Se Avessimo Fede come un Granello di Senape, e l’Orfanità Spirituale. R.S.
14 Ottobre 2024
Lascia il tuo commentoMarco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, R.S. offre alla vostra attenzione queste riflessioni sulla nostra fede. Buona lettura e condivisione.
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SE AVESSIMO FEDE COME UN GRANELLO DI SENAPE E L’ORFANITA’ SPIRITUALE
Nel mondo odierno spicca la tragedia di un’umanità poco attrezzata a far fronte alle prove della vita reale.
Paradossalmente il mondo più “avanzato”, che ha maggior dovizia di mezzi materiali, ha minor tenuta.
Qualche studioso parla apertamente di orfanità spirituale e questa definizione è molto interessante. Si è puntato tutto sui mezzi, sul sapere e sul fare, ma resta la prova che ti lascia lì, impotente. Non solo manca un padre (una madre), ma anche chi recita il Padre Nostro o la preghiera alla Madre barcolla.
La religione nel mondo avanzato non sa avere fede in Dio, ma chiede a Dio soluzioni, mezzi e solidarietà.
Preghiamo per chiedere… Ma Dio sa già di che cosa abbiamo bisogno. La preghiera dei fedeli invece glieLo spiega. Preghiamo (chi?) perché “i responsabili delle nazioni” agiscano per il bene comune… Nella pratica e nell’esperienza la religiosità ha finito con il diventare “economica” (un do ut des) e soprattutto nel cristianesimo ciò è assurdo, cozzando pesantemente contro la Rivelazione di Dio!
Il difetto è duplice: il cristianesimo NON è una religione e questo cristianesimo è afflitto da antropocentrismo.
Il cristianesimo che celebra la data del 11 ottobre (discorso alla luna) è diventato spiritualmente orfano.
I fatti differiscono dalla loro narrazione e questo vale in ogni ambito.
Chi ha il potere di imporre il suo racconto ha dipinto un quadro fuorviante, che ha incluso Dio.
L’approccio mistico, di vera fede, prega a partire dall’impotenza (pensiamo al contadino che prega per il raccolto). La semina non sa se il frutto ci sarà. La preghiera è senza garanzia (nemmeno il rito garantisce il raccolto): precarietà.
L’approccio logico-scientifico razionale si basa sui mezzi e sulla misura e l’analisi delle condizioni.
Un passaggio dalla precarietà al progetto, dall’impotenza alla potenza, dalla superstizione alla scienza…
C’è ancora una preghiera, ma per informare e coinvolgere Dio, facendo leva sulla nostra potenza e la Sua benevolenza.
Tutto parrebbe garantito dal sapere e dalla conoscenza, nell’onnipotenza dell’élite che possiede questa scenzah.
Viene tecnicizzato ogni brandello della vita: anche la Chiesa diventa un’assemblea, dove si prega poco e si discute tanto.
Non ti dicono la verità, ma quello che tutti devono credere perché questo approccio sia l’unico “vero”.
L’impotenza resta ed è solo spostata più in là, perché i mezzi allontanano certe prove.
A venir meno è la sapienza nell’accoglierle e sopportarle. Anche la preghiera non ha niente da dire di fronte al dolore. Viene meno la tenuta alla catastrofe: come sopravvivere, come affrontare il dolore, credere un oltre la morte. Le risposte che l’approccio moderno sa dare ai suoi insuccessi lasciano la vittima sola. La croce e il soffrire non hanno più senso.
L’approccio tecnico-scientifico non sa più distinguere bene e male, bello e brutto: sa solo conteggiare e misurare.
Però tramuta sé stesso in ideologia e religione introducendo una “fede senza trascendente: da inariditi.
L’inaridito alla lunga è un disperato (dopo la morte il nulla) e i nuovi sacerdoti non hanno alcuna risposta da dare.
Si parla di pace, ma l’agitato non la trova, perché la cerca fuori e non dentro. L’errore dell’umano “razionale”.
L’errore di darsi/prendersi invece di ricevere. La pretesa di nuotare, ritenendo sciocco restare a galla.
Tutto dipende dalle opere e la Grazia di Dio è diventata una scusa per parlare d’altro.
Vorremmo avere tutto sotto controllo, ebbri di potenza attiva, quasi disinteressati dalla potenza passiva che discende dalla Grazia di Dio.
Al dono preferiamo il merito.
Il Sacramento lo prendiamo, anzi lo arraffiamo trattandolo come merce.
“Beati i poveri di spirito”: qui è racchiuso il segreto dell’abbondanza.
La ricchezza dell’umile d’animo.
Agli apostoli che dicono a Gesù: accresci in noi la fede!
Il Signore rispose: se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: sràdicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe.
La risposta di Gesù è un rimprovero.
Perché la domanda è sbagliata.
Non è Gesù (Dio) a dover arricchire loro in fede, o la fede (che è un dono di Dio, che è Tutto), ma dovrebbero essere i credenti a crescere nella fede!
Orfani spiritualmente abbiamo modificato il senso della preghiera rivolta al Padre.
Chiediamo a Lui di non abbandonare noi mentre usualmente accade il contrario! Siamo immersi nella prova, che è come un mare e invece di abbandonarci fiduciosi, galleggiando, chiediamo salvagenti e di nuotare più forte. Può la goccia ricevere altro mare o è più sensato che quella goccia stia nel mare, abbandonandovisi? Se credessi al mare è ovvio che la risposta è la seconda, ma se credo alla goccia, la faccenda cambia.
La fede è abbandono per ricevere la Grazia da Dio.
Poi non finisce lì e c’è anche la conoscenza della fede, la riflessione, l’appassionarsene vivendola e parlandone a tutti, annunciando lo stupore per tanta meraviglia e la Rivelazione di Dio. Questo sì è il fare attivamente uso del dono.
R.S.
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