un ventennio dal 1988 al 2008 e volevano tornare a prendersela dopo i due mandati di Obama. La sfida doveva essere tra Jeb Bush e Hillary Clinton, Trump fu un fattore di rottura e democratizzazione di un sistema che rischiava una deriva oligarchica con sconfinamenti simil-monarchici.
Da presidente tra il 2016 e il 2020 Trump non operò alcuna modifica costituzionale o istituzionale. Governò frenando l’immigrazione clandestina, operando il più grande taglio di tasse per imprese e ceto medio della storia americana, finanziato anche evitando di imbarcarsi in nuove imprese militari all’estero e chiudendo quelle in essere. Perse le elezioni sull’onda del disastro Covid, dopo un quadriennio di tv e giornali operanti tutti massicciamente contro la sua presidenza per ragioni forse non estranee agli equilibri oligarchici che aveva rotto.
Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca dopo aver battuto Trump alle elezioni di novembre 2020, il 20 gennaio 2021.
Resterà in carica dunque fino al gennaio 2025 anche se è evidente a tutto il mondo dal 27 giugno 2024 che ha perso decisamente una vasta porzione delle sue capacità cognitive. Nel dibattito televisivo con Trump la sua impossibilità in più passaggi di pronunciare frasi di senso compiuto relative ai temi affrontati ha precipitosamente fatto correre il partito democratico ai ripari, rimuovendolo dalla corsa alla Casa Bianca e sostituendolo con Kamala Harris, fino a quel giorno considerata dagli analisti tra i peggiori vicepresidenti della storia in particolare per i suoi errori nella gestione dei dossier immigrazione e sicurezza, dove era arrivata a sostenere le ragioni dei “defund the Police” dopo gli scontri razziali che videro emergere il movimento Black lives matter.
Il cordone mediatico steso a protezione di Biden, da anni descritto da analisti indipendenti come progressivamente sempre meno presente a se stesso, bollava come “fake news” ogni articolo o persino video sugli strani comportamenti del presidente americano. La sua amministrazione è apparsa molto presto eterodiretta e questo è ciò che mi pare contrario alla democrazia.
La sua permanenza alla Casa Bianca fino al 20 gennaio 2025 è poi altamente preoccupante, in un mondo sempre più in fiamme. Dalla ridicola se non fosse tragica fuga degli americani da Kabul dell’agosto 2021 fino alle raggelanti scenette con Zelensky appellato come “presidente Putin” nel luglio scorso, Biden sarà inevitabilmente ricordato come uno dei più imbarazzanti presidenti degli Stati Uniti, impegnato nel finanziamento multimiliardario al settore delle armi da guerra fornite per infiammare nuovi scenari bellici come quelli della Nato contro la Russia per interposta Ucraina e quello mediorientale.
Gli americani hanno pagato tutto questo con la tassa più iniqua perché colpisce soprattutto i ceti medio-bassi che è l’inflazione. Aumentano il carrello della spesa, la benzina, i costi di gestione dell’abitazione, il prezzo stesso delle case. Gli immigrati clandestini sono arrivati a quota dodici milioni (in Italia sono circa mezzo milione) impiegati come lavoratori a basso costo e manovalanza nella criminalità, con un duplice effetto negativo pagato dunque sempre prevalentemente dai ceti popolari che vedono restringersi le opportunità lavorative e abbassarsi i salari, con un impatto poi in termini di sicurezza in molti quartieri anche delle grandi città.
Sintomo più evidente della tragedia in corso è l’incapacità di porre un freno alle morti per overdose di droga che durante l’amministrazione dem della Casa Bianca ha raggiunto numeri incredibili: si è passati dai 107.622 morti del 2021 ai 111.355 del 2023. Nel 2024 saranno ancora di più. Nel quadriennio Biden mezzo milione di persone sono morte per consumo di stupefacenti (in Italia nello stesso periodo i morti per overdose sono stati un migliaio).
La sostanza del programma di Trump è taglio di tasse a lavoratori e imprese, protezionismo per i prodotti americani, progressivo ritiro dai fronti di guerra e lotta dura all’immigrazione clandestina. Harris risponde proponendo un sistema più ampio di sussidi per I ceti meno abbienti, un piano di costruzione di 3 milioni di nuove case per combatterne l’aumento dei prezzi, sgravi più ampi per il ceto medio con crediti d’imposta, multe alle aziende alimentari che aumentano troppo i prezzi senza motivazione per frenare la galoppante inflazione in quel comparto, prosecuzione a oltranza del sostegno in termini di armi a Ucraina e Israele.
In sostanza Trump propone un’America con uno Stato fiscalmente meno esigente, protezionista sui beni americani e tendenzialmente isolazionista in politica estera. Harris crede in un’economia dirigista in cui lo Stato prova a correggere le storture con un atteggiamento interventista, che è poi quello anche adottato in politica estera.
C’è infine il grande tema dell’aborto su cui Trump difende la sentenza della Corte Suprema, di cui è di fatto ispiratore avendo nominato tre giudici conservatori per sostituire i tre venuti a mancare (nel sistema statunitense quella carica è a vita, può essere persa solo per dimissioni), secondo cui il tema è di competenza dei singoli Stati. Il suo vice Vance è un cattolico fortemente antiabortista e 20 Stati americani guidati dai repubblicani hanno seriamente limitato l’accesso all’aborto ottenendo in un anno in quegli Stati sessantamila bambini nati in più.
Harris invece propone una legge federale valida in tutti gli Stati che permetta l’aborto fino alla 24esima settimana e il vice Walz ha fatto approvare nel suo Minnesota una legge che lo consente fino al nono mese, rispondendo alle critiche con l’ormai noto slogan: “Mind your own damn business”.
Dieci Stati americani guidati dai dem hanno adottato la normativa dell’aborto senza limite, anche al nono mese, con campagne miranti ad attrarre donne dagli Stati dove l’aborto non è più praticabile, con la parte del leone svolta dalle cliniche Planned Parenthood (strettamente legate alla Harris e primo finanziatore della campagna) dove vengono praticati circa novecentomila dell’oltre un milione di aborti che ogni anno ci sono negli Usa.
Ecco riassunte le differenze politiche che stanno spaccando in due l’America, dal punto di vista programmatico. Kamala Harris risponde alla perdita di grip nei sondaggi provando a rispolverare la carta dell’emergenza democratica, tanto cara ai commentatori italiani. Sa che se Trump non verrà dipinto in queste residue settimane prima del voto del 5 novembre 2024 come un dittatore che chiuderà la stagione della democrazia statunitense, Trump vincerà perché gli americani giudicano negativamente il quadriennio appena trascorsa e non hanno chiaro chi li abbia davvero comandati e chi li stia comandando adesso. Ecco, questo è il vero rischio democratico e gestirà la Casa Bianca fino al 20 gennaio 2025.
Ora, si può legittimamente avere in antipatia Trump e considerarlo il peggiore tra i peggiori (anche per me non è il presidente ideale, ma tra due si deve scegliere), ma si prega di fornire motivazioni politiche e/o programmatiche.
La motivazione demonizzatrice può servire per aizzare un quarto o quinto attentatore (mai visto un candidato che abbia dovuto subire tre interventi per diretti tentativi di ucciderlo in meno di cento giorni), ma dimostra solo la pochezza delle argomentazioni.
Io credo che Trump sia migliore di Harris, per le ragioni sopra enunciate, quindi spero che vinca le elezioni presidenziali americane del 5 novembre 2024, le più importanti del secolo. E voi?

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2 commenti

  • Federico ha detto:

    Cerchiamo di ripristinare la leva obbligatoria e la sovranità nazionale, ché se aspettiamo che i paesi stranieri ci aiutino o siano “più buoni” (!!!) con noi… stiamo freschi.

  • Luca Francesco PERSICO ha detto:

    Trump contrario all’aborto?! Ma come si fa a sparare castronerie simili? Su quale pianeta vive Adinolfi? E’ sparando idiozie che spera di prendere voti in futuro? Se si sparano falsità (e questa è cosmica) i voti si perdono, a meno che non si punti ai voti di cerebrolesi. Trump è pro aborto, esattamente come il suo vice, esattamente come Melania, esattamente come tutto il suo entourage; citofonare Michael Matt, citofonare Lila Rose, citofonare tutto il mondo Pro-Life americano.

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