Caro ingegner Elkann, quelle dimissioni da Gedi sono una sceneggiata. Panerai, Milano Finanza.

5 Ottobre 2024 Pubblicato da Lascia il tuo commento

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione questo articolo pubblicato da Milano Finanzia, che ringraziamo per la cortesia. Buona lettura e diffusione.

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Un Agnelli, sia pure Elkann, che rinuncia a essere presidente della società più amata da suo nonno Giovanni, la casa editrice del giornale storico della famiglia, La Stampa, e che controlla anche La Repubblica, il giornale fondato dallo zio di famiglia Carlo Caracciolo e da Eugenio Scalfari e da lui conquistato a suon di milioni per toglierlo dalle mani della famiglia De Benedetti.

Un gesto estremo di cui si può immaginare qualsiasi causa, visto che John si è dimesso da tutto il gruppo editoriale Gedi per cedere il comando a chi aveva già assunto la presidenza della amata Juventus nel momento più nero, il suo ex-compagno di studi Maurizio Scanavino, l’unico uomo di cui evidentemente il nipote di Giovanni Agnelli si fida davvero. E anche nel caso della JuventusScanavino aveva sostituito un Agnelli autentico, Andrea, figlio di Umberto e quindi cugino di John, per volontà dello stesso John.

Come non bastasse, piazza pulita dei direttori e in particolare di Maurizio Molinari che a Repubblica è stato sostituito da Mario Orfeo, un direttore legato alla politica visto che lascia la guida del Tg3, da sempre nell’area di sinistra.

La giustificazione della scelta

La giustificazione di questa rivoluzione, che viene dopo due giorni di sciopero a Repubblica, «per eliminare ogni ambiguità legata alla figura dell’editore, spesso accusato di influenzare la linea editoriale dei giornali; la volontà sarà quella di concentrare il proprio impegno imprenditoriale sui risultati gestionali delle aziende». Si spera che questa frase si riferisca in primo luogo al ruolo di presidente di Stellantis, di cui Elkann è presidente e che in Italia si è ridotta, nel perimetro ex- Fiat, a una produzione di poche centinaia di migliaia di auto. Se fosse solo così Elkann avrebbe il plauso non solo delle decine di migliaia di lavoratori ex Fiat che hanno perso il posto, ma anche di molti italiani. E se lo scopo fosse davvero quello di non influire sulla linea dei due giornali quotidiani e dei loro annessi, ci sarebbe addirittura da battere le mani al nipote dell’Avvocato Agnelli, da cui lui ha sicuramente ereditato la convinzione che in Italia (e non solo) la proprietà dei giornali non solo dà potere, ma è un mantra. Ma ecco il punto: per non strumentalizzare al proprio interesse l’informazione, non basta rinunciare alla carica di presidente delle case editrici. Occorrerebbe anche vendere a editori professionisti, senza interessi che quelli nell’editoria, la proprietà o anche solo il controllo dei giornali.

Una semplice sceneggiata?

Dispiace dirlo per la simpatia che Elkann ci suscita, ma il gesto è solo una sceneggiata, non solo perché la proprietà dei giornali rimane la sua, ma anche perché per sostituirlo ha scelto un amico e un collaboratore fin dai tempi del liceo con il quale ha studiato per diventare ingegnere e che da sempre ha il ruolo di crocerossa, come ha dimostrato quando appunto andò a sostituire alla presidenza dell’amata Juventus proprio un Agnelli.

Il Nonno Giovanni ha sempre giocato e strumentalizzato i giornali, ma non è altro che una abitudine di famiglia, perché l’Avvocato Agnelli aveva ereditato questa interessata passione dal nonno, avendo egli acquisito il controllo (in epoca fascista e con il consenso del Duce) di quella che sarebbe diventata La Stampa da un altro nome dall’antifascista Alfredo Frassati.

Tanto per capirci meglio, conviene ricordare che il nonno Giovanni non si accontentò de La Stampa, ma per due volte è entrato nel controllo del Corriere della Sera e la seconda, quando i Rizzoli sono crollati, ne ha assunto il pieno controllo attraverso la designazione ad Amministratore delegato di Carlo Callieri, l’ex-capo del personale del gruppo Fiat che aveva guidato la marcia di 40 mila (borghesi) a Torino per protestare contro la politica del sindacato.

L’arrivo alla Rcs

Sull’arrivo alla Rcsex-RizzoliCorriere della Sera, posso parlare per conoscenza diretta. Ero direttore del settimanale economico il Mondo, e quando arrivò Callieri avevo ancora due anni di mandato garantito insieme al contratto a tempo determinato. Ritenni giusto andare da Callieri, persona purtroppo colpito da una grave disgrazia filiale e quindi assai cinico, per dirgli che gradivo avere la riconferma di un mandato pieno, cioè di cinque anni, come avevo ottenuto da Angelo Rizzoli. Era il segno che la linea de il Mondo non sarebbe cambiata. Callieri mi disse letteralmente: Rispettiamo sicuramente il contratto di minimo garantito, ma un nuovo incarico non è nella nostra politica. Detto in altre parole, non mi licenziavano per non dover pagare la cosiddetta fissa, una liquidazione sostanziosa spettante ai giornalisti licenziati, ma non intendevano prorogare il mio mandato nonostante il Mondo andasse molto bene. E infatti nella prossimità dei due anni dovetti stanare io Callieri, che si negava. Fu grazie all’aiuto della segretaria, Rinalda Colombo (ex-di Angelo Rizzoli) che a una mia ennesima chiamata mi disse di non potermi passare l’amministratore delegato, ma che lei sarebbe andata dopo pochi minuti in mensa e che quindi avrebbe girato il telefono (ricordate l’apparecchio azzurro con tasto rosso per il servizio segretaria-capo?). Quindi, se io avessi richiamato mi avrebbe risposto Callieri. Così avvenne e inevitabilmente mi dovette fissare un incontro nel salottino dell’editore, in via Solferino al 28.

Quando entrai, la prima cosa che Callieri mi disse, sia pure con garbo fu: «Immagino si ricordi dell’incontro che lei ha avuto qui con l’Avvocato Agnelli quando la proprietà era ancora Rizzoli e lei aveva sporto contro il presidente della Fiat querela per avere egli affermato che anche il Mondo, come il Corriere, era diventato piduista…».

L’affaire P2

Vuole che non mi ricordi, gli risposi: avevamo fatto una grande inchiesta sulla Fiat, titolando che, come era vero, si trovava sull’orlo del baratro. Il direttore del CorriereFranco Di Bella, non riprendeva mai nessun nostro scoop ma quella inchiesta era utile alla P2 e quindi la pubblicò, senza neppure chiederci il permesso, integralmente nella seconda pagina de il Corriere. In una conferenza stampa quello stesso giorno l’Avvocato, nonostante il suggerimento di Luca Montezemolo e Marco Benedetto, due miei amici veri, sparò a zero dicendo appunto che anche il Mondo era diventato piduista. La mattina non persi tempo e andai dal nostro avvocato, il grande professore Alberto Dall’Ora e sporsi querela contro l’Avvocato Agnelli per diffamazione. Nell’imminenza dell’Udienza, il braccio destro finanziario dell’Avvocato, Gian Luigi Gabetti, che mi onorava della sua stima, mi chiamò dicendomi: «Non possiamo far venire l’Avvocato in tribunale». Io gli risposi: «Ma può sempre diventare contumace». La risposta di Gabetti, uomo saggio e leale fu: «E se l’avvocato venisse a Milano a incontrarti e alla fine rilasciasse un comunicato in cui riconoscerà la professionalità e l’indipendenza di tutti i giornalisti de il Mondo e quindi della testata?».

Risposi a Gabetti: «Non ho nessun desiderio di far venire in tribunale Agnelli. L’ho querelato perché ha affermato quanto tu sai e anche lui sapeva essere falso. Il Mondo ha sempre scritto contro la P2». L’Avvocato Agnelli, un po’ ob torto collo accettò, e venne a scusarsi dovendo subire anch’egli una sceneggiata di Di Bella, degna veramente del più grande lacchè della terra. Sceneggiata che ho descritto minuziosamente nel mio libro, Le mani sull’informazione, pubblicato, guarda caso, da Solferino quando il Corsera è tornato indipendente grazie all’editore Urbano Cairo. Nel libro racconto anche come l’Avvocato si comportò quando il direttore de La StampaArrigo Levi pubblicò un editoriale contro Gheddafi che era in trattative, via Mediobanca, per entrare a salvare con l’aumento di capitale, la Fiat. Di fronte a questo articolo Agnelli non mosse foglia per due motivi:

1) perché Gheddafi non era ancora azionista della Fiat e quindi indirettamente del quotidiano;

2) perché, al contrario, quell’articolo faceva gioco alla trattativa in quanto mostrava a Gheddafi il potere dell’informazione. Ma non passò troppo tempo, e, con Gheddafi diventato azionista Fiat, Levi replicò le accuse al leader libico, questa volta con un articolo firmato da Fruttero&Lucentini. Il testo, corretto e coraggioso, ebbe l’inevitabile risultato che l’Avvocato, invece di sostenere che il direttore Levi era indipendente, fece in modo da togliere a lui la direzione de La Stampa.

La strumentalizzazione degli editori impuri

Ecco perché, quando serve, gli editori impuri strumentalizzano i propri giornali per il proprio tornaconto, e quando il tornaconto diventa negativo, non esitano a licenziare.

Dispiace dirlo, Caro Jaki (potendosi chiamare con il nome in famiglia), ex-presidente di Gedi, le tue dimissioni e la nomina di Scanavino, il tuo collaboratore più fidato, non possono essere un gesto di rispetto dell’autonomia dei giornalisti; per ottenere questo risultato dovresti vendere i tuoi giornali a un editore puro, non perché sia come la Madonna, ma perché quel tipo di editore non ha altri interessi che quelli di dare un’informazione controllata e corretta ai propri lettori. So che è per te un brutto momento, anche per la lite con tua madre, e non intendo assolutamente essere duro, ma credimi, se le tue dimissioni hanno veramente lo scopo di rendere liberi i giornalisti di scrivere cosa onestamente e con professionalità sanno fare, l’unica via è che tu venda. Cosa che invece, ne sono sicuro, non farà mai un altro editore impurissimo che possiede giornali da Roma fino al Veneto. E di tutto ciò naturalmente la democrazia e il mondo degli affari non possono che soffrirne.

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