Verso l’Unione, o verso la Disintegrazione? Il Matto.
21 Febbraio 2024
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il nostro Matto offre alla vostra attenzione queste riflessioni sempre stimolanti e proovcatorie. Buona lettura e meditazione.
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VERSO L’UNIONE
O VERSO LA DISINTEGRAZIONE?
«Le cose più belle nascono dal nulla del silenzio e dal “lasciarsi essere silenzio”, soprattutto interiore. Il silenzio non è solo mancanza di qualcosa ma è esso stesso qualcosa. Le cose più belle iniziano con il silenzio».
Romano Guardini
«Lasciarsi essere silenzio»: sublime!
«Chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, giacché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso».
Maestro Eckhart
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La libera riflessione è una facoltà che ogni essere umano possiede, ovviamente compresi filosofi, teologi e non solo. Occorre quindi dire libere riflessioni, al plurale, che scaturiscono dai DIVERSI PUNTI DI VISTA, per natura SOGGETTIVI, ciò riguardando, nel campo religioso, anche i tradizionalisti più ferrei, i quali, singolarmente o in gruppo, si rifanno alla “sana dottrina” ma si trovano tutt’altro che d’accordo ed anzi IN RECIPROCA OSTILITÀ, ciò che mette la sordina alla “verità”, in minuscolo e tra virgolette poiché, infine, la SOGGETTIVITÀ singola e di gruppo ha il sopravvento per l’insorgere delle FAZIONI, che, circa la Cattolicità (e in senso più ampio la Cristianità), non sarà necessario elencare.
Se invece si volesse affermare che la facoltà di riflettere non è libera ma obbligata, ovvero costretta su un binario prestabilito lungo il quale non vi sono scambi, ci si dovrebbe impegnare in un’impresa dimostrativa impossibile, dato che il dimostrante di turno, come regolarmente accade, avrebbe la pretesa che la PROPRIA dimostrazione, neanche a dirlo suffragata da inconfutabili “prove”, sia esclusiva, e che le inevitabili diverse riflessioni obiettanti siano di second’ordine o addirittura scandalose. Inutile nasconderselo, ogni dimostrante è convinto che il SUO PUNTO DI VISTA sia dopotutto quello “più giusto” e di conseguenza la sua opinione “più vera”: peculiare convinzione dispotico-democratica larghissimamente diffusa che accomuma credenti e atei.
Breve inciso: dispostismo e democrazia non sono affatto antitetici, bensì, al contrario, sono perfettamente intercambiabili! La doxa (opinione) che si presenta come aletheia (verità) è il pantano in cui affonda il mondo: è la letheia, il nascondimento, l’oscuramento, la cecità.
Gli è che ogni esposizione, verbale o scritta che sia, è di carattere entropico, ossia si snoda soggettivamente “in avanti”, cioè in analisi, nel kronos, e quindi in divergenza, espansione, dispersione e, alla lunga, in confusione. E chi volesse negare che la moltiplicazione delle parole complica le questioni invece di semplificarle, come mostra l’attuale chiassoso polverone dialettico, rivelerebbe la propria ingenuità o malafede. Montagne e montagne di parole non spiegano affatto l’oggetto del loro conoscere – ammesso che possano davvero spiegarlo – bensì, alla lettera, lo disintegrano.
«Nel 1944 Fantappiè pubblicò il libro “Principi di una Teoria Unitaria del Mondo Fisico e Biologico” in cui suggeriva che il mondo fisico-materiale è governato dall’entropia e va verso il caos, mentre il mondo biologico è governato dalla sintropia e si evolve verso dei fini che sono rappresentati da attrattori (cause collocate nel futuro ndc). Dal momento che non possiamo vedere il futuro, la duplice soluzione dell’energia suggerisce l’esistenza di una realtà visibile (causale ed entropica) e di una invisibile (finalistica e sintropica)». (sintropia.it).
Per questo l’energia entropica della riflessione scritta o verbale va preceduta (andrebbe preceduta) da un ri-equilibrante impegno energetico sintropico (dal syn convergere e tropos tendenza), ossia “all’indietro”, cioè di sintesi, nel kairos, e quindi di convergenza, raccoglimento, riunificazione, silenzio, apofasi: ritorno al futuro, all’Alfa che combacia con l’Omega, alla Parola Una, alla Verità-in-Sé. Pertanto, prima di un suo affermarsi, il linguaggio deve passare (dovrebbe passare) attraverso la sua purificante negazione, ciò che fa (farebbe) emergere la sua relatività, il suo “riferirsi a”, e quindi l’inutilità e dannosità della sua moltiplicazione, operazione dovuta ai SOGGETTIVI E DIVERSI PUNTI DI VISTA.
La figura posta in incipit mostra che la vita, simboleggiata dall’albero, si trova nel “confine” fra l’entropia e la sintropia, cioè tra il visibile e l’invisibile, tra il kronos (il tempo che scorre) e il kairos (il tempo che sta). Il piano inclinato pende dal lato sintropico, invisibile, extrasensibile, kairologico, metafisico, a significare che esso “pesa” di più del piano entropico, visibile, sensibile, kronologico, fisico, che è quello su cui si snodano e confliggono le svariate soggettive riflessioni, affannate nel vano tentativo di esprimere il “vero” IMPUGNANDO A MODO PROPRIO IL VESSILLO DELLA VERITÀ. Sennonché le direzioni dell’entropia (le parole, il relativo) e della sintropia (la Parola, l’Assoluto) sono l’una inversa all’altra, seppure anche contigue, ragion per cui la preminenza dell’invisibile (l’Assoluto, il Sintropico), non pregiudica il tratto d’unione con il visibile (il relativo, l’entropico). Afferma infatti Novalis:
«Con l’invisibile noi siamo più strettamente legati che col visibile»,
il che vuol dire che siamo strettamente legati più al silenzio (alla Sintesi) che alle parole (l’analisi), più al kairos che al kronos, più al metafisico che al fisico, più all’impersonale che al personale e, in definitiva PIÙ ALLO SPIRITUALE CHE ALLO PSICHICO.
E Merleau-Ponty:
«Il senso è invisibile, ma l’invisibile non è il contrario del visibile: il visibile ha esso stesso una membrana di invisibile, e l’in-visibile è la contropartita segreta del visibile».
Dice che l’invisibile è «contropartita segreta». Ora, ciò che è segreto non può essere “spiegato” (segreto, secreto, da secèrnere metter da parte). Lo stesso per il mistero, da myo: chiuso, serrato, indicibile, inspiegabile.
Nel campo cattolico (e cristiano in senso lato) l’entropica, visibile Verità rivelata in molteplici parole è il volto – la «membrana» – della sintropica, invisibile Verità-in-Sé, della Parola Una, dell’Archè. Ora, “volto” significa aspetto, figura, sembiante, ossia qualcosa di de-finito, e propedeuticamente necessario, che mai può rendere esaustivamente l’Infinito della Verità-in-Sé, e perciò ancor più marcatamente entropiche risultano le svariate esposizioni teologiche, filosofiche, giuridiche e quant’altro che ciascun soggetto, DAL PROPRIO PUNTO DI VISTA, vi tesse intorno. È impossibile catturare l’In-finito nella rete entropica delle parole la cui funzione è de-finire. E così, al moltiplicarsi delle definizioni l’Infinito vieppiù si occulta. Ossia: più si “parla di” Dio e più lo si smarrisce.
Al riguardo, il pitagorico Alcmeone di Crotone (VI sec. a.C.) è ancor più radicale:
«Delle cose invisibili e delle cose visibili soltanto gli dèi hanno conoscenza certa; gli uomini possono soltanto congetturare».
Il metodo dell’apofasi, o dell’ABBANDONO, procede … recedendo dal visibile all’Invisibile, dal sensibile a Sovra-sensibile, dal fisico al Metafisico, dall’entropico al Sintropico, dal kronos al kairos, dalle parole alla Parola, dalle sonorità al Silenzio, da qualcosa al Nulla, nel trascendimento di ogni ente mentale e quindi del SOGGETTIVO AGGLOMERATO PSICHICO (il CHICCO DI GRANO), comprese quindi credenze, locuzioni e visioni, e perfino vizi e virtù: «se il chicco di grano non muore …».
Si narra che una delle più grandi donne sufi, Rabi’a al-Adawiyya, vissuta nel IX secolo, fu vista un giorno correre per strada con una fiaccola accesa in una mano e un secchio d’acqua nell’altra. Le fu chiesto dove stesse andando e lei rispose: «Con la fiaccola voglio bruciare gli alberi del paradiso e con l’acqua voglio spegnere le fiamme dell’inferno, questi due nulla che mi tengono lontana dall’unico vero Dio».
ABBANDONARE è ABDICARE, scendere dal trono dell’io, uscire, anzi evadere dalla sicurezza della zona di conforto, inoltrarsi nel deserto: radicale penitenza per «penetrare nel fondo proprio» (Eckhart), nel sintropico se stessi: un processo di scavo e di soluzione dello psichismo entropico, un labor che esige un fuoco non violento e costante, come ben dice Emil M. Cioran:
«Non si abdica da un giorno all’altro: è necessaria un’atmosfera di distacco, accuratamente predisposta, una leggenda della disfatta».
La «disfatta»: un nobile arrendersi, un aprirsi, un lasciar essere ed un «lasciarsi essere nel silenzio». Insomma, un tendere alla realizzazione dello STATO INTERIORE DI NON BELLIGERANZA in cui tutto si ricompone e al cui compimento provvede IO SONO.
«Quindi devi stare zitto. Allora Dio nascerà in te, pronuncerà in te la sua parola e l’ascolterai; ma sii molto sicuro che se parli la parola dovrà tacere. Se tu esci, lui entrerà sicuramente; quanto tu esci per lui, Egli entrerà a te; niente di più, niente di meno». (Giovanni Taulero).
Vale la pena di evidenziare: «SII MOLTO SICURO CHE SE PARLI LA PAROLA DOVRÀ TACERE».
Apofasi: metodo quaresimale.
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Tag: disintegrazione, matto, unione
Categoria: Generale
Cercai invano una maschera, finché la maschera trovò me. (Montherlant)
La maschera: argomento intrigante.
Legato alla consapevolezza o meno di star recitando ognuno la propria parte.
E ognuno da protagonista!
Ciao.
Sulla “maschera” ci sarebbero da fare anche altre considerazioni non assolutamente negative…per esempio:
“Spesso una maschera dice più cose di un volto”;
“Un uomo non è del tutto se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e ci dirà la verità”;
“Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero” ( Oscar Wilde ).
Quando si indossa una maschera, non lo si fa solo per mentire, ma soprattutto per evitare di mostrare agli altri
la parte di noi più indifesa e più vulnerabile perchè soggetta al giudizio altrui.
Inoltre, nella lingua latina il sostantivo “persona” indicava proprio la “maschera”, quella usata dagli attori, che per-sonava, ampliando la loro voce che doveva venir intesa fino alle gradinate più alte dell’anfiteatro.
Mi sono sempre chiesta per qual motivo si fosse incominciato ad usare- in ambito clericale- la formula: “persona umana”. Forse per significare che tutti gli uomini portano la maschera?
“Persona umana”: la stessa domanda che mi son sempre posta io. Beh … riflettiamoci su ….
Confermo: nessuna “forte disapprovazione nei confronti di qualunque dibattito”. La prova, mi sembra, è che mi ci trovo volontariamente coinvolto.
Al riguardo, mi hai fatto venire in mente il tuo amato Wilde laddove dice:
“Credere è molto noioso. Dubitare è profondamente avvincente. Essere sul chi va là è vivere. Farsi cullare nella certezza è morire.”
A parte quell’ “essere sul chi va là” che mi riguarda molto da vicino in quanto spadaccino (per il quale cullarsi nella certezza è esiziale), mi risulta (parlo per me) che ogni domanda lascia aperto il circuito dell’energia (il “vivere” di Wilde) mentre ogni risposta chiude il circuito (il “morire” di Wilde).
Adesso, per penitenza quaresimale mi fermo, altrimenti esondo! 😉
Ringrazio Adriana per il bel commento. L’argomento “maschera” in effetti può rivelarsi molto complesso ma ance molto fecondo (strano che, soprattutto in Occidente, dove assistiamo all’esaltazione dell’IO, al contempo si ricerchi freneticamente una maschera…).
PS – Sapevo che il pensiero che ho riportato sarebbe piaciuto al Matto.
Sicuramente…ma anche a me, così come quell’autore.
😊
Conclusione. Forse avevano ragione i miei vecchi (immaginate quanto vecchi, ahimè!) quando dicevano : -a studià trop se deenta macc – . Detto in italiano significa che il troppo studio fa diventare Matti. Non è vero?
Mi dispiace smentirti, carissimo S.E.
Ho studiato fino al diploma di ragioniere, non conosco né latino né greco né aramaico né ebraico né sanscrito, e, giunto alle 75 primavere, avrò letto si è no una trentina di libri.
Insomma, sono un Matto ignorante. 😂
Proprio stamani (guarda caso!) mi son capitate sotto gli occhi queste poche, incandescenti (per me) parole di Italo Calvino:
“Rilassati, raccogliti, allontana da te ogni latro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto”.
Lo trovo (perché lo faccio) eccezionale!!!!
Ciao.
Potremmo intitolare questa serie di interventi coma la sagra delle aporie, aporie denunciate, aporie inconsapevolmente enunciate, aporie apparentemente risolte ricorrendo ad altre aporie, il tutto partendo da questa sua frase “si può affermare tutto e il contrario di tutto”… “in che senso?” chiederebbe un famoso personaggio di Verdone… che può essere dichiarato certo (affermare significa questo) un enunciato e il suo contrario?; se lo facesse uno stesso individuo in contemporanea con ogni sua affermazione, caro Matto, lei già sa che verrebbe mandato quantomeno dal medico; il dire invece, come fa lei, che ogni uomo è un’isola e che la sua verità è vera come tutte le altre non fa altro che portare il problema a livello superiore che tuttavia finisce, anche qui, per riscontrare difficoltà logiche insormontabili, se infatti un soggetto dovesse prendere coscienza di questa “verità”- che i suoi enunciati non sono veri scontrandosi con altri contrari di medesima dignità epistemologica- sarebbe costretto a riconoscere che tutto è falso, compresa la sua idea che questa “verità” è vera. Se dovesse riconoscere, a contrariis, che sia vero sia il suo enunciato che quello ad esso opposto, entrerebbe subito in palese contraddizione con i reali dati di fatto (adesso è giorno ma è anche notte).
Se poi, per trarsi d’impaccio anche da questa difficoltà, lei precisa ancora, come ha fatto, che il suo è solo un rivendicare una libertà di parola per tutti allora avremmo un altro tipo di busillis, cioè quello che se a quella libertà di parola non possano poi seguire i fatti il sistema sarebbe ancora monco, oppressivo, e quindi bisogna, con Popper, instaurare la “società aperta, quella in cui ognuno possa dire e fare ciò che vuole. Problema risolto, salvo poi vedersi venire contro, con la scure e la bava alla bocca, il “liberale” nel momento in cui si voglia mettere in discussione -si voglia liberamente e legittimamente affermare- il fatto che una tale società è un letamaio e che bisognerebbe, liberamente, non fare tutto quello che la società aperta auspica, e che anzi ora, lo vediamo, apertamente IMPONE.
Orwell aveva visto lungo e bene.
Per voler cacciare Platone – e con questi, anche se non scritto da Popper, il Cristianesimo, che di Platone e Aristotele e del pensiero stoico è innervato- Popper ha evocato e materializzato Erebo.
La sua lamentata “ineluttabilità del soggettivismo” ha origine da qui ed è frutto non di un difetto della ragione ma di un orientamento dello spirito che a sua volta fa pronunciare un Sì o un No alla signoria di Dio – Maria e Abramo insegnano il primo, lucifero il secondo-.
Il suo errore inoltre, e quello di altri come lei – è in ottima e numerosa compagnia – è quello di voler trasfondere la via mistica apofatica, di contemplazione e silenzio, dentro al “mondo” a seconda del proprio soggettivo, e sempre momentaneo, sentire; negando, a questo scopo, ogni predicato e, conseguentemente, qualsiasi sistema di ricerca di valore e di senso che possa infastidire un qualche temporaneo bisogno.
Ma abolire ogni predicato significa abolire le polarità di cui è fatta la vita e con esse la vita stessa, verso quel “nulla” a lei (e a diverse religioni mondane, buddismo, taoismo, scintoismo ecc…) tanto caro.
Tuttavia il mondo è testardamente, indissolubilmente, inoppugnabilmente duale e la vittoria su questa dualità non può essere neanche ipotizzata “hic et nunc”, ma solo in un “altrove” indicibile e inconcepibile di cui possiamo – e anzi, in quasi tutti i casi, dobbiamo- solo tacere, accogliendo umilmente e con gratitudine il dono della vita e gli insegnamenti trasmessici dal Dio fatto uomo.
Nella piena consapevolezza che da Lui, dalla necessità storico/filosofica/antropologica della sua Incarnazione, Crocifissione e Resurrezione, scaturiscono anche tutte le soluzioni alle contraddizioni in cui cade, inevitabilmente, ogni discorso ancorato solo all’umano.
Cordiali saluti
Carissimo Luca Antonio,
la dialettica è possibile all’infinito: ciascuno dei soggetti (soggetti, dunque fallibili) che la animano espone le proprie “prove” considerando il proprio argomentare coerente, logico, inoppugnabile, ovviamente, fra i cattolici, ispirato dalla e alla Verità.
La … “prova” di ciò è nel suo affermare, con un pizzico di sarcasmo nei mie confronti: “il suo errore inoltre, e quello di altri come lei – è in ottima e numerosa compagnia …”.
Come può, dalla sua soggettività (e fallibilità) rilevare con certezza assoluta gli errori altrui?
Nei miei confronti lei parla di “proprio soggettivo, e sempre momentaneo, sentire”, per cui le chiedo se, invece, il suo sentire sia oggettivo e sempre stabile, insomma se, cattolicamente, lei sia un Alter Christus.
Mi lasci dire che la sufficienza che lei riserva a “buddismo, taoismo, scintoismo ecc…” conferma quel senso di superiorità che sta conducendo il Cattolicesimo all’estinzione e che chiamo, soggettivamente s’intende, sindrome del popolo eletto.
Certo che vorrà perdonare la mia impertinenza, le porgo un cordiale saluto.
Ma certo che la perdono Matto caro, non intendevo certo offenderla ma solo farla riflettere, e rispondo brevemente alle sua domanda “le chiedo se, invece, il suo sentire sia oggettivo e sempre stabile, insomma se, cattolicamente, lei sia un Alter Christus.”
Il mio sentire no,certamente no !, ….ma “stat crux dum volvitur orbis et tempora labuntur” e …”Tutto passa, solo Dio resta”.
E resta anche oggi che la chiesa cattolica e’ morta, uccisa non dal poco ecumenismo ma dal troppo, per non aver piu’ annunciato che lei, sola, era la guida sicura per arrivare a quel Cristo il quale, Lui solo, e’ la Luce vera che illumina ogni cosa .
Adriana carissima,
fatalmente, arriva il momento in cui si comincia a non capirsi, ma ciò è del tutto naturale: ogni soggetto la vede a modo proprio, e l’entropico discutere non può che moltiplicare le divergenze.
Però, finora nessuno è entrato nel merito della questione da me posta proprio in merito all’ineluttabilità del soggettivismo ed alla complicazione crescente che segue al moltiplicarsi delle parole.
Il mio è un “intellettualismo dispotico”? Uno che pratica e parla dell’apofasi e quindi va in senso contrario all’intellettualismo è un … intellettualista? Boh! Se la tua mente vede questo a me va bene lo stesso.
In ogni caso, espongo ciò che espongo dalla mia soggettiva esperienza, esattissimamente come fai tu e come fanno tutti, nessuno escluso.
“Questa” vita in “questo” mondo è un Carnevale che dura tutto l’anno.
Ognuno indossa la propria maschera e recita il proprio ruolo (argomento più che intrigante), e le randellate (dialettiche) sono inevitabili.
Riguardo alla brocca non posso dirti altro di quello che ho già scritto.
Caro Enrico,
chiarisco…sono assolutamente con te quando invochi il diritto alla libera scelta individuale nel campo del sentire, del pensare e dell’espressione…,. Come te, contraria agli anatemi, alle condanne, alle mordacchie per chi, in campo filosofico e teologico si impegni in sentieri diversi da quelli del devotismo dogmatico…Ma, proprio perciò, contrarissima alla tua ultima proposizione che esprimeva il desiderio di metter la censura a chi avesse impegnato la mente nello sceverare tra tesi false e vere, questioni cogenti o di poco conto…in piena contraddizione con la tua insofferenza nei confronti degli anatemi.
Se tu preferisci abbandonarti al silenzio, libero di farlo, ma anche gli altri liberi di parlare…
Per il vaso…speriamo che non lo frantumi il gatto di Schrodinger😊.
Dove avrei espresso questo “desiderio di censura”?
Nell’ultimo intervento, dove attribuisci alla dialettica il sostanziale indebolimento dell’istinto e dell’ingegno… Però, forse avevi presente il vecchio Cineforum fantozziano che afflisse una intera generazione.
P.S. Mi spiace per il filmato su Nicholas Roerich. Cliccando, se ne trovano alcuni su youtube.
Ponevo delle domande, e porre domande non è censurare bensì proprio il contrario.
Se poi nessuno risponde (senza che debba sentirsene obbligato) …
Questo dice la mia mente … soggettivamente …
(ho visto i video … li ho gustati davvero)
Bene, bene, caro Enrico,
sono contenta che ti siano piaciute le opere di Roerich . Ora comprenderai
la mia indignazione nei confronti di quell’imbianchino di Rupnik che tenta di scopiazzarlo- senza talento, senza mestiere e senza lo spirito-. Di fronte a questa- per me-
prova provata di dolo, le altre non sono che una conseguenza per lui e per chi lo appoggia.
Mi pareva che, sottesa ai termini di domanda, scorresse una forte disapprovazione nei confronti di qualunque dibattito. Meglio se così non è.
Caro Enrico,
non credere che non subisca anch’io la fascinazione della pratica apofatica e del misticismo…ti posto un link sulle pitture di Nicholas Roerich che mi paiono autenticamente ispirate a quel mondo spirituale.
Ti ringrazio per il link del video … non disponibile😐😄 , e che cercherò per conto mio.
Però, mi preme che tu mi indichi dove avrei espresso il mio desiderio di censura.
Non è vero che nessuno abbia affrontato il tema del soggettivismo… è vero che chi è troppo pieno di sé è da se stesso trova vuoti gli argomenti altrui.
Il vuoto contiene il pieno?
Dio è il pieno o è anche il vuoto che riempie?
Nel tutto c’è anche il nulla?
E così via… nel bene ci sarebbe anche il male?
E non sapendo che cosa rispondere… resto io.
Un io grande come tutto, che decide.
Anche di tacere, ma più spesso di dire che non gli va bene quel che dicono di diverso da quel che piace a me.
Guai a porre vincoli: coercizione!
Guai a minacciare anatemi: anzi la minaccia è che se non ti sta bene perderti nel nulla è mi parli di qualcosa allora sei un fondamentalista…
È Quaresima: il tempo è favorevole per scendere dal piedistallo… in fondo certe derive sono facilmente riconoscibili, sempre le stesse. Chi non distingue confonde e si confonde.
Fuori dal Tutto c’è il suo rifiuto. Non è il nulla, ma un non-tutto. L’inferno è una negazione, perciò esiste e c’è chi ci va, eternamente.
L’ha creato Dio? No.
Ma c’è e non è un principio,
L’ha voluto Dio?
No. Ma lo vuole chi non ha la Sua volontà.
Il vuoto non è pieno.
L’inferno non è vuoto.
Spero di sbagliarmi: la vedo, dalla mia fallibile soggettività, preda di una certa irritazione.
Può darsi che si possa esprimere il proprio soggettivo fallibile pensiero con una certa pacatezza, magari tenendo presente che è fallibile, e che per di più non si tratta di un pensiero che può cambiare il mondo.
Dico ‘può darsi’ dato che il dubbio non possa escludersi da quanto produce il soggettivo che è fallibile, altrimenti il soggetto -cioè chiunque- può dare per scontato di essere senz’altro nel vero e che gli altri dicano solo bestialità, magari scoperte alla luce del genio greco.
Vorrei tediarla ancora ma mi reprimo e finisco: lei che ne sa se l’inferno non è vuoto? C’è stato?
Cordialmente
Da un esperto di irritazione quale lei è posso accettare la diagnosi come un compatire, che è necessario per l’empatia.
Circa l’inferno stia tranquillo: non ci sono mai stato, anche se non escludo di andarci. Non perchè mi ci manderebbe lei…
😄
Per rispondere al poderoso trattato di Stilobate, che saluto.
La dottrina impone di dover credere alla creazione dal nulla.
Il nulla è dunque funzionale a Dio che crea. Infatti, se il nulla è nulla neanche la creazione da esso è possibile.
L’escamotage: “nulla è impossibile a Dio”, è una forzatura bella e buona, anzi una facile censura con la quale si chiude la bocca a chiunque abbia da replicare attraverso la libera riflessione.
Invece, il nulla ha da essere qualcosa che la mia libera riflessione intende come “utero divino”, come esposto nel mio articolo “Tutto da maschio e femmina”.
Sinteticamente: la legge in basso è il riflesso della legge in alto. Per generare in basso occorre essere in due come il creare il alto.
Caro Enrico/Matto,
“così in alto come in basso”… lo trovi sia nel Padre nostro , sia nei Libri Ermetici ( neoplatonici ) tradotti da Marsilio Ficino per volontà di Cosimo de’ Medici.
Quanto a “barà”, creare, sembra proprio che significhi
metter ordine in qualcosa di preesistente.
Quanto all’essere in due è un’esigenza teologica talmente antica che, nella religione egiziana più remota, il dio primigenio, solitario e nascosto- Atum- ha perfino lui una “fidanzata”, una paredra: la sua mano che gli serve per spargere il suo divino seme sulla terra.
Ottima integrazione.
Dal canto mio, a “qualcosa di preesistente” sostituirei “qualcosa di coesistente”, cioè l’utero divino, il vuoto, la femminilità di Dio giustapposta (non contrapposta) alla Sua mascolinità.
Di conseguenza, sempre dal canto mio, col “mettere ordine” ci andrei piano e direi “conferire forma”. Non si può “mettere ordine” a qualcosa che ancora non c’è. Il vuoto non è caotico bensì neutro (quindi neanche ordinato), come lo specchio di cui parli in altro commento.
L’artista o l’artigiano conferisce forma e ordine m-e-n-t-r-e crea la sua s-i-n-g-o-l-a opera.
Anche lei , amabile Matto, ha un paio di tasti preferiti..
Musicalmente parlando, i miei sono il do e il sol maggiore.
Le tonalità in minore mi deprimono.
Ecco , deprime il tasto della soggettività.
Non credo che però sia un difetto evitabile.
Ogni soggetto è unico e dunque non fa che cantare al.mondo questa sua unicità, bene o male, da dotto o da zotico, da esperto o da saccente.
Certo se è stonato é un guaio forte, ma si sa che non si può correggere uno che non ha orecchio !
Ancora più deprimente diventa il tasto della soggettività dei cattolici, degli intransigenti, massimalisti, tradizionalisti.
Fino a sessant’anni fa un discorso del genere sarebbe stato considerato da matti veri , perché il cattolico era tale senza attributi e senza differenza di spazio/ tempo.
Un cattolico di New York era come un cattolico di Messina.
Uguale uguale.
Nella dottrina, nell’etica, nella lingua, nel rito.
Erano diversi tra loro i protestanti, polverizzati in sette spesso in antitesi tra loro.
La …protestantizzazione della Chiesa Cattolica, introdotta nel rito della santa messa dal massone Bugnini ci ha condotti passo dopo passo …alla mimesi degli eretici….e
alle sue considerazioni, che ripete nei suoi commenti, come uno che insista su un tasto di tonalità minore.
Una come me, che non si è spostata che di pochi millimetri dalla Chiesa di 60 anni fa, ( la Messa in nuovo ordine, la lingua…) non coglie ciò che coglie Lei.
Il Cattolicesimo ( quello non riformato dai massoni ) non ha nulla di soggettivo.
Presenta Cristo al mondo come Cristo ha ordinato.
Ripete oggi come duemila anni, fa ciò che ha detto e fatto Gesù Cristo, raccogliendolo dalla viva voce degli Apostoli.
Prima dei vangeli scritti ( Gesù non ha scritto nulla) c’è la Tradizione, il racconto orale, consegnato di bocca in bocca, con i riti, consegnati da mano a mano , alle mani dei Consacrati da quegli uomini che vissero col Signore per tre anni.
Da questo sono nate subito le eresie.
Si sa , infatti, che ognuno è libero di aggiungere o levare a ciò che ha sentito, ma essendo vivi gli apostoli, poterono subito raddrizzare e correggere e anatemizzare, anche , gli erranti.
Da ciò nacque la necessità di ” fissare ” per iscritto la
tradizione orale che , ripeto, deriva direttamente dagli Apostoli, inerranti perché guidati dallo Spirito Santo e perché dodici, in grado cioè di controllarsi gli uni con gli altri. Veda san Paolo che ” corregge ” San Pietro sulla questione dei rapporti coi pagani convertiti.
Ma quando leggiamo i Vangeli, davvero resta poco al soggetto che legge, se non la retta comprensione e l’applicazione nella sua condotta di ciò che ha recepito.
L’apofasi è il suo do maggiore!
A me piace tantissimo.Ma questo è davvero soggettivo.
In senso buono.
La sua frequentazione con gli orientali, inclini alla meditazione più degli occidentali, levantini, politicanti come i greci, amanti della retorica e del confronto, le facilita la cosa.
Ma vuole farne una colpa? Suvvia,lei è generoso e gentile.
Un abbraccio
Cara e gentile Mimma,
molto lieto di ri-colloquiare con lei!
Ho considerato attentamente quanto lei scrive e, prima di tutto, rispetto la sua sensibilità interiore dalla quale è scaturito. Sul contenuto, mi limito ad osservare che – non credo di dire un’eresia – è la fede ad attribuire oggettività ai Vangeli, e che questi sono pur sempre un oggetto che si pone davanti a molteplici soggetti, ragion per cui “la retta comprensione e applicazione” da lei auspicata non possono dirsi esenti da soggettività (ciò che è provato più che abbondantemente dalla baraonda in atto e non solo).
Voglio “farne una colpa?”: per niente! Premessa l’onesta intellettuale e morale dei molteplici soggetti, nessuno è colpevole e ognuno segue il sentiero che gli compete: argomento gigantesco e difficilissimo non risolvibile, a mio avviso, con un rigido “si si, no no”, sul cui vero intendimento ho un altrettanto gigantesco dubbio. Si tratta di capire Cristo: per me un’impresa!
Intanto, anch’io, soggetto fra i tanti, proseguo per il mio sentiero apofatico.
Ricambio con affetto il graditissimo abbraccio.
…in aggiunta: mi sembra che queste scelte mistiche, o ascetiche che dir si voglia, siano impregnate di una certa
( grande?) dose di superbia.
Fatevi vuoto e la Luce divina
vi illuminerà…e se così non fosse? Se la divinità- di qualunque genere-, a cui il mistico aspira, fosse di lui schifata? Se la divinità fosse un tantino meno buona, sollecita e corriva di quanto egli la immagina? Se in luogo della Luce egli venisse invaso dalla Tenebra
– erroneamente scambiata per Luce-? Oppure…quale pretesa è quella dell’asceta di “costringere” a far agire dentro di sé- e al posto suo- la divinità? Non è ,questa, una pratica da “apprendista stregone”? Non è egli mosso da una forma di superomismo? Luce…non voglio arrivare alla lampada di Aladino, eppure qualcosa me la rammenta… A te, stavolta, se vuoi, le risposte.
…seconda aggiunta: e se- alla fine del percorso, o nell’immediatezza del medesimo v. Samyè- il mistico, apofatico non trovasse altro che se stesso? Come lo specchio di cui narra una novella di O.Wilde?
finalino…o come, nella cultura nipponica tradizionale,
lo specchio per conoscere se stesso, dopo aver indossato il gioiello della meditazione e aver combattuto con la spada della volontà i fantasmi psichici?
“E se così non fosse?”.
Mi sembra valga per tutti.
Andiamo tutti a tastoni, non sappiamo un cavolo di niente, meno che meno cosa ci capiterà fra un secondo.
Tutto ciò che si pensa, si crede, si discute è un patetico passatempo.
“patetico passatempo”…ma Pathos o Pazos indica la passione e il fuoco che la anima: non miserevolmente compassionevole, dunque, ma ricco di energia.
E se l’energia si potesse impiegare ad altro che al pensare e al discutere. E se, alfine, il fuoco animatore fosse affievolito proprio dal pensare e dal discutere?
Matto caro,
ma in questo caso non ci saremmo conosciuti, né gli altri avrebbero conosciuto tutti gli altri…ciascuno ne avrebbe ignorato l’esistenza prigioniero nella sua celletta disintegrata- rimanendovi come uno dei tanti “figli del deserto” tecnologico”-.
Questo tuo invito non è verso una “docta ignorantia”, né la riproposta di una antica/nuova forma di spiritualità: è un nuovo genere di intellettualismo un tantino dispotico mascherato da spontaneismo.
Piccola appendice appropriatissima:
“Il deserto ti spoglia. Ti riduce all’essenziale.
Ti priva del guardaroba …
e ti fa capire che a tua identità
va ben oltre le livree dell’apparenza”.
Don Tonino Bello
Piccola appendice appropriatissima:
“Il deserto ti spoglia. Ti riduce all’essenziale.
Ti priva del guardaroba …
e ti fa capire che a tua identità
va ben oltre le livree dell’apparenza”.
Don Tonino Bello
Rabi’a – la Quarta ( nata )- è assolutamente ammirevole come mistica. Come donna, o meglio: come essere umano, per me, lo è un po’ meno. Infatti proibì ad un suo discepolo e ammiratore di carezzare con affetto i propri figli perchè in tal modo egli “distoglieva” la sua attenzione dal Dio assoluto.
Per quanto si sforzino di essere come Dio,
( “come fai a pregare un dio se non sei anche tu un dio?”), o dell’idea che essi si sono fatti dell’Assoluto, non credo che ce la facciano a raggiungerlo. E’ già tanto che arrivino a conoscere “qualcosa” di sé.
Che gli affetti umani possano costituire una distrazione da Dio non mi sembra così assurdo.
Ma che mi dici del paradiso e dell’inferno considerati come due nulla?
Ti confesso che…non amo molto la figura dell’asceta che si sottrae ai più puri affetti umani- anche essi dono di Dio-
Quanto a Inferno e Paradiso concordo con l’opinione “assolutista” di Rabi’a per la quale non bisogna comportarsi bene e pregare perchè mossi dalla paura dell’Inferno o per desiderio del Paradiso. Significherebbe sminuire l'”aspetto” di Dio. Preoccupante, invece, a mio modo di vedere, è il modello della perpetua “piangente”
proposto da Rabi’a, sempre afflitta dalle sue manchevolezze umane…Possibile che l’ascetismo religioso sia solo “indifferenza”, oppure “dolore”?
Se nel Vangelo non è scritta un’aggiunta agiografica dell’estensore, Gesù dice “chi non odia suo padre e sua madre etc. etc. non può essere mio discepolo”.
Chiaro che non si tratta di “odiare ” ma l’assoluta preminenza del Signore e quindi un certo distacco dagli affetti terreni mi sembra inequivocabile.
Caro Matto/Enrico,
odiare traduce il verbo greco “misèo” che ha il significato di: amare meno-rinunciare a qualcosa in favore di un’altra. ( Lc. 14:26; Mt. 10:37 ).
Sul fatto che i detti di Gesù nei Vangeli non abbiano nulla o molto poco di ebraico si veda :
https://www.consulenzaebraica.forumfree.it/?t=73409457
Quindi tu pensi sia lecita l’operazione di sovrapporre ad un testo, già ellenizzante per conto suo, una spiegazione derivata dalla mistica dell’estremo Oriente?
E’ indubbiamente un tentativo interessante: però, mi pare che serva ad accrescere la confusione già da te più volte stigmatizzata.
Dal canto mio, non si tratta di “sovrapporre”, bensì di “estrarre” un quintessenza comune. Mi rendo conto che si entra in un terreno accidentato in cui, però, non è obbligatorio addentrarsi. Senza che chi preferisce (legittimamente) di rimanere al sicuro nel porticciolo non scagli l’anatema verso chi con una barchetta vuol uscire per avventurarsi in mare aperto.
Gli esseri umani non sono tutti uguali e volerli rendere tali mi sembra una prevaricazione bella e buona.
Caro Matto,
posto qua per mancanza del rispondi al posto suo giusto.
Oggetto: brocca e vuoto. Chiarisco: per “pieno” si intende
l’involucro, la forma ( in ceramica, vetro, porcellana ecc…) di cui è fatta(?) la brocca.
Mi pare, non offenderti! , che anche tu sei caduto nella trappola delle tante parole senza spiegare nulla.
Prova a spiegare ad un nato cieco che cosa sono la luce e i colori o ad un sordomuto che differenza c’è tra il suono di un pianoforte e quello di un violino. Se ci riuscissi avresti risolto tutti i problemi della comunicazione umana.
Ciao e ad meliora!
Offendermi? La trappola? Vuoi scherzare?
Forse non ti sei accorto che la tua osservazione conferma in pieno quel che ho scritto.
Però, sai benissimo che viviamo nella dimensione delle necessità. Pensa per esempio ai libri e alle omelie sul … silenzio. Quindi, come si può spiegare ciò che nega ogni … spiegazione?
Non dimenticare che sono Matto e per me l’apofasi rappresenta la soluzione … non spiegabile!
L’apofasi, che è poi un lasciar andare tutto (tutto! come quando si muore!) o la si pratica o non la si può comprendere.
Mi fermo qui per non romperti troppo le scatole.
Molto cordialmente.
Già! Se il Nulla esistesse non sarebbe più il Nulla. Come lo spieghi?
Il Nulla esiste, perché senza di Esso non esisterebbe il Tutto.
Nulla /Tutto. E’ lo stesso rapporto Silenzio/Suono.
O anche Apofasi/Catafasi.
Dimenticavo il rapporto Vuoto/Pieno 😃
@Stilumcuriale Emerito: la Sua osservazione mostra una piena, radicale e corretta comprensione del significato “nulla”. Nel suo senso più pieno, radicale e corretto, infatti, “nulla” significa “non-essere”, nihil absolutum, o, come dicevano gli Elleni, τὸ μεδαμῆ ὄν (tò medamê ón). Gli Elleni, con il favore della loro lingua e del loro incomparabile genio, arrivarono assai per tempo a elaborare i concetti di “essere” e “non-essere” e a esaminarne la relazione. Come Lei, anch’essi osservarono che se il nulla esistesse, non sarebbe più il nulla. E sempre loro, gli Elleni, seppero rilevare in tutta la sua portata la contraddizione che molti moderni di vago intelletto e svagate speranze non sono stati, e ancora non sono, in grado di cogliere: Se il nulla non è, se il nulla è non-essere, com’è possibile dunque pensarlo, parlarne, dir cosa sia o cosa non sia? Anche solo parlandone non se ne evoca con ciò stesso l’esistenza? Pensando, dicendo, ponendo il significato “nulla” non lo si fa con ciò stesso esistere? E anche optando per la via dell’apofasi, per indicare cosa il nulla non sia occorre comunque porlo, questo nulla, evocarlo, indicarlo: di che, infatti, intendiamo dire cosa non sia? Del nulla o di un piatto di polenta? Del non-essere o di un paio di scarpe? ***
Lo sciocco preontologico – o anontologico – non è in grado di avvertire tale contraddizione. Tutt’al più, sciocco com’è, la deride: “Embè? Chi se ne impipa! Se c’è contraddizione, crolla forse il mondo?”. Chissà che il mondo non crolli davvero. Di certo crolla la possibilità di porre il significato “non-essere”. E non potendosi porre il significato “non-essere” non si può porre neppure il significato “essere”, dal momento che “essere” è appunto ciò che non è “non-essere”. La contraddizione di cui sopra, in buona filosofia nota con il nome di “aporia del nulla”, ipoteca irrimediabilmente la posizione del significato “nulla”, nonché quella del significato “essere”, e dunque quella di ogni altro significato, dal momento che ogni “essente” è un “positivamente significante”. A volte lo sciocco pre/an-ontologico protesta che la semantizzazione dell’essere e del non-essere rappresenta un inutile coagulo di vane parole. Ma nel dir questo vuole egli significare alcunché, o invece nulla? Vuole evidentemente significare alcunché, e precisamente che “la semantizzazione dell’essere e del non-essere è solo un coagulo di inutili parole”. Anche il mistico, del resto, quando con il suo caleidoscopio apofatico ci ragguaglia sulla sfera estatica, sull’autotrascendimento, sul non detto, sull’indicibile, sul silentium magnum, e via alludendo, vuole significare qualcosa: la mistica, infatti, non è desemantizzazione, ma risemantizzazione, spesso non priva di notevole eloquenza o, nei casi più infelici, di notevole loquacità. Ma poi, persino il demente pone e vuol porre significati: incongruenti, sconnessi, giustapposti, ma significanti; come minimo significanti la propria assurdità. ***
Gli Elleni, dunque, misero a fuoco l’“aporia del nulla”. In particolare Platone si applicò a individuarne lo scioglimento. Nel farlo guadagnò la concezione del “non-essere” come “altro” (ἓτερον, héteron), mostrò cioè che il “non-essere” esiste indubbiamente nel senso che il cucchiaio non è la pentola, che Enrico non è Adriana, che “bah!” non è “oh!”. Ma nel far questo si rese ben conto che il non-essere inteso come “altro” non è il non-essere inteso come “nulla”. Dopo di lui non ci furono altri apporti degni di gran nota, e l’aporia del nulla rimase irrisolta per secoli, diciamo pure per un paio abbondante di millenni. ***
Pure, non è insolubile. E come se ne esce? Non certo affermando la bestialità che “il nulla esiste” (come fece, più di mill’anni or sono quel sempliciotto barbaro di Fredegiso di Tours e come talvolta ancora fa qualche barbarotto dei tempi nostri), bensì mostrando come il nulla sia un significato autocontraddittorio o, più esattamente, come vi sia contraddizione fra la posizione del significato nulla e il contenuto che essa intende porre, e come l’intenzione di porre tale significato si risolva necessariamente in autonegazione. Il che equivale a dire che il nulla può indubbiamente essere posto, detto e pensato, ma che si pone, dice e pensa inevitabilmente come autocontraddittorio, autonegato. Proprio per questo il nulla “non è”. Il nulla, inoltre, non solo si può porre, ma si deve necessariamente porre, perché, come accennato sopra, senza la sua posizione non è possibile che si costituisca il significato “essere”, e con esso tutti gli altri significati. La posizione dell’essere, nonché quella di tutti gli altri significati, implica la posizione del nulla, come autonegantesi. L’essere, nonché qualsiasi essente, cioè qualsiasi positivamente significante, implica immediatamente l’autonegazione del nulla. ***
Come si usa dire, non è questa la sede per esplorare in tutte le sue complesse articolazioni l’aporetica del nulla e la sua soluzione, tanto meno per mostrare tutte le conseguenze che ne discendono. Mi fermo qui: ho scritto già molto e non vorrei passar per “mistico” (almeno non per quel tipo di “mistico”). A chi vorrà, l’onere e il piacere di approfondire per proprio conto. In ogni caso a Lei, caro Stilumcuriale emerito, uomo venerando per lucidità non meno che per età, il più cordiale saluto.
Stilobate,
severo, ma giusto. 👌Lectio magistralis.
Temo però che qui Enrico abbia -non scientemente-
confuso il concetto di “nulla” con quello di “vuoto”, sul quale ultimo Myamoto Musashi (nel “Libro dei cinque anelli”) afferma che il vuoto non è il disordine,- come molti credono-, ma è altro…però, ahimè!, senza spiegare ai comuni mortali cosa sia questo “altro”.
Io, certo non lo so, e mentalmente non riesco ad entrare in un genere di pensiero che considera una brocca vuota esistente realmente a motivo del vuoto che la informa e non del pieno della sua struttura materiale. Speriamo che Enrico sappia caritatevolmente spiegarcelo.
Non posso fare altro che tornare sul ritornello della soggettività ineliminabile, per la quale ognuno vede quel che vuole e/o può vedere. A scanso di equivoci: “ognuno” comprende anche il sottoscritto.
L’argomentare è entropico e si compone di una quantità debordante di concetti e parole che permettono di affermare tutto e il contrario di tutto. Di fatto non vi è la storia della cultura, della filosofia e della teologia bensì delle culture, delle filosofie e delle teologie.
Ciò che interessa e attrae uno può non interessare e attrarre un altro.
Ciò che capisce uno può non capirlo o non volerlo capire un altro.
Non esiste e non può esistere, data la diversità sconfinata dei soggetti, un intendere comune.
Non credo di doverlo dimostrare: basta guardarsi intorno.
Nell’articolo scrivo della “peculiare convinzione dispotico-democratica larghissimamente diffusa che accomuna credenti e atei […] La doxa (opinione) che si presenta come aletheia (verità) è il pantano in cui affonda il mondo: è la letheia, il nascondimento, l’oscuramento, la cecità”.
Quale essere umano può arrogarsi il diritto di affermare: “Il mio parlare è vero e infallibile”?
Inutile ignorarlo: “questo mondo” è conflittuale in ogni suo aspetto.
Non posso fare altro che tornare sul ritornello della soggettività ineliminabile, per la quale ognuno vede quel che vuole e/o può vedere. A scanso di equivoci: “ognuno” comprende anche il sottoscritto.
L’argomentare è entropico e si compone di una quantità debordante di concetti e parole che permettono di affermare tutto e il contrario di tutto. Di fatto, non vi è la storia della cultura, della filosofia e della teologia bensì delle culture, delle filosofie e delle teologie.
Ciò che interessa e attrae uno può non interessare e attrarre un altro.
Ciò che capisce uno può non capirlo o non volerlo capire un altro.
Non esiste e non può esistere, data la diversità sconfinata dei soggetti, un intendere comune.
Non credo di doverlo dimostrare: basta guardarsi intorno.
Nellarticolo scrivo della “peculiare convinzione dispotico-democratica larghissimamente diffusa che accomuma credenti e atei […] La doxa (opinione) che si presenta come aletheia (verità) è il pantano in cui affonda il mondo: è la letheia, il nascondimento, l’oscuramento, la cecità”.
Quale essere umano può arrogarsi il diritto di affermare: “Il mio parlare è vero e infallibile”?
Inutile ignorarlo: “questo mondo” è conflittuale in ogni su aspetto.
Semplificando al massimo:
la brocca vuota senza il pieno è possibile.
Il pieno senza il vuoto della brocca è impossibile.
Perciò il vuoto in sé è essenziale, mentre il pieno è accidentale.
Il vuoto c’è sempre, il pieno può non esserci.
Senza il vuoto che lo raccoglie il pieno si disperde.
E’ il vuoto del cielo che contiene il pieno di sistemi solari e galassie.
E’ il vuoto della mente che contiene il pieno dei pensieri e delle parole.
Ma ciò si comprende davvero soltanto sperimentando il vuoto,
ovviamente … senza eliminare il pieno.
@Stilobate.
Bellissimo , chiarissimo commento. E grazie infinite per il complimento finale che mi aiuta a capire perchè, nonostante tutte le previsioni pessimistiche dei medici, il Signore ritiene più utile lasciarmi di qua che portarmi da là.
STILOBATE, sono felicissimo di leggerla, ma lei mi sta mandando in malora !, anche oggi sono dovuto andare dal corniciaio. ;-))
Grazie.
Lasciarsi essere silenzio.
Anche scrivendo si è silenziosi, ma non si tace.
Oltre al rumore dei polpastrelli sulla tastiera rimbomba il desiderio di esprimere una preghiera, un pensiero, un’opinione, un appello, uno sfogo, un’ammonizione…
Tutto quello che non tace, dice.
Anche il silenzio dice.
L’essere non è vuoto: non è il nulla.
E l’abbandono, lo svuotamento, la penitenza quaresimale, costituendo un anelito a Dio non tendono al nulla, ma al Tutto.
Viceversa il riempirsi di cose vuote fa si che ci frammentiamo, disperdendoci e illudendoci di poter fare tutto, ma svanendo nell’apparenza.
Il cuore dell’uomo pulsa più del ritmo che serve a contrarre il muscolo per pompare sangue.
Segue i ritmi del congetturare, dell’indagine, dell’anelito al vero, dell’amore…
Il cuore dell’uomo, dell’essere che resta umano, racchiude un mistero inossidabile agli schemi e irriducibile alle massificazioni: un unicum che descrive un soggetto irripetibile che ha la facoltà di protendersi nell’universo e che questa facoltà può esercitarla salvo essere costretto in molti modi a dimenticarsi d’averla.
La storia pullula di sistemi miranti ad impedire questo naturale esercizio del sé.
A destare stupore, quasi incredibile, è che questa soggettività sana possa essere capace di oggettività: ovviamente il punto di vista sarà sempre differente (basta un mal di denti per far cambiare la prospettiva sulla giornata che scorre davanti agli occhi), eppure all’uomo non è preclusa la capacità di raggiungere punti fermi. Beninteso: NON li crea, li raggiunge e li scopre.
L’uomo si scopre dono: un ricevente. Si specchia e si comprende. E scambia la conoscenza di sé nella relazione che intesse con altre creature come egli è.
Se è umile, se scende dal gradino e dal piedestallo dove potrebbe ritagliarsi un ruolo non suo, gli si rivela Dio. E’ Dio a rivelarsi e l’uomo lo accoglie: se è umile lo accoglie per come gli si rivela, altrimenti costruirà idoli, ad ogni livello: politico, sociale, religioso, fate voi…
Da questo proliferare di pretese discendono contese, conflitti e tutta l’impurità che il cuore umano sa produrre da dentro (Marco 7). Il contrario dei frutti dello Spirito santo (Galati 5).
L’umanità diventa una matassa inestricabile. Chi tace acconsente, o non dice niente? Chi parla fa danno, oppure annuncia la Verità? Chi esprime un parere giudica e perciò manca di amore? E se non so distinguere il bene e il male, come potrò amare?
L’assenza dell’Essere, l’avversario del bene e del vero (ma anche del bello), è specialista nel confondere le carte. Perciò la non belligeranza interiore di un cuore pacificato nella Verità (che resta tale anche in croce), deve combattere una guerra durissima, necessaria, inevitabile, per liberarsi dalla prigione dell’inganno, utilizzando tutte le armi spirituali dell’arsenale (Efesini).
Non esiste la pace dei sensi, può esistere solo la Grazia di una pace che viene da Dio incarnato in quello specialissimo essere umano che ha creato e salvato, redimendolo dal campo di concentramento (il mondo) in cui è stata seminata abbondantissima zizzania.
Un vero c’è. E chi insegna a dubitarne gli è nemico.
Poi ci sono gli inganni: verissimo che dispotismo e democrazia non sono così dissimili come prigioni: come dicevo all’inizio ci sono tanti sistemi per “far pensare” a molti quel che desidera uno. In assenza della luce (interiore) si fa in fretta ad abboccare all’amo.
In definitiva?
Come se ne esce?
Tacendo, scrivendo, urlando?
Dandosi ragione da soli?
Dando ragione a tutti?
L’uomo è un mistero a se stesso, ma è sospeso tra due stupori: il primo è quando si chiede “ma come è possibile?”… il secondo quando si stupisce di quel che vede: “che meraviglia!”. E’ il percorso dal primo mistero della gioia (l’annuncio angelico a Maria) al quinto della gloria (la creatura che ha permesso l’incarnazione di Dio è la regina del cielo tra angeli e santi).
So spiegare tutto? Ho capito tutto? Certo che no.
Però è così e mi basta. Allora taccio, per contemplare.
Non sto zitto per dire che è meglio tacere.
Non urlo odiando, non urlo per spiegare ciò che ricevo in dono. Mi basta il dono (e il perdono per tutte le volte che l’ho sprecato o ho impedito ad altri di potersi accorgere che è anche per loro). La Verità è Cristo.
E’ venuto nella storia a salvarci.
NOTA BENE: ha detto che tornerà. Vieni presto!
Grazie del contributo.
«Essi (quelli che lo seguivano) gli dissero: “Rabbi (che, tradotto, vuol dire maestro), dove abiti?”
Egli disse loro: “Venite e vedete”.
Una lettura anagogica di questo passo giovanneo dice qualcosa di profondissimo e possibile.
Venite e vedete ? E’ la base della scoperta scientifica ed è anche quella che io chiamo la sindrome di San Tommaso.
Qui siamo oltre, infinitamente otre la scienza.
Se il maestro dice: “Venite e vedete”, vuol dire che si può andare e vedere, cioè conoscere.
Chi vede, conosce, e non ha più necessità di credere.
Eh già.
Senza la mediazione dell’incarnazione di Cristo (vero Dio e vero uomo) mancherebbe la possibilità dello sguardo che, seguendo il Maestro, conduce a riconoscere il nesso tra la creazione e l’Agnello immolato fin da quell’istante. Ragionarne nel tempo è diverso che nell’eternità. La Ratio è nel Logos, non nei lumi di chi cogita per ergo sum. In Dio ci sono distinzioni (es. le tre Persone Divine), ma mai antitesi o diversità: è tutto coeterno, per cui la creazione è redentiva e la redenzione creatrice. Così il Mistero divino sta nella Santa Messa. L’anagogia è il punto di vista di Dio.
Allora un uomo non tiene la verità in tasca, ma sta nella tasca della Verità.
Tranne che per i testimoni oculari, l’incarnazione del Verbo è una fede nel “racconto” dell’Incarnazione, e intorno a tale racconto è stata edificata la Dottrina nella quale lei si mostra ben ferrato. Ma credere nel racconto dell’Incarnazione non è conoscerla.
Lei afferma: “Ragionarne nel tempo è diverso che nell’eternità”, ciò che fa dedurre che lei sappia cos’è il ragionare nell’eternità. Quindi, nell’eternità si ragiona? Nell’eternità c’è la necessità di ragionare?
Semprechè non desideri scappare altrove.. Talvolta l’Uomo è compreso nella verità, altre, direi più spesso, lotta con essa, per poter far emergere i propri istinti ed il proprio ego. Comunque grazie per le sue riflessioni, insieme chiare e profonde.