I Giornalisti con la Tessera Rossa. Di Vergogna. Benedetta De Vito.

12 Agosto 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, la nostra Benedetta De Vito offre alla vostra attenzione queste considerazioni su quanto sta accadendo, in Parlamento e fuori. Buona lettura e condivisione.

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I giornalisti con la tessera rossa – per me che allora, e per molti, molti anni, avevo soltanto quella verde della pubblicista, con stipendio dimezzato – vivevano in un empireo tutto loro. Dal quale potevano, con cinismo e graffiante ironia, polverizzare ogni cosa, riducendola in brandelli e guardare dall’alto in basso quelli come me. E la risata era, nelle redazioni di allora (non solo nella mia), il vero motore del giornale. Si, ridacchiavano di tutto e tutto il santo giorno, prendendo in giro ogni cosa. E tutti quanti si divertivano a citare la frase di un famoso direttore di giornale che, sempre ridendo, diceva: fare il giornalista è meglio che lavorare. Tra le tante frasi che io (oh quanto mi dileggiavano per la mia “serietà”, cioè noiosità…) ho udito più spesso riguardava le commissioni parlamentari. Oplà, salto giù per entrare nel vivo. Splash.

Dunque dicevano, i nostri valorosi cani da guardia della democrazia (secondo la vulgata che, questa sì, fa ridere i polli) che le commissioni si istituiscono quando si vuole coprire la verità. Tra tante spiritosaggini inutili, questa però mi pareva vera per averla vista, nei fatti, accadere ogni volta che se ne creava una nuova. Tante parole al vento e niente sugo e nessunissimo risultato. Mi è tornata in mente, udendo di nuovo la voce di un certo mio caporedattore, quando ho scorso i nomi che fanno parte della cosiddetta commissione Covid. E una risata mi ha gorgogliato fin nell’intimo quando ho squadrato per bene molti signori e signore che dovranno dir la loro sulla psicopandemia. Niente citazioni, per carità, ma una delle signore, oltre ad essere una vaccinista con tre fiocchi rossi, la ricordo mentre cantava a squarciagola “Tu scendi dalle stelle”. Oh che carina, penserete voi. Ma va là. Cantava sì, storpiando così lo stupendo inno natalizio del dolcissimo Sant’Alfonso de’ Liguori. La tipa a bocca larga e tutta convinta, cantava: “Ahi quanto ci costò l’averti amato”. Non è una storpiatura da poco perché fa carta bianca del Supremo Sacrificio di Nostro Signore e parla di un ego sconfinato che si fa superbia e poi tutto il resto di cui, tra le gramigne, ho già scritto.

E mi domando e dico, come diceva mio padre: questi saranno gli eroi che sveleranno le infinite menzogne della psicopandemia? Ma suvvia, siamo seri, è come affidare il ruolo di difensori della democrazia ai giornalisti che ho descritto in apertura! Intanto continua, ogni giorno che la Provvidenza dona agli uomini ingrati, la strage quotidiana dei malori improvvisi di cui nessun “giornalista” fa verbo. In ogni paese del nostro misero Stivale, pieno di buchi e senza più il conforto del Papa (che oramai si è spinto tutto dalla parte dei cattivi, cioè dei “captivi diaboli”) si piange un bambino, una giovane mamma, un papà ardente, un uomo di chiesa, una voce del volontariato e tutte le solite cose che si scrivono quando suona la campana per chi si ama. Nella mia privata situazione, a mio marito sono morti due amici (di malore improvviso), una conoscente ha perduto per lo stesso motivo suo fratello e un collega è ora in fin di vita, qui, nell’incanto del mare sardo, una decina di giorni fa, è morto così, in maschera e boccaglio, un ragazzo di diciannove anni. Oh, ma cara Benedetta, è sempre successo! Sì, sì, va bene, cari mastini della menzogna!

E sono gli stessi che chiamano donna un pugile uomo, che gridano al cambio del clima quando, da che mi ricordo, d’estate fa caldo punto e basta, che applaudono alla distruzione della nostra stupenda cultura cattolica, di cui non sanno nulla e mi chiamano bigotta (ma io ne sono felice perché vuol dire, in traduzione letterale, vicino a Dio). E io lo sono, vicinissima a Lui, che tutto vede, che scruta ogni cuore, per trovarvi la scintilla dell’amore e illuminarla a giorno, tirandola a sé. In quell’esplosione d’amore, nella gratuità, si torna a Lui che gratuitamente ha creato ogni cosa e ce l’ha donata. E non a caso il denaro si dice sterco del diavolo perché è su quello che s’attacca stretta la gramigna e, salendo, salendo, ne fa centro di tutto in odio al prossimo, nel pensiero inconsolabile (per loro) che la morte, un giorno, se lo porterà via.

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3 commenti

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Perfetto, GT, perfetto!
    Dicono che il denaro è lo sterco del demonio, ma il conto in banca ce l’hanno però e anche la villa in Sardegna. Mah, posso dire mah?

  • Emy ha detto:

    ….certo che guardando il meraviglioso mare della Sardegna, terra di arcana e incrollabile vera fede, non si può che ringraziare Dio.
    Una serie di verità, esposte con arguzia, brava.

  • GT ha detto:

    Non è il denaro lo sterco del diavolo . È la cultura che porta l’uomo a utilizzare male gli strumenti a disposizione , tra cui il denaro . GT