mi chiamo Cinzia e vivo a Novara con mio marito Elio. Abbiamo due figli: Federico e Valentina.
C’è stato un tempo della nostra vita, quello del fidanzamento e del matrimonio, in cui la nostra fede era molto superficiale: occasionale la frequentazione della Messa, scarsa la preghiera. Dio c’era e ne eravamo convinti, ma non avevamo tempo per Lui.
Finché un giorno, di tanti anni fa, nostro figlio Federico di 5 anni e mezzo, improvvisamente si ammalò. A quarantotto ore dall’inizio di quella che sembrava essere una banale influenza, io e mio marito ci ritrovammo davanti alla porta della sala di rianimazione, dove il nostro bambino era entrato in arresto cardiaco. Lo rianimarono, lo intubarono e ci dissero che la grave sindrome che l’aveva colpito, era in fase acuta, molto aggressiva, che rapido sarebbe stato lo sviluppo devastante, che non esistevano farmaci per fermarla, che quando avesse raggiunto i polmoni sarebbe sopraggiunta la morte e che non avrebbe superato la notte. Entrammo a salutarlo. Quando la porta si chiuse realizzammo che nessuno al mondo poteva fare niente per lui, se non Dio.
Consci e pentiti del nostro stato di peccato, ci rivolgemmo alla Mamma Santissima, affinché impetrasse la grazia della vita, per Federico, al Suo Figlio Gesù.
La mattina dopo era vivo e dopo 15 giorni di bollettini medici agghiaccianti, finalmente ci dissero che sarebbe sopravvissuto.
Gli esiti della malattia però erano gravi: cecità corneale, restringimento dell’esofago, problemi polmonari importanti. Solo dopo 6 mesi di ospedale potemmo ritornare a casa. Ma nostro figlio era debilitato, fragilissimo, continuamente ammalato. Lasciai il lavoro per occuparmi di lui e della sorellina di 20 mesi.
Affrontavo grandi difficoltà ogni giorno ed ero divisa tra: “perché proprio a mio figlio?” e… la rassegnazione.
Pregavo chiedendo a Dio la forza di accettare questa croce senza riserve. Finalmente esaudita , un giorno con decisione ferma, dissi il mio “sì” a Gesù, a condizione che Lui e Sua Madre Santissima fossero restati con noi per sempre.
Così fu. Da allora sono letteralmente venuti ad abitare a casa nostra, sempre presenti nella nostra vita in continua emergenza.
Cominciammo a frequentare la Messa e i sacramenti con assiduità, per avere la forza di vivere il calvario che ci aspettava. Quarantuno interventi chirurgici ad oggi tra Parigi, Roma, Milano, Novara, Varese …. sempre assistiti, mai disperati, pacificati nel cuore noi genitori e il nostro bimbo Federico paziente all’inverosimile.
Coraggioso e sereno a cui mai è uscito un lamento, come a Gesù Crocifisso.
Cosa avremmo fatto senza la fede e la preghiera? Quando i medici che entravano in sala operatoria non sapevano bene che fare data la gravità del caso, noi li incoraggiavamo brandendo i nostri rosari e dicendo loro:” C’è Chi vi aiuta!”. E quando, dopo ore a volte anche più di dieci, di intervento, uscivano dalla sala operatoria, ci dicevano: ” Lassù, Qualcuno vi ama! Le vostre preghiere sono state ascoltate. È andata benissimo”.
E con quanti segni straordinari Gesù ci segnalava e ci segnala la Sua presenza continua!
Nel caso del primo intervento di Parigi, ad esempio, le palpebre di Federico si stavano saldando agli occhi. Consultammo il medico più bravo in Italia, a Torino. Lo vide, inorridì e ci disse che non l’avrebbe fatto. Ma che esisteva un francese , “un pazzo”, che poteva provarci. Lo contattammo e prenotammo la visita. Preparammo la storia clinica di Federico. Io ero angustiata, anche dalla nostra scarsa conoscenza della lingua . Pregavamo intensamente.
Partimmo. Arrivati a destinazione nella sala d’aspetto trovammo in attesa un’altra famiglia italiana. Avevano un’interprete che gentilmente assistette anche alla nostra visita aiutandoci con la lingua. Il professore ci disse che la situazione era brutta. Che non poteva garantire alcunché sulla riuscita dell’intervento, ma che ci avrebbe provato.Noi tornammo a casa sollevati, con la certezza che se Gesù ci aveva fornito l’interprete, avrebbe provveduto anche a tutto il resto! E così fu, l’intervento andò bene. Lo stesso professore ne rimase stupito.
“A cosa serve tutta questa sofferenza?!”, mi domandavo spesso e sempre rispondevano gli eventi.
A Roma ad esempio, quando nel 2011 vi restammo da febbraio a maggio per una serie di interventi all’occhio, Federico era ricoverato al S. Camillo. Immobile nel letto tutto il giorno, continue le flebo, ma tranquillo e pacato come sempre.
Il suo vicino di letto era l’autista di un ministro, ciarliero, vivacissimo. Rispetto a Federico, l’opposto.
Dopo qualche giorno dal suo ricovero, mi fermò in corridoio dicendomi che era molto impressionato da Federico. Disse che era ricoverato per accertamenti, che attendeva la diagnosi e che sospettavano una malattia invalidante. Aveva già deciso che se fosse stata confermata si sarebbe suicidato ed aveva fatto pure un sopralluogo al terzo piano per individuare il punto esatto in cui mettere in pratica la sua fine.
Ma poi aggiunse che vedendo la serenità di mio figlio aveva cambiato idea. Mi riferi’ di aver pensato che: “ Se ce la fa lui, posso farcela anch’io!”
In tutte le circostanze degli interventi chirurgici, abbiamo sempre percepito la presenza e il lavorio che Dio compiva in noi e intorno a noi.
Era Quaresima. Intensificammo le preghiere e immediata giunse la pace del cuore e poi da maggio, il mese di Maria Santissima, inaspettatamente, con una progressione stupefacente, si verificarono le condizioni per una inaspettata ripresa, rimasta costante nel tempo al punto che qualche anno dopo, saldato un astronomico debito finimmo di lavorare con la ditta in attivo.
Nella nostra vita abbiamo davvero molte volte toccato con mano l’amore di Dio per noi, che è Padre amorosissimo. Siamo stati provati, certo, ma ci è stato dato tutto il necessario. Anche di più. Molto di più del necessario.
Gesù è vivo! Sappiamo che è con noi ogni giorno e si prende così tanto cura di noi che con gioia possiamo ripetere: “Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del Tuo Amore!”.
Da 8 anni ormai, Federico vive da solo ed è autonomo economicamente. E questo è davvero un miracolo!
Non abbiamo mai interrotto la preghiera, questa catena amorosa che ci ricarica e ci lega a Dio.
Non abbiamo il rito antico nella nostra città, ma cerchiamo di vivere appieno il Santo Sacrificio dell’Altare. La messa quotidiana, il rosario e l’adorazione Eucaristica non mancano mai nelle nostre giornate, che offriamo a Dio in riparazione di tante mancanze nostre ed altrui.
Siamo perfettamente consapevoli di essere “peccatori graziati”, in stato di conversione permanente e proviamo un grande dolore, ma anche tanta compassione, per chi non ha ancora incontrato davvero il Signore.
Non conosciamo che cosa il Signore abbia in serbo per noi, però viviamo tranquilli come bimbi svezzati in braccio alla mamma. Per questo, nonostante tutto, la nostra è una vita lieta, piena, colma di gratitudine verso nostro Signore, a cui rendiamo pubblicamente grazie facendo nostra l’esortazione del grande e amato San Giovanni Paolo II:
“Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo”!
Cinzia, da Novara
mercoledì 19 giugno 2024
Nella vita di ogni essere umano davvero la sofferenza e il dolore che questa porta hanno un riscontro nella Croce di 2000 anni fa.
Che fortunati siamo noi nel essere stati “graziati” da croci così grandi e che “sfortuna” non avere la grazia di una così grande fede di questa famiglia. Abbiamo tante belle cose ma ci manca la consapevolezza, non ce ne accorgiamo nemmeno, di vivere comunque amati di un amore immenso, mai abbandonati.
Davvero ci serve la sofferenza, la persecuzione, l’incertezza del futuro per cambiare il nostro modo di vivere?
Davvero abbiamo bisogno di portare addosso una croce pesante per aprire gli occhi su come viviamo e per vedere che esiste il cielo?
Davvero difficile imporre una risposta che sembra dura e ingiusta per capire: per la salvezza ci vuole la sofferenza della nostra mortalità.
Guardo al pellegrinaggio di questa famiglia di ospedale in ospedale, di problema in problema, di paure in paure, di speranze in speranze, quanti anni è durato 15, 20? E penso che nonostante sia stata legata alla sussistenza, al lavoro, alle cure, alle medicine… questa famiglia non sia più tanto di questa terra: di questa terra conserva solo la base su cui poggiano i piedi. Il corpo, e lo spirito stesso che lo riempie, però è rivolto verso l’alto, i loro cuori battono insieme a quelli di Gesù e Maria e da questi hanno accettato i doni così come erano dati, comprendendo che i doni di Dio su questa terra sono a volte duri e a volte dolci, sono dare e volte anche prendere. Accettano e si affidano, e pur nella esistenza contingente di vivere quaggiù come lotta e sacrificio, sanno che tutto serve per lassù: perchè e in che modo non sempre è dato di capirlo, ma di saperlo sì.
Un abbraccio al coraggioso Federico!