Il Libero Arbitrio, la Grazia. Il Cristianesimo non come Religione, ma come Dono di Dio. R.S.

15 Giugno 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, R.S., che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sul libero arbitrio, la grazia e il peccato. Buona lettura e diffusione.

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Grazia e libero arbitrio: come cambiano la volontà e la conoscenza con o senza la Grazia   

La Grazia -semplificando- è “a monte”, “oltre”: poi ci sono le capacità umane differenti da persona a persona. Ci sono le scelte, comprese quelle fatte in buona fede, che anche prefiggendosi un intento buono creano guai, perché si passa dalla volontà di Dio (solo Bene) a quella della creatura che ha scelto di conoscere anche il male (potendo fare anche quello).

Se non ci sono piena avvertenza e deliberato consenso la Chiesa spiega che non c’è peccato “mortale”, ma questo non toglie che certe pratiche e certe idee portino totalmente fuori strada, disorientando dall’obiettivo. Dunque, in che modo agisce la Grazia? Si può pensare che la sua “dotazione minima” possa dare frutto solo attraverso un’attiva partecipazione umana? In questo caso potrebbe essere decisiva. Ma allora perché Gesù ci dice che siamo dei “servi inutili”?
In che senso dice che “senza di me non potete fare nulla”? D’altra parte chiede pure di far fruttare i talenti ricevuti, senza sotterrarli per paura di usarli male o di sprecarli. La dotazione è sicuramente diversa da persona a persona (ognuno è chiamato in un modo speciale: per Dio non siamo dei cloni). Per alcuni dei limiti oggettivi (fisici o intellettuali) possono essere i mezzi mediante i quali il disegno divino, a noi sconosciuto, può attuarsi in circostanze che giudicheremmo sfavorevoli ed addirittura valide per giustificarsi nel fare spallucce alla vita e alle attese che Dio ha nei nostri confronti.
Il Male può diventare parte del disegno divino? Siamo i tralci della vite e diamo frutto perché collegati al Signore. Quelli che danno frutto, il Signore li pota perché possano darne ancora di più, mentre quelli secchi li taglia e li getta nel fuoco. Eternamente.

Non sta a noi separare grano buono e zizzania. Non sta a noi mettere sul podio quelli che, tutti come buon terreno, danno chi il cento, chi il sessanta e chi il trenta. Dio provvede e la Grazia è ciò che l’uomo non può darsi da solo. Dio per amore lo dona ed è comunque cosa buona per la bontà del Donatore.

La Provvidenza raggiunge anche chi giudicheremmo male: il figliol prodigo che suscita l’invidia del fratello maggiore, l’adultera che scandalizza il fariseo, la donna cananea che viene guarita, il pubblicano che viene giudicato da un altro fariseo malevolo… Pubblicani e prostitute precederanno nel Regno di Dio molti “giusti” autocompiaciuti che non sentono il bisogno di essere perdonati da Dio e della Sua misericordia, perché già superbamente sazi di restare dentro le regole. C’è più festa in Cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di farlo. E’ giusto? Giusto come? Se la nostra non giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non si entra nel Regno dei Cieli.

Il libero arbitrio contraddistingue l’immagine di Dio nella creatura umana, ma disgraziatamente può determinarne la non somiglianza per la facoltà di anteporre la nostra volontà a quella di Dio. La Grazia non arriva soltanto tramite i sacramenti, ma è ovvio che essi sono dei doni preziosi, che discendono direttamente dalla missione del Verbo Incarnato. L’efficacia del segno è amplificata dalla consuetudine e dalla pietas, la confidenza.
Ultimamente il sacramento è stato svalutato tanto da non rendersi conto che Dio ha dato alla Chiesa il mandato di amministrarli per donarne molte di più tramite questi segni efficaci. Si sentono innamorati conviventi dire che è meglio non sposarsi… Certo: per loro è un contratto, non un sacramento! Pensano di essere loro i protagonisti e non sanno che cosa farsene della Grazia. Poi si stupiscono che non duri… Ad essere decisivi sono l’umiltà e il timore di Dio, i recipienti che si riempiono di Grazia. La preghiera è la scuola dell’umiltà: chi prega è gradito a Dio, se questo tempo rivolto al Cielo lo rende umile. Dio conosce i cuori. Non esime chi ha la missione di annunciare Cristo dal farlo, ma deve togliere la sciocca convinzione che tutti i non credenti vadano all’inferno: le vie di Dio non sono le nostre vie. Deve anche togliere la sciocca convinzione che ci si salva tutti, comunque. Ogni religione può scadere in forme deleterie di rigorismo, di lassismo o di superstizione: il cristianesimo -non essendo un fenomeno religioso dell’uomo rivolto a Dio- si differenzia perché è l’accoglienza dell’Incarnazione di Dio che si è fatto uomo.
Lo Spirito Santo mira a farci santi e a santificare il nome del Padre, cioè a intenderne il mistero della separazione, l’oltrepassamento con cui Gesù ce lo rivela come Padre. Santo significa separato, cioè sacro, riservato, dedicato… Santificare il nome del Padre significa sacralizzare l’esistenza e questo chiede al libero arbitrio di farci morire a noi stessi per fare la Volontà di Dio. Il nostro libero arbitrio non scompare: lo vuole!
Proprio in quest’epoca, che vanta l’autodeterminazione, campeggiano i peggiori esempi di massificazione e di manipolazione. Non è un caso: il libero arbitrio che si vanta libero e intelligente è il più ingannabile dall’astuzia del Demonio.
Perché manca la Grazia che ci fa santi nella libertà della Verità e non di qualche superbo delirio. Il santo Carlo Acutis direbbe NON IO, MA DIO!
La Grazia prorompe nell’umile anche quando le circostanze richiedono la croce. Dio è geloso e non ama le mezze misure.
Questo lo capiscono solo gli innamorati, perché si tratta di bellezza e non di legge o di ragione. La bellezza non si capisce ma si riconosce, proprio come ciò che assaggiato è buono anche se non si sa tutto degli ingredienti e del metodo di cottura. La bellezza e la bontà non si studiano, ma si coltivano. L’intelligenza dell’affetto è differente da quella della legge e della necessità, studiabile.

Fare una cosa volentieri, spontaneamente è una grazia, non un dovere di legge. Non io, ma Dio: la spontaneità è bellezza e solo la bellezza salva il mondo, anche dalla croce. La sofferenza non toglie la bellezza, anzi! Fare la volontà di Dio allora non è una cosa che pesa per chi è cristificato (santificato), pieno di Grazia. Non ha nulla a che vedere con la volontà deliberativa dell’io attraverso la quale anche il giusto finisce con il ragionare secondo il mondo.

Il cristianesimo non è una religione e nemmeno la migliore delle religioni: è un dono di Grazia, la comunione con Dio!
Non è la mia volontà a fare la differenza in positivo, ma è l’aderire con spontaneità, per Grazia, alla Volontà di Dio.

RS

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69 commenti

  • Rolando ha detto:

    Scusa, caro Luca Antonio!

  • Rolando ha detto:

    Grazia, libero arbitrio … o non libero ma cosa c’è di più bello e piacevole di …. questi tre interrogativi….

    A) L'”IO”, il “SÉ” ?
    “Anna soror, quae me suspensam insonnia terrent” (Virgilio. Eneide 4,9).
    – Una serie minacciosa di sogni terrificanti –
    [La regina di Cartagine, Didone, non riesce proprio a dormire tranquilla perché teme l’abbandono del suo amato Enea e si rivolge quindi alla sorella Anna sospirando: che incubi tremendi mi tengono in agitazione!]
    Nota: questo è l’unico verso e scritto originale di tutta la letteratura antica giunto a noi. Risale all’anno 72 durante l’assedio di Masada e lì fu trovato negli scavi del 1973. Un soldato romano lo scrisse su un pezzetto di pergamena della busta paga al compagno di camerata nel cuore della notte invitandolo nel proprio giaciglio a fare l’amore e così vincere la paura della morte che li teneva insonni prima dell’attacco fatale.

    B) “DIO” ?
    ΔΙΑΤΟΝΔΙΑΝΙΚΟΜΕΣ
    (Iscrizione selinuntina del VII-VI secolo a. C.)
    [VINCITORIGRAZIEALDIO]
    La proiezione dell’Ethos -ardor- umano.
    “Nisus ait: Dine hunc ardorem mentibus addunt,
    Euryale, an sua cuique Deus fit dira cupido?”
    (Virgilio. Eneide. IX, 262-264)
    [Si tratta di due amici, Niso ed Eurialo. Il primo chiede all’altro se è un Dio che infonde nei singoli cervelli tanta passione etica o se ognuno fa della propria passione il Dio.]

    Γ) LA VITA ?
    (Il piacere dall’amore che dà morte)
    “Nonne videre nihil aliud sibi naturam latrare nisi utqui corpore, seiunctus dolor absit, mente fruatur iucundo sensu cura semota metuque?”
    (Lucrezio Caro. De rerum natura. II, 14-19)
    “Ma come non vedere che la Natura stessa ti grida [abbaia!] di godere di ogni piacere con la mente libera da ogni preoccupazione!”
    E per quando si è vecchi:
    “ᾧ γέρόν, ἦ μάλα δἠ σε νέα τείρουσι μαχηταί
    σή δε βίη λέλυται, χαλεπὸν δέ σε γῆρας οπάζει,
    ἡπεδανός δέ νύ τοί θεράπων, βραδέες δέ τοι ἴπποι.”
    ΙΛΙΑΔΟΣ Θ, 102-104
    Traduzione libera: “La giovinezza che lotta e scopa, o vecchio, ti sfinisce; la tua forza collassa, t’incalza la penosa vecchiaia; malandato è il tuo vigore, lenti i tuoi cavalli!”
    [Immortale scena nella lotta tra Greci e Troiani. Il vecchio e valoroso Nestore, che combatte fino allo stremo dalla parte dei Troiani, viene aggredito ed apostrofato da un gruppo di giovani greci capeggiati da Odisseo].]

    • Adriana 1 ha detto:

      Rolando, carissimo,
      commossa, ringrazio.

    • Adriana 1 ha detto:

      …e continuo a ringraziarti, caro Rolando, ma il vecchio Nestore combatteva contro i Troiani. Vai a vedere- se non l’hai già veduta- la “Coppa di Nestore” ( quasi contemporanea ai fatti dell’Iliade) trovata ad Ischia dall’archeologo Giorgio Buchner. La scritta: ” Io sono la bella coppa di Nestore; chi berrà da questa coppa sarà preso subito dal desiderio di Afrodite dalla bella corona ” fa allusione alla Coppa d’oro del re di Pilo di cui si parla anche nell’Iliade (L.11, 632–7).

      • Rolando ha detto:

        Ti ringrazio infinitamente Adriana1 carissima per il refuso “dalla parte dei Troiani” sfuggitomi incosciente nell’estate di tanta umana profondità.

      • Rolando ha detto:

        Ti ringrazio infinitamente Adriana1 carissima per il refuso “dalla parte dei Troiani”
        sfuggitomi incosciente nell’estasi di tanta umana realtà!

        • Adriana 1 ha detto:

          Caro Rolando,
          provo un tale piacere nel sentirmi proporre e riproporre immagini e concetti pieni della karis pindarica che mi dispiacerebbe se, talvolta, qualche umano e più che umano “refuso” potesse permetter loro di apparire erronei agli occhi di qualche “devoto” grammatico che: “con occhi di drago par che guati”. ( cit. Torquato Tasso ).

  • Luca antonio ha detto:

    Cara Balquis … la bellezza nella tragedia…
    Tema vasto che non può essere affontato in questo poco spazio, mi limito a qualche veloce considerazione personale.
    Innanzitutto la bellezza della lettera riportata non sta negli occhi di chi la scrive ma in quelli di chi la legge (per i i protagonisti infatti “non c’ è maggior dolore; che ricordarsi del tempo felice; ne la miseria”), quindi perché è bella ?.
    Tre elementi :
    1) deve essere “destino”, cioè “scritto” in un ambito narrativo superiore che i protagonisti possono solo accettare passivamente, impotenti; ( fino a quando è possibile fare qualcosa l’ effetto drammatico non scatta);
    2) definitività (se Mandelstam fosse tornato dopo 5 minuti tutto sarebbe privo di senso);
    3) moralità dei protagonisti, è questo l’ elemento chiave che fa essere “bella” una tragedia, se manca questo rimane una tragedia, Ecuba, ma non sarà mai “bella”, Antigone invece lo è.
    Se manca uno solo di questi elementi crolla tutto, esempio : se nella scena finale il biondino di Love Story avesse visto passare una ragazza di suo gusto e gli fosse corso dietro il film sarebbe risultato una ciofeca mancando per il protagonista tutti e tre gli elementi , destino – Ali Graw alias Jennifer Cavalleri (Adriana prenda nota !) non era la donna della sua vita-;
    definitività (la vita continua),
    moralità (davvero superficiale il tipo).
    Ho buttato la’ un abbozzo di analisi estetica senza nessuna pretesa, ma spero funzionale a rispondere, almeno in parte, alle varie vostre considerazioni;
    un tentato avvicinamento al tema della bellezza del Sacrificio, di cui ogni tragedia “bella” è, a mio avviso, come in un gigantesco frattale, partecipe.
    Cordiali saluti.

    • Adriana 1 ha detto:

      Luca Antonio,
      amico mio,
      il discorso è lunghissimo ma mi sai dire perchè Ecuba non è bella ed è immorale, mentre Antigone lo è in entrambi i sensi? Che si tratti non di moralità, ma di età? Vecchia l’una, giovane l’altra…DIciamo piuttosto che una vicenda umana (e d’amore) “sofferta” intenerisce più di una vissuta serenamente…e ciò fin dall’antichità greca e latina: fanno testo Ettore e Andromaca, Piramo e Tisbe, Saffo e Faone, Orlando e Alda la bella, Lancillotto e Ginevra, Romeo e Giulietta, ecc, ecc… Qualche volta, per fortuna, anche la vicenda “felice” di una coppia può commuovere profondamente, come quella -delicata- di Filemone e Bauci: ma qui i due sposi, per ragioni di età, si trovano vicini alla morte. Si tratta di una situazione speciale che la divinità “allevia” trasformandoli in alberi che protenderanno le fronde intrecciate in un perpetuo abbraccio. Nelle Metamorfosi Ovidio elargisce all’episodio l’ estrema dolcezza dei suoi versi innamorati.##
      A proposito… in certe, importanti università USA hanno messo al bando le Metamorfosi di Ovidio perchè alcune Whiteflakes femmine hanno dichiarato di sentirsi “violentate” dai suoi versi. Devono aver appreso
      – geneticamente- questa lectio dalle suore Orsoline di Loudun, convinte di esser state “violate” dal loro parroco-che non le aveva mai viste, ma che aveva fama di uomo attraente-. Era il 1600 e le autorità finirono per credere che il diavolo lo avesse teletrasportato oltre il muro del convento, ragion per cui, dopo regolare tortura, venne convenientemente bruciato su un rogo ad hoc, ( come era nei segreti desideri del Card. Richelieu a cui quell’impiccione di Grandier aveva dato molto fastidio ). Tutto ciò per notare che una certa interpretazione della moralità rimane,- nei secoli a noi più vicini- sempre la medesima, per quanto woke si voglia trangugiare.

      • luca antonio ha detto:

        Adriana, il mio vuole essere un invito alla riflessione sul perchè “… una vicenda umana (e d’amore) “sofferta” intenerisce più di una vissuta serenamente…”; cosa produce quel sentimento di partecipazione che la rende, genericamente e per questo tra virgolette, più “bella” di un’altra ?.
        Io mi sono fatto l’idea che sia il sacrificio di sè, senza calcoli, per puro amore, che uno pone alla base delle sue scelte.
        Questo, unito agli altri due elementi citati (sulla definitività aggiungerei il supporto Aristotelico della potenza che divenendo atto addiviene a perfezione ) fa la “bellezza” di una vicenda, sopra tutto se drammatica (elemento del destino, sempre colmo del fascino del tramonto).
        Per quanto riguarda poi la cronaca culturale woke il delirio ormai ha raggiunto un punto di non ritorno, e verte tutto sul contrario del sacrificio di sè… l’individualismo Anglo ha prodotto autentici mostri.
        Cordiali saluti.

        • Rolando ha detto:

          Caro Enrico Nippo…
          E se questo “delirio” fosse un’altra delle infinite e bellissime forme del sacrificio di sé create dal Dio?

          • luca antonio ha detto:

            Rolando caro, di quale sacrificio parliamo?, qui abbiamo a che fare con persone che hanno la pretesa di voler cancellare nel mondo esterno, per legge, quello che la loro mente disturbata – e condizionata – ritiene essere orribile visu…. Caravaggio, Dante, Shakespeare, Ovidio e chi più ne ha più ne metta…la fantasia dei pazzi non ha limiti, specie quando, sempre per legge, li si porta dalle loro stanzette imbottite alle stanze dei bottoni.
            Il sacrificio di sè comporta invece un’aderenza al reale , una sensibilità incentrata sull’altro, con uno sguardo superiore rispetto alle proprie bagatelle, ubbie, frustrazioni, fobie, desideri, personali.
            Saluti.

          • Adriana1 ha detto:

            Caro Luca Antonio, quale argomento? E cosa c’entra Ecuba?

        • Adriana 1 ha detto:

          Il dramma ( ossia l’azione ) e il sacrificio di sé… spero quindi, che tu possa “sentire” empatia e pena- come per le altre vicende- anche per la morte di Antinoo, amato da Adriano, per quella di Patroclo, di Eurialo …
          Ci sono narrazioni che ci toccano nel profondo, specie quando ci troviamo di fronte al fiore della vita reciso prima che possa fruttificare: ” Copritele il viso! Mi abbaglia! E’ morta giovane. ” ( John Webster- La Duchessa di Amalfi- ).
          Ma, per qual motivo te la sei presa con la infelice Ecuba che, vedendosi “attorniata” dai cadaveri dilaniati dei propri figli, fuori di sé, è ridotta ad esprimere il suo atroce dolore soltanto con urla e guaiti da “cagna”? Una scena, purtroppo, quanto mai attuale.
          Tornando alla kultura d’oltreoceano, anche Caravaggio è stato estromesso perchè troppo perturbante. Accadde che studenti “perturbati” dovessero venire ospitati in stanzette apposite in compagnia di un orsetto o di un coniglietto un peluche da carezzare per …calmarsi, e, successivamente venissero raggiunti da uno psicologo (altra stanza), per “rimettersi”. A questo punto diventava più economico rimuovere Caravaggio- la pietra dello scandalo-, tanto… le teste erano già state rimosse, ma ciò che temo, anche i cuori.

          • luca antonio ha detto:

            Ecuba, ma avrei potuto citarne altre, era solo per introdurre un argomento secondo me interessante.
            Per il resto Adriana le segnalo un bell’articolo di Pecchioli di oggi sul sito di Blondet.
            Forse ha ragione lui, tempi come questi vanno accellerati, contrastarli è inutile, altro argomento su cui riflettere.
            Un caro saluto.

          • Adriana 1 ha detto:

            Caro Luca Antonio,
            ho letto l’articolo di Pecchioli… In verità più che a una descrizione degna di scene bibliche mi fa pensare piuttosto alle “assurdità” che si trovano nella Volupsa o Canto della Sibilla appartenente all'”Edda” nordico. Il gran Lupo Fenrir è stato legato da vincoli fatti di cose insostanziali, quali il rumore del passo di un gatto, le radici di una montagna, il respiro di un pesce, lo sputo di un uccello. Incominciano a sorgere ora le Potenze dell’Abisso, il mondo si sta sfaldando… A iniziare la distruzione sono questi segni fantastici, contrari al raziocinio, apparentemente irreali che però, nel prosieguo dell’azione, vanno assumendo una concretezza paurosa. Anzi: vengono recepiti come l’unica realtà. Che i Padroni del Vapore si siano ispirati al Ragnarok? Sta scritto nell’Edda che le forze dell’ordine cadranno combattendo per espiare il torto iniziale commesso dagli dei…La profezia della Sibilla, però, non termina con le catastrofi: “Ora io vedo/ la Terra ancora/ sorgere tutta verde/ dalle acque nuovamente/…Poi campi non seminati/ dare frutti maturi, / tutti i mali alleviarsi. ” Una nuova coppia umana darà vita ad una nuova progenie, i figli e i nipoti degli dei e degli eroi sopravvissuti, distesi sulla fresca prateria, giocheranno a scacchi in una serena atmosfera di riappacificazione… Lo riferisce anche il dotto e cristiano Snorri…Quindi… io spero che nello stesso modo termini questo Ragnarok preordinato.

      • Rolando ha detto:

        …….
        “alcune Whiteflakes femmine hanno dichiarato di sentirsi “violentate” dai suoi versi. Devono aver appreso
        – geneticamente- questa lectio dalle suore Orsoline di Loudun…”
        Geniale!

  • Adriana 1 ha detto:

    Luca Antonio,
    perchè mai, aggiungo, non hai scritto il nome di Lei, aggiungendo solamente che il marito era un “innominato” poeta?

    • luca antonio ha detto:

      Non me lo ricordavo.
      Comunque, volendo fare doverosa ammenda, sono già in ginocchio sui ceci col capo cosparso di cenere.
      Ci resterò fino a quando Lei me lo dirà !.
      Un caro, in questo caso particolarmente affettuoso e caro, saluto… abbia pietà… :-))

      • Adriana 1 ha detto:

        O-o-oh! Ecco: bravo bambino. Una risoluzione autenticamente sportiva… può durare fino alla “maturità”. 😅

  • Rolando ha detto:

    “Fare una cosa volentieri, spontaneamente è una grazia.”
    Lo insegnava già Pindaro fornendoci il significato stesso della parola greca “kàris” per indicare “grazia” un concetto di Piacere/Bellezza, che ha già in sé tutto il suo valore umano e la propria ricompensa! Ma per san Paolo assume connotati dottrinali, tutt’altro che spontanei, se non per lui che vorrebbe che tutti fossero come lui.
    Poi scrivi: “il figliol prodigo che suscita l’invidia del fratello maggiore,…”.
    No. A mio parere non è il figliuol prodigo, bensì lo stesso Padre a suscitare offesa ed invidia nel maggiore. Il Padre che commette anche l’errore di non mandare subito un servo ad avvisare il fratello maggiore di venire in fretta a condividere il vitello grasso.
    È il figlio maggiore che s’accorge tornando dal lavoro di canti e balli…
    Il maggiore infatti, provocato, si limita a far presente al padre, la stessa mancanza di sollecitudine nei suoi confronti.
    Dalle mie parti circola una barzelletta che si conclude col detto: “A far ben, el se ciapa anca en c.l!”.
    E non è la sola parabola che lascia carenza di “grazia” in bocca!

  • Rolando ha detto:

    “Non io, ma Dio: la spontaneità è bellezza e solo la bellezza salva il mondo, anche dalla croce.”

    Condividibilissimo. Peccato che tutte le altre parole dell’articolo siano uno sforzo per smentirle radicalmente.
    Come? Sostenendo ed insegnando una sola dottrina “vera” e “valida” su e di Dio.
    Non io, ma Dio. Certo! ma mentre affermo questa verità ammetto anche che Dio mi vuole così come sono: condizionato. E condizionato dalla croce delle dottrine religiose di rivelazione che mi dicono che “devo” scegliere. E se a Dio non interessassero per nulla queste scelte, ma ci volesse qui per scoprire da soli la piena Umanità che ci salva dalle vere croci, quelle fabbricate dall’uomo, e soprattutto dall’uomo di credo confessionale?

    • il Matto ha detto:

      Mooooooolto interessante!!!!!!!!!!!!!!!

    • luca antonio ha detto:

      “….mentre affermo questa verità ammetto anche che Dio mi vuole così come sono: condizionato.”
      Rolando caro, di creature che vogliono l’impossibile
      -essere senza condizionamenti, essere degli assoluti – ne abbiamo fin troppi in giro, con risultati decisamente orridi.
      Eritis sicut Deus, vecchia storia.
      Libertà !, libertà!, libertà ! è anche il grido di tutte le scimmiette ammaestrate che riempiono le piazze, oggi come ieri.
      Verrebbe da leggere, a queste folle folla, Dante – “a maggior forza e miglior natura liberi soggiacete” – ma il Padrone ha portato gli intelletti ad un livello tale che sarebbe come accendere la radio ad un sordo.
      Cordiali saluti.

      • Rolando ha detto:

        Dolcissimo Luca Antonio!…..

        “Rolando caro, di creature che vogliono l’impossibile”

        Io conosco un solo tipio di creatura che vuole l’impossibile. Ed è proprio il credente “convinto” che Dio gli darà tutto quell’impossibile che è invece possibile al suo Dio. E per questo lo crede. Per egocentrismo antropico.
        E lo crede “convinto” [leggi la bella spiegazione che fa Nietzsche, citato, nella prima enciclica da papa, anche da Francesco, di questo participio] proprio il fedele credente, etichettando i non credenti “creature che vogliono l’impossibile”. Ma quale impossibile? Dimmene uno, uno soltanto!
        Qui quasi flos egreditur et conteritur et fugit velut umbra et numquam in eodem statu permanet et solum illi superest sepulcrum.
        Factum infectum fieri nequit. Spesso mi soffermo a pensare sulla portata di questo “impossibile”.
        Ed ogni uomo è pure lui un “fatto”, un “accaduto”.

        • Adriana 1 ha detto:

          Straordinario come i ” citazionisti devoti” NON rispondano
          MAI alle domande che a loro sembrano scomode.

    • Balqis ha detto:

      Caro Rolando, il tempo che ci ritroviamo a vivere sembra privilegiare lo scontro, talvolta anche particolarmente aspro, tendendo a mettere in secondo piano (ma anche terzo, quarto, ultimo) ciò che accomuna o può/potrebbe accomunare.
      Nella mia mente mi sono fatta l’idea di R.S. come di un alpinista che ambisce a vette non facilmente raggiungibili, almeno non per tutti. Sceglie la via difficile ed utilizza come appigli la dottrina, in modo da non precipitare nell’abisso.
      Qualcuno, percorrendo la sua stessa via, si ferma a metà strada, impigliato nei rovi dell’autocompiacimento dei giusti “che non sentono il bisogno di essere perdonati da Dio e della Sua misericordia, perché già superbamente sazi di restare dentro le regole”.
      Tuttavia, RS inaspettatamente (almeno per me) scrive anche che “Dio conosce i cuori. Non esime chi ha la missione di annunciare Cristo dal farlo, ma deve togliere la sciocca convinzione che tutti i non credenti vadano all’inferno: le vie di Dio non sono le nostre vie”.
      Con ciò che sto per scrivere non voglio certo “classificarlo” come “non credente” (chi sono io per giudicare? quanto c’è di vero e di giusto in questa umile affermazione!), ma, alla luce di ciò che scrive RS, anche il Matto è, quindi, un alpinista che ascende seguendo la via diversa e non meno difficile della non belligeranza interiore. La differenza sta nel fatto che il Matto procede senza appigli, a mani nude, si potrebbe dire pericolosamente se l’ascesa non fosse supportata da allenamento e costante autodisciplina.
      Infine, l’amico Rolando, che sale non soltanto senza appigli, ma anche sperimentando un’attrezzatura nuova. Inoltre, non ha pre-studiato il percorso prima di avventurarsi nell’ascesa: procede per tentativi ed errori, avanzamenti e marce indietro.
      Quanto a me, resto alla base della montagna ad ammirarne la bellezza ed immagino di salire, cercando di capire quale sia la mia, di via.
      Un saluto affettuoso ai tre alpinisti! E anche ad Adriana, che mi sta tenendo compagnia mentre legge un libro all’ombra di un faggio! 🙂

      • il Matto ha detto:

        😍

      • Adriana 1 ha detto:

      • Rolando ha detto:

        🥰

      • Rolando ha detto:

        Cara Balqis, tu scrivi:
        “Caro Rolando, il tempo che ci ritroviamo a vivere sembra privilegiare lo scontro, talvolta anche particolarmente aspro, tendendo a mettere in secondo piano (ma anche terzo, quarto, ultimo) ciò che accomuna o può/potrebbe accomunare.”.
        Questo può non solo accadere, non solo sembrare. Ma certamente non è nelle mie intenzioni.
        Mi faccio strada, come dici tu. Col modo in cui mi è possibile. È una lotta di redenzione. Masticare duro!

        • Balqis ha detto:

          No, Rolando, non mi riferivo a te. Parlavo in generale a ciò che avviene, talvolta, in questo blog, che riflette ciò che c’è fuori (e non è un bel vedere!!)

      • Balqis ha detto:

        Ehi! Quante faccine!! 🥰

        • Adriana 1 ha detto:

          Cara Balqis,
          per la precisione ne manca una…di un alpinista pieno d’Amore che ha preferito voltar le spalle e andarsene per la SUA collaudata ferrata.

  • Balqis ha detto:

    L’articolo mi è piaciuto perché molto equilibrato e sereno. Tuttavia, trovare la bellezza nella sofferenza mi sembra nasconda il rischio di un compiacimento del dolore un po’ malsano. Preferisco pensare che, se la bellezza è un dono, la sofferenza non lo è affatto (umana, troppo umana! Si, lo so). Tuttavia è la proprio la bellezza, il dono che risplende in noi, che rende possibile la lettura del messaggio nascosto in una sofferenza della quale non comprendiamo il significato. È la bellezza che ci consente di attraversare il dolore, uscendone con qualcosa in più. L’autocompiacimento del dolore è malattia che spegne la bellezza, il desiderio di ricercarla e la capacità di accoglierla. Finiamo per accontentarci della sofferenza, raccontandoci che nel nostro soffrire ci sia qualcosa di meritevole: ci sentiamo in qualche modo migliori degli altri e quasi ci aspettiamo un premio. In realtà, quando siamo prostrati dal dolore, questo rischia di sommergerci e di non lasciare spazio per nient’altro. Invece, il dono della bellezza (della vita?) ci consente di osservare e cogliere particolari anche minimi ed apparentemente insignificanti in grado di trascinarci via, quasi aspirandoci, dal pozzo buio della sofferenza, consentendoci di osservarla, anche solo per un attimo, per ciò che è: un percorso da compiere con un inizio ed una fine, che arricchirà il nostro bagaglio e ci renderà diversi e, forse, migliori. In cosa consisterà il nostro cambiamento all’inizio non lo sappiamo: lo sapremo soltanto alla fine del nostro viaggio attraverso il dolore e, forse, nemmeno subito. Occorrerà un certo tempo per capire. Non è forse così per tutte le cose che accadono intorno a noi e dentro di noi? Osservandole nel loro svolgersi sotto i nostri occhi le interpretiamo “a caldo”, ricercandone le origini ed i possibili sviluppi futuri, anche se sappiamo che una valutazione più attendibile (ammesso che abbia un senso) di ciò che è accaduto sarà possibile solo dopo il dispiegarsi di effetti talvolta non immaginabili a priori. Anche la bellezza richiede tempo: non per riceverla, ma per comprendere, successivamente, il modo, sempre diverso e sempre sorprendente, in cui si è manifestata e con cui siamo stati capaci di accoglierla.

    • il Matto ha detto:

      “Dalla letizia mitica al l’afflizione storica”
      😁

    • Rolando ha detto:

      Caro Balqis, Darwin parla del dolore, della sofferenza (e quanta ce n’è anche nel mondo animale e gratuita!), come “scarto” evolutivo per l’adattamento. Il credente come ciò che manca alle sofferenze del Cristo, secondo il pensiero di quel Paolo.
      Ma poi in seminario mi insegnavano che a causa del Peccato Originale, tutta la natura è stata punita, animali ed uccellini compresi!
      O felix culpa!

  • Enrico Nippo ha detto:

    Se si dice “libero arbitrio” ma poi si fa seguire anche una sola condizione, anche un solo “però”, non è più libero arbitrio.

    Si abbia il coraggio, da parte di certi treni sparati a 300 all’ora sul binario della “verità”, di ammettere che l’arbitrio “libero” non esiste.

    • Rolando ha detto:

      Infatti, caro Enrico Nippo, siamo tutti condizionati, necessitati. Il libero arbitrio è un’illusione!
      “NEKESSITAS ME URGET” : lo diceva già Plauto ne “Il punitore di se stesso”.
      Quando un tal Giovanni nel suo vangelo sul “suo” Cristo gli fa dire: “Io sono la via, la verità, la vita”, che cos’altro afferma se non un ulteriore condizionamento per gli altri?

      • Adriana 1 ha detto:

        Carissimo Rolando,
        Terenzio… Una piccola menda da parte mia, che non toglie nulla alla tua cultura né alla tua preparazione.
        Ma, siccome mi hai autorizzato a fare il “tafano”, ecco qua una- pressochè superflua- puntura, affinchè il corsiero della tua mente non venga ostacolato da ottusi imbrigliamenti altrui.

        • Rolando ha detto:

          Oh, cara Adriana1, grazie, grazie! I cavalli di un vecchio rallentano ed anche inciampano! Strabùccano, si dice nel mio dialetto.
          Ma che dire di quando da giovane, senza preavviso, il sangue deviava dal cervello in parte altra!?
          È proprio vero: Patendo conoscere e….ricordare poi ordinatamente!

  • Luca antonio ha detto:

    “Questo lo capiscono solo gli innamorati, perché si tratta di bellezza e non di legge o di ragione…..Non io, ma Dio: la spontaneità è bellezza e solo la bellezza salva il mondo, anche dalla croce. La sofferenza non toglie la bellezza, anzi!”
    Articolo perfetto caro R.S., detto tutto agli adoratori del “libero” arbitrio ( poveri sciocchi) senza Verità, e dello “star bene” qui e ora che si lamentano con Dio di questo o di quello.
    A supporto di quanto da Lei espresso a proposito del fatto che la sofferenza non toglie la bellezza ma anzi la aumenta riporto la meravigliosa lettera, l’ ultima, della moglie di Mandelstam al marito:

    “Mio caro, non trovo le parole per questa lettera che tu, forse, mai leggerai. La scrivo allo spazio. Magari tu ritornerai e io non ci sarò già più. Questo allora sarà l’ultimo ricordo di me.

    Osjuša, la nostra vita da bambini, che felicità è stata! I nostri litigi, i nostri battibecchi, i nostri giochi e il nostro amore. Ora non guardo nemmeno più il cielo. A chi dovrei mostrare le nuvole che scorgo? Ricordi quando trascinavamo i nostri miseri banchetti alle nostre povere case randagie, da nomadi? Ricordi com’è buono il pane quando cade dal cielo e lo si mangia in due? E l’ultimo inverno a Voronež. La nostra felice miseria e le poesie. Ricordo: tornavamo dalla banja, avevamo comprato delle uova, o forse delle salsicce. Passò un carro di fieno. Faceva ancora freddo e io m’assideravo nella mia giacchetta (forse è il nostro destino: so quanto freddo hai tu). E quel giorno mi si è impresso nella memoria: ho sentito, chiaro da far male, che quell’inverno, quei giorni, quelle disgrazie erano l’ultima e la migliore felicità che avevamo in sorte.

    Ogni mio pensiero è rivolto a te. Ogni lacrima e ogni sorriso è per te. Benedico ogni giorno e ogni ora della nostra amara vita, amico mio, mio compagno di viaggio, amata, cieca guida mia… Come cuccioli ciechi sbattevamo l’uno contro l’altro, e stavamo bene. E la tua povera testa delirante e tutta la follia, con la quale scaldavamo i nostri giorni. Che felicità era e come abbiamo sempre saputo che proprio quella era la felicità.

    La vita è lunga. Com’è lungo e difficile morire da solo, da sola. Possibile che proprio a noi, inseparabili, tocchi questo destino? Noi, cuccioli, bambini… tu, angelo, l’hai forse meritato? E tutto va avanti. Io non so nulla. Eppure so tutto e, come in un delirio, vedo ogni tuo giorno, ogni tua ora nitida e chiara.

    Sei venuto da me in sogno ogni notte e io continuavo a chiederti cosa fosse successo e tu non rispondevi. L’ultimo sogno: sto comprando del cibo nel lurido bar di un lurido albergo. Con me ci sono dei completi sconosciuti e io, dopo aver comprato tutte queste cose, capisco che non so dove portarle, perché non so dove sei tu. Quando mi sono svegliata ho detto a Šura: Osja è morto.

    Non so se tu sia vivo, ma da quel giorno ho perso ogni tua traccia. Non so dove tu sia. Puoi sentirmi? Sai quanto ti amo? Non ho fatto in tempo a dirti quanto ti amo. Non riesco a dirlo nemmeno ora. Dico soltanto: per te, per te… sei sempre con me e io – selvatica e cattiva, che mai ho saputo semplicemente piangere – io piango, e piango, e piango. Sono io, Nadja. Dove sei? Addio.”
    Mandelstam morì in un gulag due mesi dopo senza mai avere ricevuto la lettera.
    Ma com’è che le storie intrise di sofferenza sono le più belle, sempre ?…grande mistero ?, o semplicemente
    Cristo, la bellezza stessa, grazie alla croce, docet?.

    • R.S. ha detto:

      Commovente. Grazie!

    • Adriana 1 ha detto:

      Caro Luca Antonio,
      una toccante pagina autobiografica e di amore per il poeta Mandel’stam. Perciò, lasciami almeno ricordare il nome della donna: Nadezda Jakolevna. Una “vedova”, come del resto, l’amica Anna Achmatova, niente affatto anonima. Tra le altre sue attività è anche da ricordare che fu la prima donna in Russia a laurearsi in medicina. Una donna di azione come di studio, di lettere e di poesia. Una creatura coraggiosa che vinse ogni ostacolo nell’offrire il suo tributo intellettuale, politico e morale al defunto marito, costantemente animata da quella Speranza che fu anche il suo nome.

      • luca antonio ha detto:

        Cara Adriana, grazie per il riscontro, ma la “difesa di genere” :-)) in questo caso è pleonastica; una che scrive una cosa così bella si capisce bene di che livello è, e anche se fosse rimasta senza nome sarebbe comunque lassù, nell’Olimpo dei poeti.

        • Adriana 1 ha detto:

          Non di genere, caro Luca Antonio: di una -UNA- donna:
          odio ogni generizzazione.

    • Balqis ha detto:

      Sì, la storia è molto bella, però la bellezza, in realtà, non sta nel dolore della mancanza in se stesso, ma nel ricordo della felicità, pur se vissuta nelle ristrettezze. E’ il ricordo della bellezza (la certezza, quindi, di averla vissuta, che attesta la possibilità di esistenza della bellezza stessa) a far sì che la sofferenza e l’assenza di speranza non diventino un orrendo pozzo oscuro e senza fondo.

  • Adriana 1 ha detto:

    Caro R.S.,
    il tuo è uno scritto di tono molto elevato e molto bello.
    Però l’argomento “libero arbitrio” dà molto da pensare.
    Se i Progenitori peccarono per aver mangiato dell’albero della Conoscenza, di quale peccato di “libero arbitrio” si macchiarono per aver agito senza aver avuto ancora alcuna cognizione del bene e del male? Ignari di tutto non colsero neppure i frutti dell’albero della Vita che troneggiava al centro del Giardino, eppure, l’Elohim si preoccupò -a posteriori- che, ne potessero mangiare (mentre precedentemente aveva concesso che si nutrissero di tutti gli alberi del Paradiso terrestre- compreso quello della Vita- ad eccezione di quello della Conoscenza il cui boccone li avrebbe fatti morire immediatamente). Quindi, di quale libero arbitrio si parla? e, di conseguenza, di quale Grazia?

    • R.S. ha detto:

      Sottile… come il serpente astuto.
      Chi ci dialoga resta avvelenato dalla falsità omicida.
      La Grazia però gli schiaccia il capo.
      Millenni in quattro righe, Verità che libera, Amore che lascia la libertà di amare l’Amore.

      • Adriana 1 ha detto:

        Perdona, caro R.S.,
        la mia domanda verteva molto concretamente sul testo biblico, dove, tra l’altro, Yahwèh assicura immediata morte ( cosa che non accade) per chi coglie il frutto della Conoscenza ( senza specificare di quale conoscenza si tratti). -Molti studiosi e autorevoli filologi, infatti, esperti del linguaggio biblico, sostengono trattarsi della conoscenza fisiologica di bene e male relativa al proprio corpo e-nello specifico- all’uso delle propria sessualità, da cui il rivestimento con frasche degli organi genitali- . L’equivoco sugli alberi, inoltre, rimane evidente nel racconto.
        La tua risposta non mi è chiara…mi suona un tantino oracolare. Di che Amore parli? In greco ci sono 5 termini per definire i differenti tipi di Amore. A quale amore fai riferimento?

      • Rolando ha detto:

        Caro R. S..,
        “Sottile… come il serpente astuto.”
        Sottile…..come il “doctor subtilis” veniva e viene chiamato: il sommo teologo Tommaso d’Aquino!
        Chi ci dialoga resta avvelenato dalla falsità.
        Isaia 45,7.
        Par condicio.

      • Rolando ha detto:

        Caro R.S.
        Adesso che l’uomo è diventato come uno di noi ELOHIM, conoscitore del bene e del male, di ciò che gli conviene e di ciò che gli nuoce; facciamo di tutto in modo che non metta le mani sul frutto dell’albero della Vita, lo colga e viva per sempre.
        Ma ci riserviamo di rivelargli la Nostra volontà: VINCENTI DABO EDERE DE LIGNO VITAE.
        Ma vittorioso in che cosa? Nella caccia al tesoro?
        Quando uno lo scopre, va, vende tutto e compra quel terreno e si nutre del legno della vita.

  • Giuseppe ha detto:

    ” e solo la bellezza salva il mondo.”

    Non è a quella Bellezza alla quale si riferiva Dostoevskij

    26 novembre 2013. Noto in libreria l’ultimo libro del cardinale Gianfranco Ravasi, Prefetto del Pontificium Consilium de Cultura. Titolo: La bellezza salverà il mondo. Un’ossessione, questa assurda e bislacca affermazione di radice dostoevskijana, che, sradicata dal drammatico contesto sui cui orli duellavano il bene estremo della purezza e il male velenoso dell’aspide, assurge ogni volta a una presunzione e a una pretestuosità che al grande Dostoevskij certo avrebbero rivoltato lo stomaco.

    • R.S. ha detto:

      Si dice che il card. Ravasi abbia in spregio Fatima… perciò la bellezza che piace a lui non può essere quella che salva.

      • Adriana 1 ha detto:

        Con il ” si dice ” non si afferma alcun fatto, solo un pettegolezzo. Inoltre, le apparizioni non sono dogmi.

        • Adriana 1 ha detto:

          Però è assai probabile che il Card. Ravasi- grazie alla sua posizione- abbia potuto accedere all’Archivio del Santuario di Fatima dove sono contenute le prime e originali testimonianze dei pastorelli riguardo alla visione.
          Visione di una figura femminile, alta circa 1 metro e dieci, vestita di una tuta con corta gonna, un casco con fili dorati sul capo, un globo luminoso da lei tenuto all’altezza dello stomaco, catene d’oro sul torace. Non è proprio consona all’iconologia mariana- La statua che ne venne in seguito ricavata fu, per ammissione dello stesso scultore, copiata da un’altra scultura di una chiesa di Oporto. Da ricordare che tutte le testimonianze su tali visioni discendono “unicamente”
          dagli scritti successivi della sola Lucia- ormai in clausura- che
          però-stranamente- afferma di aver dato alla moribonda Giacinta l’assicurazione giurata che avrebbe mantenuto il silenzio su tutto quanto aveva detto quella figura- assicurazione evidentemente non mantenuta ( oppure si? ). Da ricordare anche che fu la vox populi, non quella dei veggenti, a ritenere per prima essersi trattato della Madonna. Sensus fidelium?

    • Giovanni ha detto:

      Le tre streghe in Macbeth : ” bello è l’orrendo. Orrendo il bello. La nostra via.. “