Fuga dei Giovani dalla Chiesa, Disastro Bergogliano. Non Avrai Altro Lombrico al di Fuori di Me. Mastro Titta.
23 Aprile 2024
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il nostro Mastro Titta offre alla vostra attenzione queste riflessioni su un fenomeno evidente e preoccupante. Personalmente penso che una delle ragioni di ciò la si possa trovare nell’articolo che Stilum Curiae ha pubblicato ieri. Buona lettura e condivisione.
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MASTRO TITTA: NON FATEVI RUBARE I SOGNI. LA FUGA DEI GIOVANI DALLA REALTÀ E DALLA CHIESA
Nella prima parte di un podcast curato da Avvenire, l’ex presidente dell’AC Paola Bignardi presenta gli esiti di una ricerca dell’Istituto Toniolo sui giovani che abbandonano la Chiesa. Potrei opinare a lungo sul metodo demoscopico date le mie scorribande in politica, ma preferisco prendere il dato come oro colato.
Dato che si presenta così: su una media ponderata femmine-maschi, il 45% del totale dei giovani 18-30 è sparito in camporella nel sottobosco spirituale delle fedi customizzate. Perché, come acutamente puntualizza Bignardi, l’abbandono della Chiesa non coincide con l’abbandono della fede, anzi. Il fatto è che lasciano un’istituzione che non rappresenta più “il modo in cui loro vorrebbero credere”, non rispondendo più alla “loro domanda di senso” alla ricerca di “una spiritualità senza Dio” sostituita da “un viaggio alla ricerca di se stessi” il che, ammette Bignardi, “per noi è spiazzante”. E perché mai “senza Dio”? Boh.
Se la ricerca curata dalla Bignardi è accurata, bisogna concludere che nemmeno il PD con le sue campagne sui nuovi diritti intersezionali ha subito un tracollo altrettanto disastroso. Ma il dato più significativo è il periodo considerato nella ricerca: 2013-2023. L’intero arco del pontificato bergogliano nella sua geometrica bodenza di fuogo. Nel 2013, i giovani credenti erano il 58% del totale, oggi il 33%. Mi fermo a queste premesse, lasciando all’ardito lettore l’incombenza di ascoltare la prima parte del podcast, e possibilmente la seconda.
Mi limito ad osservare che, vivendo al decimo piano della Casa Comune aperta a tutti, tutti, tutti (non sfugga la sovrapposizione surrettizia che Bergoglio opera fra la Chiesa in uscita e la Casa Comune da salvare), ci sono tre modi per uscirne: prendere l’ascensore, prendere le scale, lanciarsi dal balcone. A quanto pare, i giovani hanno optato per il volo dal terrazzino.
Il fenomeno era già noto ed accuratamente vivisezionato dalla sociologia d’accatto. Bergoglio, con i suoi inviti ripetuti ai giovani a non farsi “rubare i sogni” – mi riesce difficile postulare una formula più acattolica di questa – ha impresso un’accelerazione furibonda al fenomeno.
D’altra parte un giovane che spenda la vita alla ricerca del sé potrebbe scoprire di essere una giovane, e Bergoglio è andato a preparare un posto per lei che era un lui ma adesso è una lei. Posto che, ahinoi, il liquido giovinastro trans-esitante non sembra intenzionato ad occupare.
Lo scopo della vita può essere salvare “insetti e piccoli vermi” biodiversi come nella Laudato Sii? Certo che può, ma a quanto pare il nuovo comandamento, non avrai altro lombrico al di fuori di me, non sembra acchiappare più di tanto.
Il fatto è che la Chiesa per prima ha smarrito l’idea di se stessa come “civiltà cattolica”. Per millenni, la Chiesa non ha incarnato soltanto un’istituzione religiosa, ma una civiltà. Adesso, si è persa inseguendo mille rivoli piovani che terminano nelle fogne. È una Chiesa abbarbicata alla parole – la forma – che ne ha smarrito il significato – la sostanza.
Cos’è una civiltà? In una parola, è appartenenza. Cos’è una civiltà cattolica? È appartenenza ad un destino eterno divinamente stabilito, che in qualche misura cancella le sorti del piccolo sé che ognuno di noi è, con le sue disgrazie e i suoi ridicoli successi, consegnandolo ad una dimensione ultraterrena.
Il soliloquio lisergico bergogliano è la manifestazione più cinica e compiuta di questo dilapidarsi di civiltà. L’ultima parola ereditata da questo regno declinante è che non c’è nulla da dire all’uomo. La realtà è irrilevante, la realtà di Cristo una favola patetica. Gli schiavi nella caverna intenti ad osservare ombre sulla parete sono crollati in letargo, vinti dalla noia dell’alternativa alla luce.
In un periodo della mia giovinezza particolarmente oscuro e doloroso, mi ritrovai su un treno stipato di carname, al punto da dovermi rifugiare nella toilette maleodorante, in piedi sulla tazza e puntellandomi contro le pareti per un paio d’ore abbondanti. Una situazione al crocevia fra il comico, il grottesco e il tragico che giungeva a coronamento di una serie impressionante di sfighe e cecità spirituale.
Eppure, in quel momento fui colto da una lancinante consapevolezza. “Signore, io sono nulla. Per ragioni che solo Tu conosci, io devo passare da qui. Allora passerò da questo buco, perché solo per Te sono qualcosa”. E fu tutto: ho semplicemente continuato il viaggio conoscendo ed appassionandomi ad altro fuori da me, più che indagando i miei liquami interiori riflessi alla perfezione in quella realtà scabra.
La realtà è il cesso fetente di un treno nel quale la vita ti spinge anche se hai pagato un biglietto di seconda classe e fatto del tuo meglio per andare dove devi andare. Il fatto è che ci devi andare, in un modo o nell’altro.
Tutti noi dobbiamo passare da questo buco, giovani e meno giovani. Poi c’è chi ci rimane, appagato dalla fragranza di pino mugo che promana dalla cloaca. Amen.
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Tag: bergoglio, fuga, giovani, titta
Categoria: Generale
Chi è bergoglio ? E’ la nullità che è. L’ errore fatto uomo che -di passaggio- in Vaticano sarà ricordato come un flagello. Al contrario di Dio che vive e regnerà -semper semper semper-
Brava condivido
Ormai ho una certa età… Non mi sento vecchio e non sono più giovane. Osservo chi è più giovane cercando di capire quel che vede diversamente da me.
La differenza sta nel filtro con cui guardo la loro stessa visuale lasciando passare selettivamente la luce ad una lunghezza d’onda e una gamma di colore; così lascio passare completamente il colore del filtro e blocco i colori ad esso complementari (quelli che mescolati danno il grigio).
Guardiamo la chiesa, questa chiesa nelle sue espressioni popolari (quindi non di nicchia): parrocchia e oratorio.
Un giovane entra e vede tanti anziani. Vede le catechiste (i catechisti sono rari), rare suore e rari preti. Poi vede i volontari, quelli che attendono alla routine. Vedono una discreta organizzazione (dove c’è), vedono persone che encomiabilmente si dedicano a un compito, sentono tante parole d’ordine (accoglienza, gioia, amore, solidarietà, servizio…), sentono anche tante chiacchiere (nelle riunioni o parlando del più e del meno), ma rarissimamente si accorgono di una devozione vissuta, di un raccoglimento, di un sostare in adorazione di Dio e non solo del compito che ci si è presi o ci si è dati, fino ad idolatrarlo, per sentirsi utili e fare qualcosa di utile.
Quello che non sentiranno quasi mai è di approfondire una relazione vera e intima, con Dio, Gesù, la Madonna, i santi o gli angeli, tutti derubricati nelle priorità rispetto al consiglio pastorale, la gita, la festa della famiglia, del migrante o della comunità (non si dice nemmeno più della Madonna, perché ci festeggiamo noi).
Anzi: sentiranno qualcuno dei “grandi” (e dei preti, nelle loro omelie fantasmagoriche) che dice loro che è sciocco ripetere il rosario, o fare un digiuno… Vecchi fronzoli ormai superati, roba da rigidi, da gente ancorata alla fetida e malefica tradizione, che non è in uscita, verso il mondo… Noi sì che adesso abbiamo capito tutto, questa è la chiesa vera di papafrancesco, il nostro papafrancesco…
Un giovane non ha quasi mai (lo Spirito Santo riesce ancora in qualcuno a realizzare sorprendenti miracoli) il filtro che mi permette ancora, in questo contesto, di avere al primo posto del mio starci, amando la Chiesa, il desiderio di eternità, di salvare l’anima, di comunione con Dio, di santità, di carità che rende gioiosa anche l’esperienza della croce e sopportabili il fallimento, la fatica e l’esclusione patite invariabilmente da chi è nel mondo ma non del mondo.
Allora c’è da chiederci quali siano i fondamenti che mancano oggi, soprattutto dopo dieci e passa anni di catechesi bergogliana. Non che prima fosse tutto rose e fiori, ma almeno l’orientamento generale era verso Dio. Adesso nemmeno quello: non si dice il centrare il bersaglio, ma proprio dove si mira.
Quali sono i fondamenti principali della fede cristiana? Che cosa diciamo nel Credo? Sono due. Solo due! E non li conosciamo, parlando di tutto tranne questo: l’Unità e Trinità di Dio; l’Incarnazione, Passione e Morte del Nostro Signore Gesù Cristo.
Non c’è la resurrezione! Non perché non sia importante, ma perché viene dopo, segno della verità di Cristo, che è morto in croce per redimerci. La verità fondamentale è nel segno della croce, per cui la messa, che ci mette in cammino in questa vita verso l’eternità, è un sacrificio.
Quel sacrificio lì, che dà senso anche alla croce. Non esiste una gioia irenica e un po’ ebete, senza questa sapienza. Si è beati anche da afflitti perché si è dentro un umile esperienza fatta di persecuzione e di timor di Dio, non di successi mondani o di ridicole pretese di riscrivere il cristianesimo in modo da snaturarlo rendendolo futile.
Privi di quei filtri, i giovani vedono tanto grigiore.
Così tanto grigio che quasi tutti se ne vanno.
Ma la luce che perdono è innegabilmente splendida e splendente, se non fosse coperta, sepolta, sotto carriolate di ciarpame ecclesiale.
Complimenti R. S. gran bella Omelia, molto profonda.
Gentile R.S., apprezzo la sua analisi lucida e pacata, che descrive una situazione reale ed induce ad un pessimismo che mi rattrista. Desidero, quindi, farle un regalo, realisticamente sottolineando, però, che, Bergoglio o non Bergoglio, sono le caratteristiche personali a fare la differenza (e, si noti, si tratta di un’ordinazione in età “matura”). Aspetto un suo commento.
Il nuovo prete dell’Ars de la Marsiglia agnostica moltiplica i fedeli in un quartiere islamico.
Ha rivoluzionato la chiesa francese: ha preso una parrocchia del centro di Marsiglia che doveva essere chiusa e ora continua a battezzare gli adulti.
“Portare quante più anime possibili a Dio”. Padre Michel Marie Zanotti Sorkine ha preso questa frase molto a cuore ed è diventato il suo obiettivo principale come prete.
Così sta facendo dopo aver trasformato una chiesa che doveva essere chiusa e demolita nella parrocchia più viva di Marsiglia. Il suo merito è ancora più grande quando il tempio è situato in un quartiere con un’enorme presenza di musulmani in una città dove meno dell’1% della popolazione è cattolica praticante.
Era stato un musicista di successo
La chiave per questo sacerdote che in precedenza era stato musicista di successo in una moltitudine di cabaret di Parigi e Montecarlo è la “presenza”, rendere Dio presente nel mondo di oggi. Le porte della sua chiesa sono tutto il giorno in pari e si vestono da tonaca perché “tutti, cristiani o no, hanno il diritto di vedere un prete fuori dalla chiesa”.
Da 50 parrocchiani a Messa a 700
Il suo equilibrio è travolgente. Quando arrivò nel 2004 nella parrocchia di St. Vincent de Paul nel centro di Marsiglia, la chiesa rimaneva chiusa durante la settimana e l’unica messa domenicale si celebrava nella cripta in cui si frequentavano appena 50 persone.
Mentre lui stesso racconta la prima cosa che ha fatto è stata aprire il tempio tutti i giorni e festeggiare sull’altare maggiore. Ora la chiesa rimane aperta quasi tutto il giorno e servono sedie aggiuntive per ospitare i fedeli. Più di 700 ogni domenica, più anche durante le grandi feste. Quasi 200 adulti sono stati battezzati da quando è arrivato, 34 nell’ultima Pasqua. È diventato un fenomeno di massa non solo a Marsiglia ma in tutta la Francia, con reportage di media provenienti da tutto il paese attratti dal numero di conversioni.
Il nuovo prete dell’Ars nella Marsiglia agnostica
Una delle iniziative principali di Padre Zanotti Sorkine per rivitalizzare la fede della parrocchia e ottenere tale afflusso di persone di ogni età e condizione sociale è la confessione. Prima dell’apertura del tempio alle 8 del mattino c’è già gente che aspetta alla porta per poter andare a questo sacramento o per chiedere consiglio a questo sacerdote francese.
Come raccontano i suoi parrocchiani, Padre Michel Marie è in confessionale buona parte della giornata, molte volte fino a dopo le 11 di sera. E se non c’è, lo ritrovi sempre a vagare per i suoi corridoi o in sacrestia sapendo la necessità che i sacerdoti siano sempre visibili e vicini per uscire in aiuto di chiunque ne abbia bisogno.
Chiesa sempre aperta
Un altro dei suoi segni di identità più caratteristiche è quello di avere il tempio permanentemente aperto. Questo gli ha generato critiche da parte dei sacerdoti della sua diocesi, ma egli afferma che la missione della parrocchia è “permettere e facilitare l’incontro dell’uomo con Dio” e il prete non può essere un impedimento a questo.
Il tempio deve favorire il legame con Dio
In un’intervista televisiva ho affermato convinto che “se oggi la chiesa non è aperta è che in un certo modo non abbiamo nulla da proporre, che tutto ciò che offriamo è finito. Mentre in questo caso la chiesa è aperta tutto il giorno, c’è gente che viene, praticamente non abbiamo mai avuto furti, c’è gente che prega e vi garantisco che questa chiesa si trasforma in uno strumento straordinario che favorisce l’incontro tra l’anima e Dio”.
Era l’ultima possibilità per salvare la parrocchia
Il vescovo ha mandato questa parrocchia come ultima possibilità di salvarla e gli ha dato retta quando gli ha detto di aprire le porte. “Ci sono cinque porte sempre aperte e così tutti possono vedere la bellezza della casa di Dio”. 90.000 automobili e migliaia di viaggiatori e turisti incontrano la chiesa aperta e i sacerdoti in vista. Questo è il suo metodo: la presenza di Dio e della sua gente nel mondo secolarizzato.
L’importanza della liturgia e della pulizia
Ed ecco un altro punto chiave per questo prete. Appena arrivato e con l’aiuto di un gruppo di laici ha rinnovato la parrocchia, l’ha pulita e lasciata splendente. Per lui questo è un altro motivo per cui le persone scelgono di tornare in chiesa. “Come vuole che si creda che Cristo vive in un luogo se tutto non è impeccabile, è impossibile”.
Per questo le tovaglie dell’altare e del Sacrario hanno un bianco immacolato. “È il dettaglio che fa la differenza. Con il lavoro ben fatto ci rendiamo conto dell’amore che manifestiamo agli esseri e alle cose”. In maniera decisiva afferma che “credo che quando si penetra in una chiesa dove tutto non è impeccabile è impossibile credere nella gloriosa presenza di Gesù”.
La liturgia diventa il punto centrale del suo ministero e molte persone sono state attirate in questa chiesa dalla ricchezza dell’Eucaristia. “Questa è la bellezza che conduce a Dio”, afferma.
Le messe sono sempre piene e in esse ci sono processioni solenni, incenso, canti curati… Tutto fatto nei dettagli. “Concedo un trattamento speciale alla celebrazione della Messa per mostrare il significato del sacrificio eucaristico e la realtà della Presenza”. “La vita spirituale non è concepita senza l’adorazione del Santissimo Sacramento e senza un ardente amore per Maria” così ha introdotto l’adorazione e la preghiera quotidiana del Rosario guidati da studenti e giovani.
Anche i suoi sermoni sono i più attesi e persino i suoi parrocchiani li pubblicano su internet. In loro chiama sempre la conversione, per la salvezza dell’uomo. Secondo loro, la mancanza di questo messaggio nella Chiesa di oggi “è forse una delle cause principali dell’indifferenza religiosa che viviamo nel mondo contemporaneo”. Prima di tutto chiarezza nel messaggio evangelico. Per questo avverte la frase così manida che “andremo tutti in cielo”. Questa è per lui “un’altra canzone che può ingannarci” perché bisogna lottare, a cominciare dal sacerdote, per arrivare in Paradiso.
Il prete della tonaca
Se c’è qualcosa che distingue questo alto sacerdote in un quartiere a maggioranza musulmana è la sua tonaca, che porta sempre, e il rosario tra le mani. Per lui è fondamentale che il prete possa essere distinto tra le persone. “Tutti gli uomini, a cominciare da uno che varca la soglia della chiesa, hanno il diritto di riunirsi con un sacerdote. Il servizio che offriamo è così essenziale per la salvezza che la nostra visione deve essere resa tangibile ed efficace per consentire questo incontro”.
Così per Padre Michel il sacerdote lo è 24 ore al giorno. “Il servizio deve essere permanente. Cosa pensereste di un marito che mentre si dirige verso il suo ufficio la mattina si toglierà la fede? ”.
In questo senso è molto insistente: “Quanto a coloro che dicono che l’abitudine crea una distanza è che non conoscono il cuore dei poveri per i quali ciò che si vede dice più di quanto si dice”.
Infine ricorda un dettaglio importante. I regimi comunisti la prima cosa che facevano era eliminare l’abitudine ecclesiastica sapendo dell’importanza della comunicazione della fede. “Questo merita l’attenzione della Chiesa di Francia”, afferma.
Tuttavia, la sua missione non la svolge solo all’interno del tempio, ma è un personaggio conosciuto in tutto il quartiere, anche dai musulmani. Fa colazione nei caffè del quartiere, lì parla e incontra i fedeli e persone non praticanti. Lui la chiama, la sua piccola cappella. Così è riuscito a far sì che molti vicini siano ormai assidui della parrocchia e hanno trasformato questa chiesa di San Vincent de Paul in una parrocchia completamente resuscitata.
Una vita particolare: cantante di cabaret
La vita di padre Michel Marie è sempre stata in movimento. Nato nel 1959 e ha origini russe, italiane e corsi. A 13 anni ha perso sua madre e le ha causato una “rottura devastante” che lo ha fatto unirsi ancora di più alla Vergine Maria.
Avendo un grande talento musicale, ha spento la perdita di sua madre con la musica. Nel 1977 dopo essere stato invitato a suonare al caffè Parigi di Montecarlo si trasferì nella capitale dove iniziò la sua carriera di cantautore e cantante nei cabaret. Tuttavia, la chiamata di Dio era più forte e nel 1988 entrò nell’ordine dominico per la sua devozione a Santo Domingo. Con loro è stato quattro anni quando di fronte al fascino per San Massimiliano Kolbe si è trasferito all’ordine francescano, dove è rimasto anche per quattro anni.
Era il 1999 quando fu ordinato sacerdote per la diocesi di Marsiglia a quasi quarant’anni. Oltre alla sua musica, ora dedicata a Dio, è anche uno scrittore di successo, ha già pubblicato sei libri e poeta.
La Chiesa è la sposa di Cristo.
Tanto quanto è unita allo Sposo, tanto più è feconda.
Sottolineo il fil rouge, visto che siamo a Marsiglia, della grazia santificante dei sacramenti.
Eucaristia, Confessione, Battesimo etc a partire da un sacerdote entusiasta dell’Ordine sacro.
Senza la grazia sacramentale non succede quasi niente: se l’acqua è la grazia, può piovere anche dove non ci sono canali e rogge, ma i sacramenti sono come canali e rogge per irrigare e rendere fertile il terreno seminato con la Parola di Dio.
Le nostre realtà parrocchiali sono in crisi perchè lo sono i sacramenti, come proposti, come percepiti e come praticati.
Figli di Dio non lo si è, ma lo si diventa… una certa logica protestante e secolarizzante ha sminuito tutto ciò che è soprannaturale per ridurlo a un darsi da fare, credendo sostanzialmente nell’uomo salvo poi deprimersi vedendone i limiti.
È il 25 aprile: la liberazione verrà solo dalla Verità che è Cristo sposo. Se la sposa vuol liberarsi dello sposo potrà trovarsi al bar con le amiche a chiacchierare… anche di pastorale, ma a vanvera.
Un sacerdote entusiasta: molti in realtà appaiono depressi. Lei parla dei grazia, ma sembra essere un dono raro. Mi chiedo se questo dono sia connesso alle ordinazioni in età più matura, alla scelta consapevole di cambiare radicalmente la propria vita.
Il bar: in realtà le famiglie mandano i figli in parrocchia come li iscrivono al nuoto o ad una palestra o al doposcuola o per non pagare una baby-sitter. In questo senso, le parrocchie svolgono un servizio che lo Stato non riesce a offrire. Mi sembra che i ragazzi siano molto soli, ma in modo diverso dal passato, perché non è una solitudine con se stessi, ma è riempita da “rumore”. Catturarli è difficile, ogni occasione non va sprecata. Come sto sperimentando con mio nipote tredicenne (età complicata che avevo dimenticato!), le parole vengono dopo, ciò che conta è l’esempio. Oltre al tempo e alla cura.
“Osservo chi è più giovane cercando di capire quel che vede diversamente da me”: forse proprio questa è la frase chiave, senza la quale anche l’esempio più fulgido non riesce a innescare dinamiche positive.