Il Se Stesso oltre le Parvenze. Il Matto.

4 Settembre 2024 Pubblicato da 18 Commenti

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, il nostro Matto, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione questi pensieri sull’interiorità umana, e la divinità. Buona lettura e meditazione.

§§§

 

IL SE STESSO OLTRE LE PARVENZE

 

Fernand Khnopff, Silenzio.

 

* * *

«Se vuoi conoscere Dio, impara prima a conoscere te stesso».

Evagrio Pontico

 

*

«Un anziano disse: “Dio abita in colui nel quale non penetra niente di estraneo”».

Detti dei Padri del deserto

 

*

«Fermati, dove corri? Il cielo è dentro di te. Se lo cerchi altrove, in interno lo perderai».

Angelo Silesio

 

*

«Le mie opinioni, i miei pensieri, le mie azioni, il mio corpo, la mia mente … ma, dov’è il proprietario?».

Wu Hsin

 

*

In ognuno c’è un Se stesso che sta prima delle nozioni che gli sopravvengono. Si noti: le nozioni sopravvengono, cioè si pongono sopra al Se stesso che quindi è tutt’altro dalle nozioni, mentre le nozioni non possono essere tutt’altro dal Se stesso che le suscita in quanto apparizioni. 

 

Pertanto, il Se stesso è il ricevitore-suscitatore delle nozioni, non è le nozioni. Ed è questo il punto ostico cui si devono tutte le tragedie, le angherie, le furbizie, i sotterfugi e gli scempi di cui sono sempre stati e sono capaci gli esseri umani. Di fatto, prevale disgraziatamente l’identificarsi alle nozioni sopravvenute piuttosto che affidarsi al Ricevitore, al puro silente Se stesso, impresa, occorre dirlo, prettamente aristocratica nei confronti di un mondo estremamente prosaico.

 

Ma ecco che le nozioni sopravvengono a loro volta da altri ai quali a loro volta sono sopravvenute (la “tradizione” in senso lato), sicché si finisce per credere in massa, illudendosi, che il Sé stesso si identifichi con le nozioni. E poiché le nozioni sono divergenti, ecco i conflitti, ecco la dialettica prendere il sopravvento col suo potere disgregante, ecco le opinioni, impastate con le passioni, oscurare la verità del Se stesso.

 

Da sempre, pochissimi sanno che il Se stesso è il “luogo” della NON BELLIGERANZA, della vera pace, del distacco dalle nozioni foriere di conflitti; il “luogo” da cui si osserva, non senza compassione ed amaro stupore, la molteplicità degli esseri umani che si accapigliano e guerreggiano per ogniddove e su ogni argomento per affermare le nozioni sopravvenute nella loro coscienza, e che invece, quali che siano, non sono altro che parvenze, le quali, come i fatti da sempre dimostrano, diventano micidiali se assunte in maniera ferrea.

 

E non potrebbe essere altrimenti dato che ogni singola vita umana sulla terra è essa stessa una parvenza, un’apparenza provvisoria e più o meno effimera e “reale” finché dura: «passa la figura di questo mondo» osserva Paolo, in sintonia colla zenistica impermanenza (mujo).

 

«La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte», dice Louis Ferdinand Céline.

 

Da Matto, approfondisco: la scheggia di luce è uno sprazzo di buio che viene scambiato per luce, mentre la notte è la luce oscurata dal buio, la «luce che splende nelle tenebre». E la luce è uno splendore, non una nozione. E lo splendore è già un linguaggio, l’essenziale vero.

 

Sicché ogni nozione, cioè ogni idea, ogni nome, ogni concetto, non è che una parvenza della parvenza: “eternità”, “immortalità”, “libertà” “pace”, “amore” ed altre parolone sono nient’altro che idee, nomi, concetti, appunto parvenze, oscuri accenni a realtà trascendenti di pertinenza del Se stesso. Pervenze che contaminano il mondo dal momento che ognuno se ne riempie la bocca a modo suo.

 

Tolta di mezzo la parvenza – l’«altrove» di Silesio – resta la Realtà, cioè il puro Se stesso, che si è costretti a nominare per comunicare, anche la dicitura “Se stesso”, però, essendo una nozione, una parvenza.

 

Il bicchiere vuoto non è il vino che vi è versato.

 

Il Se stesso non è le parvenze.

 

È importante l’esempio del vino: come troppo vino inebria, così troppe nozioni stordiscono e usurpano il trono del Se stesso.

 

I più si sentono vivi soltanto se possono esternare la loro ebbrezza nozionistica ad ogni occasione. Non possono farne a meno. Si tengono in vita nutrendosi di parvenze ed espellendole per non scoppiare. Temono, ingannandosi, che senza di esse vi sarebbe l’annullamento di sé. Nella loro mente parvente il vortice delle parvenze è inarrestabile, e costituisce la loro soddisfazione e il loro disagio, il loro piacere e il loro dolore, dacché il rimuginare le parvenze costituisce un giro vizioso altalenante ed ubriacante senza via d’uscita. Davvero la parvente umanità è ubriaca di parvenze! Perfetta fantasmagoria! La vedantina maya: l’illusione cosmica!

 

Di più, ecco che le nozioni finiscono per “formare la coscienza”, quando invece la coscienza – il Se stesso – non ha alcuna forma e proprio per questo può ricevere nozioni, dunque forme, a non finire: la coscienza “di” qualcosa testimonia che l’esistenza della qualcosa dipende dalla coscienza che gia è di per sé, e quindi la riflette suscitandola all’esistenza, e che tale qualcosa non può (non dovrebbe) essere considerata reale proprio in quanto parvenza.

 

Ancora, una coscienza formata, tanto religiosamente quanto ideologicamente, è una coscienza limitata, individualista, separatista, esclusivista, fondamentalista. Peggio ancora se è la forma è fatta di una mistura di religione e ideologia (esempio tragico: il cattocomunismo). Sennonché lo Spirito, il Principio, l’Archè, è oltre le religioni (e le giustifica), mentre le ideologie sono elucubrazioni umane asfittiche e asfissianti (ad insaputa degli asfissiati).

 

Per inciso: il primo e più spietato despota è proprio chi che si professa “democratico”, sicché, la democrazia si riduce ad uno squallido scontro fra despoti, fra parventi che vogliono far prevalere le proprie parvenze.

 

Lo Zen, incomprensibile dalle menti ben ghiacciate nel principio di non contraddizione, dice addiritttura che la parvenza è e non è. Apparendo è, scomparendo non è.  Ma allora è o non è? Ancora con l’aut aut? Che lo si voglia o no, c’è anche l’et et! Ah no, anatema sit! E siamo di nuovo daccapo. Il ragno resta nel buco.

 

Lo specchio è necessariamente prima dell’oggetto che vi si riflette. Perciò, senza lo specchio della coscienza – senza il Se stesso – nulla potrebbe apparire, le immagini-parvenze non potrebbero suscitarsi. La cultura, la pseudo-cultura e l’anti-cultura, quest’ultima larghissimamente preponderante, sono forme-contenuti parventi che condizionano la coscienza che vi si identifica: così si finisce per essere secondo le nozioni, quali che siano e cause di conflittualità, e non secondo il Se stesso che è libero da ogni nozione.

 

Mentre nel mondo parvente si parte dalla pronuncia teorica dei nomi per giungere (e ammesso che vi si giunga) ai loro significati reali, nel “luogo” del Se stesso si parte dai significati reali per pronunciarne, non più soltanto teoricamente, i nomi. Ovvero: mentre nel mondo delle parvenze la realizzazione è di là da venire, nel “luogo” del Se stesso tutto è già realizzato, tutti i precetti salutari sono già osservati, la Virtù è già in atto. Perciò lo sforzo umano non è più necessario. Nessun sillogismo, nessuna regola, nessun codice, nessuna dottrina, nessuna ideologia, nessun spaccamento di capello in quattro, insomma nessuna agitazione-complicazione può trovar posto nel “luogo” della calma-semplicità, nel Se stesso che combacia con l’Archè quale fonte della Virtù, ciò trovando conferma (incomprensibile se si ritiene di comprendere pensandoci) in Chuang-tzu:

 

«La vacua quiete, la placida calma, il silenzioso distacco e la non-azione rappresentano la livella dell’equilibrio del Cielo e della Terra e il culmine della virtù del Tao».

 

Maestro Eckhart:

 

«Se il mio occhio deve vedere il colore, deve essere libero da ogni colore».

La coscienza è il Se stesso senza forma che presiede a tutte le forme, cioè suscita tutte le parvenze restando libero da esse, e ciò risulta chiarissimo se mi converto, mi raccolgo, mi denudo, mi svuoto, ovvero se lascio andare lo svolazzo di tutte le nozioni-forme che mi occupano e mi rivestono (l’«estraneo» di cui nei Padri del deserto), e lasciando ogni appiglio incedo nella sacralità del Divino Silenzio, sulla soglia del quale la struttura formale parvente fatta di pensiero, alla quale sono tentato di identificarmi, si dissolve, e con essa il nozionismo, forbito o volgare che sia, ma in ogni caso parvente.

 

Ecco perciò come la nudità vuota sia opportuna al risuscitare del Se stesso mai morto, secondo l’eretico “koan” di Blaise Pascal:

 

«Nel cuore di ogni uomo c’è un vuoto che ha la forma di Dio».

 

La forma di Dio è vuota! Chiaro che per una testa parvente e piena zeppa di parvenze, ciò non possa risultare che assurdo e blasfemo.

 

Ecco allora che il Se stesso, “ignorante” in quanto libero dalle parvenze, cioè lo specchio terso della coscienza non condizionato da alcuna immagine, si suscita in me: il Se stesso, il Me stesso!, scampolo di Cielo, mi si palesa (non so come) grazie al Divino Grande Silenzio, al «Vuoto che ha la Forma di Dio». Amalgama tra Vuoto e vuoto. Tra Solo e solo.

 

Ora, davvero libero dalle apparenze, proprietario» di esse (Wu Hsin)  torno ad esse non più confuso con esse. In ogni istante, non separato ma distinto dalle apparenze, mi servo di esse senza più esserne asservito.

 

Assorbito nello STATO DI NON BELLIGERANZA, posso agire con pura azione come un bambino. E come un bambino posso giocare. Perché quello delle parvenze non è che un gioco.

Chuang Tzu:

 

«Il bambino guarda le cose tutto il giorno senza strizzare gli occhi; questo perché i suoi occhi non sono focalizzati su nessun oggetto particolare. Va senza sapere dove sta andando e si ferma senza sapere cosa sta facendo. Si fonde con l’abiente circostante e  si muove con esso. Questi sono i principi dell’igiene della mente».

«Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli».

Ah! Il NON SAPERE! Il DIVENTARE PICCOLI!

Già prima del socratico «so di non sapere», il cinese Wu Hsin (in giapponese Mu Shin: Non Mente o Mente piena di Vuoto) avvertiva:

«L’attaccamento alle credenze è la catena più grande. Essere liberi è sapere che uno non sa».

Allora l’Archè straripa nel Se stesso mai morto e, illuminandolo, lo suscita.

§§§

Aiutate Stilum Curiae

IBAN: IT79N0200805319000400690898

BIC/SWIFT: UNCRITM1E35

§§§

Condividi i miei articoli:

Libri Marco Tosatti

Tag: ,

Categoria:

18 commenti

  • Adriana 1 ha detto:

    Caro “il Matto”,
    e come la mettiamo con i mistici donne?
    “Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore per Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi che di Dio…Benchè non sia un dolore [e un diletto] fisico, ma spirituale, vi partecipa un poco anche il corpo, anzi, molto. ” (S.Teresa d’Avila).
    e…a proposito di “Matti certificati”:
    ” Facciamoci PAZZI per amor di Colui che per nostro amore fu chiamato tale! “( S.Teresa d’Avila, di cui Papa Urbano VIII Barberini tessè le lodi, anche in poesia, congiungendo l’amore del Cantico dei Cantici a quello per l’Agnello mistico ).

    • il Matto ha detto:

      Nulla, ma proprio nulla da eccepire. Posso solo ammirare!

      Se non sbaglio, anche a Teresa gli addetti all’istituzione diedero del filo da torcere. O bi sbaglio con qualcun altro/a?

  • il Matto ha detto:

    Sfogliando il mio aforismario mi è capitato questo:

    “L’amore della verità è perciò amore del vero se stesso, che si oppone all’egoismo, non perché questo sia amore di sé, ma amore di un falso sé”.
    Giovanni Gentile

  • Adriana 1 ha detto:

    Caro Matto,
    ritengo che chi non abbia mai cercato di sondare tali quesiti sia veramente un poveretto fuori fase, qualsiasi sia l’esempio evocato … Avrei gradito un confronto tra la concezione dell’ Iperuranio e dei suoi Archetipi
    con lo XU ( universale, ma anche singolare ) che partecipa e qualifica l’identità. Alla prossima, ciao.

    • il Matto ha detto:

      Ho affermato che si tratta di un’impresa, prettamente aristocratica nei confronti di un mondo estremamente prosaico. Però sono anche certo che non sia l’unica. In fondo sono un ecumenico (non ecumenista) e rispetto chiunque segua altri metodi.

      Circa “l’Iperuranio e i suoi Archetipi” … devo studiare😂.

      Ciao.

  • Giampiero ha detto:

    C’è il rischio che procedendo a ritroso ciò che il cristiano (ma non solo ovviamente) chiama CREAZIONE si risolva in una DISPERSIONE INCONTINENTE dell’Unica Realtà, quella assoluta. I concetti via via esposti non sono per chi scrive flatus vocis, ne colgo la pregnanza di significato, solo però fino a un certo punto.

    • il Matto ha detto:

      Ottima osservazione.

      Il rischio che lei paventa c’è, ma soltanto per chi dovesse avventurarsi in un’impresa sconsiderata.

      Il Matto non è uno sconsiderato, semmai è un avventuriero, ma non uno sconsiderato.

      Cioè mai dimentica che il punto da cui spicca i suoi voli è la terra, sulla quale immancabilmente ritorna dopo ogni volo, e che la terra è parte della creazione (compresa la terra del proprio corpo).

      D’altra parte, altro è vedere la creazione stando in volo e altro è vederla dalla terra. La prospettiva e quindi lo sguardo sono radicalmente diversi.

      Grazie e cordialità.

      • Giampiero ha detto:

        Io l’ho sempre seguita con non poco interesse. Penso che per certi versi ci accomuna un idem sentire. Ricambio cordialmente.

        • il Matto ha detto:

          L’ho notato sin dai nostri primi incontri su questo blog.

          A suo tempo, da amatore e non certo da studioso esperto, fui incuriosito da Plotino. Nelle mie letture da dilettante mi imbattei in un brano di Enneadi 1, 6 che mi risultò talmente affascinante da farmela inserire nella mia raccolta di aforismi e come incentivo alla prassi apofatica.

          Gliene faccio molto volentieri un omaggio (anche se probabilmente lo conosce).

          «Ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora bello, comportati come l’autore di una statua che debba risultare bella: quegli toglie, raschia, leviga, ripulisce, fino a far apparire nella statua un bel viso. Anche tu togli il superfluo, raddrizza ciò che è storto, a furia di ripulire quanto è oscuro fallo brillare e non smettere di “scolpire” la tua propria “statua” fino a che riluca in te il divino splendore della virtù, fino a vedere la “Saggezza, alta sul suo sacro soglio” (Platone, Fedro) […] Sei diventato tale? Hai visto questo? […] Se vedi di essere diventato così, allora, divenuto te stesso una visione, sempre più fiducioso in te stesso, già intento a salire verso l’alto pur essendo ancora su questa terra, senza più bisogno di guida, figgi intensamente gli occhi e guarda!».

  • il Matto ha detto:

    “Fra tutti coloro che cercano, soltanto il mistico ha trovato, ma, prezzo di un favore così eccezionale, non potrà mai dire che cosa, benché egli abbia la certezza che conferisce il sapere incomunicabile (il vero sapere insomma).
    La strada sulla quale egli vi inviterà a seguirlo sbocca su una vacuità senza uguali, ma, ed è questa la meraviglia, una vacuità che vi colma, poiché si sostituisce a tutti gli universi aboliti.
    Ciò di cui si tratta in questo caso è un’impresa, la più radicale che sia stata tentata, per ancorarsi in qualcosa di più puro dell’essere o dell’assenza dell’essere, in qualcosa di superiore a tutto, perfino dell’assoluto”.

    Tratto da “Contro l’immagine” nella raccolta “Fascinazione della cenere” di Emil Cioran.

    SUBLIME! POSSENTE! UNIVERSALE!

  • Cristina ha detto:

    Non amarmi per le cose che so, perché tutti possono saperle.Amami per il mio cuore che è solo mio.Goethe ha detto tutto.

  • R.S. ha detto:

    Aggiungo

    Un matto certificato dall’opinione pubblica è indigesto tanto ai benpensanti quanto ai malevoli.

    Quelli che ragionano salvaguardando le loro certezze classiche temono l’eccesso di straordinarietà.
    Quelli che ragionano salvaguardando una loro presunta originalità sono contro a tutto, salvo se stessi.

    I primi pensano che il matto sia favorevole a raccogliere spighe il giorno di sabato, i secondi sono convinti che le spighe che vorrei raccogliere e servire il sabato siano troppo contaminate e insaporite per le loro abitudini alimentari.

    Un matto certificato non si pensa il centro dell’universo, nè che l’universo sia multiverso per stare il centro che gli pare.

    I pregiudizi non appartengono al matto certificato, che sarà anche matto (per gli altri) però pensa.

    Il matto cerca la Verità dato che solo quella libera.
    Non lo sapeva finchè la Verità non si è rivelata.
    Sapeva però d’essere prigioniero di tanti ragionamenti, benpensanti e malpensanti, a cominciare dai suoi.

    Il matto in fondo è uno che si abbandona, cioè crede a Chi ha una credibilità. Perché è l’Essere. Il Tutto.

    Il matto non è così stupido da voler dimostrare quel che crede (non sarebbe fede), ma non crede all’incredibile!
    La fede nel soprannaturale viene dalla sensibilità naturale che si rivela nel nostro limite.

    Chi prega si salva: non perché chiede al potente, ma perché sta finalmente dove l’attrae e lo chiama l’Onnipotente.

    Altrimenti restano l’hybris del pazzo furioso che si sente padreterno o l’illusione della religione tappabuchi. Vanità.

    Il matto certificato trova forza dove il benpensante vede debolezza e sapienza dove il malpensante nota stoltezza.

    Il matto certificato è collegato al sacrificio, a un fare sacro: il martire sa che morirà, ma è contento di farlo. Va oltre.

    Il matto certificato non combatte perché è buona cosa (nel “buono” c’è un calcolo, un merito): ma perché è bello!

    Fidarsi di Dio dopo che Dio si è rivelato è pura bellezza, estasi, contemplazione. Eternità che entra nel tempo.

    Sacrificarsi senza sforzo vanifica lo stoicismo e vanifica un piacere epicureo.
    Vanifica ogni dualismo. Resta solo il Bene, il Paradiso.

    Oppure il suo rifiuto: l’inferno.

    E dato che nel bene da solo non sto, ecco che mi salvo solo se mi ci porta Lui, per Grazia. Allora il sacrificio è bello.

    La Verità che salva è un’assimilazione al Tutto dell’Essere, uscendo dalla disintegrazione in cui mi polverizzerei.

    • Adriana 1 ha detto:

      Culinariamente…un brano in prosa (?) paragonabile ad una caponata con fiocchetti di cassata. ( Famoso piatto siculo di “Mimì settebellezze” ).

    • Adriana 1 ha detto:

      R.S.,Culinariamente…un brano in prosa (?) paragonabile ad una caponata con fiocchetti di cassata…sformata.
      ( Famoso piatto siculo di “Mimì settebellezze” ).

  • R.S. ha detto:

    Il se stesso che si scopre scoprendo attraverso i sensi è innanzitutto un mistero a se stesso.

    Infatti egli sta prima delle scoperte che fa, ma scopre di stare senza aver alcun merito nell’esserci.

    Lo stare ha un passato lontano millenni e si protende in futuro che potrebbe finire tra un minuto.

    L’essere un ricevente (in primis della vita che ha) precede la consapevolezza e l’elaborazione.
    Il fatto che egli coglie nel proprio stare inoltre si coinvolge sempre più in altri fatti, ma soprattutto nelle loro narrazioni, le quali sono sempre un artefatto e non il fatto in sé. Nel riempirsi di narrazioni il ricevente diventa egli stesso un filtro che modifica in parte il ricevimento della realtà in sé.

    Fatte salve queste premesse, ognuno di noi giunge a porsi il problema del proprio essere e a porsi il problema fondamentale del tempo in cui sta.
    E’ interessante come in ogni epoca e in ogni civiltà gli uomini abbiano anche pensato all’eternità.
    Eppure il tempo e l’eternità si oppongono in modo apparentemente inconciliabile.

    Le scuole di pensiero hanno risolto l’opposizione vuoi assolutizzando il tempo e la storia (negando l’eterno), vuoi assolutizzando l’immutabile che si oppone al divenire del mutevole.

    Nella post modernità assistiamo alla negazione dei cardini della percezione di una trascendenza dove sta l’immutabilità (eternità) dell’Essere che storicamente diviene, mutando. Questo rifiuto è frutto dell’hybris di chi non ha più bisogno di un assoluto (l’ideale) per vivere libero il tempo che ha.

    Non sfugga il limite oggettivo di un assoluto aldilà che si pone come alternativo all’apparenza dell’aldiqua che ne risulterebbe annichilito nei suoi sensi, come un peso di cui liberarsi.

    L’umanità nella storia ha inseguito le varie filosofie, ognuna con i suoi profeti e ultimamente con una capacità di manipolare mai vista in precedenza: il mistero a se stesso rimane e la coltre di opacità sulle possibilità della conoscenza vengono solo distratte dalle illusorie luminarie fatte brillare qua e là.

    Come farà l’uomo ad uscire da questa condizione oggettivamente disperante, perché priva di senso salvo contentarsi di quello che ci fanno balenare davanti promettendo un progredire? Il tempo e l’eternità sono giocoforza antitetici? L’assoluto dell’Essere può svanire nel nulla? E il corpo, questo corpo sensibile, è forse nemico dell’anima con la sua idealità trascendente?

    La realtà cangiante che cerca un progresso vede negata la libertà di costruirselo nel momento in cui è contenuta nel Tutto?
    Non ogni pensiero illumina allo stesso modo e non ogni filosofia è foriera di verità. In ogni rotta percorsa in mare aperto, una deriva iniziale di pochi gradi alla distanza può far sbagliare continente!

    In ogni caso l’uomo ricevente a qualcuno crede. All’inizio non si conosce.

    In forza di chi ci si circonda e di cui ci si fida possiamo approfondire quel che crediamo/sappiamo.
    Il saperci un’inezia nell’universo fa guardare Oltre.
    Saremmo in un vicolo cieco se Dio non intervenisse per rivelarsi a noi.

    La “fede nel divenire” è l’errore fondamentale, perché suppone che le cose (la realtà) siano nulla e tendano al nulla e questo vale tanto per Platone e la filosofia classica, quanto per Nietzsche e la mentalità filosofica moderna. Pensare le cose tratte dal nulla e tendenti al nulla stima ogni realtà come un nulla (ossia che l’Essere è il nulla). Tanto la classicità, quanto la modernità intendono il divenire come la fede in un’oscillazione tra l’Essere e il nulla.

    Dio non crea dal nulla, ma da Sé: la creatura non aggiunge nulla a Dio.

    C’è Luce. Ma non è la nostra.
    C’è Verità e rende liberi.
    C’è un rifiuto e ci tuffa nell’inferno. Già ora e in eterno.
    Il se stesso attuale è un se stesso decaduto e corrotto rispetto alla chiara visione.

    Può solo contemplarlo: chi prega non chiede, ma entra umilmente in una contemplazione.

    L’umiltà purifica il ricevere e la Grazia riempie questa umiltà, fino alla visione del Paradiso.

    Idee, concetti, parvenze, scemenze… Un se stesso corrotto non può essere puro.

    Ma anche un se stesso corrotto può essere salvato, cioè ricapitolato e riunificato al Paradiso.

    Che è il Pieno, l’Essere, il Tutto e l’Eterno. No è il vuoto e non è il nulla.

    Volontà nostra? No, Grazia. Solo se la vogliamo ricevere.
    Infatti preghiamo che sia fatta la volontà di Dio. Facendo la nostra si fa solo la storia.
    E si vede… semina morte e addirittura considera di troppo buona parte dei vivi. Disturbano…

Lascia un commento