Parliamo del generale Vannacci, e della sua affermazione che i bambini con disabilità cognitive dovrebbero avere classi a loro dedicate, con programmi a loro dedicati, con strutture a loro dedicate.
Questo ha scandalizzato moltissimo.
Io non mi sono scandalizzata.
Nel 2004 ho scritto “L’ultimo elfo”. Il libro ha avuto un buon successo. Avevo scritto un libro fantasy, un tipo di letteratura dove non si parla apertamente di politica, e tenuto la bocca chiusa, per cui nessuno aveva fatto mente locale sui quali fossero in realtà le mie idee. Dato che nessuno aveva capito che non sono di sinistra, mi avevano invitato alla Fiera della Letteratura di Mantova, oggi sarebbe impensabile. Mantova è una città di una bellezza sconvolgente.
Porto nel cuore la sua grazia, le sue strade, l’acqua che la circonda, la ricchezza del Palazzo Ducale, il sensuale fascino di Palazzo Te.
Data l’eccezionale occasione, mio marito mi aveva eccezionalmente invitato all’eccezionale ristorante Il Pescatore. Porto nel cuore i loro tortelli di zucca, li ritengo un’esperienza mistica, nel senso che non è pensabile, non è possibile che i tortelli di zucca del Pescatore e un essere umano che sia in grado di percepirne la bontà siano ammassi casuali di atomi.
Quindi è una delle numerose prove che un’Intelligenza ha creato il mondo: Dio esiste. Anche la bellezza di Mantova e quella del mondo sono una delle numerose prove che Dio esiste.
Nella mia permanenza a Mantova mi aveva ospitato la Casa del Sole, e ho potuto conoscere questa straordinaria struttura.
La Casa del Sole onlus dal 1966, è una struttura che si prende cura dei bambini e ragazzi con disabilità (paralisi cerebrale infantile, autismo, ritardi cognitivi), considerando la loro disabilità come il punto di partenza per un cammino di educazione e di riabilitazione che li valorizzi pienamente come Persone. Si ispira a questo principio anche l’intervento a favore dei disabili adulti, in una visione dinamica della persona per la quale è possibile attuare un cammino di Educazione Permanente. “L’opera educativa è tale solo se si rivolge alla persona nella sua globalità, aspetto neuropsicologico, affettivo e spirituale“: questa intuizione della fondatrice della Casa del Sole, Vittorina Gementi (Mantova, 1931-1989), è alla base del Trattamento Pedagogico Globale, metodologia a cui si ispira ogni intervento realizzato alla Casa del Sole.
La Casa del Sole è una struttura creata con una villa lasciata da Vittorina Gementi, che ha lasciato anche il denaro sufficiente perché questa realtà sia possibile. Qui vengono assistiti i bambini disabili di Mantova e Verona, qui hanno strutture a loro dedicati, programmi a loro dedicati. Al mattino parte un pulmino che raccoglie i bambini che vengono divisi in classe sia in base all’età ma anche in base alla disabilità. In queste classi tutti sono concentrati su di loro. Il posto è splendido. Ci sono giardini, serre dove i bambini imparano il giardinaggio, cucine dove apprendono i rudimenti della cucina. Ci sono i cavalli, per la pet therapy, c’è il teatro per continue rappresentazioni. Soprattutto i programmi sono a misura del bambino con disabilità.
La prima necessità, fondamentale, è l’autonomia. Il bambino deve essere autonomo dal punto di vista della sua persona, deve essere in grado di vestirsi, lavarsi, svestirsi. Poi si ha l’autonomia dei suoi spazi, quindi il bambino apprende a rifare il letto e tenere in ordine i suoi oggetti e i suoi abiti. Poi si ha l’autonomia alimentare: apparecchiare, sparecchiare, preparare da mangiare. Nel momento in cui una persona sa fare queste tre cose, è in grado di gestire la propria vita.
Per insegnare a leggere e scrivere e tutte le altre competenze cognitive ci sono programmi dedicati a loro. Al di fuori di questa realtà, noi teniamo i bambini con disabilità buttati nelle classi normali.
Questo permette di non impegnarsi ad avere locali e programmi per loro. Il bambino con disabilità è buttato, insisto con questo vocabolo, in una realtà dove lo si costringe a confrontarsi con la sua disabilità e quindi la sua inadeguatezza ogni singolo istante. Nella fantastica ipotesi che nessun bambino della classe lo aggredisca mai con un insulto o anche solo un gesto di impazienza, il bambino si rende conto ogni istante che lui non sa fare cose che gli altri fanno.
L’incapacità a creare spazi e programmi per i bambini con disabilità è descritta come la volontà di non discriminarli. In realtà questi bambini sono discriminati, ogni istante, anche nell’ipotesi non molto verosimile che nessun altro bambino li disprezzi e li tratti male, magari quando è nervoso, può capitare. Un bambino di otto anni certo non ha fatto il corso di psicologia avanzata. Il disagio i bambini con disabilità lo percepiscono nell’aria, perché è insito nel fatto che gli altri fanno cose che loro non sono in grado di fare. Sprecano parcheggiati in classi inadatte tempo prezioso che non viene usato a apprendere l’autonomia, i gesti e le competenze che potrebbero renderli autosufficienti. Vengono continuamente confrontati alla loro disabilità e alla loro incapacità a fare.
Tutto questo non riesce a essere compensato dall’insegnante di sostegno, sempre che questo insegnante ci sia.
Quindi il generale Vannacci ha detto una cosa che non bisogna assolutamente dire, e cioè che è necessario dedicare spazi e risorse a questi bambini, per riuscire a sviluppare al massimo le loro potenzialità.
Ci vogliono volontà, preparazione, denaro e strutture. Meglio tirare fuori la parola inclusione e lasciare i bambini con disabilità allo sbaraglio parcheggiati in una classe inadatta a loro.
Il denaro che avrebbe dovuto essere investito per creare strutture a loro adatte che permettano loro una vita autonoma è stato saggiamente investito per importare energumeni in fuga da impalpabili carestie che vivacizzano le nostre notti, ma anche i nostri giorni, sono stati investiti in banchi a rotelle che come hanno intuito i nostri incredibili esperti fermano una infezione virale, sono stati investiti in mascherine che favoriscono vari tipi di malattie e in cosiddetti vaccini inefficaci e pericolosi. È bastato inventare la parola inclusone e tutto si è risolto. Il genitore del bambino con disabilità si arrangia da solo per portare il suo bambino a scuola, e il suo bambino si arrangia lui a essere confrontato ogni istante con qualcosa per cui si sente inadeguato. Molti bambini con disabilità sono stati costretti al cosiddetto vaccino covid per loro particolarmente pericoloso per poter accedere alle poche cure. Porto nel cuore La Casa del Sole, i suoi bambini, i suoi insegnanti, i suoi cavalli, la sua vita spumeggiante di diversità e coraggio.
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L’inserimento dei disabili di ogni tipo nelle classi di alunni normali e’ la conseguenza dell’ideologia che afferma essere doveroso dare a tutti uguali diritti cioe’ uguali possibilita’ non tenendo conto delle necessita’ di ciascuno. Hanno ragione entrambi : don Ettore Barbieri e il nostro amato ingegnere.
Se vogliamo scendere nei dettagli sto pensando a quella fanciulla normodotata che pero’ àveva un viso normale su un corpo piçcolo , rattrappito direi. ANDAVa a scuola (liceo scientifico) in carrozzina. C’era un baldo giovane , allievo dello stesso istituto che sollevava la carrozzina per i sei scalini esistenti tra il piano stradale e la porta dell’ascensore. E spingeva la carrozzina fino in classe. In quel caso era evidente che l’inserimento era cosa giusta . Era pero’ necessario un bidello sufficientemente robusto per tutte le necessita’ corporali.
Ma la dottoressa de Mari sta parlando di altri tipi di handicap.
Anch’io sono d’accordo con Silvana, mi ha fatto capire come dovrebbero essere veramente aiutati bambini e ragazzi con difficoltà.
Aggiungerei che bisognerebbe tornare anche alla classi separate per ragazzi e ragazze, fino alle scuole superiori. Purtroppo la moda dannosissima delle classi miste è entrata come un chiodo nel cervello di molti e non gliela togli più. Maledette mode!
Addirittura
I problemi della pubertà sono tanti e c’è diversità tra quelli dei maschi e quelli delle femmine. In classi miste, per rispetto alla sensibilità delle femmine, non si parla di quelli dei maschi e viceversa per rispetto alla sensibilità dei maschi non si parla di quelli delle femmine. Così alla fine non si parla chiaro nè agli uni nè alle altre. Per lo meno questo è ciò che accadeva in passato. Oggi… non so. L’argomento però non è così fuori luogo come a prima vista sembrerebbe.
Mi pare che la maturazione (o crescita) psichica (ed anche cognitiva e sessuale) delle femmine avviene uno o due anni prima che quella dei maschi. Quindi mettere insieme nelle scuole maschi e femmine è stato – per esempio – come mettere in una classe di prima elementare maschile, bambini di sei anni insieme a bambini di sette anni o di otto anni. Una tragedia (per i primi). Soprattutto a quell’età, la differenza di un anno ha un significato enorme per lo sviluppo dell’individuo; poi, certo, c’è chi matura prima e chi dopo, ma questo non si può sapere e le regole dovrebbero far riferimento a ciò che oggettivamente appare come una norma di natura.
Certo, può capitare, per motivi particolari, che in una classe di seienni (Prima Elementare… se è ancora così… visto che cambia tutto) capiti qualche bambino di età superiore, ma non è una regola, e in ogni modo questi casi sono considerati eccezioni.
Non è una moda, è ideologia. Dilagante dagli anni 60..
Dp 40 nella scuola pubblica, condivido ogni singola parola della dr.De Mari.
Istituzioni scolastiche ipocrite,i bambini disabili portano posti di lavoro e finanziamenti.I genitori scambiano la scuola per un centro di riabilitazione.
Un tempo lontano esistevano le scuole speciali. Scuole speciali che sono state chiuse. I disabili sono stati inseriti nelle classi normali. Ma ne’ i ragazzi ,ne’ i genitori si sono rallegrati di avere il disabile in classe. Atti di stizza nei confronti dei disabili. A volta anche aggressioni fisiche non viste ne’ dagli insegnanti ne’ dal preside.
Non parliamo poi degli insegnanti di sostegno. Alcuni ottimi e ben preparati ma costretti dalle folli circolari ministeriali e dalla malizia di qualche preside (ben intenzionato ad affidare il disabile a qualche incompetente raccomandato ) a cambiare scuola ogni anno , mentre il disabile non capiva l’avvicendamento di volti nuovi ogni anno. Meglio di certo una struttura come la casa del sole.
Lei non mi sembra molto informato. Ho una sorella insegnante in una scuola media in cui l’inclusione dei ragazzi disabili funziona e dà frutti riconosciuti dalle famiglie di tutti gli alunni (non solo dai genitori dei ragazzi con problemi). Infatti, nonostante la denatalità che penalizza altre scuole, in quella di cui parlo, che ha fatto dell’inclusione uno dei suoi elementi fondanti (altri sono: l’insegnamento della musica, con orario anche pomeridiano; percorsi personalizzati di informatica; possibilità di conseguire certificazioni linguistiche in inglese e spagnolo, con borse di studio per brevi periodi all’estero), le iscrizioni di alunni provenienti da altre zone della città sono aumentate, nonostante si trovi in un quartiere che è una delle principali piazze di spaccio di Roma, con un livello di abbandono scolastico superiore alla media nazionale. Questo esito positivo è dovuto ad una serie di fattori, non ultimo la capacità di individuare possibili finanziamenti esterni che hanno consentito la creazione di spazi dedicati ad attività alternative per i ragazzi che riescono a stare in classe per tempi limitati. C’è stato un alunno autistico (devo qui informare che la maggior parte delle forme di autismo non implicano alcuna deficienza cognitiva, anzi: spesso si accompagnano a notevoli capacità, ad esempio matematiche) che seguiva regolarmente le lezioni e che poi ha potuto continuare a studiare laureandosi e divenendo autore di libri sulla sua esperienza. Alcuni suoi compagni di classe, provenienti da famiglie economicamente e culturalmente disagiate, conseguita la terza media, invece di iscriversi (come spesso avviene in questi casi) a corsi regionali di cuoco o parrucchiera) hanno tratto da questo contatto quotidiano un arricchimento personale che li ha spinti ad intraprendere percorsi di studio nel campo della pedagogia e della cura. Un altro ragazzo disabile ha avuto la possibilità di entrare a far parte di una banda musicale che si esibisce in tutto il mondo.
Il problema di molti di questi ragazzi (che nel caso in questione vengono “trattenuti, mediante bocciature” nella scuola fino al limite dell’obbligo scolastico, cioè 16 anni) è il vuoto che c’è dopo, cioè l’assenza di strutture come quella di cui parla De Mari che possano farsene carico e sostenerli nella ricerca di possibili percorsi lavorativi (ad esempio cooperative). Ho visto un’insegnante di sostegno (alla quale viene affidato anche il compito di aiutare le famiglie ad individuare percorsi di autonomia dopo il conseguimento dell’obbligo scolastico) di un ragazzo gravemente schizofrenico piangere disperata per non aver trovato una struttura in grado di accoglierlo dopo la terza media, anche considerando che la famiglia di questo alunno era costituita da una madre prostituta, un nonno non autosufficiente ed un altro figlio menomato per via di un incidente in un cantiere dove lavorava al nero.
Analogo vuoto è quello delle Asl, che “dismettono” i ragazzi che necessitano di assistenza al compimento di 12 anni. Sono a conoscenza del fatto che per l’intero settore di Roma Est (che ha più abitanti di una città medio-piccola) c’è un’unica dottoressa che si occupa di questi ragazzi. Secondo la legge vigente, quest’unica neuro-psichiatra dovrebbe partecipare ad almeno tre incontri all’anno con insegnanti e genitori.
Quanto agli insegnanti di sostegno, la informo che la scuola costituisce uno degli ultimi spazi in cui la raccomandazione non è possibile, essendo l’accesso all’insegnamento basato su graduatorie ministeriali per titoli ed anni di servizio e per di più informatizzate.
La informo anche che gli alunni cosiddetti “plusdotati” ormai da diversi anni hanno diritto a percorsi differenziati ed insegnante di sostegno.
Non so dire se questa realtà che conosco e che seguo da anni sia un caso isolato (ma non credo, perché so che fa parte di una rete nazionale di scuole con le quali condividere metodi ed approcci). Certamente ci saranno anche esempi negativi, dovuti, a mio modesto avviso, sia alla progressiva riduzione del finanziamento pubblico sia alla pigrizia e la scarsa passione nello svolgere il proprio lavoro, che ormai non si limita soltanto alla trasmissione di conoscenza, ma richiede una capacità di interagire con istituzioni ed associazioni esterne (competenza, questa, non garantita da una laurea in lettere o matematica, ma da acquisire giorno per giorno “sul campo” grazie alla sola volontà di migliorarsi). Ad esempio, la collaborazione con la vicina parrocchia consente una forma inedita di sospensione dei ragazzi “riottosi”, obbligati a “prestare servizio” supportando il parroco nell’assistenza ad anziani e malati in alternativa a costringerli a casa, cioè in mezzo alla strada (viste le caratteristiche del quartiere).
“Io per esempio ho una sorella…..” non è un argomento generalizzabile. Può essere una bellissima eccezione, in un panorama desolante, come potrebbe essere un caso particolare di una generalità esaltante. Dico questo non per criticare ma per dare uno stimolo alla riflessione. Saluti.
Parlo di una situazione che conosco ed ho anche detto che esistono reti nazionali per la condivisione di metodi ed approcci. Una volta conosciuta questa realtà attraverso mia sorella, ho partecipato ad incontri e seminari sull’argomento. Di recente so che ce ne è stato uno a Firenze.
BELLA COSA. Ma questi incontri e seminari oltre alla presa di coscienza dei problemi da parte dei partecipanti, hanno prodotto qualche risultato ?
Certo. Tanto per cominciare le diverse scuole afferenti alla rete (un centinaio, ma di reti se ne sono formate molte) hanno imparato a come partecipare ai numerosi bandi di finanziamento, europei ma anche di privati, per la realizzazione di spazi dedicati (forse non lo sa, ma le scuole ormai sono centri di spesa proprio come i comuni, solo che gestiscono una miseria e non hanno personale formato per scrivere bandi per reclutare personale esterno – è su questo tipo di attività, su cui ho una certa esperienza, che ho dato una mano, perché nessuno lo sapeva fare), il reclutamento di specifiche professionalità (psicologi e mediatori culturali, anche per le famiglie; insegnanti di musica o di informatica). Alle reti nazionali partecipano anche atenei (facoltà di psicologia, pedagogia, ma anche architettura e ingegneria) che si occupano della valutazione ex ante ed ex post dei vari progetti ed hanno la possibilità di portare avanti specifiche ricerche (ad esempio sulla sindrome ADHD, con ragazzini con QI superiore alla norma ma con difficoltà a gestire l’apparato motorio), avendo a disposizione grandi numeri di studenti.
La scuola italiana si regge sulla buona volontà, talvolta eroica, di insegnanti malpagati. Ben vengano le iniziative come quella della De Mari, ma bisogna considerare che la gamma delle disabilità è molto ampia e diversificata. Inoltre, anche per questioni di tipo legale, trattandosi di minori, il numero limitato di iniziative di questo tipo, a fronte di fenomeni ormai di massa come la difficoltà nello scrivere in corsivo, si scontra con la progressiva riduzione di finanziamenti di cui soffre anche la scuola. Un Paese che riduce i finanziamenti per le future generazioni è destinato al declino e da troppi anni la scuola viene vista (da tutti!!!) soltanto come bacino di voti.
La questione è ancora più preoccupante in relazione al fenomeno migratorio, dove la scuola dell’obbligo è un indispensabile fattore di integrazione (ed il bisogno di omologazione degli adolescenti fa miracoli!!). L’alternativa è la scuola coranica, ma mi sembra una soluzione masochistica anche in termini di sicurezza.
Mi creda, i problemi che può comportare un disabile in una classe sono dovuti alla pigrizia di chi scambia questo importantissimo lavoro per un parcheggio in attesa della pensione. Tra l’altro, la legge consente, a seconda del tipo di disabilità, anche la possibilità di ridurre l’orario scolastico dei ragazzi più problematici.
Il tema è quello della formazione continua degli insegnanti. In un mondo in trasformazione la pigrizia è un problema.
10 e lode., al generale V. E alla dottoressa Silvana D.M.
Ormai l’ovvio è la nostra quotidiana battaglia.
Lodevole articolo di Silvana De Mari che ha parlato di bambini disabili, alle superiori gli adolescenti disabili vengono parcheggiati e anche se aiutati dall’insegnante di sostegno, se hanno una grave disabilità non riescono ad interagire minimamente con materie impegnative come chimica, fisica, matematica per citarne alcune, che sono comunque impegnative per i normodotati, per cui in classe si possono verificare situazioni di disagio per gli uni e per gli altri.
Gli insegnanti delle scuole medie sono obbligati ad indirizzare tutti gli alunni verso un percorso di studi compatibile con le proprie capacità. Se poi le famiglie non seguono questi indirizzi…
Al di là della problematica se istituire o meno classi e corsi per persone con disabilità cognitiva, da quanto ho appreso , il generale Vannacci non avrebbe toccato questo problema, ma quello di istituire corsi che vengano incontro a soggetti “sovradotati” , per dir così. Un tale sistema sarebbe presente, a detta del generale, in Danimarca e altre nazioni poste più a nord. Mi chiedo se non si stia abbaiando alla luna.
Secondo la legge vigente, i ragazzi cosiddetti “plusdotati” hanno già da diversi anni diritto a percorsi personalizzati e anche all’insegnante di sostegno. Sono però le famiglie a dover fare richiesta, avviando le procedure presso le asl competenti.
“Se” è una piccola parola, ma quando ragioniamo di noi e dei nostri simili il discorso si fa pieno di se. Se la gente capisse, se la gente ragionasse, se la gente studiasse quanti di questi articoli diventerebbero inutili. Sembra impossibile che alla gente si debbano spiegare, trovando anche delle opposizioni per di più, le cose chiare ed evidenti che la dottoressa espone nel suo articolo. Che gli uomini siano uguali per diritti e dignità è moralmente corretto, ma l’uguaglianza finisce lì. C’è chi nasce ricco e chi nasce povero, chi nasce bello e chi nasce storpio o brutto o deforme, c’è chi nasce intelligentissimo e chi nasce con un piccolo cervello….. E allora l’uguaglianza di diritti non si manifesta trattando tutti allo stesso modo, ma, al contrario, trattando ognuno secondo le proprie necessità. Pertanto anch’io dò ragione alla dottoressa che dà ragione a Vannacci sperando che siano in molti a dare ragione a me.