Il fine, la fine, l’attesa: ricapitolare ogni cosa in Cristo. Parusia ed escatologia. R.S.

16 Marzo 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, R.S., offre alla vostra attenzione queste riflessioni di cui lo ringraziamo. Buona lettura e condivisione.

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Il fine, la fine, l’attesa: ricapitolare ogni cosa in Cristo. Parusia ed escatologia.

 

Ogni tanto mi piace mettere un po’ d’ordine nel poco che riesco a contemplare di tutte queste cose.

Gesù Cristo è il Verbo incarnato, pienezza della Rivelazione divina: “in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui.” (Gv 1, 1-3a)

In Dio c’è tutto, istantaneamente ed eternamente. Dio è prima e fuori del tempo. Crea tutto e lo fa anche adesso. La creazione invece esiste in un tempo.

Le creature solo spirituali (in cielo) hanno inizio, senza avere un termine. Hanno una volontà e sono libere. Qualcosa di disordinato è successo anche tra loro, dando la stura a un crescente disordine nella perfezione creata, che ha coinvolto anche la creazione materiale.

L’uomo (in terra) è una creatura speciale, anche spirituale: l’anima ha un inizio senza avere un termine, mentre la carne ha un inizio e -dopo il peccato originale- conosce il termine della morte corporale.

La vicenda umana successiva alla perdita della perfezione, di generazione in generazione, disegna la storia.

In questa vita il tempo condiziona tutto e le giornate sono scandite dal rispetto degli orari. Il tempo scorre inesorabilmente uguale per tutti e, per ovviare alla limitazione, lo sforzo dell’ingegno ha riguardato soprattutto la velocità nel “fare” (spostarsi, produrre, veicolare informazione) nell’unità di tempo. Quel che rallenta è considerato negativo. L’incedere degli anni dipinge la storia, dentro la quale i singoli e le nazioni conoscono alterne fortune e conflitti. La memoria individuale e collettiva sottolinea o cancella episodi gioiosi o tragici, mentre il pensiero (non di rado l’ideologia) oscilla tra due direttrici principali: conservazione e progresso.

La storia resta chiusa in sé stessa, nel tempo. C’è sempre una prospettiva dominante, sancendo il conflitto e la frantumazione e aggiungendo fratture. In questa situazione la pace è una chimera, perché manca sempre il tempo e la fretta è cattiva consigliera: la pazienza e l’attesa sono virtù umili, che i grandi della storia quasi sempre non possono permettersi in un progetto di dominio che sconta la fugacità della vita umana.

Lo stare nel tempo, dopo l’inizio dei tempi e dopo l’origine del male, implica tre imperativi: capire dove stiamo, attendere (il tempo genera un’attesa), essere messi alla prova dagli eventi, voluti e non.

L’attendere ha due facce: IL fine e LA fine. Capire quale sorte ci toccherà interessa soprattutto in termini di giudizio sul nostro operato, ma più importante sarebbe conoscere quale sia il fine del giudizio e allora subentra qualcosa che supera il ragionamento di una creatura limitata: ci soccorre la Rivelazione divina.

Il cristiano è un uomo che attende: da questa realtà derivano il senso e l’orientamento profondo della vita cristiana. Un cristianesimo vivace, fonte di gioia e di slancio spirituale, tiene al centro il desiderio impaziente e la certezza del ritorno glorioso del Signore (Ap 22, 17). La creatura umana e l’intera creazione sono orientati a un fine e questo riguarda i sacramenti, la spiritualità e l’atteggiamento verso il mondo.

L’opera redentrice di Cristo e l’azione santificante dello Spirito mirano a ricondurre l’umanità decaduta al fine per cui è stata creata, verso la pienezza venuta meno a causa delle mancanze (peccati).

Il fine ultimo è un’ascesa di amore che non ha mai fine, poiché la comunione con l’Essere trascendente di Dio è inesauribile, contiene sempre cose nuove da scoprire mediante/durante l’unione di amore.

Il paradiso non è “noioso” perché non è una contemplazione statica, bensì diveniente, di Dio nella sua gloria.

L’escatologia allora non riguarda solo il futuro, ma diventa esperienza presente in questa vita, accessibile in Cristo mediante i doni dello Spirito santo. In ogni Eucaristia contempliamo la seconda venuta di Cristo insieme agli eventi del passato storico della prima venuta (la croce, il sepolcro, la risurrezione e l’ascensione).               Nella presenza eucaristica l’avvento futuro è già realizzato e la storia è trascesa. In questa Presenza, la Scrittura e la Tradizione sono contemplate e non storicizzate nel conflitto di opposti storicismi.

Alla luce della rivelazione pienamente compiuta in Cristo (nella pienezza del tempo sono riassunte tutte le profezie dell’antico testamento) la vita terrena degli uomini è un tempo di prova.

Dopo la morte del corpo le anime non possono più fare qualcosa per la loro salvezza, anche se possono ricevere il suffragio dei vivi che si ricordano di loro. Nella dimensione ultraterrena c’è ancora il tempo e infatti perdura il riferimento al fine e alla fine, secondo le varie condizioni: attendere la visione beatifica o sapersene privati, sottoposti ad un medesimo fuoco che qualcuno purifica e qualcuno tormenta.

A dare senso alla “vita nuova in Cristo” non è il fluire della storia, ma la contemplazione dei divini misteri (in primis nella liturgia), di cui sono consapevoli i santi, distaccati dal mondo. Il movimento si compie certamente nella storia e può fino a un certo punto influenzare il processo storico, ma non appartiene alla storia, perché se ne distoglie anticipando la fine della storia (reso in Apocalisse attraverso l’immagine del mare) e il suo fine.

E’ “movimento” della natura e dell’uomo naturale, tenendo presente che l’umanità naturale (l’umanità concepita e creata originariamente da Dio) presuppone comunione con Dio, libertà dal mondo e signoria sulla creazione e sulla storia. Deve quindi essere indipendente da ciò che il mondo intende come “storia”.

Perciò Gesù dice: “il mio regno non è di questo mondo” e che la pace che dà lui non è quella che dà il mondo.                                                             

La seconda venuta di Cristo sarà anche un giudizio, perché il criterio di ogni giustizia -Cristo stesso- sarà presente non soltanto “nella fede e nel sacramento” per sollecitare la libera risposta dell’uomo, ma nella sua piena manifestazione e potenza. I significati della parusia costituiscono il centro dell’esperienza liturgica.

La giustizia divina esige una riparazione per i peccati commessi, in questa o nell’altra vita. Ma questo non va visto in un quadro “legale”, ma “medico”: chi arriva in pronto soccorso viene curato indipendentemente dalla sua morale, ma la guarigione avverrà tanto quanto è disponibile a lasciarsi curare, uscendo dal suo male. Tutte le anime sono investite dalla volontà di Bene di Dio, espressa come un fuoco che purifica o tormenta.

Anche lo stato dei beati non è allora il raggiungimento di una destinazione statica (ovviamente diversa da quella dei dannati) e legale, ma consiste di un’ascesa infinita alla quale l’intera comunione dei santi (la Chiesa in cielo e la Chiesa sulla terra) è stata iniziata in Cristo e continua a concorrere con la preghiera.

Nella comunione del corpo di Cristo tutti i membri della chiesa, vivi o defunti, sono interdipendenti e uniti da vincoli di amore e di mutua sollecitudine; così le preghiere della chiesa sulla terra e l’intercessione dei santi in cielo possono effettivamente aiutare tutti i peccatori, cioè tutti gli uomini, ad avvicinarsi a Dio.

La comunione dei santi è in attesa del compimento definitivo della parusia e della risurrezione universale, quando un preciso, seppur misterioso termine sarà raggiunto per ogni singolo destino, restituendo ogni cosa all’atemporalità (eternità) di Dio. Il compimento finale della giustizia divina nella sua piena rivelazione (Apocalisse) comprenderà i vivi e i morti; la liturgia lo rende nell’Eucaristia: ogni particola (rappresentante i vivi e i morti) è unita alle altre in comunione: in ogni frammento c’è tutto Gesù Cristo, morto e risorto.

Mediante la risurrezione di Cristo la morte ha perduto il suo potere su quelli che sono in Cristo. La morte non può separare né da Dio né gli uni dagli altri. La preghiera per i defunti, come l’intercessione per i vivi da parte dei santi defunti, esprime un’unica e indivisibile comunione dei santi, nell’attesa del compiersi dei tempi.

Lo Spirito e la Sposa dicano: “Vieni!”. Colui che ascolta dica: “Vieni!”. Colui che ha sete venga e colui che lo desideri prenda l’acqua della vita, gratuitamente (Ap 22, 17).

In Cristo la morte è stata già vinta e la vita ha già trionfato. Ma occorre che ciascuno di noi, nel corso della propria vita, e la Chiesa nel corso della sua storia, faccia proprio questo passaggio e che lo riviva con Cristo (o meglio che Cristo lo riviva in lui) apportando il consenso della propria libertà all’opera della grazia divina.

La parusia di Cristo, la sua venuta gloriosa alla fine dei tempi, manifesterà tutto ciò che era contenuto virtualmente nella croce e nella resurrezione di Cristo, facendo partecipe il suo Corpo, la Chiesa, del trionfo definitivo sul peccato, sulla sofferenza e sulla morte.

Questa è la speranza della Chiesa e la sua fondamentale certezza.

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