Il Velo Spinoso che ci Impedisce di Guardare il Cielo. Benedetta De Vito.

9 Agosto 2024 Pubblicato da 1 Commento

Marco Tosatti

Cari amici e nemici e nemici di Stilum Curiae, la nostra Benedetta De Vito offre alla vostra attenzione queste riflessioni su quello che ci impedisce di guardare in Alto. Buona lettura. 

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Trascorro molte ore della mia estate calda tra lentischi, corbezzoli e mirti, nel giardino sardo che circonda la casa bianca, seduta sull’aldia, come un pennacchio verde al vento di maestrale. Quest’anno ho fatto far dal mio Marino le potature e gli alberi, ora mozzi, sono più ordinati e tra l’uno e l’altro non ci sono più i cespugli carichi di gramigna che l’anno passato cavalcavano, feroci, l’intorno e s’allargano, qui e lì, spazi bruni di terra profumata dove ho piantato la rughetta selvatica che non ha bisogno di tanta cura. Respiro, felice, aggirandomi nel verde, sempre in abiti da giardiniere, con i guantoni doppi e una borsona che contiene rastrelli in miniatura, palette, picconcello. C’è sempre, nonostante il lavoro degli operai, però, qualcosa da tagliare, un ramo secco, una sciarpa rinsecchita di foglie ingiallite, spruzzi di erbe cucinate dal sole. Così vago, tra su e giù, nel bel giardino che s’allunga in verticale come su tre piani e in ognuno c’è un angolino di verde che io conosco oramai a menadito e che mi saluta, festoso, all’arrivo.

In alto, lì dove s’incrocia la strada rosa del comprensorio e dove parcheggio il mio macinino bianco, ci sono tre o quattro alberi di corbezzolo e tutti quanti colpiti dalla gramigna che, per anni, me ignara, ha lavorato e io contro di lei, carponi tra la selva, tagliando le liane spinose, infilandomi tra fusti e rami e sempre graffiandomi viso e braccia. Ma invano, lotto e combatto. Lei l’erbaccia che, in serpentina, avvolge nelle sue spire tronchi e rami strozzando le piante, ha tecniche raffinate. In basso, alle radici, gialla, secca e rabbiosa, s’insinua tra i piedi della pianta madre. Poi sale sottile, s’avvinghia, strizza e avanti senza pietà alcuna. Mors tua vita mea.

E mi sono accorta, ma per andare avanti, trattengo il fiato e volo giù dabbasso insieme a chi vorrà continuar con me nel mistero verde per arrivare al punto. Che arriverà. Dunque ero lì che tagliavo con le cesoie quelle fortissime corde spinose, che paiono aiutare la pianta e  invece se la mangiano, coprendomi gli occhi dai dardi dell’astro (che anche alle cinque della sera ha forza e calore), quando mi par di scorgere su in cima, nel reticolo in stile rasta, intessuto di foglie e di spine che impedisce di scrutar l’azzurro, dei grappolini di bacche rosse che somigliano tanto a gocce di sangue. Vorrei tirarle giù, eliminarle, ma sono così in alto che non ci arrivo ed è impossibile qui mettere una scala in equilibrio affinché mi dia l’altezza per raggiungerle, forse un rastrello. Resto ferma, osservando quel sangue che lassù sembra farmi marameo e d’un tratto penso e anzi so che quelle stesse gramigne spinose, pur nate in Terra Santa, erano le stesse che cinsero il capo di Gesù e che lo tormentarono, insanguinandogli capelli, fronte, collo e viso. Il Volto Santo è viva immagine del mondo desolato che insegue, inconsapevole il male, le gramigne e in esse si lascia avvolgere e abbracciare… Furono le spine, le gramigne in capo al Signore a chiudere, simbolicamente, la porta del cielo agli uomini superbi, increduli, che uccidevano la Via, la Verità e la Vita!

 

Ieri come oggi le stesse gramigne della superbia che si fa, in somma facilità, invidia, ricoprono gli alberi dell’umanità e in alto, raggiunta la sommità della testa, mostrano il loro volto di sangue e di morte, in quei grappolini che sono, secondo me, cibo per le serpi. Io a volte le vedo le persone, nel sudario verde di spine, che, con sguardi truci, incrudelite in corsa pazza a inseguire una felicità che mai potranno raggiungere e più la inseguono (la felicità) più tese si fanno le corde spinose delle male piante che concludono la loro corsa, costruendo il velo spinoso che impedisce agli uomini di guardare il cielo (e infatti non lo guardano proprio e la Santa Messa per loro è fare jogging alla domenica mattina…) dove solo, in Dio, riposa la nostra felicità. Non solo mia o tua, ma del mondo intero. Ecco, ho finito, non so se sono stata chiara e intanto ho rimediato un rastrello ben altuccio che potrà aiutarmi a tirar giù i grappoli di sangue e così corro in giardino, ma prima, con una riverenza, vi ringrazio  per la pazienza e vi saluto.

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1 commento

  • nicola ha detto:

    Il continente sardo ci guarda e sorveglia i nostri giorni. Lo conosco bene. E’ una galassia più antica del mondo e ci parla e ci sussurra come Maria Lai sussurrava alle Nuvole di De Andrè….grazie Benedetta della poesia della vita e di averla condivisa anche con le spine…

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