San Pietro Martire: un Santo che Reca Scandalo nella Chiesa di Oggi. Antonello Cannarozzo.

28 Giugno 2024 Pubblicato da 1 Commento

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Antonello Cannarozzo, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni su un santo e martire che dovrebbe essere di esempio a molti nella Chiesa attuale. Buona lettura e condivisione.

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San Pietro martire: un santo che reca scandalo nella Chiesa di oggi

 

di Antonello Cannarozzo

 

Passeggiando nel cuore dell’antica Verona, troviamo una stradina stretta che conduce da piazzetta Chiavica alla basilica di santa Anastasia.

Una strada che non ha nulla di particolare se non quella di essere intitolata ad un domenicano vissuto nel XIII secolo, Pietro Rosini, più conosciuto come san Pietro martire; una figura a cui la Chiesa deve molto se ancora oggi, nonostante le deviazioni dottrinali, può dirsi cattolica, dunque, quanto mai attuale specie in un periodo dove chi ha l’obbligo di tenere salda la “Barca di Pietro” sembra aver perso la bussola della propria fede e del proprio ruolo nel mondo.

Andiamo ora indietro di alcuni secoli: siamo agli inizi del XIII secolo, anni travagliati con discordie, lotte fratricide e tanta miseria non solo economica, ma soprattutto morale, insomma, si potrebbe dire nulla di nuovo sotto il sole.

Un giorno del 1206 a Verona, non abbiamo la data esatta, viene al mondo un bambino ad allietare la famiglia Rosini dell’alta borghesia cittadina e appartenenti, secondo voci agiografiche, alla setta dei Catari o manichei, meglio conosciuti anche come Albigesi in Francia, tanto che al bambino, per rimanere in tema, verrà imposto il nome di Pietro, ma non in onore del primo papa, ma, secondo alcune fonti, di Pietro Valdo, morto da poco e fondatore della confessione valdese.

Lascio al lettore paziente di approfondire queste dottrine attraverso decine di studi che sono stati pubblicati sull’argomento specie in questi ultimi anni.

Torniamo al piccolo Pietro.

Secondo la tradizione, il fanciullo era avviato a seguire le orme famigliari, ma per un singolare scherzo del destino, o meglio della santa Provvidenza, diventerà in seguito il più intrepido combattente proprio contro l’eresia dei Catari, che porterà immensi frutti alla Chiesa pur nella sua breve esistenza (morirà a soli 47 anni, ndr) dando, con una vita irreprensibile da vero asceta e uomo di dottrina, l’esempio di come si conviene ad un autentico figlio spirituale di San Domenico.

Ma seguiamo il filo della storia.

Fin da piccolo Pietro dimostrò una intelligenza vivace ed un amore per lo studio, tanto che suo padre, appena divenne adolescente, lo inviò a studiare a Bologna presso la più prestigiosa università del tempo per completare la propria formazione culturale e seguire poi le orme familiari, ma il destino aveva ben altro in serbo per il giovane.

Pur essendo il rampollo di una famiglia in odore di eresia, si sentì presto attratto niente meno verso “l’odiato cattolicesimo” grazie alle infuocate omelie che teneva nella città felsinea Maestro Reginaldo con i suoi compagni, tutti appartenenti ad un nuovo ordine appena sorto nella Chiesa, quello dei Frati Predicatori, meglio conosciuti anche come domenicani dal nome del fondatore fra’ Domenico di Guzman in visita proprio in quei giorni a Bologna per preparare il Capitolo generale dei propri frati. In questo ambito avvenne, secondo alcune fonti, l’incontro tra con il giovane Pietro ancora quindicenne e il santo di Guzman

Presto si instaurò tra loro un rapporto di grande confidenza tanto che il giovane veronese poté aprire il suo cuore al futuro santo, manifestandogli la sua determinazione ad entrare nel suo nuovo ordine religioso.

A nulla valse mettere in guardia il giovane, proprio dallo stesso Domenico, sui frangenti di una vita assai dura e piena di sofferenza e di fatica, ma Pietro era risoluto, e secondo il Martirologio «ricevette l’abito dallo stesso san Domenico», poco prima della sua morte avvenuta il 6 agosto 1221.

Durante il periodo in noviziato si dimostrò un assiduo studente distinguendosi anche per la sua intensa preghiera rubata alle poche ore di sonno dopo una giornata di grandi fatiche, memore della vita di Domenico.

 

L’inizio della sua missione

 

Pur assai giovane, la sua l’integrità morale e la sua grande dottrina lo distinsero fin da subito nella predicazione in varie città dell’Italia centro-settentrionale, da Roma a Milano, dove si impegnò su mandato del Papa per eliminare l’eresia catara che vi si era propagata a macchia d’olio.

Nel 1244 venne mandato a Firenze dove anche qui ottenne di riportare alla vera fede molte anime che erano cadute nell’eresia. I suoi successi nel convertire e il suo zelo nel preservare l’ortodossia gli causarono molti nemici ovviamente tra gli eretici ma, ugualmente ebbe molti estimatori tra i cristiani, che constatavano oltre che la sua austerità di vita anche la grande conoscenza del le Sacre Scritture.

La prima notizia del suo impegno a Firenze è del 1245, quando prese parte come testimone alla condanna di fratelli in odore di eresia, altre notizie sulla sua attività precedente, e da testimonianze da cui traiamo la sua storia.

In proposito riportiamo le parole di un vecchio frate, fra Pasquale, presso S. Maria Novella che ebbe confidenza col Santo quando questi si trovava a Firenze, il quale affermò che “quando questi predicando parlava della fede, tutti gli altri predicatori a paragone con lui apparivano muti, senza eloquenza e balbettanti”.

Lasciata la città del ‘Giglio’, fra Pietro da Verona si spostò verso l’Italia settentrionale, predicando fra Mantova, Pavia, Bergamo e Cesena. Fu priore poi a Piacenza e quindi si trasferì a Milano, ove concentrò la sua attività apostolica nella lotta all’eresia.

Ciò avvenne perché erano arrivati alla conoscenza di papa Gregorio IX i suoi successi di predicatore e di uomo di pace, tanto da inviarlo proprio nel cuore dell’eresia Catara in Lombardia, che tanto dolore procuravano al ‘Soglio di Pietro’, chiamata anche Patarina a Milano, dal vocabolo dialettale di ‘povero’.

Non ci volle molto al giovane domenicano per capire la forza di penetrazione degli eretici grazie all’impegno delle potenti famiglie della borghesia locale. Di contro trovò una Chiesa meneghina debole e confusa, in profonda soggezione, tutto con grave scandalo dei fedeli.

Non solo, ma le stesse autorità cittadine erano tacitamente favorevoli a questi errori dottrinali tanto da lasciare che dilagassero dentro e fuori la stessa città, ostacolando di fatto ogni tentativo di restaurazione dell’ortodossia cattolica.

Non avevano compreso la forza e la determinazione del giovane domenicano armato di una fede incrollabile e, soprattutto di nessun cedimento dottrinale ma, usando un gergo militare, possiamo dire che attuò una efficace controffensiva tale da disarmare i suoi avversari.

Pietro aveva compreso, ben conoscendoli, che molto spesso gli eretici non combattevano apertamente la Chiesa, almeno in città come Milano, ma in maniera equivoca mettendo in discussione la sua funzione, i suoi dogmi e lacerando la fede dei credenti più semplici, qualcosa di simile vedremo circa sette secoli dopo con le varie riforme nella ‘Chiesa modernista’.

Subito, con grande energia, questo frate domenicano instaurò il suo quartier generale nel convento di sant’Eustorgio e con pochi iniziali seguaci fondò una vera e propria militia Christi per fronteggiare gli assalti dottrinali degli eretici dandogli il nome di “Società della Fede”.

Dopo appena un anno di lavoro indefesso, aveva ormai al suo fianco un gruppo di persone numeroso e con la grande volontà sradicare per sempre i frutti dell’eresia.

Sicuro della sua compagnia, ma soprattutto della propria indomita fermezza, ottenne dalla municipalità l’inserimento nello Statuto Comunale del decreto papale che condannava tutti coloro che proclamavano esplicitamente dottrine non condivise dalla Chiesa.

Un vero miracolo, è il caso di dire, visti quei tempi.

Il documento fu accettato e i frutti di tale decisione furono ben presto visibili tanto da limitare lo strapotere ereticale, con grande meraviglia dello stesso Pontefice che, in una lettera spedita all’Arcivescovo di Milano, riconosceva i risultati ottenuti con l’energico intervento di Pietro, un uomo assai lontano dalla tiepidezza del clero locale ma che, nonostante le lodi, non dormiva certo sugli allori.

 

Le opere di conversione

 

Un altro colpo da maestro fu la fondazione di un’altra confraternita, questa volta ispirata al culto mariano di stampo dottrinale che si adoperava per una capillare predicazione per l’autentica dottrina.

Un vero guanto di sfida, per la concezione di coloro che offendevano il culto di Maria e soprattutto la sua Santa verginità.

La sua volontà di operare per amore di Dio non si limitò unicamente al fiero contenimento degli eretici, ma ottenne risultati nei confronti di importanti conversioni come, ad esempio, la fine in breve tempo della comunità manichea di Concorezzo, nel territorio monzese, dopo che il loro vescovo Desiderio, nel 1235, rigettò il contenuto del “testo sacro” per i catari detto “La cena segreta”, per tornare nel seno di santa romana Chiesa.

Questo episodio non fu un caso isolato.

Anche un importante intellettuale dell’epoca, Raniero Sacconi, il quale dopo la sua riconversione al cattolicesimo nel ’45, compilò una “Summa heresis”, utilissimo compendio dottrinario dei catari per una attenta confutazione delle loro tesi, ma anche un modo per difendere il tesoro della Fede dagli errori dottrinali.

I sui successi non rimasero certamente nascosti, tanto che già qualche anno prima di questi fatti, nel 1242, ebbe la nomina di Inquisitore per la Lombardia, come stabilito dal pontefice, e finalmente, dopo tante battaglie, nella sua lotta si schierò la stessa gerarchia ecclesiale milanese con il vescovo Leone da Perego che volle dare il suo contributo nella lotta anticatara.

Ma tutto questo aveva un prezzo per la sua salute.

Diffondere la ‘Parola del Signore’ era improntata ad una azione priva di riposo, come profetizzato già da San Domenico.

Nonostante queste fatiche, i tanti spostamenti sul territorio con grandi sforzi, spesso compiuti a piedi, riuscì anche a fondare due conventi di monache nel Nord Italia e ad incitare i novizi predicatori nello studio puntuale e ininterrotto delle Sacre Scritture, vera arma per difendere la Chiesa.

Ma questi successi fatti di conversioni, a volte miracolose, e aver ridato coraggio ad una chiesa meneghina annichilita, rinnovandone la fiamma della fede cattolica presso i credenti ormai sfiduciati, non era certo vista bene dai nemici della Chiesa che ancora erano tanti.

Insomma, Pietro se da molti era visto come un santo già in vita inviato dalla Provvidenza, per i suoi nemici doveva essere eliminato al più presto e a qualsiasi costo, non c’era solo la questione religiosa, ma anche di potere economico e politico che forse interessava di più i suoi avversari.

Il frate veronese sapeva, o meglio sospettava, che i suoi nemici non lo avrebbero lasciato vivere a lungo, ma questo non lo aveva distolto minimamente dal suo impegno e soprattutto dalla sua pace interiore.

Seguiamo ora brevemente i fatti (per raccontare i quali ci vorrebbe un altro articolo, ndr) che portarono il seguace di san Domenico fino al martirio per la fede.

Come prefetto della Santa inquisizione lombarda emanò il 24 marzo 1252, domenica delle Palme, un decreto col quale prorogava i termini previsti per gli eretici per sottomettersi alla Chiesa, ma specificava anche che i reticenti avrebbero subito un processo canonico e fu così che i suoi nemici individuando in lui il loro il grande pericolo, progettarono di ucciderlo.

Essendo nei pressi di Como il sant’uomo si dovette avviare verso Milano con un suo giovane confratello per essere presente al dibattimento in tribunale.

Per inciso, al di là degli stereotipi, tutto avveniva secondo le indicazioni della misericordia cristiana, tanto che non esiste alcun documento che possa attestare una dura repressione degli eretici da parte di fra’ Pietro da Verona, pur negli ampi resoconti dei tribunali.

Questo viaggio fu affrontato a piedi non curandosi del fatto di avere ormai da giorni la febbre quartana che lo stava divorando e senza una scorta adatta a respingere eventuali attacchi, cosa che non era certo rara in una terra ancora ostile, popolata non solo dei suoi nemici, ma anche di briganti.

Gli assassini furono, secondo le carte del processo, due fratelli, Albertino e Pietro Porro con un altro complice Pietro da Balsamo, detto Carino, sotto istigazione di alcuni suoi avversari della zona che mal sopportavano il lavoro del frate.

La mattina del 6 aprile 1252, i delinquenti si avviarono alla volta di Seveso, poco fuori dal capoluogo, e giunti là, si misero pazientemente in agguato di Pietro Rosini che doveva necessariamente passare per quei luoghi isolati.

 

Il martirio

 

Verso mezzogiorno si cominciarono a vedere le sagome dei due frati che procedevano sereni incontro alla loro sorte.

Ormai a tiro, gli assassini balzarono improvvisamente dalla boscaglia e afferrato violentemente l’inquisitore per un braccio, lo trascinarono a forza tra i rami della boscaglia per ucciderlo con fredda determinazione colpendolo sulle spalle e sul cranio con due terribili fendenti di un coltellaccio, (da qui l’effige del santo con la testa insanguinata da una lama, ndr) e trafiggendo anche il giovane frate Domenico che morirà sei giorni dopo per le ferite riportate.

Nonostante il piano fosse stato studiato nei minimi particolari, furono ugualmente tutti catturati dai contadini presenti nei campi circostanti, mentre le povere spoglie venivano poste su di un carro coperto da fiori.

Dalle carte del processo che seguì apprendiamo tanti particolari narrati dai due rei confessi e dai testimoni da fare inorridire ancora oggi e ponendo questo Pietro alla stregua dei primi martiri a Roma.

Ma nella tragedia c’è anche un miracolo, se così possiamo affermare.

Proprio colui che fu l’assassino del frate, Pietro da Balsamo detto Carino, presumibilmente aiutato dai suoi mandanti, riuscì a fuggire dalla prigione, affinchè non parlasse, ma raggiunta fortunosamente la città di Forlì, l’uomo invece di continuare a scappare chiese, ed ottenne, di essere ammesso come fratello laico proprio in un convento di domenicani, per scontare, oramai pentito, per il resto della sua vita attraverso una severa penitenza il peccato commesso.

La sua conversione in seguito fu tale che morì in fama di santità tanto che dal 1822 è venerato come beato, certamente tra le più grandi grazie scaturite dal martirio del santo.

Pietro Rosini da Verona, per tutti ormai aveva l’appellativo di Martire, venne elevato agli onori degli altari nel marzo del 1253, a poco meno di un anno dalla sua morte, a seguito delle sollecitazioni che il vescovo Leone da Perego, insieme a numerosi fedeli specialmente milanesi e i tanti suoi fratelli domenicani, recarono a papa Innocenzo IV

In conclusione, ci permettiamo una breve chiosa personale.

Leggendo e meditando la vita di questo santo, abbiamo scritto nel titolo di quest’articolo: Un santo che fa scandalo nella Chiesa di oggi, un titolo che non vuole essere irriguardoso, ma, purtroppo, prende atto, almeno dal mio punto di vista, di una Chiesa stanca, arresasi alla pseudo modernità e alle sue mode che non sembra più credere in se stessa o ancora nella Divina Provvidenza e pensa, sbagliando, di piacere ad un mondo che per sua natura la odia come ha odiato il suo Santo Fondatore.

San Pietro con il suo martirio non cedette, non tollerò compromessi sulla fede che andava accettata per amore di Cristo in toto e non certo messa in discussione specie da chi ha una visone modana e dello Spirito.

Il santo domenicano con la sua vita, le sue opere e i suoi sacrifici ci ha indicato la via per giungere alla nostra Patria celeste, altre strade non ce ne sono, salvo perdersi nei meandri del mondo.

Vogliamo concludere con Santa Caterina che nel suo “Dialogo” tesse l’elogio del martire come impavido nella lotta alle eresie, infatti scrive: “Guarda anche Pietro vergine e martire che con il suo sangue portò la luce” fra le tenebre di tante eresie: egli odiò l’eresia tanto da essere pronto a lasciarvi la vita”.

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