L’Abito NON Fa il Monaco. Ma Anche Sì…Aurelio Porfiri.

15 Marzo 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione questo articolo pubblicato ù, che ringraziamo di cuore,  sul suo canale. Buona lettura e condivisione.

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La saggezza popolare può insegnarci molto.

Ci sono detti che veramente ci sono utili per comprendere alcune cose nella vita e quindi è bene considerare questo patrimonio che ci viene tramandato dai nostri avi. Però dobbiamo cercare di capire bene quello di cui stiamo parlando. Ad esempio prendiamo il detto celeberrimo “l’abito non fa il monaco”. C’è molta verità in questo ma bisogna anche intendersi su quello che si vuole dire.

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Perché alcuni interpretano questo detto come se volesse dire che non è importante come uno si veste in certe professioni o certe occupazioni. Ma in realtà questo non è esattamente quello che il detto dice. Il detto dice giustamente che non è che tu ti vesti da prete e allora sei un prete. Questo è sacrosanto. Ma non significa che un prete non debba vestirsi da prete o un medico da medico e via dicendo.

Il pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, dice quanto segue: “Dio affida a talune persone la missione di essere simboli. Esse hanno un portamento, un modo d’essere che corrisponde a una certa grazia, accompagnato dalla capacità di esprimere sensibilmente questa grazia. Hanno un modo d’essere che rende particolarmente allettante le virtù legate alla grazia. Perciò sono chiamate non solo a praticarla in modo esimio, ma a simboleggiarla”. In tutto questo il vestire è cosa importante, è lo è tanto più quando esso connota una vocazione. Ovviamente i preti vengono alla mente, ma pensiamo anche ai medici: vi fareste operare da un gruppo di persone che si presenta in tuta da ginnastica? È ovvio che noi siamo essere simbolici e che i simboli, anche quelli visivo, rivestono una enorme importanza.

Mi sembra bella una frase di Henry David Thoreau: “Dico: guardatevi da tutte le imprese che richiedono abiti nuovi, invece che nuovi «indossatori». Se non c’è l’uomo nuovo, come si potranno fare abiti che gli si adattino? Se dovete intraprendere qualche cosa di nuovo, fatelo nei vostri abiti vecchi”. Non è tanto un problema di abiti vecchi, ma di abiti che rappresentano simboli che aiutano non solo chi li porta, ma anche chi li vede.

Non capisco bene come, parlando di preti, che essi sarebbero sembrati più accettabili vestiti come noi laici quando una delle funzioni peculiari del prete è di essere di richiamo per una dimensione del tutto “altra”. Questo vestirsi in modo laico non aggiunge nulla al prete ma di certo gli toglie molto. Quindi, in questo senso, dobbiamo proprio dire che l’abito fa il monaco.

selective focus photography of monk at corridor

Photo by Alexander on Unsplash

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12 commenti

  • luca antonio ha detto:

    Trattasi della divisione molto moderna ed equivoca di quelle che oggi vengono chiamate sostanza e forma; in epoca utilitaristica materiale, che guarda solo al denaro, si tende a considerare sostanza il brutale dato di fatto della conta dei soldi o dell’“uccisione” di un qualche nemico, per raggiungere i quali si è disposti ad abbandonare ogni “forma” pur di arrivare alla “sostanza”, all’utile materiale sperato. Ma la sostanza in termini aristotelici non è altro dalla forma, ma rappresenta il risultato di una fusione in un sinolo di materia e forma. Non esiste una sostanza di alcun tipo senza che siano presenti entrambe, quello che invece oggi chiamiamo sostanza non è altro che materia bruta, orfana della sua sorella forma che rappresenta la parte più elevata della e la rende efficace. Questo equivoco è risultato particolarmente e sciaguratamente evidente nel sostanziale abbandono delle forme liturgiche -compresa la confessione, basta ormai a detta di qualcuno l’intenzione di confessarsi…tanto Dio capisce-; tra un po’ l’eucarestia ci arriverà a casa con Amazon, tanto non è forse il corpo di Cristo lo stesso?.
    Invece è importante chiarire che la forma, in un discorso religioso antropologico, in alcuni casi è quella che ottiene il risultato, senza la quale nessun risultato materiale sarebbe possibile.
    Per brevità, tra i numerosi esempi possibili, per chi volesse approfondire, ne segnalo uno al disopra di ogni sospetto di contaminazione apologetica : la vicenda dello sciamano Quesalid scoperto da Franz Boas e ripresa più ampiamente da Levi-Strauss, lì mancava pure l’intenzione dello sciamano alla consacrazione del rito, essendo lo stesso Quesalid entrato tra gli sciamani per svelarne gli inganni, eppure la forma sorreggeva il tutto e “funzionava” e andava a creare la materia stessa evocata, cioè la guarigione. Effetto placebo si dirà, non proprio qui, in quanto non tutte le forme di rito, scoprirà con sorpresa lo stesso Quesalid, si equivalevano sul piano dei risultati, pur essendo plausibilmente la fede dei pazienti, in assenza di confronti iniziali, uguale per tutti.

  • Michele ha detto:

    Credo che il detto derivi da una disputa medievale riguardo al momento in cui un monaco veniva consacrato: secondo una corrente di pensiero il monaco diventava tale dal momento in cui indossava la tunica dell’ordine; chi ha coniato il proverbio sosteneva invece, e giustamente, che il monaco diventava tale nel momento in cui riceceva il Sacramento dell’Ordinei dal vescovo che gli imponeva le mani.

    • Mario ha detto:

      Il monaco fondamentalmente è un consacrato laico, che poi può essere ordinato sacerdote. Ma a regola prima viene vestito dell’abito (vestizione), poi dopo qualche tempo fa i tre voti corrispondenti ai consigli evangelici (povertà, castità e obbedienza; e in alcuni casi, anche quello di stabilità), poi eventualmente viene ordinato prete. Ma l’ordinazione sacerdotale non è obbligatoria e non costituisce l’essere monaco. È un di più, finalizzato all’amministrazione dei sacramenti all’interno della comunità monastica.
      Il sacramento dell’ordine, l’imposizione delle mani da parte del Vescovo, dunque non c’entrano nulla con il detto. La confusione nasce dal fatto che oggigiorno la maggior parte dei monaci viene anche ordinata, e spesso poi adoperata nelle parrocchie a sopperire alla carenza di clero diocesano.
      Di fatto, il detto significa che anche se con la vestizione dell’abito il candidato può considerarsi monaco, non è l’abito che fa di lui un vero monaco ma la preghiera, l’ascesi, il lavoro manuale, il silenzio, la vita di comunità o dell’eremo, nella conversione continua e santificazione.

      • Michele ha detto:

        Chiedo scusa per il ritardo e l’incompletezza: il monaco oltre che poter essere ordinato doveva comunque professare i voti di povertà, obbedienza e castità secondo la regola dell’ordine (professione temporanea o perpetua).
        Da quello che ricordo da un intervento di un esperto in materia in un sito cattolico (La Nuova Bussola Quotidiana, il Timone…? Non ricordo di preciso) il monaco diventava tale con la professione dei voti, il Sacramento dell’Ordine’ordine era effettivamente un di più.
        La vestizione della tunica non equivaleva alla professione dei voti.

  • Case canoniche ha detto:

    L’importante è che si tratti di “case canoniche” e non di case d’altro genere, nevvero… Poi, se un prete indossa una talare o, almeno un clergy o anche solo un semplice abito nero, tanto meglio.

  • Enrico Nippo ha detto:

    In senso lato l’abito di professione è una “uniforme” , e da vari decenni l’essere “uniformati” (ovvero indossare una divisa) e quindi essere costretti in una disciplina non gode più il favore della massa, salvo poi l’affermarsi di uniformi alternative tipo il dilagante e non di rado orrendo “casual wear”.

    E’ lo spirito colonizzatore del mondo americanoide democratico-libertario che è penetrato dappertutto, quindi anche nella Chiesa. Chi ci libererà dai “liberatori”?

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Anch’io ricordo che quel proverbio veniva spesso citato sia nella conversazione familiare sia nella educazione dei bambini e dei ragazzi ma con un diverso significato. Come ammonimento di non farsi ingannare dalle apparenze o come rimprovero a chi tentasse di ingannare gli altri cercando di apparire ciò che in realtà non era.

  • Paul Mayer ha detto:

    L’esempio non calza molto bene… a proposito di scarpe da ginnastica… Se io so che la persona che ho davanti e’ un luminare della chirurgia, anche se sta in scarpe da ginnastica mi faccio operare senza problemi, non e’ che siccome non porta i mocassini neri di Prada mi rifiuto di farmi visitare o operare.

    Il problema semmai e’ quando uno cerca un prete (o un medico, etc…) che non conosce. Come faccio a sapere se uno e’ prete se sta in tuta sportiva e in scarpe da tennis?

    Ovviamente glielo devo chiedere: scusi, lei e’ il parroco?

    Ho conosciuto un prete di una minuscola parrocchietta che stava spesso in tuta sportiva nera e scarpe da tennis. Non era nemmeno tanto giovane, sui 50 passati.

    Una volta gli dissi – con fare scherzoso – che indossava una tuta molto elegante, bellissime scarpe da tennis, molto comode, aveva perfino la crocetta dorata appuntata sul petto…, pero’ un clergyman lo avrebbe reso piu’… identificabile.

    Mi rispose che non aveva tempo e soldi per stirare continuamente tonache e pantaloni e andare ogni settimana dal lavasecco. Eh si’ la tonaca, cosi’ come giacca e pantaloni non li puoi certo mettere in lavatrice. E se non hai una perpetua (cosa ormai rara) o qualcuno che ti aiuti e’ una bella seccatura stare dietro ai vestiti. E poi – diceva – “Qui mi conoscono tutti, non occorre la carta di identita’”.

    Quel poveretto era pressoche’ solo, niente viceparroco o suore o altro, diceva che doveva fare tutto lui, dalla Santa Messa al rammendare i calzini… Dai battesimi alla manutenzione e alla pulizia dell’auto! Dall’omelia al pranzo e alla cena, se si puo’ definire pranzo un piatto di surgelati riscaldati e un bicchier di vino.

    Aggiunse anche che – forse era una battuta… o forse no – se vuoi essere davvero celibe e non avere troppe donne che ti ronzano intorno quello era l’abbigliamento piu’ pratico, economico e a portata di un… uomo certificato “Free from women”!

    A parte questo, celebrava le messe in grazia di Dio, che sembrava di essere in San Giovanni in Laterano, e confessava la gente come si deve… sempre con scarpe sportive rigorosamente nere che… costano meno, son piu’ comode e durano di piu’.

    Non gli ho piu’ detto niente! :-))

    Il fatto e’ che molti vedono il prete sull’altare ma pochi lo vedono davvero “dietro le quinte”, quando sono soli nelle loro “case canoniche” e devono arrangiarsi per mille cose, spesso senza nemmeno un cane che gli faccia un po’ di compagnia o una famiglia che almeno la domenica li inviti a pranzo. Pensiamoci, prima di giudicare.

    • Crio ha detto:

      Si legga il libro di Padre Ernetti “La catechesi di Satana” a proposito di chi lavora dietro le quinte ad avere sacerdoti che non sembrano sacerdoti, né agli altri, né a sé.

      • Paolo Mayer ha detto:

        Lo conosco, ciò non toglie che non si possa e non si debba fare di ogni erba un fascio.

        Giudicare gli altri da un abito e fin troppo facile.

        C’è gente che veste in modo sopraffino ma che assomiglia molto ai sepolcri imbiancati di cui parla il Signore… dentro son pieni di putredine e vermi.

        • Crio ha detto:

          Dice di conoscerlo ma da come risponde si direbbe che non comprende ciò che legge. L abito di per sé non fa il monaco, ma quell abito ha un valore ben determinato. Il fatto che alcuni abbiano preso a indossarlo e non lo abbiano rispettato non può diventare la giustificazione a spogliarsene. Così come che alcuni non portandolo abbiano dato, per tutta la vita o almeno una sua parte, buoni frutti non è una ulteriore giustificazione a non portarlo. C’è un motivo se quell abito va portato. C’è un motivo se il sacerdote dovrebbe essere riconoscibile sempre, anche solo perché una persona incontrandolo e riconoscendolo quale sacerdote potrebbe avere bisogno del suo aiuto. E siccome Satana lavora sempre contro i sacerdoti, il fatto che tanto abbia lavorato a farlo spogliare è abbastanza per dire che non è cosa buona. E per come siamo messi ora è ancor più evidente. Bisogna fare attenzione. E se si viene sapere che Satana ha interesse in qualcosa, tanto dovrebbe bastare a contrastare quella stessa cosa. Si dovrebbe puntare in alto, non abbassarsi.

          • Paul Mayer ha detto:

            Il modo poco rispettoso con cui lei si indirizza alle altre persone mi pare altrettanto negativo, anzi peggiore, del fatto di portare un abito o meno. Nella mia vita raramente ho visto una persona cercare un prete per strada, al contrario ne ho viste tante approfittare di un’occasione per dileggiarli, giudicarli, provocarli e perfino aggredirli. Forse il fatto che molti preti vadano in giro in borghese dipende anche da questo. Facciamoci un bell’esame di coscienza che e’ meglio.