Considerazioni di uno Spadaccino Cristiano-Nipponico.

15 Ottobre 2024 Pubblicato da Lascia il tuo commento

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, E.S., offre alla vostra attenzione queste riflessioni personali. Buona lettura e meditazione.

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CONSIDERAZIONI DI UNO SPADACCINO CRISTIANO-NIPPONICO

 

La Morte: «È già molto tempo che ti cammino a fianco».

Il cavaliere Antonius: «Me n’ero accorto».

La Morte: «Sei pronto?»

Il cavaliere Antonius: « Il mio spirito lo è, non il mio corpo».

Scena iniziale del film di Ingmar Bergman Il settimo sigillo

Credi nella divinità, conosci la vergogna, sii garbato e gentile con il prossimo, stai sempre in guardia, non criticare gli altri, non partecipare alle scommesse, sii cosciente del tuo rango sociale e sappi che la vita è inseparabile dalla morte.

Minamoto Yoshiiye (1039-1106)

***

 

C’è bisogno che ti provveda di quattro cose, come di armi sicurissime e necessarissime, per riportare la palma e restare vincitore in questa spirituale battaglia. Queste sono: la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio, l’esercizio e l’orazione.

Lorenzo Scupoli

 

* * * * *

 

Può darsi che uno dei più sconvenienti e più o meno inconsci scongiuri caratteristici del nostro tempo sia quello della morte. E, forse, sono proprio gli innumerevoli disastri naturali ed incidenti dovuti a errori o inadempienze umane, le guerre divampanti e la martellante cronaca nera ad alimentare verso la morte un timore ed una ripugnanza che, per quanto umanamente comprensibili, finiscono per far perdere il senso della realtà più elementare, e cioè che, come ci ricorda in incipit il poeta guerriero nipponico Minamoto, «la vita è inseparabile dalla morte».

 

Gabriele D’Annunzio:

 

«La vita e la morte: la morte che per taluno è gloria, martirio, riposo, disfatta. Ma per me al di là della vita e della morte c’è un Terzo Luogo».

 

Si muore senza sapere né il giorno né l’ora né il modo, sicché, se ne sia consapevoli o meno, si è costantemente in pericolo, proprio come in zona di guerra. Del resto, persino il guerriero, che si da per scontato possa perdere la vita soltanto in combattimento, può invece morire per un qualsiasi banale incidente in un giorno e ad un’ora sconosciuti.

 

Dice Gesù: «Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?».

 

Questa domanda non basta leggerla e limitarsi ad uno scontato “eh sì, è proprio vero!”. Occorre invece introiettarla profondamente affinché si accompagni ad ogni respiro e ad ogni goccia di sangue che scorre nelle vene. In altri termini, è opportuna un’assunzione organica della morte, altrimenti si resta ghiacciati in uno sterile cerebralismo.

 

Si muore senza conoscere né il giorno né l’ora né il modo: questa inconfutabile e preziosissima verità fa giustizia del regime totalitario contemporaneo che vede la massa (non il Popolo, la massa) allucinata da un falso vivere, costipata nel materialismo, nello psicologismo e nel virtualismo più degradanti. La vita scivola via monotona e insipida sulle rotelle del carrello della spesa e sugli sci della “settimana bianca”; nelle sale del “centro fitness”; nelle maratone e manifestazioni di piazza; nei weekend ristoratori dallo “stress”; davanti agli schermi ipnotizzanti del televisore e del computer; nell’annientamento indecoroso di fronte all’ultimo modello di “ipad”; nello sballo psichedelico delle discoteche; nella stanza del psicoterapeuta o del cartomante; al botteghino del superenalotto; nel gorgo cocainomane, nel delirante e disintegrante ideologia gender e via dicendo. In sintesi, si tratta di un’agitazione (isogashii) che coinvolge letalmente il cuore.

 

Gli è pertanto che la massa sopravvive completamente sommersa e soffocata dalla miriade di contingenze, banalità, polemiche e fantasmagorie elevate a motivi di vita, a “diritti” ed “esigenze”, finché per ognuno, nel giorno, nell’ora e nel modo che nessuno conosce, ecco la Scarna Signora farsi avanti col suo sorriso tanto eloquente quanto incompreso a far sparire tutto sotto il suo manto nero.

 

Risulta allora lampante come la Via della Spada, disciplina squisitamete ascetica (l’ascesi oggi? che roba è?) appaia agli occhi dell’uomo-massa un qualcosa di alieno. Ancor meno l’uomo-massa comprende come, con il combattimento interiore, non tagliando avversari fuori di sé ma gli spiriti malvagi dentro di sé, lo Spadaccino miri a purificare il proprio cuore, recidendo in primo luogo proprio la paura della morte, per poi farne attimo per attimo un’intima parente, se nel Cantico di frate Sole un folle come Francesco di Assisi ha potuto chiamarla «sora nostra morte corporale», e se nell’Hagakure (Nascosto tra le foglie) un esaltato come Yamamoto Tsunetomo ha potuto affermare che «la Via del Samurai è la morte».

 

Takenaka Shigekata (1828-1891):

«Si trova la vita vincendo la morte nella propria mente. Svuota la mente da ogni forma di attaccamento, sferra una carica decisiva e conquista l’avversario con un fendente decisivo».

 

«Fendente decisivo» che interiormente recide ogni spirito malvagio e ogni (ogni!) forma di attaccamento.

 

Masakatsu agatsu!: la vera vittoria è la vittoria su se stessi!

 

Dhammapada:

«Seppure un uomo dovesse vincere mille volte mille uomini in battaglia, colui che vince se stesso è il guerriero più grande».

 

Bernardo di Chiaravalle:

«Da qualche tempo si diffonde la notizia che un nuovo genere di Cavalleria è apparso nel mondo […] Un nuovo genere di Cavalieri, dico, che i tempi passati non hanno mai conosciuto: essi combattono senza tregua una duplice battaglia, sia contro la carne ed il sangue, sia contro gli spiriti maligni del mondo invisibile. (Ef, 6, 12)».

 

«Super aspidem et basiliscum ambulabis, et concubulabis leonem et draconem», recita il Salmo 90.

 

Si tratta qui di un sentire del cuore (kimochi) che è agli antipodi di quello dell’uomo-massa, colto o ignorante che sia, violentato giorno per giorno nella sua dignità di essere umano dotato di un’anima immortale, al quale il moderno, “progredito”, totalitario regime di vita non lascia il tempo di un respiro onde poter «entrare nella propria camera e chiudere la porta» per raccogliersi e tornare a se stesso, quindi a Dio, mentre la morte è ritenuta una sciagura, uno spauracchio, o quanto meno un inconveniente a cui è (sarebbe) meglio non pensare.

 

Invece, ciò che è incompresibile dall’uomo-massa, è proprio vivendo presenti a se stessi e sentendosi in costante pericolo di vita con al fianco Sorella Morte, che la Vita acquista splendore – uno splendore divino –, e ciò per un’inversione della percezione, per la quale il buio della morte tramuta in Luce di vita che illumina il buio della luce terrena, già effimera di per sé poiché destinata a spegnersi.

 

Così, come insegna la Via della Spada, ogni momento – questo momento – può essere l’ultimo, e allora ogni gesto che si compie con animo retto in ogni momento – in questo momento –  è offerta a Dio e servizio al Prossimo, e ciò secondo l’imprescindibile Codice del Rispetto (Reiho).

 

Gyosei (poema dell’imperatore Meiji):

«Tu hai un’anima giusta e pura
Se non hai nulla di cui vergognarti
Di fronte a Dio
Che tu non puoi vedere».

 

 

Perciò è il gesto migliore. Il possibile ultimo gesto terreno illuminato e trasfigurato in gesto celeste dalla luce della morte. Il capolavoro inestimabile che non può essere né venduto né comprato. E ciò perché la Via della Spada insegna a vivere da morto e con la schiena diritta, quindi libero dal timore di “perdere” alcunché e dalla preoccupazione di “guadagnare” alcunché: la spina dorsale – la “spada corporea” – è l’asse della bilancia i cui due piatti sono in equilibrio, ciò che permette di partecipare pienamente all’Attimo Presente, al Kairos, all’Essere, e perciò di trascendere la vita e la morte (seishi o choetsu), che così si rivelano i Suoi due volti.

 

Bonaventura da Bagnoregio:

«Morire per vivere la vita piena. Ed allora moriamo. Entriamo nella luminosa caligine dell’essere puro e semplice, imponendo silenzio a cure, concupiscenze e apparenze. Dopo la scoperta della nostra identità con l’essere puro, noi potremo dire: questo ci basta».

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