Gaza, come Muore il Giornalismo Occidentale. Possibile Censura di Internet in Israele. Fatto Quotidiano, Seventh Eye.

14 Giugno 2024 Pubblicato da 11 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione alcuni elementi che servono a crearsi un’opinione su quanto sta avvenendo in Medio Oriente, a Gaza e nei Territori Occupati da Israele. Il primo è un articolo de Il Fatto Quotidiano, che ringraziamo per la cortesia.

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Ranieri Salvadorini

Così a Gaza muore il giornalismo occidentale: l’adesione alla narrativa israeliana è totale

Con il mito della democrazia occidentale, a Gaza muore anche quello del “grande giornalismo”. The Intercept ha analizzato “termini chiave” in oltre mille articoli (New York Times, Washington Post, Los Angeles Times), tra 7 ottobre e il 29 novembre: ne emerge un’adesione acritica alla narrativa israeliana e un pregiudizio anti palestinese e deumanizzante ancora più evidente nei tre principali media via cavo (Cnn, Msnbc e Fox), conclude The Column. Le voci palestinesi? Assenti da 50 anni.

Bambini e no

“Cimitero dei Bambini” è la definizione delle Nazioni Unite che forse meglio coglie la specificità del genocidio in corso, ma sulla stampa statunitense scompare – tra slittamenti semantici e omissioni. L’Intercept rileva che “solo due titoli degli oltre 1.100 articoli contenuti nello studio menzionano la parola “bambini” in relazione ai bambini di Gaza”.

In tv (The Column) tra il 7 e il 24 ottobre i bambini israeliani uccisi il 7 ottobre (circa 30, per altri 36) sono menzionati 1.221 volte, gli oltre 3.000 bambini palestinesi 699 volte. Termini come “orribile” o “brutale” etc. sono usati in modo sproporzionato nelle descrizioni dei bambini israeliani – una “mancanza di compassione” per i bambini palestinesi che è “forse dovuta al fatto che sono ‘indottrinati’ e ‘radicalizzati’ e quindi obiettivi legittimi dei bombardamenti israeliani.”

Sul Washington Post l’uso discriminatorio delle parole è palese: “… bambini israeliani aggrediti in modo barbaro dai terroristi di Hamas, bambini palestinesi lasciati morire sotto i bombardamenti israeliani”. Nel primo caso, “deliberato, freddo, ideologico”, nel secondo “passivo, sterile, riluttante e potenzialmente anche responsabilità dei palestinesi”, osserva l’esperto.

Da notare che per i bambini di Gaza è stato coniato un nuovo acronimo: Wcnsf (Wounded Child No Surviving Family), ovvero “bambino ferito, senza famiglia sopravvissuta” – oltre mille gli amputati, con dei “seghetti”, senza anestesia, i farmaci bloccati a pochi chilometri da Israele. A oggi, sono stati uccisi 18.000 bambini palestinesi, 50.000 gravemente malnutriti, distrutta la salute psicologica di oltre un milione.

Il termine “massacro” (“slaughter”) non è mai stato usato per i palestinesi. Se appare è un palestinese a dirlo, con la forma del ‘punto di vista’: “… stanno tutti reagendo a quello che i palestinesi chiamano massacro”. Per gli israeliani viene usato centinaia di volte, in modo oggettivizzante: “Sono video molto difficili da vedere, questo è stato un massacro”.

Poco meglio la carta stampata. Le uccisioni di israeliani contro quelle palestinesi sono descritte come un “massacro” (“slaughter”) in un rapporto di 60 a 1; “carneficina” (“massacre”) in un rapporto di 125 a 2; “orribile” (horrific) in un rapporto di 36 a 4. I palestinesi non sono massacrati, ma semplicemente “uccisi” o “morti” – uso frequente della forma passiva – “dalla guerra”. Nel mese analizzato, gli israeliani sono menzionati 95.468 volte, i palestinesi 18.982, nonostante il crescente divario di uccisioni.

Guerra ai giornalisti

Una guerra mortale per i giornalisti, quasi tutti palestinesi, ma “giornalisti” compare in 9 titoli dei 1.100 analizzati e solo in 4 di questi si parla di giornalisti arabi. In tv è il portavoce dell’Idf a prendere quasi tutto lo spazio (19 giorni su 30 studiati), dove “afferma spesso (senza prove e quasi senza opposizione da parte dei giornalisti) che (…) scuole, università, luoghi di culto e abitazioni civili sono obiettivi legittimi.” Molti giornalisti convengono.

Le uccisioni di Hamas sono descritte “come strategie del gruppo”, quelle dei civili palestinesi “quasi alla stregua di errori una tantum”. Ma che questi ‘errori’ si ripetano ogni giorno, segnando una strategia, “i lettori se ne sono accorti e capisco la loro frustrazione”, riferisce un interno del Times (in anonimato, per paura di ritorsioni).

Il “promemoria” del NYT

Il 15 aprile 2024 l’Intercept, dopo aver visionato promemoria interni al Times e chat WhatsApp, svela le direttive interne su come raccontare il conflitto. E’ stata bandita la dicitura internazionale “territori occupati”; il termine “genocidio” è “da evitare” (se non in contesti strettamente legali), così come “pulizia etnica.” Non usare il termine “Palestina”, evitare “campi profughi”, se non in “casi molto rari”. Linee guida che “possono sembrare professionali e logiche se non si ha conoscenza del contesto storico del conflitto”, cioè l’occupazione, “nocciolo di tutto il conflitto”, spiega l’interno del Nyt.

Cancellare il termine “Territori occupati”, dicitura Onu e del diritto umanitario internazionale, e cancellare l’occupazione è praticamente la stessa cosa. Israele è per l’Onu “Occupying Power” (Potenza occupante), status che ha conseguenze anche giuridiche. L’occupante ha precisi doveri di tutela dell’occupato, mai rispettati. Al punto che la Corte Internazionale di Giustizia, Advisory Opinion del 9 luglio 2004, ‘avvertiva’ le agenzie di cooperazione internazionale a non sostituirsi a Israele per non oscurarne le responsabilità – e a non ‘regalargli’, di fatto, risorse.

Silenziare le voci palestinesi

“Come vengono incoraggiati i lettori americani a pensare ai palestinesi?”. Maha Nassar, Università dell’Arizona, ha vagliato 50 anni di articoli di opinione. Il racconto dei palestinesi è fatto “spesso in modi condiscendenti e persino razzisti” e per il 99% da non-palestinesi. New York Times, meno del 2% su 2.500 articoli; Washington Post, l’1%. The New Republic, su 500 articoli non una sola firma palestinese.

La libertà di stampa in Israele è gravemente limitata. Il materiale giornalistico ritenuto “sensibile” è visionato dal Censore Militare, che decide, in base a “regolamenti di emergenza” di 70 anni fa, cosa si pubblica, cosa no, cosa va cambiato: nel 2023 sono stati 623 gli articoli censurati, 2.703 le parti oscurate (+972 Magazine). Nella classifica di Reporters Without Borders, Israele è oggi al 101esimo posto, 572 i giornalisti detenuti (stragrande maggioranza arabi) e 18 gli uccisi (sui 150 Onu, RWB conta solo i casi in cui è già dimostrata l’uccisione in relazione all’attività). La sede di Al Jazeera a Tel Aviv è stata chiusa, il materiale sequestrato. Via gli ultimi testimoni da Rafah.

La simpatia oggi è per i palestinesi. Il 70-80% degli statunitensi si informa sui social media, le nuove “forze dominanti del giornalismo”, e anche se l’ordine è di “censura sistematica dei contenuti palestinesi” (Human Rights Watch), il flusso di fotografie traumatiche e video inguardabili non si ferma.

Deumanizzare i palestinesi; “avvicinare” la sofferenza israeliana per dirottare l’empatia verso l’occupante; eliminare il contesto storico – la normalizzazione del genocidio in corso è in gran parte responsabilità dei media. Per non essere complici, utilizzare la terminologia internazionale e le corrette categorie storiche – coloni/nativi – e dar voce ai palestinesi sarebbe un buon inizio, ma solo l’inizio.

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Il secondo elemento è un articolo pubblicato qualche tempo fa da un sito di Informazioen israeliano, Seventh Eye, sulla politica attiva e ampiamente finanziata da Israele per condizionare informazione opinione pubblica in Occidente.

Domenica il governo israeliano ha approvato un progetto che potrebbe stanziare fino a 100 milioni di shekel [30 milioni di dollari] per finanziare segretamente la propaganda governativa negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali. Guidata dal ministro degli Esteri Yair Lapid, l’iniziativa dovrebbe rilanciare un piano fallito affidato fino a poco tempo fa all’ormai defunto ministero degli Affari strategici, che ha chiuso i battenti nel 2021. Il piano prevede di trasferire denaro indirettamente a organizzazioni straniere che diffonderanno la propaganda israeliana nel paese. paesi in cui operano, il tutto nascondendo il fatto di essere sostenuti dal governo israeliano.

 

” העין השביעית ” שומרת על השומרים כבר 28 שנים . הצטרפו אלינו

תמכו בעין השביעית

Il progetto, inizialmente fondato con il nome “Solomon’s Sling” e ora conosciuto come “Concert”, avrebbe dovuto fungere da punta di diamante del Ministero degli Affari Strategici e cambiare il discorso globale su Israele, in particolare online. La missione di Solomon’s Sling è stata vagamente descritta come una lotta contro la “delegittimazione” dello Stato attraverso “attività di coscienza di massa”.

Nel piano originale, rivelato in una serie di indagini da parte di Seventh Eye, a Solomon’s Sling era stato assegnato un budget enorme di 256 milioni di shekel [80 milioni di dollari]. La metà di tale importo avrebbe dovuto provenire dal bilancio statale e l’altra metà da individui facoltosi e organizzazioni straniere, principalmente negli Stati Uniti.

La legge statunitense relativa alle donazioni da parte di enti statali impone loro di registrarsi come agenti stranieri, uno status che ha scoraggiato una parte significativa di potenziali donatori e partner, ostacolando quindi gravemente la raccolta fondi. L’uso di Solomon’s Sling, che è elencata come una società di pubblica utilità (PBC) ma controllata da rappresentanti del governo, ha lo scopo di dissipare queste preoccupazioni.

“L’intesa era che sarebbe stato più facile per loro apparire come una PBC piuttosto che come qualcosa dietro cui si nasconde il governo israeliano”, ha spiegato Ronen Menalis, ex direttore del Ministero degli Affari Strategici, in un dibattito alla Knesset. “Alla fine, si vede un bonifico bancario da parte di una PBC e non un bonifico bancario da parte del governo israeliano. Questa è l’idea.”

Nonostante l’utilizzo di un organismo di mediazione, i donatori non sono saliti sul carro. Di conseguenza, alle persone dietro Solomon’s Sling è stato impedito di utilizzare l’intero importo loro assegnato dal bilancio statale. Secondo dati recenti del Ministero degli Affari Esteri, Solomon’s Sling è riuscito a raccogliere solo 23 milioni di NIS [7 milioni di dollari] dei 128 milioni di NIS [40 milioni di dollari] che lo Stato ha stanziato per il progetto. Dato che solo una minoranza di “agenti” era disposta a prendere i soldi del governo per diffondere la propaganda all’estero, il progetto hasbara (propaganda sponsorizzata dallo stato israeliano) non è mai decollato.

Combattere una battaglia persa

Il principio guida dell’utilizzo della Fionda di Salomone, e in generale della dipendenza dell’industria dell’hasbara dagli enti civici per diffondere i messaggi del governo, è che l’hasbara vecchio stile non funziona più. Quando un diplomatico o un portavoce ufficiale viene messo davanti a una telecamera e gli viene chiesto di fornire agli spettatori l’elenco degli argomenti di discussione del governo, gli spettatori riconoscono quella persona come un rappresentante dell’establishment, provocando loro la disconnessione. La stessa dinamica si verifica quando i rappresentanti statali utilizzano i social media.

Nel 2015, il governo ha deciso di ricostruire il Ministero degli Affari Strategici, che era un portafoglio quasi vuoto, come un organismo versatile e innovativo che avrebbe coordinato le attività non ufficiali dell’hasbara israeliana. Sotto Gilad Erdan, ora ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite, il ministero ha costruito una rete di organizzazioni, media e attivisti che diffondevano messaggi politici per conto del governo Netanyahu e dell’establishment della sicurezza. Alcuni lo hanno fatto attingendo al bilancio del governo, altri semplicemente per allineamento ideologico.

Il denominatore comune è che, nella maggior parte dei casi, il fatto che i messaggi facciano parte di un programma governativo era nascosto al pubblico a cui si rivolgeva la propaganda: cittadini dei paesi occidentali; Israeliani ed ebrei della diaspora a cui è stato chiesto di collaborare; attivisti filo-palestinesi; influencer che hanno subito attacchi online e altro ancora.

In pratica, la campagna si è conclusa con un fallimento su molti fronti. Nel luglio 2021, dopo la formazione dell’attuale governo, il Ministero degli Affari Strategici è stato chiuso e alcune delle sue aree di attività e dei suoi dipendenti sono stati trasferiti al Ministero degli Affari Esteri. I diplomatici credevano che la fine del ministero avrebbe segnato anche la fine della Fionda di Salomone dopo che le sue risorse finanziarie si sarebbero esaurite. Tuttavia, prima della chiusura del ministero, il contratto con Solomon’s Sling è stato prorogato fino alla fine del 2021, prima che Lapid lo prorogasse nuovamente fino a metà marzo 2022.

Hasbara 2.0

Lapid ora vuole rinnovare il progetto e consentirgli di continuare a funzionare almeno fino alla fine del 2025. Secondo la proposta presentata al governo, in ciascuno dei prossimi quattro anni il progetto avrà un budget di 25 milioni di shekel [8 milioni di dollari ] — a condizione che il suo personale e i rappresentanti del ministero degli Esteri riescano a raccogliere un pari importo di finanziamenti da fonti non governative. In totale, se la raccolta fondi avrà successo, Solomon’s Sling avrà a disposizione circa 200 milioni di shekel.

In un documento distribuito ai ministri prima del voto si legge che “la prosecuzione del progetto consentirà al Ministero degli Esteri e al governo israeliano di pianificare e attuare in modo strategico e strutturato una politica di azione per contrastare il fenomeno della delegittimazione nei confronti del Stato di Israele e per costruire la legittimità civile nel mondo”.

Il documento afferma inoltre che “le attività nei prossimi anni si concentreranno sull’espansione significativa delle capacità operative esistenti nell’arena, sull’avvio e la costruzione di strumenti e aree di azione innovativi e sul miglioramento dell’efficacia delle attività e degli sforzi delle organizzazioni e degli organismi filo-israeliani”. in Israele e nel mondo”.

Il documento del Ministero degli Esteri non menziona né accenna all’innegabile fallimento della Fionda di Salomone, così come al fatto che l’uso del denaro governativo per finanziare la propaganda segreta ha suscitato aspre critiche in Israele e all’estero.

Il portavoce del Ministero degli Esteri Lior Hayat ha risposto a nome del Ministero: “Il Ministero degli Esteri intende utilizzare l’esperienza e le lezioni apprese nell’organizzazione e applicarle per migliorare la posizione di Israele collegando la società israeliana con altre società, promuovendo al contempo partenariati con la società civile in Israele. e in tutto il mondo.

“A tal fine, negli ultimi mesi è stato svolto un lavoro approfondito presso il Ministero degli Affari Esteri e sono state apportate le modifiche necessarie per il lancio del ‘Concerto’. Il Ministero degli Esteri è determinato a continuare a migliorare in modo significativo il modo in cui affronta il mondo della delegittimazione, basandosi sul lavoro svolto finora dal Ministero degli Affari Strategici, vedendo chiaramente la centralità della sfida che abbiamo di fronte e integrando gli strumenti politici con quelli del mondo della diplomazia pubblica”.

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Il terzo elemento è un post pubblicato su Instagram da Giuseppe Salomone, a cui va il nostro grazie. 

Il terrorismo di stato israeliano vuole staccare Internet e bloccare l’accesso ai social media. Questa è una roba gravissima che va fermata con ogni mezzo perché, sostanzialmente, vogliono ammazzare quanta più gente possibile e farlo senza che il mondo se ne accorga. Il problema non sono loro che portano avanti un genocidio, il problema è chi lo documenta. Capite quanto sono pericolosi, indemoniati e criminali?

The Seventh Eye, che a oggi è l’unico organo di controllo indipendente dei media israeliani, riporta che i membri della Knesset (parlamento israeliano) concederanno al Ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi il potere di bloccare internet e di eliminare le reti di social media. Potrà quindi staccare la spina dell’informazione per fare in modo che nulla più si sappia dei loro crimini di guerra.

Il tutto potrà avvenire nell’ambito della “Legge Al Jazeera” che già permette di estromettere la testata da israele. Questa era già di per sé una decisione dittatoriale e vergognosa in quanto andava a colpire chi raccontava senza filtri ciò che stava succedendo. Staccare internet e i social sarà una botta pesantissima, possiamo dire il colpo di grazia perché internet è l’unico mezzo rimasto a quella povera gente sotto le bombe per poter documentare e chiedere aiuto.

Per fare un esempio pratico e capire cosa succederà dal momento in cui staccheranno la spina a internet e ai social network per i Palestinesi: a raccontarci cosa sta succedendo rimarranno solo La Stampa, il Corriere, Repubblica la Rai eccetera eccetera riportando le veline della propaganda israeliana. Esattamente quello che hanno fatto fino a ora.

E se fino a ora sono riusciti a nascondere l’evidenza, immaginate cosa riusciranno a combinare quando l’evidenza non potrà più essere documentata nemmeno dai diretti interessati. Ecco l’ennesimo volto del male assoluto che oggi chiamano democrazia. Una democrazia dalla quale
Goebbels e Hitler non potrebbero far altro se non prendere appunti…

E a chi ci dà dei bestemmiatori quando parliamo di genocidio vorrei chiedere questo: ammazzare e pretendere di farlo senza che nessuno si azzardi a documentarlo, non è una bestemmia? Cos’è?

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11 commenti

  • Simona ha detto:

    Il ministro degli esteri cinese citato da Luca è la nostra Bibbia? Proprio i cinesi che hanno occupato il Tibet , sinesizzandone lingua, tradizioni, religione; che perseguitano gli uiguri in Cina, che avevano predisposto un esperimento sociale di controllo e di spionaggio al tempo del COVID, proprio loro devono essere citati a proposito di Gaza?

  • Simona ha detto:

    Dove spariscono i commenti pur civili? Tosatti, non può lamentarsi della censura ad esempio sui vaccini, e censurare chi scrive civilmente opinioni che non collimano con le sue. Al limite potrebbe rispondere.

  • Simona ha detto:

    Non vi auguro di subire ciò che hanno subito gli israeliani il 7 ottobre, non è da cristiani; vi auguro invece di vivere anche solo una settimana da israeliani, fatti oggetto di continui lanci di razzi che costringono la popolazione nei rifugi, ad ogni ora del giorno e della notte. Ciò passa sotto silenzio sempre, tranne quando Israele reagisce e allora viene criminalizzato. E con tutti questi razzi sai quanti bambini palestinesi si potrebbero nutrire…

  • luca ha detto:

    Lo scorso marzo il ministro degli Esteri cinese Wang Yi definì l’aggressione israeliana a Gaza una “vergogna per la civiltà”. L’occidente continua a fare finta di niente su ciò che Israele sta commettendo in Palestina, e spalanca le porte dell’inferno per tutti noi.

  • Adriana 1 ha detto:

    Si soffre più che mai la mancanza di un Giulietto Chiesa.
    Nel 2014-5 ( a proposito della crisi ucraina ) già scriveva:
    “Noi abbiamo vissuto questi 4-5 mesi- l’Italia in particolare, ma la questione riguarda tutto l’Occidente- in una situazione di falsificazione che non ha precedenti nella storia del dopoguerra. Io non ho mai visto nella mia carriera giornalistica tante menzogne, tanta mistificazione unanime, come se fosse stato dato un ordine di scuderia generale. Non c’è un giornale, salvo qualche rarissima eccezione, non c’è stata una televisione che abbia raccontato neppure la minima verità. Tutti hanno raccontato falsità, hanno taciuto…Quando la falsità raggiunge questo livello vuol dire che il pericolo è molto alto…” ( di una terza guerra mondiale, quella di cui parlerà più tardi anche Francesco definendola ” guerra a pezzi” ).
    A proposito di Gaza ( 31/07/ 2014 ) lanciava l’allarme:
    ” La fine di Gaza o la sua riduzione ad un piccolo lembo di terra è oramai una realtà concreta. ”
    Esortava ascoltatori e lettori a difendere dagli assalti dei media i loro più preziosi confini:
    quelli del proprio cervello.

  • GIUSEPPE ha detto:

    TERRIBILE!
    CHE DIO MANIFESTI LORO TUTTA LA SUA IRA!

  • Emy ha detto:

    Stillum curiae , antisemita

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