Pensare Diversamente. Il Matto

26 Agosto 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il nostro Matto offre alla vostra attenzione queste riflessioni di fine agosto…buona lettura e meditazione.

§§§

PENSARE DIVERSAMENTE

 

(Immagine: Tommaso Maria Conca (1734-1822), Allegoria della Poesia)

*

«Mi piaceva pensare che i problemi dell’umanità potessero essere risolti un giorno da una congiura di poeti: un piccolo gruppo si prepara a prendere le sorti del mondo perché solo dei poeti ormai, solo della gente che lascia il cuore volare, che lascia libera la propria fantasia senza la pesantezza del quotidiano, è capace di pensare diversamente. Ed è questo di cui avremmo bisogno: pensare diversamente».

Tiziano Terzani

 

* * * * *

«Chi ti scriverà, luce divina
che procedi immutata ed immutabile
dal mio sguardo redento?
Io no: perché l’essenza del possesso
di te è “segreto” eterno e inafferrabile;
io no perché col solo nominarti
ti nego e ti smarrisco;
tu, strana verità che mi richiami
il vagheggiato tono del mio essere».

Alda Merini

* * *

Le considerazioni che si propongono, accompagnate dal risultato di una breve ricerca, sono state sollecitate da quanto dice Giuseppe Ungaretti circa la Poesia:

 

«La poesia è poesia quando porta in sé un segreto; se la poesia è decifrabile nel modo più elementare non è poesia, non è più poesia; anche la poesia che pare semplice è una poesia che contiene un segreto».

 

E ancora,

 

«Direi, con modestia, che la poesia è una combinazione di vocali e consonanti; una combinazione, però, nella quale è entrata una luce, e dal grado di questa luce si riconosce la verità della poesia. Quando la poesia è poesia, raggiunge l’irraggiungibile, mette a contatto le parvenze con la sola realtà, che è la realtà eterna».

 

Segreto, luce, l’irraggiugibile, la realtà eterna: la Poesia è di natura divina, spirituale, quindi sovra-razionale, e non porge appiglio per farsi definitivamente afferrabile, cioè razionabile; le «parvenze» sono toccate da «una luce» che le trasfigura collocandole fuori della portata della percezione comune e quindi della coscienza ordinaria. L’ispirazione che “scende” nel Poeta richiede almeno l’intuizione che “sale” dal lettore, affinché avvenga l’incontro:

 

«Chi desidera capire la poesia deve recarsi nella terra della poesia. Chi desidera capire il poeta deve andare nella terra del poeta», dice Goethe.

Poeta e lettore sono entrambi sulla soglia divina del segreto, dell’irraggiungibile, della realtà eterna, laddove l’umano si discioglie:

 

«Il poeta comincia dove finisce l’uomo», dice Josè Ortega Y Gasset,

 

si tratta perciò di un uscire dall’umano che trova conferma – profonda, ascetica, apofatica! – in  Thomas Stearns Eliot:

 

«La poesia non è un modo di liberare l’emozione, ma una fuga dall’emozione; non è un’espressione della propria personalità, ma una fuga dalla personalità. Ma, naturalmente, solo coloro che hanno personalità ed emozioni sanno cosa significa voler fuggire da queste cose».

 

E Diego Valeri:

 

«La Poesia: un fiore piccolo, di luce infinita»,

 

in cui l’ossimoro richiama la radicale distinzione tra ragione e intuizione (soprattutto poetica) e quindi la subordinazione della prima alla seconda, regola non rispettata come rileva Einstein:

«La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele schiavo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono».

Di fatto, la ragione non saprebbe attivarsi se, grazie all’ispirazione, l’intuizione non la stimolasse: in fondo, anche ciò che rientra nella percezione comune, e quindi nella coscienza ordinaria raziocinante, può darsi soltanto grazie alla scintilla dell’ispirazione suggeritrice, fatto salvo l’oggetto di essa in quanto raggiungibile e razionabile, perciò non poetico, orizzontale, terrestre, spesso disastroso, oppure irraggiungibile e irrazionabile e perciò poetico, verticale, celeste, ciò che eleva la coscienza ad uno stato superiore che è quello della contemplazione, secondo che dice Pierre Reverdy:

«Tre [sono i] gradi della vita interiore: il sogno, il pensiero e la contemplazione, cioè la preoccupazione esclusiva e la ricerca amorosa di Dio.

Il sogno è l’attività immaginaria e gratuita della sensibilità.

Il pensiero, il movimento orientato dello spirito liberato dai sensi.

La contemplazione, la vita dello spirito, nel silenzio dei sensi, e di là dal pensiero».

 

Si noti: la contemplazione è «al di là del pensiero»! E, di contro, sta l’esalazione corrosiva dei pensieri e delle chiacchiere che stanno disintegrando il mondo.

 

Al riguardo, molto interessante la conferma del lama Tarthang Tulku:

 

«La mente è qualcosa di più dei pensieri che produce; al di sottto di essi giace un’energia vitale che in ogni momento è attiva, pronta a rispondere e attenta. Entrare in contatto diretto con questa energia genera un senso di vera gioia e soddisfazione che ci mette in grado di apprezzare ogni nostra esperienza».

 

Si noti: «un’energia vitale», evidentemente di natura femminea, incontaminata, verginale, «ogni momento attiva, pronta a rispondere e attenta», ciò che rimanda a Sati, termine pāli che significa consapevolezza, ovvero “consapevole presenza che SI PRENDE CURA”, che a sua volta rimanda alla Salus Infirmorum. E di fatti chi sono gli in-fermi se non gli inconsapevoli – la moltitudine – agitati dai loro pensieri? E tanto più agitati quanto pretenziosi di far quadrare i conti a parole.

 

Ancora Reverdy sull’onda ossimorica di Valeri:

 

«Il poeta è un gigante che passa senza sforzo per la cruna di un ago e, insieme, un nano che riempie l’universo».

 

E Giorgio Anelli:

 

«La Poesia dà tono al respiro, apre gli occhi a ciò che la bellezza richiama. La Poesia, in ultima istanza, è quel che davvero vale la pena di vivere».

 

E c’è da chiedersi cosa sarebbe (ma in grandissima parte già lo è) la vita terrestre senza i Poeti che vengono rapiti in un cielo sovra-razionale, intermedio fra l’Assoluto e il relativo, per riferire di qualcosa che sfugge a loro stessi e quindi sono in grado, come dice Terzani, di «pensare diversamente» poiché liberi dall’invischiamento nel quotidiano, che pure è inevitabile e pertanto richiede una disciplina del distacco.

 

Paradossalmente Miguel Angel Arcas:

 

«Solo i poeti ritornano nel luogo dove non hanno mai vissuto».

 

Cui s’appaia Gesualdo Bufalino:

 

«Simile a un colombo viaggiatore, il poeta porta sotto l’ala un messaggio che ignora».

 

Come dire che la ragione non può catturare, e tantomeno “organizzare”, rinchiudendolo in formule e sillogismi, l’etereo messaggio ispirato che la trascende: le certezze del ragionamento stabilito una volta per tutte sono, nel ragionante, la  tomba della Poesia, perciò dell’ispirazione. Il poeta non è uno che “ragiona”. Anzi, l’ispirazione lo rende uno sragionante dimentico di sé e aperto all’Altro da sé:

 

«Il poeta non inventa. Ascolta», dice Jean Cocteau.

«Ogni poesia è misteriosa; nessuna sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere», dice Jorge Louis Borges, trovando conferma in Henry Michaux:

«Il vero poeta crea, poi comprende … qualche volta».

A sua volta Italo Calvino richiama il “koan” di Valeri:

«La poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere».

 

Radicale e zen anche Paul Claudel:

 

«La poesia non è fatta di queste lettere che pianto come chiodi, ma del bianco che resta sulla carta».

 

Nella cultura nipponica yohaku significa letteralmente “residuo” yo e “bianco” haku, ovvero “spazio vuoto”, “margine”. In senso lato indica qualcosa che ha raggiunto la riduzione all’essenziale.

 

E drammatico Emil Cioran:

 

«La poesia esclude calcolo e premeditazione: è incompiutezza, presentimento, baratro»,

 

quanto basta per escludere le “certezze”, manco a dirlo rigorosamente logiche e sistematiche, dell’interpretazione di turno (proposta o imposta?).

 

E, ancora, Eugenio Montale:

«Dicono che la poesia al suo culmine, magnifica il Tutto in fuga»,

 

ove si conferma che la vera poesia rimanda sempre all’Assoluto, a quel «Tutto in fuga» che l’arte può solo suggerire e di cui la ragione può soltanto prendere atto riconoscendone l’irraggiungibile, incatalogabile trascendenza:

 

«col solo nominarti
ti nego e ti smarrisco», dice Alda Merini in esergo.

Wallace Stevens:

 

«Il poeta è il sacerdote dell’invisibile».

 

Rainer Maria Rilke:

 

«Ai veri poeti il primo verso viene regalato da Dio, mentre tutto il resto è dura fatica dell’uomo».

 

Dice che il primo verso è regalato da Dio, cioè dall’Imperscrutabile, dall’Assoluto, dall’Archè, perciò, ancora una volta, irrazionabile e irracchiudibile in formule e sillogismi, nonostante la «dura fatica dell’uomo».

 

Ma ecco che il Poeta è tale perché fruisce dell’ispirazione, per la quale l’Assoluto, inafferrabile e indescrivibile, lo rapisce, lo infuoca, lo illumina.

 

Nell’ispirazione il Poeta dimentica il proprio ego, non persegue un individualistico ottenimento, non trae personalistiche conclusioni giacché concludere (con-chiudere) l’Assoluto nei sillogismi è impossibile prima che illusorio. Nessun sistema di parole può catturare ed esaurire l’Assoluto, il Libero per eccellenza, l’Unico che permette di «pensare diversamente».

 

Stando nella sua stanza, il Poeta vede aprirsi una finestra sull’Infinito, cioè sulla Verità irrazionabile, sull’Aria ultralogica vivificante che irrora e profuma la stanza (sì! l’ispirazione celeste ha un suo profumo: un profumo di cielo!); il Poeta mantiene la sua stanza vuota, non la riempie di mobilio concettuale, ovvero, per dirla in termini chimici, di un precipitato nel quale s’aggruma la coscienza che così dimentica il surnatante infinito.

 

Intrigante Ernestina de Champourcín:

 

«Comprendi perché non posso sentire nulla senza poesia? Il suo veleno sottile, penetrante, mi ha falsificato tutti gli aspetti della vita. O me li ha rivelati nella loro pura verità? Chissà!».

 

ISPIRAZIONE: una parola sulla quale vale la pena di indugiare. Non per nulla Giacomo Puccini, in sintonia con Eliot, afferma che: «L’ispirazione è un risveglio, una fuga da tutte le facoltà umane, e si manifesta in tutte le grandi conquiste artistiche».

 

Il lemma PIRO (PIR davanti a vocale) deriva dal greco PYR PYROS “fuoco”, quindi “luce”, da cui:

 

– is-PIR-azione, cioè l’azione del PIR, del Fuoco, della Luce, e

– s-PIR-tuale, cioè la natura infuocata, lucente dell’ispirazione.

Ispirare/inspirare è composto da IN in, dentro, sopra e SPIRARE soffiare.

Perciò l’ispirazione è un soffio del Fuoco, della Luce che trascende l’umanità del Poeta, il quale ne trasmette ciò che ne può.

Ancora zenisticamente, Maria Zanolli:

 

«Dire poco

con poca voce

con pochi gesti

affondare lo sguardo

nel vuoto

respirare appena

per respirare

fare casa

al soffio

da cui

sei nato.

 

Dice felicemente e apofaticamente: «fare casa al soffio da cui sei nato», insomma … svuotare la stanza! Nello zen, omoi no o tebanashi: “aprire la mano del pensiero”, insomma lasciare la presa, altrimenti il soffio non giunge. E il «soffio» non può essere che quello dello S-PIR-ito (si noterà come la Vergine abbia “aperto la mano del pensiero” pronunciando il suo fiat mihi, favorendo così il Soffio fecondante dello Spirito).

Da quanto si è osservato si può arguire che l’ispirazione non è ascrivibile alla sola religiosità confessionale, dacché la s-PIR-itualità abbraccia e compenetra infinitamente tutto il creato e trascende le singole religioni, ciascuna delle quali poggia su un limitato, seppur valido, sistema di formule: le Pleiadi sono nell’Universo, ma non possono esaurirlo.

 

«Lo Spirito soffia dove vuole, ma non sai né da dove viene né dove va. Così è di chiunque è nato dallo Spirito».

 

Questo breve passo giovanneo, non certo avallante una visione confessionale rigida e intransigente, è una finestra aperta sull’Infinito, quindi la negazione dell’esaustività di ogni dottrina quale che essa sia e dovunque sia sorta: un passo squisitamente cattolico, se cattolico significa universale, e l’Universale – lo Spirito! – non può essere definitivamente conchiuso in dottrine e codici proprio perché soffia dove vuole e non si sa donde venga e dove vada.

 

Il Poeta non sa da dove viene l’ispirazione e dove va ad incendiare altre menti sulla faccia della terra, mentre chi poeta non è – e lo si può comprendere, ma non giustificare – è convinto di saperlo soltanto perché ha sistemato ogni mobile e suppellettile nella propria stanza dalla finestra chiusa in cui non può entrare l’Aria, ma con la convinzione illusoria che tale stanza  sia il libero cielo infinito.

 

Il Poeta non segue, non può seguire nessun genere di catechizzazione esclusiva:

 

«Allora, se qualcuno vi dice: “Il Cristo è qui”, oppure: “È là”, non lo credete […] È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità».

 

Anche questo brano evangelico è assai speciale e di un’attualità innegabile, viste le fazioni in cui si dividono coloro che dovrebbero essere uniti in Cristo, ciascuna con il “suo” Cristo e la “sua” Madonna, per non dire del più che sospetto moltiplicarsi di “veggenti”.

 

Dice che è il MOMENTO è QUESTO: il momento reale e irrazionabile dell’adorazione del Padre IN SPIRITO E VERITÀ, perciò DIRETTAMENTE, non più per mediazioni; il momento della Luce, del Verbo non più conchiuso in formule e sillogismi; il momento dell’esilio dei teologi; il momento del Suggeritore, cioè dello Spirito che permette (permetterebbe) di «pensare diversamente» e perciò un ispirato parlare, argine al parossismo dottrinario-giuridico nonché profetico-escatologico che svia le menti da QUESTO MOMENTO, l’unico TEMPO REALE, per indirizzarle illusoriamente verso un IPOTETICO FUTURO (che in ogni caso “accadrà” IN QUESTO MOMENTO!); il momento della Luce che è antidoto al dilagare della corruzione del linguaggio e quindi dei costumi. Mai il vero linguaggio poetico potrebbe corrompersi posto che in esso «è entrata una luce» (Ungaretti) «immutata e immutabile» (Merini), ossia è entrato «il «soffio» (Zanolli).

 

Avverte il Poeta:

 

«Nullo effetto mai razïonabile,

per lo piacere uman che rinovella

seguendo il cielo, sempre fu durabile».

 

Nella parafrasi del Sapegno:

 

«Nessun prodotto della ragione umana (effetto razionabile) fu mai durevole per sempre, bensì soggetto a modificarsi di continuo, a causa dell’instabilità del gusto (piacere), che si muta e si rinnova perennemente secondo il vario influsso degli astri (seguendo il cielo)».

 

Pensare diversamente l’Archè, il Medesimo, l’Identico, lo Stabile, l’Inamovibile. È l’urgenza attuale.

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89 commenti

  • Carmela ha detto:

    E’ molto interessante quello che ha scritto. Condivido e ringrazio

  • Adriana 1 ha detto:

    e.c. SPV…immagino che SPS significhi spiritus.

    • Rolando ha detto:

      Esattamente è il termine spiritus che traduce il greco “pneuma” e che nei codici latini frequentemente si trova abbreviato così. Come IC e KC, cioè Iesus e Christus, in quelli greci, tanto per fare un esempio.
      Ti saluto caramente, Adriana 1. Non desistere e correggimi e puntualizza. Errando discitur.
      In realtà Filone parla di colomba e tortora non piccione.
      Ma piccione e tortora sono assimilabili in quanto piccoli uccelli, ma la tortora che tuba leggermente ancor più piccola. Ma il pensiero e l’analogia di Filone ben compreso dal prof. Ferrabino, è chiaro.

  • Rolando ha detto:

    “Ancora zenisticamente, Maria Zanolli:”

    Nome e cognome esatto della mia cara indimenticabile mamma!
    E a proposito di poesia. Prima “si sente” (sensi) poi viene il difficile….ma comunque penetra!
    A proposito c’è anche la poesia dialettale, che ha una strada vasta, vasta… ma ancor più profondamente, forse, “sentita viva”.
    Mi vien in mente Tòdaro, poeta veronese, e tra le tante poesie, le sue famose tre “cantade” di cui una “La cantada de l’Osel”. Le altre due sono in zona!

  • il Matto ha detto:

    Mia meva estimada (mia cara in catalano😍) Adriana,

    visione non “pessimistica” ma realistica.

    “Sottolineare” per rammentare e mantenerne la consapevolezza anche se … non serve a niente 😥😂.

    “Occhi chiusi-aperti”? Non vorrei sembrarti pignolo ma, a mio avviso, è meglio occhi aperti-chiusi, cioè illusoriamente aperti ma realmente chiusi.

    Ci troviamo nel mondo dei «ciechi che guidano altri ciechi».

    Ma non si troverà mai chi ammetterà di essere cieco. Ognuno, a suo modo, si crede un “veggente” e dice agli altri “come stanno le cose”.

    • Adriana 1 ha detto:

      Caro Matto,
      che ognuno si senta Veggente e voglia imporre agli altri la propria Veggenza è una delle poche Verità esistenti al mondo. Costume assai antico: per noi risale a circa 5ooo anni fa, con Ziusudra/Utnapistin nell’epopea di Gilgamesh, con l’egiziano Imhotep, diventato Asclepio e Ermete, con Tiresia – che è il cieco per antonomasia- e che ha-evidentemente- insegnato ad esserlo a tutti i convinti di essere altrettanto capaci di imitarne la sapienza…
      P.S., l’epiteto è molto carino. 💖Gracias.

  • Adriana 1 ha detto:

    e.c….si è.

  • il Matto ha detto:

    Alceo, Anfitrione, Aristocle.

    Cara Adriana, dammi una dritta, non capisco 😢😂

    • Adriana 1 ha detto:

      mi ero stancata di cercare combinazioni di consonanti come chiavi indispensabili per entrare nel blog. Noni antichi e desueti ne rappresentano una simpatica alternanza.

      • il Matto ha detto:

        😄
        Guarda che basta una sola lettera o numero!
        Almeno così faccio io, e funziona.

        • Adriana 1 ha detto:

          Già, ma finora li ho impiegati tutti. O così pare e il sistema non accetta duplicazioni.

  • Adriana 1 ha detto:

    aristocle

  • Adriana 1 ha detto:

    anfitrione

  • Adriana 1 ha detto:

    alceo

  • il Matto ha detto:

    🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣

    Ho riletto tutti i commenti!!!!

    • stilumcuriale emerito ha detto:

      Se i commenti ti fanno ridere tanto varrebbe che Tosatti non pubblicasse più i tuoi articoli. 🙂

      • il Matto ha detto:

        Se leggi bene, ho scritto TUTTI I commenti, quindi compresi i miei.

        Ciò che fa esplodere la mia ilarità all’improvviso (sono Matto, tienilo sempre presente) è l’affanno con cui TUTTI ci impegniamo ognuno a sparare la propria … senza cavare un ragno dal buco.

        In momenti di particolare lucidità (matta) mi chiedo a cosa serve comunicare se poi ognuno se ne resta sulla sua “insindacabile” posizione.

        Te l’ho buttata giù in soldoni, ma, sempre da Matto, ritengo che l’argomento sia serio. Tragicamente serio.

        In sintesi: gli esseri umani comunicano per … non intendersi.

        Non ti pare assurdo?😂

        • Adriana 1 ha detto:

          Caro il Matto,
          questa tua visione “pessimistica” (?)- che in parte si può condividere- porta però- inevitabilmente- alla realizzazione del progetto “architettonico” (?) del grande Lédoux di una prigione costituita da celle separatissime, non comunicanti, dove ciascun prigioniero è soggetto ad alta sorveglianza. Ti consiglio di cercarne in rete le immagini.
          A volte mi sembra che Lédoux sia stato un autentico e moderno profeta di ciò che oggi sta accadendo sotto i nostri occhi ” chiusi-aperti “. Non vedo, perciò, la necessità di sottolineare come nuova tale situazione della fauna umana.

    • Adriana 1 ha detto:

      ?????????????

  • Fritz ha detto:

    Consiglio al novello Òmero del blog e alla vetusta serpe dai versi sciolti un bel ricovero con una full immersion in ambiente protetto, possibilmente in stanze separate e molto distanti fra loro. La cura del silenzio, salverà il Blog dalle vostre immani stron..te e donerà a voi il corretto drenaggio delle megalomanie. Il Demente, sempre in crisi logorroapofatica, si gioverà dell’espulsione delle sue profonde aberrazioni psichiche, correggendone il percorso delle espressioni catatoniche in versi da orale ad anale.
    L’istituto se è dotato di veterinari inoltre fornirà la giusta dose di olio di ricino alla vegliarda strisciante del blog affetta da stress per lunga esposizione delle spire al sole, abbassando la secrezione venenifera delle ghiandole sfinteriche irritate e riportando la letale serpentella aspis hadrianella alla consueta acidità preestiva, fino allo sperato letargo.

    • Adriana ha detto:

      Questo testo- tutto grondante ammmore – è da Trapper Conrad, o, da trapper Kendrick, o da trapper West…
      perchè non va a rappare su qualche scena “hip hop” delle balere di periferia? Avrebbe molto successo!

    • il Matto ha detto:

      Ehilà, Fritz!
      il suo intervento olezza di un livore violento e postribolare molto preoccupante (per lei, ovviamente).
      Basta l’articolo di un Matto per far venir fuori quello che uno è ed ha dentro: nel suo caso, un gigantesco immondezzaio.

    • Rolando ha detto:

      Lode alla profonda poesia di Fritz!
      ” E fe’ del cul trombetta ” (Dante)

  • Ma anche basta ha detto:

    con citazioni, poesie, lirismi e di-vagazioni umane, procacciate a mo’ di vangelo, dove segregare la Parola, al giogo di fittizi parametri e di estemporanee e miserevoli vaghezze! La Parola È Vangelo!!!!!!!!!!!!!!!!!!! “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo.”(Mc1,15).

    • il Matto ha detto:

      MA ANCHE BASTA con queste censure a base di interventi bigotti pseudo-apologetici.

    • il Matto ha detto:

      MA ANCHE BASTA con queste censure a base di interventi bigotti pseudo-apologetici.

    • Adriana ha detto:

      MA ANCHE BASTA con l’invenzione di queste auto-agiografie egoiche.

    • Rolando ha detto:

      Carissimo MA ANCHE BASTA, innanzitutto il tuo nome ti appartiene.
      Quanto al “Convertitevi e credete al vangelo” può essere benissimo una frase copiata di sana pianta dal testo greco dell’ “Autobiografia” di Giuseppe Flavio.
      Questo storico, infatti, con quest’effermazione-slogan, per la sua estrema politica di salvezza in Giudea, testimonia di uno slogan proprio di quella mentalità ebraica in uso da diversi capi banda, detti salvatori.
      Chi scrive il vangelo, pure in greco, mette il medesimo slogan in bocca al suo Gesù e quindi scrive “… e credete al vangelo” perché anche lo scrivente è coinvolto, mentre Giuseppe Flavio parla in proprio, come facevano tanti capi-salvatori in quei tempi, in quei luoghi, in quelle ingarbugliata circostanze scrivendo: “Convertitevi e credete in me”. Quindi G. Flavio testimonia con più precisione storica lo slogan dei Salvatori del Regno del Padre David.

  • lL MATTO ha detto:

    Dallo scoglio grigio guardo il Mare … Ah! il Mare! Uno solo è il Mare, innumerevoli le rotte verso l’Isola Verde.

  • La Signora di tutti i popoli ha detto:

    Chi si appunta su un pezzo di carta una poesia in un determinato momento della sua vita lo fa per se stesso. Chi scrive per pubblicare o peggio per vendere non darebbe mai una sua poesia, darebbe forse la sua anima a chicchessia? Cosa da allora? Forse una presunzione di se o lo scarto di se.
    Può succeder che si pubblichi una poesia non propria, magari di una persona cara, ma quella poesia così rivelata però non nacque per esser dominio pubblico; chi pubblica una parte della sua anima lo fa controvoglia e si pente spesso.
    L’amante a volte dona una sua poesia all’amato o un amico al suo amico più caro… ma con attenzione, con esitazione e solo se c’e molto amore fra loro: il dono di una poesia non è quasi mai quella che li riguarda. Una poesia è nata dall’anima per la propria essenza. Ogni altra rivelazione è frequente ma è un uso improprio. E questo un poeta lo sa perchè le poesie non si usano.

    • Adriana ha detto:

      ” Scrivere per noi per rileggere, per ricordare in segreto, per piangere in segreto. Ecco perchè scrivo… io scrivo ora per me medesimo. ” ( Iginio Ugo Tarchetti, Fosca, cap.I )-
      Cara signora, la Scapigliatura è fatta per lei, lo è il decadentismo…e anche l’Ermetismo. Pensi! si può riassumere con poca spesa tutta la Divina Commedia nel famoso verso di Ungaretti: “M’illumino di immenso”, e ci si sbriga anche prima.

    • Rolando ha detto:

      Sicché, cara la mia SIGNORA DI TUTTI I POPOLI, il testo dell’opera di Verdi “Falstaff “, poesia di Arrigo Boito e la relativa poesia musicale verdiana, due arti dinamiche, che si attuano solo nel momento dell’esecuzione e nell’ascolto, in quanto suscitano emozioni improprie non sarebbe poesia in atto?!
      Suvvia, cara Signora di nessun popolo!
      Il massimo della poesia: “Tutto nel mondo è burla!”.
      Almeno su questo, converrà!?

      • La Signora di tutti i popoli ha detto:

        Se tacesse una volta sarebbe bello apprezzare il suo buon senso.

        • Adriana 1 ha detto:

          Cara signora,
          capisco. A lei piacerebbe che Rolando “per lungo silenzio paia fioco” in modo da attribuire ” a lui ” il possesso esclusivo dei ” di lei” pensieri. Peccato che ci sia un’opera di cristiana misericordia che impone di sopportare “le persone moleste”: do you remember?

        • Rolando ha detto:

          Se taccio io…grideranno le pietre. Non mi fraintenda: nessuna empietà! Dio me ne scampi! Ma la memoria storica, che registra ogni parola scritta e non solo, sarà sempre.
          I suoi compari fedeli e devoti amanti del loro Dio “assetato di sangue” [riporto tra virgolette parole, tratte dagli Aporifi del NT a cura di Erbetta] non solo hanno messo a tacere, ma hanno anche tagliato la lingua a Giordano Bruno, prima di ridurlo in cenere. Tanta opera di verità, libertà, giustizia, amore e pace manet in aeternum, cara LA MIA SIGNORA DI TUTTI I POPOLI.
          Buona rimanenza tra noi! Loquere, Domina, quia audit servus tuus!

  • R.S. ha detto:

    Ullallà… madame Adriana la premiere che dà le pagelle appioppandoti un Platone!
    Quelle surprise.
    Pensavo a una poetessa e invece ecco qua la professorona.
    Professorina suona male: seppur porcellana, sai, il pitale…

    • Adriana ha detto:

      RS, caro,
      sei delicato e misogino come l’Abate Casti.
      Hai frequentato in gioventù qualche seminario , di quelli per casti maschietti?

    • il Matto ha detto:

      Beh, come ho già risposto ad Adriana, l’“appioppamento” di Platone mi sembra del tutto appropriato all’argomento che ho trattato.

      E poi, il tirare in ballo il “pitale” nei confronti di una signora (i cui commenti a volte sono sì un po’ spigolosi ma, ne sono certo, sempre bonari) mi sembra un pochino irrispettoso.

      Cerchiamo di conservare tutti una moderazione reciproca, basandoci sugli argomenti e non sulle persone.

      • Adriana ha detto:

        Caro Matto,
        ” Il poeta che sia casto nella vita lo è anche nei versi; la penna è la lingua dell’anima, fisserà nei suoi scritti concetti generati da questa.” ( Miguel de Cervantes Saavedra ).
        Vale anche per i prosatori-predicatori, annichiliti dall’erroneo pensiero di esser stati paragonati a Platone.

  • miserere mei ha detto:

    Pura poesia:

    Testimonianza di Frate Teiji Yasuda

    Sono un prete cattolico che ha assistito a quasi tutti i 101 episodi di lacrimazione della statua dell’Apparizione della Vergine Maria ad Akita: tutti tranne tre (…)

    Il vescovo John Ito mi nominò direttore spirituale di quel convento nel 1974, un anno prima che iniziassero le lacrimazioni (ndr: il 4 gennaio 1975)

    Ogni volta che la statua della Madonna piangeva venivo chiamato ad andare ad osservare la lacrimazione (…)

    (ndr: il vescovo Ito fece analizzare il liquido lacrimale e le gocce di sangue dalla facoltà di medicina di Akita, che ne dichiarò la natura umana: il sangue di tipo B e le lacrime di tipo AB, come il sangue delle reliquie di Gesù).

    Il motivo per cui la statua versò lacrime (ndr: lacrime di gruppo differente da quello del sangue presente) rimase una domanda senza risposta per molti anni.

    “…nel 1981, un evento misterioso mi mostrò che Dio aveva fatto piangere la statua per insegnare alla Chiesa Cattolica Romana la verità sulla corredenzione attraverso la Vergine Maria, attirando l’attenzione della Chiesa sulla sofferenza e sulle lacrime di Maria ai piedi della Croce del Figlio. (…)

    Fin dall’inizio di questa serie di lacrimazioni, ho anche pensato che potesse esserci un profondo legame tra le lacrime della statua e il fatto storico che la Beata Vergine Maria pianse sul Calvario quando vide il suo Divino Figlio, Gesù Cristo, redimere l’umanità attraverso il suo sangue sacrificio sulla Croce.

    … questa comprensione fu confermata e mi fu data dopo che un Angelo spiegò il significato più profondo delle 101 lacrimazioni della statua a Sorella Agnes Katsuko Sasagawa.

    Suor Agnese corse subito nel mio ufficio per comunicarmi il messaggio angelico che aveva seguito l’apparizione e che confermava quello che pensavo. Ma questo messaggio doveva rimanere nascosto, perché legato a un evento molto grave per la Chiesa cattolica…

    Il 12 dicembre 2019 Bergoglio ha definito la convinzione che Maria è corredentrice “tonterias”, cioè sciocchezze.

    • il Matto ha detto:

      Caro MISERERE MEI,

      vorrà perdonarmi se non vedo alcuna traccia di “pura poesia” nella testimonianza di Frate Teiji Yasuda.

      Personalmente, CREDERE a ciò che RACCONTANO i veggenti (di cui c’è ormai un dilagare più che sospetto) non riesce ad interessarmi nemmeno un po’. Sono fatti loro che, a mio parere, non possono essere assunti in modo ufficiale.

      D’altra parte, se le RACCONTASSI che la settimana scorsa la Madonna mi ha detto di non credere ai fenomeni psichici di cui riferiscono i veggenti, sono certo che lei non mi prenderebbe sul serio.

      Un cordiale saluto.

  • R.S. ha detto:

    Citare può servire a sentirsi dotti.
    Dottori di questo mondo.
    La dottrina cristiana non cita. Assimila.
    Cita è portata a trastullarsi, non ad oltrepassarsi.
    Cita imita, sa farlo, ma manca la Grazia.
    Grazia di sapersi chiamati a partecipare chi ci supera.
    Ben altro dall’imitare senza gustare La Sapienza.
    Senza Grazia è l’essere tipico della scimmia di Dio.
    Alternativa potenziale, conoscendo il bene e il male.
    Proprio questo è lo specifico del peccato originale.

    • Adriana ha detto:

      R.S.,
      Faccia il gentiluomo, sia cortese, lasci perdere la cita-zione del nome della simpatica scimmietta, ormai vecchietta, di Tarzan… oggi, Cita fa pensare unicamente alla Première Dame della Francia macroniana.

    • il Matto ha detto:

      “Oltrepassarsi”: esattamente!

      Ma chi oltrepassa chi?

      • Adriana 1 ha detto:

        Caro Matto,
        nonostante tu abbia replicato tre volte la domanda, dubito che otterrai risposta, perchè- se non vado lontano dal vero- RS di è- semplicemente- trovato impastoiato tra il “si” riflessivo e il “si” impersonale e se ne è lasciato trascinare, affascinato, come dall’Aquilone di Bansky. Naturalmente, l’aquilone, guidato da mano inesperta, se n’è ito lontano, “oltrepassando colli e fiumi” per i cavoli suoi,
        lasciando il supponente pilota terragno a bocca aperta per la sorpresa, avendo scarsa o nulla dimestichezza con la specie degli aquiloni lessicali e grammaticali.

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Ogni uomo, a modo suo, è un poeta.
    Il guaio viene da chi fa della poesia un mestiere.
    Ciao.

    • il Matto ha detto:

      Proprio “ogni” uomo? MI permetto di dubitarne. Non saremmo ridotti ai minimi termini come di questi tempi.
      Ciao.

      • Rolando ha detto:

        Non solo ogni uomo, ma ogni cosa assieme all’uomo è poesia.
        Poesia in sé. Il testo greco della Septuaginta parla dell’atto poetico di Dio usando il verbo poieo. Il suo “creare” è in realtà una poesia in atto. E il sommo poeta da sempre poetava. E lo conferma anche Gesù.

        • lL MATTO ha detto:

          Davvero “ogni” cosa? Lo schifo che sta disintegrando il mondo è poesia?

          • Rolando ha detto:

            Purtroppo è poesia tragica scritta col sangue degli innocenti da parte di chi non vuole e non può far altro appunto perché sa di non essere Onnipotente. Ma sa che c’è una dottrina “rivelata”, che “non c’è Exousìa se non da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna”. Quindi queste Exousìa possono uccidere perché sanno che la morte è una realtà non di loro invenzione. E tragicamente scrivono poesia col sangue. Non vedo altro “schifo”. E proprio nel mondo delle “rivelazioni” divine.

          • Rolando ha detto:

            La poesia è tutta scritta dal sangue in movimento. Ed in ogni millisecondo ne scrive e sperimenta una sempre nuova e diversa per poeticità. Chiamale emozioni.

        • Adriana ha detto:

          Caro Rolando,
          inteso in senso ampio questo è un giudizio accettabile:
          Poièo è creare, agire e mettere in azione al tempo stesso.
          In senso stretto, però, la faccenda si complica e non rimane che accettare l’Isaia 45, 7 e l’insondabile Giobbe 26,1-14.
          Se però restiamo nostalgicamente, e legittimamente ancorati al principio della Poesia come manifestazione del kalòs kài agathòs… (magari di nobile origine divina), ci scopriamo assolutamente fott.ti- ehm-, leggermente perplessi.

          • Rolando ha detto:

            Saggia e gentile Adriana, dove mi hai condotto mai!
            Tanti, tanti anni fa, in un breve incontro con Vittorio Feltri, mi colpì la sua affermazione di sentirsi felice ed appagato per il guadagno della vendita anche di una sola copia in più del suo quotidiano.
            Quanto a Dio, diceva di non poter credere che fosse come un gatto che gioca con il topo prima di mangiarselo: non procurandogli più il malcapitato, ormai senza forze e movimento, quella bellezza e quel piacere che costituivano il senso del gioco della sua natura!
            Che dire? Le dottrine, in primis quelle di presunta rivelazione divina, mi sembrano “storie” di regole di un gioco senza senso.
            Ed Isaia 45,7, indirizzando inequivocabilmente nella sua letterale materialità, ad un Unico Principio Assoluto del Tutto, le annulla tutte di significato, di senso. Quel senso della vita difficilmente comprensibile, anzi inafferabile se non nell’attimo fuggente del gioco del Piacere e della Bellezza pindarici. E qui, in questo gioco soggettivo in uno col vivere sociale, che Crizia, grande saggio, nell’analisi evolutiva dei tempi sociali, mette un’invenzione del Dio a servizio della Politica del Potente. E che altro sono i testi che tramandano memoria di sacre rivelazioni? Nietzsche scrive: “nient’altro che la mano dell’uomo”. La redenzione, il Dio, qualunque Principio sia, la lascia all’uomo: è affare umano! . All’uomo ricercare le regole della sua breve convivenza. Così come le molte divinità egizie e greche avevano la propria. E questa è Poesia.
            Il grido di Gesù in croce è il tragico grido di ogni creatura ad un Principio Assoluto del Tutto di fronte al fallimento di ogni dottrina, salvo l’appagamento di un fuggevole istante di Piacere e Bellezza!

          • Adriana ha detto:

            Caro Rolando,
            e così, nelle tue ultime 7 righe hai prodotto Poesia…tragica.

          • Rolando ha detto:

            Cara Adriana1,….come la cantilena della mamma al suo bambino che la guarda con occhi sbarrati e non vuol dormire:
            La storia di San Vincenzo
            la dura molto tempo
            e mai la se destrìga.
            Vuto che te la conta
            o vuto che te la dìga?
            Dìmela.
            La storia di San Vincenzo
            la dura molto tempo
            e mai la se destrìga.
            Vuto che te la conta
            o vuto che te la dìga?
            Còntamela!
            La storia di San Vincenzo
            la dura molto tempo
            e mai la se destrìga.
            Vuto che te la conta
            o vuto che te la dìga?
            Dìmela!
            Sine fine dicentis (la mamma) finché il piccolo uomo non s’addormenta.

          • Rolando ha detto:

            Cara Adriana1, sono conscio d’esser incorso in un grave errore grammaticale latino. Dicens.

          • Adriana 1 ha detto:

            Caro Rolando,
            la tua ninna nanna ipnotica era quasi identica alla mia, solamente un tantino più “laica”: non San Vincenzo, ma Sior Intento, e un “bastardo” “te vol?” al posto del nobile
            “vustu?”. Ricordo che mi arrabbiavo follemente per quella truffa insita nella promessa non mantenuta… Accettavo, incantata dalle luccicanti immagini bizantine che ne derivavano l’altra truffa: quella per cui, se resti buono,
            ” Te darò un bel dal niente, Venezian d’argento col manigo de oro”…
            Sembrano rimembranze leopardiane, eppure, dolci alla memoria. No te preocupe per il latino, so che lo sai et alia.
            Un caro saluto, Adriana.

    • Adriana 1 ha detto:

      …e chi è autorizzato a dire che “quel” determinato poeta è un mestierante? La mole dell’opera? Siamo sulla scia di un Benedetto Croce che sfarinò la Divina Commedia in mille coriandoli decidendo- a suo gusto- quali versi fossero “poetici” e quali no…Gusto e concettualizzazione superati (per fortuna).

    • Adriana ha detto:

      Stilum carissimo,
      ogni uomo è poeta…a modo suo. Che cavolo significa?
      Poetava- a modo suo- anche il panettiere Abatantuono quando vendeva tonnellate di pagnotte alla signora Pina, romantica moglie di Fantozzi. A modo suo poetavano in coro anche gli affezionati amici della ” Famiglia dei gobòn”…” gobo su pare, goba su mare, goba la fia e la sorela, de coparla pure quela, la famiglia dei gobòn…”.
      Cavolo! oggi son tutti poeti!

      • Adriana ha detto:

        Caro Stilum,
        come, quindi,- a modo suo- è stato “poeta” il rapper Conrad nella sua “delicata” composizione dove esortava i suoi “confratelli” ad entrare nelle cliniche in cui dormono neonati bianchi per usare su di loro qualche strumentino accuminato, di modo che, vedendo i loro corpicini esanimi i rispettivi padri possano impiccarsi.
        Il rapper in questione ( poi finito in galera per qualche “sciocca” rapina) è quel signore in maillot a rete che posò con Macron e Brigitte all’Eliseo…Oggi dire che qualunque uomo è poeta “a modo suo” mi sembra una frase decisamente assai pericolosa.

  • R.S. ha detto:

    «Nessun prodotto della ragione umana (effetto razionabile) fu mai durevole per sempre, bensì soggetto a modificarsi di continuo, a causa dell’instabilità del gusto (piacere), che si muta e si rinnova perennemente secondo il vario influsso degli astri (seguendo il cielo)».

    Così il Sapegno…

    Domanda: il prodotto della ragione umana, mutevole secondo “l’influsso degli astri”, è affidabile?

    E’ -sottodomanda-in questo (nel prodotto della ragione umana) che consisterebbe “avere fede”?

    Evidentemente no. La creatura che pensa e si pensa è fallace. Non è lì l’Archè.
    Il Medesimo, l’Identico, lo Stabile, l’Inamovibile è Altro, Oltre.

    Eppure non è totalmente Altro dal mondo creato (né ovviamente totalmente Identico): se così fosse, sarebbe “un altro mondo” e questo limiterebbe la Perfezione Assoluta di Dio (l’Essere che sussiste per sé).

    Tolta al pensiero umano la sciocca velleità di ritenersi “com-prensiva” della fede che pensa di avere, cambiandola a seconda delle mode, ecco la Rivelazione, una Grazia, a compartecipargli -per volontà di Dio- l’essere creaturalità in Dio, che si distingue a) dall’essere da sé stessa o b) dell’essere dal nulla.

    Dio non trae la creatura dal nulla, come se fosse un deposito da cui attingere la materia prima: la creazione non è una “trasformazione”: essendo Dio il fondamento di sé stesso anche nell’azione creatrice, la creazione non aggiunge nulla a Dio. Il mondo (il puro) è manifestazione di Dio, trasparenza di Dio, non si aggiunge a Dio.

    Il mondo è nulla come novità per Dio, ma in Dio la creatura umana è generata NUOVA. L’incarnazione del Verbo creatore (che tutto crea e in cui ogni cosa sussiste) è decisiva per la verità dell’essere, illuminata dalla stessa Verità dell’essere che per Grazia vuol coinvolgere ogni cosa in Sé, ricapitolandola nell’immutabilità ed eternità dell’essere.

    La creatura è in Dio, ma (almeno la creatura volitiva, che con la conoscenza del Bene e del Male ha introdotto la possibilità del male e dunque interrotto la spontaneità edenica) non lo saprebbe senza Dio a rivelarsi.

    E’ il senso della Grazia che è divina. E’ il senso della fede che è opera di Dio, ma agisce in noi.

    Senza Dio nulla se ne saprebbe: ed ecco il massimo della Rivelazione: per Cristo, con Cristo e in Cristo.
    Il resto sarebbero solo belle idee. Mode, perciò passeggere.
    Non l’alfa e l’omega, ieri, oggi e sempre. In eterno.

    Matto chi ci crede o matto chi pensa di fare da sè?
    E da dove attingerebbe? Da sé stesso?
    Allora è lui Dio! Dio, non Napoleone.
    Roba da matti.

    • il Matto ha detto:

      Grazie per il contributo, anche se non sono certo che combaci in tutto e per tutto con l’ortodossia dottrinale e col … Diritto canonico 😄 e, col “Codice Ratzinger”😆 .

      “Matto chi ci crede o matto chi pensa di fare da sé?”.

      Il Matto – parlo dalla mia mattitudine – è quello che ci crede E fa da sé.

      “E da dove attingerebbe? Da sé stesso?”.

      E dove se no? Al fondo di sé non ha forse il Regno dei Cieli?

      La ricerca è tutta del Matto, il trovare è tutto della Grazia.

      Come dice il proverbio: “Aiutati che Dio t’aiuta”. Profondissimo!

      Cordialità.

    • Adriana 1 ha detto:

      R.S.,
      un modo alquanto involuto di dar ragione a Platone.🤗

    • Rolando ha detto:

      Amabile R.S., ma che intendi dire con queste tue due proposizioni?:
      “Il mondo è nulla come novità per Dio, ma in Dio la creatura umana è generata NUOVA.”
      Cioè, se ho compreso bene, sembri affermare che il mondo è da sempre “con” Dio [“coeterno” come ammette anche S. Tommaso]; perciò in Lui il mondo non è una novità, neppure nel suo evolvere; quindi l’affermazione poetica di Dio che vide che il suo lavoro era “buono” mantiene valore pure coeterno.
      “Ma in Dio la creatura umana è generata nuova”. Ci vedo una grande contraddizione. Adesso però affermi che n Dio l’uomo “generato” è per Dio una “novità”! Cioè Gli è riuscito speciale? Non previsto così speciale?!!!
      Assurdo antropocentrismo di speciale dottrina d’origine divina!
      L’uomo è stato plasmato con la polvere (!) ed in polvere ritorna.
      L’uomo senza il mondo [polvere, atomi, particelle elementari, molecole, cellule… energia] non può essere creatura vivente così come ogni altro animale.
      Quindi neppure l’uomo con il mondo è novità per Dio secondo la tua prima proposizione.
      Ciò che mi rende basito è quanta conoscenza tu mi sembri avere della supposta operatività del “tuo” Dio. Cioè quanta poesia crei.
      Però non mi crea alcuna emozione di gelosia!
      Però se a te piace ed è bello, io sono felice con te.

    • Rolando ha detto:

      So inoltre, caro R.S., che mi dirai che non ho visto questa bella parola nella tua poesia: “Grazia”.
      L’ho vista! Ed un’eco che mi rimbombava “santificante” me la rendeva sospetta, inaffidabile, dolosamente bella e buona.
      Ma neanche questa era ed è novità per Dio! Dio, grazia pindarica di Bellezza-Piacere. Come non è novità per Dio Isaia 45,7 con tutte le “nuove” e “vecchie” umane.
      Essa è “novità” nella presunta “pienezza dei tempi” (anche questa “rubata”) per l’uomo di menzogna, che “ruba” la parola “kàris” alla poesia di Pindaro e ne stravoltge il significato da Bellezza/Piacere in grazia che diventerà “santificante”. Cioè che rende “separati” come vuole YHWH in Dt 23, 14-18.

  • Adriana 1 ha detto:

    Ma, poichè viviamo in un’epoca di sorda e sordida decadenza, è anche opportuno rammentare ciò che del
    successo della poesia e dei poeti scrisse Gongora:
    ” Attendersi un esito clamoroso dalla pubblicazione del proprio libro di poesie è come gettare un petalo di rosa nel Gran Canyon ed aspettarne l’eco.”
    Ciao, con affetto. A.

    • il Matto ha detto:

      “Come gettare un petalo di rosa …”.

      Il petalo di rosa cade …

      Il cadere: momento magico!

      Prima di cadere come il petalo di sakura, il Bushi compone un jisei (canto di morte): momento trascendente della Poesia.

      “Quando cade,
      solo allora galleggia
      il fiore del loto”.
      (Yamamoto Yosaburo, kamikaze, 1945)

      Ma anche le donne non scherzano:

      “Al vento d’autunno”
      si consuma e cade presto
      la foglia di porpora.
      (Manji Takao, geisha, 1660).

      AH!

      Un … nippo-abbraccio😍 .

  • Adriana 1 ha detto:

    Caro Matto,
    eccoti qualche riga dall'”Ione” di Platone:
    ” (Il Poeta) …non è in grado di comporre prima di diventare invasato e fuori di senno e prima che la mente non ci sia più in lui, finchè, invece, ha questa proprietà ogni uomo è incapace di poetare e di dare responsi. La divinità, togliendo di mezzo la loro mente, si serve dei poeti, dei vati e dei profeti divini come ministri, affinchè noi, gli ascoltatori, sappiamo che coloro che dicono queste parole così pregevoli non sono costoro, nei quali non è presente il senno, ma la DIVINITA’ STESSA è quella che parla e, attraverso costoro,
    fa sentire la propria voce a noi. ”
    P.S. In Greco “poièo” non significa solamente “fare”, significa soprattutto “creare”…creare un mondo tutto nuovo per ispirazione divina.

    • il Matto ha detto:

      Graditissimo il soccorso di Platone!
      Grazie.

      • Adriana ha detto:

        Eh, caro amico il Matto,
        tanta gente “gonfia come un cannone” (cit. Pirandello) di citazioni bibliche, ignora che la Bibbia dei 70 cui per lo più si abbeverano- pur attraverso il filtro masoretico, piegato ,a sua volta, a una interpretazione cristianeggiante- è “intrisa” del…,
        “inzuppata” dal…,
        “annegata” nel platonismo e nel neoplatonismo.
        Filone d’Alessandria voleva, fortissimamente voleva contrapporre il patrimonio culturale dell’ebraismo a quello dell’Ellade e però dovette servirsi di questo ultimo come indispensabile scala nella costruzione di un’epica di Israele che ne reggesse il confronto…o che, almeno, tentasse di farlo.
        Onore ad Aristocle perciò ( “la nobiltà della gloria”, o “la gloria più alta” ), -l’autentico nome di Platone-, ( dalla fronte alta, o dalle larghe spalle ), poichè il suo nome e il suo soprannome sono entrambi adattissimi al suo ingegno.

        • Rolando ha detto:

          Cara Adriana, quanta ragionevole verità in questo tuo intervento!
          Il prof. Aldo Ferrabino, presentando il lavoro di Clara Kraus “Filone alessandrino e un’ora tragica nella storia ebraica” Napoli 1967, così scrive:
          “…Kraus che acutamente connette i due scritti storici di Filone [cioè Legatio ad Gaium ed In Flaccum] con l’insieme della grandiosa filosofia teologica di lui; il quale, PUR AVENDO FALLITO L’INTENTO DI CONCILIARE ELLENISMO E GIUDAISMO TEORETICAMENTE, ha nondimeno tracciato un immenso affresco ricco di chiaroscuri di colori e di forme, che comprende il tumulto di tutte le antinomie e di tutte le affinità intrinseche al genio semita e al genio ellenico irrimediabilmente contrastanti nella storia e solo virtualmente riconciliabili sopra piani ulteriori”.
          Basti solo vedere come Filone sia di fatto l’inventore iconografico dello Spirito Santo di “Theos” come personificazione a sé sotto forma di colomba!
          E poi la bibbia ebraica e pure la LXX non documentano di Peccato Originale alcuno e neppure di una “ipsa conteret” immacolata che schiaccia la testa del serpente.

          • Adriana 1 ha detto:

            Caro Rolando,
            Ferrabino, qual nome!, e accanto a lui quelli di Manara Valgimigli, di Marchesi…tra i venerati insegnanti di mia madre, allora universitaria a Padova. Cmq., nello specifico, ignoravo che Filone, tra gli altri elementi, avesse posto in risalto la colomba dello Spirito, ( quella medesima su cui esercitò il suo spirito critico Daniélou, assimilandola all’angelo Gabriele- se non sbaglio- ).
            E’ anche vero che il rav. Di Segni ha definito la versione filoniana come la peggiore disgrazia che potesse capitare alla cultura. Casa mia, casa mia…

          • Rolando ha detto:

            Carissima Ariana, tra i grandi professori a Padova, io ho avuto Carlo Diano (ora nella preziosa collana Bompiani. Il pensiero occidentale).
            Filone di Alessandria (Tutti i trattati del… Bompiani. Il pensiero occidentale 2005) equipara lo Spirito di Theos alla colomba ed al piccione attribuendo al piccione, che non si allontana più di tanto dal nido e tuba, un’azione
            più circoscritta, locale, alla colomba invece un’azione ispiratrice più ampia ed estesa. Il pensiero di Gv3,5-8 è la perfetta azione dello spirito-colomba di Theos che spira a lungo raggio secondo la rosa dei venti e nessuno sa donde viene e dove va. Cinque volte ritorna il termine “pneuma” in quei quattro versetti ed è sempre lo stesso “vento”, ma senza alcun “santo”. La Vulgata traduce “pneuma” sempre e solo con “spiritus” anche se nel versetto 6 usa la maiuscola iniziale ed a seguire il la minuscola iniziale. Il codex Rehdigeranus onciale maiuscolo latino ha in ordine: 1) SPV 2)SPV 3)SPS 4)SPS e 5)SPV. Dov’è che questo vento è “santo”?. Vedi Nestle-Aland. Vedi A. Merk.
            Daniélu concentra anche l’attenzione su Gabriele portatore di questa Potenza (Lc) ed analizza quanto dice di Gabriele il libro di Daniele 8,15 (“ed ecco stante di fronte a me come apparizione di maschio”) e 9,21(…”e l’uomo Gabriel che ho visto nella visione all’inizio, affannato in stanchezza toccante me”…): un uomo che è ansimante per la corsa che ha dovuto fare e che stride con un puro spirito di teologica poesia, che non ha corpo come noi, secondo la dottrina inculcataci!

          • Adriana 1 ha detto:

            Rolando,
            grazie delle specifiche note, sempre molto interessanti.
            ( domanda: quale è il significato di SVP in questo caso? )

          • Rolando ha detto:

            Cara Adriana1, SPV ecc. abbreviazione di spiritus nei codici latini nel rispetto ovviamente della logica dei casi. SPV=spiritu.
            Es. in: “QUOD NATUM EST EX SPIRITU [SPV], SPIRITUS [SPS] EST.