Lode della Scaltrezza di un Amministratore Disonesto. E un Retroscena…R.S.

8 Luglio 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, che ormai ben conoscete, R.S., offre alla vostra attenzione queste riflessioni sulla lode – sorprendente – per un amministratore disonesto fatta da Gesù. Buona lettura e condivisione.

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LODE DELLA SCALTREZZA E RETROSCENA

Le parabole evangeliche sono la quintessenza del mistero. Quando Dio ci parla, lo scopo non è che l’uomo debba conoscere il perché di ogni cosa. Il mistero infatti è tutt’altro dall’ignoto e quello che resta fuori da ciò che siamo in grado di intendere (Mc 4,9 e Mc 4,33) è una santa, dotta, “ignoranza” che assicura la tensione (l’attenzione) a Dio senza ridurLo nei nostri schematismi. E’ l’umiltà dell’anima timorata di Dio a rendere l’uomo non solo immagine, ma anche somigliante a Dio, per la Grazia che santifica, conscio che quel paragone (il “come”) non coincide mai con l’uguale (lo “stesso”).

Dio ci chiama a tendere a Lui non alla pari, ma mettendoci accanto: paragonabili, ma stando al nostro posto che è quello per cui ovviamente lasciamo Dio al primo posto. E’ il mistero della potenza passiva della Grazia che riempie l’umile. La fede sostiene questa disposizione e offre sufficiente luce alla ragione umana perché non brancoli disorientata. Non serve sapere tutto; non si deve andare oltre all’intendere quel che Dio ci rivela; eppure così si dischiude la porta del Regno.

Nella parabola dell’amministratore disonesto (Lc 16), lodandone la scaltrezza Gesù non ci chiede l’amicizia con ladri e truffatori. Non sentiamoci tuttavia distanti dall’essere potenziali protagonisti della scena, dato che siamo immersi più o meno involontariamente in sistemi strutture palesemente ingiusti. Viviamo in un contesto di ingiustizia (le strutture di peccato descritte da San Giovanni Paolo II) e a volte beneficiamo di privilegi, tentati di servircene solo a nostro vantaggio. Quando non ne siamo direttamente responsabili, abitiamo questo sistema. Le ricchezze di questo mondo sono “mammona” (ingiustizia) e incarnano l’idolo del vitello d’oro.

Per quanto sta a ciascuno di noi, la coscienza educata dal vangelo suggerisce di usare delle ricchezze secondo il progetto di Dio: per provvedere ai bisogni nostri e dei nostri familiari, sovvenendo a chi suo malgrado è sprovvisto di beni, spesso senza alcuna colpa. La parabola dell’amministratore infedele, finisce così: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9).

Le ricchezze terrene un giorno ci verranno a mancare. Certamente sarà così al momento della nostra morte. Allora il Signore ci ammonisce perché ci presentiamo davanti al suo tribunale accompagnati da persone che testimoniano a nostro favore e che dicano: “Questi mi ha aiutato, mi ha fatto del bene per amor del Signore. Merita che tu lo accolga nelle tue dimore eterne”. Nell’Antico Testamento la ricchezza era considerata parte della benedizione divina; la prosperità di per sé stessa è un bene, tuttavia può diventare “disonesta” quando vi si attacca il cuore e si vive in funzione di essa per accrescerla sempre di più, non usata secondo il disegno di Dio, che ce l’ha data da amministrare secondo il Suo Cuore.

Siamo dei riceventi opportunità e Grazia: non va mai dimenticato e trascurato questo ruolo costitutivo, provvisorio e ricettivo. Non illudiamoci o insuperbiamoci ingannevolmente pensando “nostro” quel che abbiamo ricevuto. Abbiamo un ruolo nell’amministrazione dei beni e i talenti per sviluppare competenza nel farlo.

L’amministratore della parabola era stato licenziato dal padrone. Per questo dice: “So io che cosa fare perché quando sarò allontanato dalla amministrazione ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua” (Lc 16,4). Per assicurarsi il futuro l’amministratore chiamò uno dei debitori del padrone e gli disse: Quanto gli devi? Rispose: Cento barili di olio. Cento barili corrispondono a 38 mila litri. L’amministratore fece un regalo corrispondente alla metà, 19 mila litri d’olio. Un altro debitore doveva cento misure di grano. E il furbone disse: prendi la tua ricevuta e scrivi 80. Cento misure di grano corrispondevano a 38 mila litri di grano. Gliene condonò un quinto. E così fece con tutti gli altri debitori del suo padrone. In questo modo si assicurò la permanenza nella casa dell’uno o dell’altro fino a tempi migliori.

Dove? Su questa terra… Alzi la mano chi non riconosce un certo modo di amministrare i comandamenti attualmente in voga. Altro che “iota unum”! Tuttavia il vangelo riporta che il padrone lodò l’amministratore per la sua scaltrezza. Non l’ha lodato perché gli aveva inferto l’ennesimo danno e tradimento, ma ne riconosceva l’abilità nel perseguire i suoi (quelli del disonesto) interessi. Gesù non loda l’amministratore per la sua disonestà, ma per la sua determinazione e astuzia, dicendo che “i figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” (Lc 16,8).

I figli di questo mondo sono quelli che sono preoccupati solo dei beni che servono a un futuro agiato su questa terra: esso, per quanto possa essere lungo, sarà sempre provvisorio. I figli della luce, i suoi discepoli, non mostrano la medesima accortezza per preparare in grande il loro futuro eterno. Invece dovremmo essere più scaltri nell’assicuracelo beato.

Si tratta dell’unica ragione per cui Dio creandoci non ci ha messi subito di là, ma di qua. Nel mistero (senza perché, ma così com’è) Dio ha voluto che il paradiso non ci venisse regalato o tirato dietro, ma che fosse un nostro desiderio, nel vero significato dell’aggettivo possessivo: nostro in quanto sperato, desiderato, chiesto, amato, atteso e posseduto. Siamo amministratori della Grazia di Dio, responsabili del nostro futuro eterno: la Sua gloria può diventare pienamente nostra!

L’uso delle ricchezze terrene per fare del bene dischiude le porte del paradiso, diversamente da quei ricchi per i quali è più facile che un cammello transiti per la cruna dell’ago (Mt 19,24). E’ per il bene alla nostra anima, misericordiando chi è in stato di necessità. Senza questo, la ricchezza posseduta diventa disonesta e ingiusta: un po’ come la fraternità ecologica e grondante diritti del “nuovo ordine” filantropico predicato a Davos e diventato molto familiare nelle omelie della chiesa secolarizzata del culto dell’uomo, ma tendenzialmente dal disumano al transumano.

Gesù l’ha detto: senza di me non potete far nulla. Solo la Verità (che è Lui) rende liberi e non criceti sulla ruota.

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10 commenti

  • Balqis ha detto:

    Questo articolo non l’ho capito. Comunque ho risposto a quello, molto bello, del mare. Saluti.

  • Rolando ha detto:

    Insomma c’è chi pensa che il Gesù dei cristianesimi indichi la via per un cambiamento definitivo, ma i cristianesimi di Gesù, invece, indicano un Gesù che invoca un EL che è sempre all’opera. Il Padre mio opera sempre.
    Gesù loda la scaltrezza. SEMPER AUDERE! La scaltrezza è operatività per eccellenza. Un grande direttore di banca mi diceva che il segreto della ricchezza consiste nel “movimento” dei valori. Aveva parenti in alta politica italiana. Gesù, un perfetto ebreo.

  • Rolando ha detto:

    E ancora…
    “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9).”
    E poi noto che il termine “eterne” contribuisce ancor più ad equivocare. Il testo greco recita: “eis tas aionious skenas”, (“in aeterna tabernacula”).
    Gesù parlava aramaico e legittimamente si deve tradurre: “nella situazione di sempre” cioè nella situazione abituale, di prima. Secolare tavernetta!

    • Adriana 1 ha detto:

      Caro Rolando,
      perdona, ma io trovo abbastanza risibili queste regole comunitarie. Risibili sotto il profilo morale, intendo. A proposito: tra i gruppi devoti non esisteva anche quello degli Ebioniti,
      che- se non erro significa “poveri”? Ossia, bisognosi di
      sollievo economico?

  • Rolando ha detto:

    “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9).”
    Ho già accennato che questo insegnamento è documentato a Qunram. Allude chiaramente a chi voleva far parte della comunità dando in dote tutti i sui beni per iniziare a provare la nuova vita. Insomma mettere tutto in comune (darlo ai poveri: epiusin). Ma a seguire c’era la prova che il postulante (od il chiamato, il giovane ricco, nel caso di Gesù in Mc) doveva superare a detta dei Maestri e del consiglio della comunità. In caso di negata accoglienza, se ne sarebbe dovuto andare a mani vuote. È qui che scatta la precauzione, lodata da Gesù e già documentata a Qunram.
    Nel Nuovo Testamento si può cogliere un medesimo caso che ben spiega tale precauzione e che finisce in delitto per la severità di San Pietro, come ben documenta San Girolamo. Ed è il caso dei coniugi Anania e Saffira, che, scaltri, avevano trattenuto, d’accordo tra loro, una parte da investire nel caso non si trovassero bene nella nuova comunità o ne fossero scacciati. La morale sembrerebbe questa: Gesù loda, Pietro, al contrario, punisce con la morte d’accordo con i becchini pronti a portarne via i cadaveri.
    Scandalosa differenza! Ma non siamo tanto lontani dal vero purtroppo.

  • Enrico Nippo ha detto:

    Confesso che questa parabola non l’ho mai capita.

    Non solo l’amministratore disonesto fa il “buono” con ciò che non è suo, ma lo fa con altrettanti disonesti e furbastri che ne ne approfittano per fare fesso il loro creditore.
    Così questi disonesti dovrebbero testimoniare in favore del disonesto davanti al Padreterno.
    Mah …

  • Adriana 1 ha detto:

    Lode alla scaltrezza o alla preveggente furbizia…ma, senza
    una interpretazione che dia sull’ispirato fideismo, mi sembra di dover approvare la morale di Sancho Panza: sicuramente non quella dell’hidalgo Don Chisciotte.

    • Rolando ha detto:

      Che il Battista e Gesù fossero a conoscenza della comunità di Qunram? Dei suoi scopi? E Giovanni soprattutto?

  • FRANJO ha detto:

    Caro R.S., grazie per questa profonda e bellissima riflessione. Ci sfida ad illuminare gli angoli oscuri della nostra “onestà”, a valutarla con lo stesso – esigente – metro che Gesù adopera nella parabola della povera anziana che getta la sua monetina, cioè tutti i suoi averi -nel tesoro del tempio. Lei è il modello, noi siamo amministratori variamente scaltri e variamente disonesti, chiamati tuttavia a rendere conto innanzitutto a noi stessi della “dotazione di bilancio” che abbiamo ricevuto o accresciuto. Questo passaggio, e la gratitudine che dovrebbe logicamente seguirlo, sono premessa indispensabile per amministrare secondo la regola del Vangelo, per fare, cioè, il nostro vero interesse, depurato dagli abbagli che la nostra ipocrisia e la nostra vanagloria ci forniscono ininterrottamente.
    Sarei felice che qualche sacerdote riprendesse le sue considerazioni su questo brano evangelico nelle omelie che gli capiterà di pronunciare.

  • Rolando ha detto:

    “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9).”
    Questo insegnamento è documentato a Qunram. Il vangelo di Luca altro non fa che metterlo in bocca al “suo” Gesù. Così sembra si comportassero per precauzione alcuni aspiranti che dopo il tempo di prova non venivano ammessi e dovevano ritornare al tenore di vita di prima di mettersi alla prova. E lo si documenta come dato. Non va dimenticato il giovane ricco in Marco, il quale onestamente non se la sente di escogitare un tale subterfugio. Assopire la propria coscienza. E Gesù ne comprende bene il perché.
    Che, poi, il Paradiso fosse un desiderio nostro da fondare in Gesù, non ci sono dubbi.