Don Bosco e il Papato. Marco Begato, sdb. Capitolo II.

5 Settembre 2024 Pubblicato da 1 Commento

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, don Marco Begato, sdb, a cui va il nostro grazie, offre alla vostra attenzione la seconda puntata del saggio su Don Bosco e il papato. Buona lettura e condivisione.

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SECONDA PUNTATA

 

Capo V. S. Lino papa. – Morte di Nerone. – Rovina di Gerusalemme e dispersione degli Ebrei. – Fatiche e martirio di s. Lino.

 

“Primo successore di s. Pietro fu s. Lino di Volterra città della Toscana”, di lui si ricordano gli interventi moralizzanti e non è per nulla ozioso che don Bosco ne faccia esplicita menzione.

 

In que’tempi anche di fervore vi erano molti che andavano in chiesa vestiti come andassero a pubblico spettacolo. S. Lino rinnovò il precetto di s. Paolo e stabilì che tutti dovessero recarsi in chiesa con modestia, e le donne vi intervenissero col capo coperto

 

  1. Lino ebbe grandi poteri esorcistici, che ne determinarono la pena martiriale:

 

Il solo suo nome rendeva muti i demoni e col semplice seguo della croce egli spesso guariva ostinate malattie. Un uomo consolare, vale a dire che aveva coperta una delle prime cariche di Roma, aveva sua figlia travagliata dallo spirito maligno e da altri mali. Ricorse al nostro santo, e questi la guarì in un istante col seguo della santa croce. Ma i sacerdoti degli idoli dicendo che quel miracolo recava ingiuria agli Dei, obbligarono il timido Saturnino, tale era il nome del padre della fanciulla guarita, a condannare a morte il santo Pontefice. Dopo qualche tempo di prigionia venne decapitato il 23 di settembre l’anno 80.

 

Capo VI. S. Cleto. – Seconda persecuzione. – S. Clemente. – Scisma di Corinto. – Terza persecutione. – Esilio e martirio di s. Clemente.

Nel 93 morirà martire s. Cleto, sotto la persecuzione di Domiziano.

 

  1. Clemente e lo scisma di Corinto. – Il quarto pontefice è s. Clemente, figlio di un senatore romano per nome Flavio. Egli fu eletto a governare la Chiesa dopo il martirio di s. Cleto. Fra le belle cose di questo pontefice si ha la istituzione dei notai ovvero scrivani che dovevano aver cura di scrivere diligentemente tutte le cose che i martiri dicevano e facevano davanti ai giudici od agli imperatori, e l’ordine dei loro patimenti. Queste scritture si chiamano Atti dei martiri.

 

Gli Atti dei Martiri sono davvero tra le cose più belle della Chiesa, insieme al Martirologio Romano: testi che aiutano i cristiani e soprattutto i loro Pastori a ricordarsi qual è l’unico scopo della missione ecclesiale su questa terra e qual è il più bel premio che possiamo attenderci da essa. Temo che, una volta dimenticato l’eroismo e il valore dei martiri, il compromesso col mondo e il quieto vivere alternato a qualche conferenza che non disturba nessuno siano l’unico esito possibile. Un esito senza sapore e senza valore.

 

  1. Clemente affrontò poi lo scisma di Corinto

 

Ove le discordie interne erano giunte a tal segno, che molti dei fedeli ricusando di ubbidire all’autorità ecclesiastica, pretendevano di eleggersi a loro talento e consacrarsi i sacerdoti. Crescendo il male, si pensò di ricorrere alla Chiesa che è madre e maestra di tutte le altre chiese, cioè a quella di Roma, indirizzando una lunga lettera al sommo Pontefice. S. Clemente, esaminata la lettera, rispose ai Corinti.

 

Scopriamo che la tensione scismatica è antica e sta cronologicamente al cuore della nostra religione. Non ci stupiamo quindi di vedere replicata nel corso dei secoli l’esperienza delle rotture tra cristiani, né ci stupiamo di vedere oggi assai diffusa l’indole a eleggersi i propri sacerdoti e i propri teologi personali. Vediamo anche che, laddove è presente un Papa santo e un popolo docile, la forza della carità sopprime tutte le istanze divisive e tutela la pace.

 

  1. Clemente convinse i Corinti tramite una bella lettera. Don Bosco ne riporta ampi stralci. Considerati i venti di scisma a noi contemporanei, la riporto anche io, sperando che faccia bene a molti lettori:

 

Il pontefice comincia così: «La Chiesa di Dio, che è a Roma, a quella di Corinto, a coloro che sono chiamati e santificati per la volontà di Dio nel Nostro Signore Gesù Cristo. La grazia e la pace del Signore onnipotente si accresca sopra di voi.»

Quindi mette davanti ai loro occhi la pazienza, la dolcezza ed i benefizi di Dio Creatore. Di poi continua: «Se noi consideriamo quanto Iddio sia vicino a noi, e come niun nostro pensiero gli possa rimanere occulto, noi dobbiamo certamente studiar di evitare tutte le cose che sono contrarie a’suoi divini voleri e soggettarci a quelli che egli ha collocato sopra di noi. Dobbiamo frenare la nostra lingua e dominarla coll’amor del silenzio.» Egli prosegue raccomandando, che ognuno fugga 1’ozio e la negligenza, perchè solamente colui che lavora ha diritto di vivere. Indi continua così: «Noi dobbiamo perciò fare con zelo tutto quel bene che possiamo, perchè Iddio Creatore si compiace delle nostre opere. Ciascuno mantenga l’ordine e il grado, in cui Iddio per sua bontà lo ha collocato. Colui che è debole rispetti il forte, chi è ricco assista il povero, e il povero benedica Iddio del modo con cui lo provvede. L’uomo savio faccia vedere la sua saviezza non in parole, ma in buone opere. Chi è umile non parli con vanto di se medesimo, nè faccia pompa delle sue azioni. Colui che è casto non si lasci {50 [50]} prendere dalla superbia, sapendo che il dono della castità non viene da lui. I grandi non possono sussistere senza i piccoli, nè i piccoli senza i grandi. Nel corpo umano la testa non può far nulla senza i piedi, nè i piedi senza la testa. Il corpo non può fare a meno dei servigi dei piccoli membri.»

Accenna di poi le virtù e le obbligazioni proprie di ogni cristiano per conservare la caritù vicendevole, quindi egli fa loro questo dolce rimprovero: «Perchè esistono tra di voi querele e divisioni? Non abbiamo noi tutti lo stesso Dio, lo stesso Gesù Cristo, lo stesso Spirito di grazia sparso sopra di noi, la stessa vocazione in Gesù Cristo? Perchè dunque laceriamo le membra sue e facciam guerra al nostro proprio corpo? Siamo proprio insensati a segno di dimenticare che siamo gli uni membra degli altri? La vostra divisione, o fedeli, ha pervertito molti, mentre altri ha scoraggiati, e ci ha tutti immersi nell’afflizione. Togliamo prontamente questo scandalo, gettiamoci ai piedi del Signore, supplichiamolo con abbondanza di lagrime a perdonarci e stabilirci nella carità fraterna.»

 

 

Anche san Clemente, come san Lino, verrà condannato a morte per aver convertito gli infedeli coi propri miracoli:

 

L’imperatore, lo condannò alle miniere del Chersoneso Taurico, che oggi diciamo Crimea. Dopo lungo, faticoso e penosissimo viaggio giunse il santo pontefice al luogo dell’esilio e fu messo a lavorare tra una turba di malfattori. Rimase per altro assai consolato quando seppe che fra i condannati a quei lavori erano presso a due mila cristiani, colpevoli di nient’altro che di professare coraggiosamente la fede, e che sospiravano di avere tra loro un sacro ministro della religione. Il pontefice applicatosi immantinenti ad assisterli, oltre al servizio religioso mitigò non poco i loro patimenti con un miracolo. Quel luogo difettando d’acqua, essi dovevano con gran disagio trasportarla dalla distanza di più miglia. Clemente pregò Iddio per loro, e, come al tempo di Mosè, tosto fecesi a scaturire una limpida e perenne fonte d’acqua, che provvedeva abbondantemente alle necessità dei cristiani e dei pagani. Un miracolo di quella fatta operatosi in presenza di tanta moltitudine commosse tutti quegli infelici esiliati a segno che un gran numero di infedeli abbracciarono la fede. L’imperatore informato di questi fatti scrisse al governatore del Chersoneso di reprimerli e far ritornare i convertiti all’idolatria: ma que’neocristiani si offerirono pronti a dare coraggiosamente la vita per la fede. Lo stesso pontefice, come loro capo, legatagli un’ancora di ferro al collo, fu gettato nel mar Nero. Così terminava gloriosamente la vita il quarto pontefice dopo aver governata la Chiesa 9 anni. Anno 100.

 

Seguono altri santi pontefici martiri: s. Anacleto, s. Evaristo e s. Alessandro.

 

Capo VIII. S. Evaristo. – S. Alessandro I in presenza di Aureliano. – Suo interrogatorio e martirio.

 

Di s. Alessandro riportiamo i lungo interrogatorio che subì da parte dell’Imperatore Aureliano, perché in esso si impara come parlassero i santi Pontefici al cospetto degli Imperatori pagani. Come si vede, la preoccupazione non è certo quella di ottenere consenso o di stabilire un compromesso di coesistenza pacifica, ma solo quella di testimoniare senza tentennamenti la verità di Cristo Signore.

 

            Interrogatorio di s. Alessandro. – Io vorrei, disse Aureliano ad Alessandro, che tu mi facessi conoscere i misteri della tua religione; e qual premio prometta questo vostro Gesù C. per cui vi lasciate con indifferenza ammazzare. Alessandro rispose: «Quello che tu dimandi è cosa santa, ma G. Cristo ci proibisce di palesare le sublimi verità della fede a quelli che desiderano di saperle non per crederle, ma per metterle in derisione. Non è espediente, diceva il Salvatore, dare le cose sante ai cani e gettare le pietre preziose davanti ai porci.»

            «Dunque io sono un cane? ripigliò Aureliano in collera.»

            Alessandro replicò: «La tua sorte, Aureliano, è molto inferiore a quella dei bruti, perchè essi sono irragionevoli e non venerano le verità della fede perchè non le conoscono; ma l’uomo l’atto ad immagine di Dio, se ricusa conoscere le verità della fede, o se le disprezza e commette offesa contro al Creatore, sconterà la sua colpa non solo colle pene della vita presente, ma colle fiamme eterne dell’inferno.»

            – Dimmi quello che ti chiedo, altrimenti io li condanno a tormenti.

            – Chi vuole essere instrutto nella religione di G. Cristo bisogna che ciò faccia coll’umiltà e non colle minaccie.

            – Dimmi quel che ti domando, e pensa che sei davanti ad un giudice, la cui potenza è temuta da tutto il mondo. {58 [58]}

            – Chi si vanta della sua potenza, è vicino a perderla.

            – Infelice! le tue parole e la tua audacia saranno punite con atroci tormenti.

            – Non sei per fare alcuna novità, facendomi così tormentare. Perciocchè qual uomo innocente potè fuggire dalle tue mani? Presso di te vivono solamente tranquilli coloro che rinnegarono il nostro Signore Gesù Cristo. Io che spero di patire e morire per lui, sono certamente da te tormentato ed ucciso, come lo fu il glorioso Ermete e l’intrepido Quirino, e come lo furono tutti quelli che passarono coraggiosi in mezzo ai tormenti da te adoperati per giungere così alla vita eterna.

            – Qual è dunque la cagione di tanta stranezza, da lasciarvi piuttosto uccidere che cedere a’miei comandi?

            – Te l’ho già detto, e te lo ripeto, che non è permesso di dare ai cani le cose sante.

            – Dunque tu ripeti che io sono un cane? Cessino le parole, veniamo ai flagelli.

            – Io non temo i flagelli che passano, ma quelli che tu non temi, voglio dire i tormenti dell’inferno che non finiranno mai più.

            Si accorse allora Aureliano che parlava inutilmente, quindi ordinò che Alessandro fosse spogliato e disteso sopra l’eculeo, battuto con verghe e lacerato con uncini di ferro. Mentre la carne cadeva a brani, si mettevano fiaccole accese sotto alle piaghe. Ma pareva che quegli acuti e prolungati tormenti non riuscissero che a rendere il s. pontefice più ansioso di patire.

            – Perché non ti lamenti? disse attonito Aureliano. Qual è la causa del tuo silenzio?

            – Quando il cristiano fa orazione, egli parla con Dio, e quando pensa a lui, dimentica quanto soffre quaggiù.

            – Rispondi a tutte le cose che ti dico, e ti farò sospendere i tormenti.

            – Stolto, fa quel che vuoi, io non temo la tua crudeltà.

            – Abbi almeno riguardo alla tua età; non tocchi ancora i trent’anni e vuoi già così privarti di vita?

            – Piuttosto abbi tu pietà dell’anima tua; perciocchè se perdo il corpo, io salvo l’anima; che se tu perdi l’anima, per te tutto è perduto in eterno.

 

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1 commento

  • La Signora di tutti i popoli ha detto:

    da Giovanni 10:
    ”Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge”.

    Gallinacei e rapaci.
    Povero Gesù, oggi fa ridere i polli!
    Sogghigno quando un prete, dimentico di parlare di se stesso, legge un brano su scribi e farisei o la pericope del mercenario. Sì, lo so, è la solitudine della mia anima che deve ancora accettare che i sacerdoti veri siano belliemmorti, il resto che respira è ciarpame spirituale e, i piccoli numeri, i casi rarissimi di amore per le anime, fanno della statistica, già scienza imperfetta, una barzelletta.

    È d’uopo far presente a d. Begato che, fare copia ed incolla ad uso di quelli che considera i “fessi”, che leggono qui sul Blog, non funziona poi tanto e che non creda di dar onore ai Pontefici che furono martirizzati e uccisi… forse lassù si offendono!
    Cosa ci vuol dire con questo articolo? Forse che Bergoglio come papa si farebbe martirizzare per onorare la morte di croce di Gesù?
    Cosa vuol significare d. Begato, nel farci conoscere le virtù eroiche dei Papi passati, forse che siano in relazione a questo attuale pontificato o si riferisce alla violenza subita dall’ultimo vero Papa Benedetto, per indurlo a rinunciare all’esercizio del suo Primato?
    Don Begato tace prudente, attento alla sua tenera gola fra la barba scomposta, tanto è il terrore che un despota usurpatore argentino può fare a chi è ormai “del Mondo”. Mentre il suo copia e incolla, parla del martirio (degli altri), ci propone don Bosco, un santo che lui però onora solo con la bocca:

    “laddove è presente un Papa santo e un popolo docile, la forza della carità sopprime tutte le istanze divisive e tutela la pace.
    Clemente convinse i Corinti tramite una bella lettera. [.] Considerati i venti di scisma a noi contemporanei, la riporto anche io, sperando che faccia bene a molti lettori.”

    Molti sperano che faccia bene anche lei, anche se non dice cosa bisognerebbe fare laddove non ci sia nessun papa, neanche santo, nè spiega chi si sta scismando. La sua vaghezza, il dire e il non dire, è l’inganno che deve operare chi ha un piede in più scarpe, caro prete.

    Quanta solitudine in una Chiesa abbandonata dai suoi ministri che non hanno più “la forza della carità” ma le energie effimere che da la pagnotta del mercenario.
    Una civetta fuori in giardino ora se la ride, segno che don Begato ha fatto scompisciare anche le tenebre.

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