Quattro giorni dopo il siluramento, ecco la predica. Maurizio Molinari lascia Repubblica per volere del nuovo board e oggi saluta i suoi giornalisti dopo due anni decisamente tesi, tra copie mandate al macero, liti interne e un clamoroso sciopero di due giorni durante l’evento tech a cui John Elkann teneva tanto. E che con ogni probabilità è costato all’ex direttore il timone della baracca. “I direttori passano ma i giornali restano – scrive Molinari nell’editoriale odierno, l’ultimo prima di indossare i panni del semplice commentatore – Repubblica che oggi accoglie il mio successore Mario Orfeo è un quotidiano che, su ogni piattaforma, garantisce ai lettori contenuti di qualità per descrivere il mondo che cambia promuovendo i diritti e difendendo la democrazia dall’assalto di populismo ed autocrazie, con la capacità di essere al tempo stesso protagonista dell’innovazione digitale”.
Il resto è un non molto comprensibile profluvio di ragionamenti sui diritti. Secondo Molinari “identificare e promuovere i diritti significa far crescere una democrazia dall’interno, renderla più vitale e robusta”. Dai femminicidi agli abusi, dalle istanze Lgbt a quelle delle famiglie omogenitoriali, ma anche i migranti, i credenti, i non credenti, giovani e anziani. “La democrazia trae legittimità dalla capacità di includere e rappresentare ogni cittadino, identificando ogni suo diritto, e poiché i diritti riflettono il cambiamento della società il compito di un quotidiano come Repubblica è fare leva sul giornalismo di qualità per andarli a descrivere lì dove germogliano”.
Poteva poi forse mancare “il bisogno di essere protetti dai cambiamenti climatici”? E potevano mancare “la protezione dalle fake news” (anche da quelle di Rep? Eccone una, per dire…) o la “possibilità di essere italiani per scelta e non solo per nascita”? Ovviamente no. E Molinari cita tutte le due grandi battaglie condotte dal “suo quotidiano” come “laboratorio dei diritti, roccaforte della democrazia e protagonista dell’innovazione”: la guerra contro il “populismo” e le “autocrazie”. “I populisti, di ogni colore ed estrazione, contestano il principio della rappresentanza democratica e dell’equilibrio fra i poteri perché vogliono sostituirlo con un rapporto diretto fra leader e popolo – scrive – Per questo delegittimano il Parlamento, accentrano i poteri sull’esecutivo e predicano il sovranismo. Le autocrazie vogliono, invece, cambiare a loro vantaggio l’architettura di sicurezza internazionale frutto della Guerra Fredda e per riuscirci puntano a far implodere le democrazie dal di dentro, sostenendo proprio populisti e sovranisti”. Due nemici che temono la “libertà di informazione” e che “ritengono la democrazia oramai avviata verso un inesorabile declino”, a cui dunque occorre contrapporre “una comunità intellettuale che preservi la memoria e tuteli i diritti per proteggere i principi della Costituzione repubblicana come anche quelli dell’Unione Europea”.
Ma c’è un dettaglio che colpisce, dall’editoriale di Molinari. La parte dei ringraziamenti, per quanto completa, appare un tantino freddina. Soprattutto quella verso i redattori “protagonisti di un giornalismo che con fa sconti” con cui, in realtà, non sono mancati scontri. Anche sugli argomenti più spinosi, vedi il conflitto a Gaza: Raffaele Oriani qualche tempo fa si era dimesso in protesta contro le posizioni ritenute troppo filo-israeliane; e diversi mugugni si erano levati in coro dopo la mancata pubblicazione di un’intervista al filo-palestinese Ghali dopo Sanremo. E come dimenticare le preoccupazioni del Cdr per le strategie editoriali e organizzative dell’azienda, tra cui la vendita del settimanale l’Espresso e di molti quotidiani locali. O il caso di Zerocalcare che portò i giornalisti a “scannarsi” tra loro. O meglio ancora l’indimenticabile articolo sui Lanzichenecchi di Alain Elkann che tanti imbarazzi provocò: la redazione prese le distanze, ma Molinari si rifiutò di pubblicare la nota dei giornalisti. Il rapporto si era definitivamente deteriorato ad aprile quando, dopo aver mandato al macero le copie stampate di Affari&Finanza a causa di un articolo sui rapporti Italia-Francia non gradito all’editore Gedi, la redazione lo sfiduciò con un voto schiacciante. Infine, lo sciopero della scorsa settimana, decisamente clamoroso, in cui si accusava la direzione di non aver bloccato le “gravi ingerenze nell’attività giornalistica da parte dell’editore, delle aziende a lui riconducibili e di altri soggetti privati”. Si può comprendere, dunque, se Molinari nel suo ultimo editoriale da direttore non s’è dimostrato così caloroso verso i “suoi” (ex) giornalisti.
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Con tutte le palesi menzogne che questo quotidiano racconta, non deve più esistere, insieme a La Stampa, Corriere della Sera, Il Foglio, Il Fatto Quotidiano, Il Riformista, Libero, Il Giornale. Sono la vergogna del giornalismo, così come i loro lettori sono la vergogna dell’Italia.
DOPO LA REPUBBLICA DELLE BANANE IL CIRCO ORFEO
Ma come ? ha pure la kippah………..Mah, evidentemente i goym rimangono tali pure se hanno fatto atto di sottomissione.
Bonaria tiratina d’orecchi per pur encomiabile Tosatti…. evidente dimentico… che Porro fu sdoganatore televisivo di incommentabile tal… Bassetti!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
😢
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Ci mancherà… riuscì superare quanto improntitudine persino Ezio Mauro… impresa a limiti di impossibile!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Mi vwngono i conati al sol leggere i suoi titoli.
Evidentemente leccare i piedi dell’editore e straparlare di diritti e contro nemici immaginari non gli è servito per salvarsi le terga. Ce ne faremo una ragione.