Passione secondo Giuseppe. La Storia di don Paccagnella.
16 Febbraio 2024
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito ci ha scritto, e doverosamente vi giriamo il messaggio, e l’articolo. Buona lettura e condivisione.
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Caro Dott. Tosatti,
DON GIUSEPPE PACCAGNELLA
Una ricostruzione storica che veste i panni del romanzo popolare, volta a far emergere dalla polvere una memoria sepolta in un sottotetto al centro di Padova e dare voce oggi a un povero prete, avversato e combattuto in vita, che nemmeno la morte ha restituito alla storia condivisa della diocesi di Padova.
La narrazione, le immagini e i dialoghi sono tratti o riadattati dai documenti, dalle lettere, dagli atti pubblici e privati e dai diari dei protagonisti, scrupolosamente consultati dall’autore che li ha poi inseriti nel quadro più ampio della temperie culturale e delle vicende ecclesiastiche dipanate nell’arco di cinquant’anni, restituendo così un racconto che unisce storia, personalità prorompenti e soprattutto eventi straordinari privi di spiegazioni terrene, che in diversi modi scossero l’animo e la fede di ogni personaggio coinvolto.
Morto nel 1966, don Giuseppe Paccagnella, padovano, l’ha subìto con estrema durezza su sé stesso; con in più l’handicap di non aver potuto contare su una rivalutazione postuma. Ha trascorso tutta la sua esistenza in un buio sofferto, contestato, amarissimo, malgrado la comunità padovana gli dovesse un’opera esemplare, la Casa del Fanciullo. Oggi, nel centenario dell’apertura, avvenuta il 31 maggio 1922, provvede a sottrarlo al silenzio Giovanni Ponchio, con un libro che già dal titolo propone il taglio di fondo: “Passione secondo Giuseppe”. Una passione vissuta attraverso calunnie, contestazioni, processi, condanne; per finire letteralmente nell’angolo di un paesino di 300 anime agli estremi confini della diocesi di Padova, Liedolo, pendici del Grappa. Tornato nella sua città solo per morirvi, più isolato che mai.
LA CASA PER GLI ORFANI
Eppure il suo percorso era partito al meglio, con la benedizione dell’allora vescovo Luigi Pellizzo e l’appoggio dell’Arca del Santo, a due passi dalla Basilica antoniana. Il 31 maggio 1922 a Padova in via Cesarotti 5, con l’accoglienza di otto bambini ebbe inizio l’attività della Casa Antoniana dei Buoni Fanciulli. Il suo fondatore don Giuseppe Paccagnella la definì «l’opera che sento voluta da Dio, con i collaboratori che il Cuor di Gesù mi ha dato per coadiuvarmi e per accogliere quei bambini orfani, abbandonati che sento di amare come padre, che sono al centro delle mie sollecitudini spirituali». L’edificio, acquistato grazie ad una donazione dell’Arca del Santo, era formalmente di proprietà di una società anonima che aveva tra i maggiori soci il vicario generale della diocesi di Padova e il rettore della basilica del Santo. Il vescovo Pellizzò in persona lo inaugurò, celebrandovi la Messa e amministrando la prima comunione e la cresima a due dei bambini che vi erano ospitati.
Opera voluta dal Padreterno certamente, molto meno dagli uomini. Un anno dopo, la diocesi fu squassata da un’autentica bufera che travolse lo stesso vescovo, Luigi Pellizzo, friulano di grande spessore insediato nel 1907, e che aveva rilanciato alla grande l’impegno dei laici e rivitalizzato una chiesa assopita. Troppo, per un establishment sia religioso che laico, che lo vedeva come il fumo negli occhi, e che a lungo tramò per liberarsene: riuscendoci nel 1923, con la decisione di papa Pio XI di trasferirlo a Roma con un’autentica rimozione d’ufficio. Don Giuseppe fu una delle armi utilizzate in questa devastante operazione, assieme a Lina Salvagnini, donna che lavorava nella cucina della Casa, e che era caratterizzata da particolari esperienze mistiche. Contro i due, e contro i convinti sostenitori che li affiancavano, venne montata un’ignobile campagna scandalistica la cui regìa stava all’interno della stessa Curia. Il risultato fu devastante: due procedimenti canonici, uno a Padova e l’altro a Roma, con sospensione a divinis per il sacerdote, e privazione dei sacramenti dei membri laici della Casa, Salvagnini in testa: oggetto quest’ultima di lunghe, tormentate, odiose indagini che miravano a screditarla. Il martello religioso trovò sponda nell’establishment laico padovano, che riuscì a far indire un procedimento civile contro il sacerdote, risolto con la sua condanna e la chiusura della Casa. Ma nonostante tutto la benemerita azione del piccolo ma combattivo gruppo riuscì a continuare in altra sede, non facendo mancare ai più poveri l’accoglienza di base. Dopo il 1940, morta Lina Salvagnini, arrivò il permesso legale di proseguire l’attività con i più piccoli. Don Giuseppe visse nel nascondimento e nella preghiera per più di vent’anni. L’emarginazione di don Giuseppe continuò ancora: riabilitato formalmente soltanto nel 1947, venne comunque tolto di mezzo spedendolo in esilio in un lembo di terra trevigiana rientrante nella diocesi di Padova.
LA MEMORIA SEPOLTA
Il meritorio lavoro di Ponchio si snoda col ritmo e il coinvolgimento di un romanzo, ma di romanzato non c’è nulla: è frutto di un lungo, accurato, appassionato lavoro di ricerca sugli archivi della Casa, e quelli vaticani. Lettere, documenti, brani di diari, attraverso i quali è possibile rivivere dall’interno un’oscura vicenda protrattasi per mezzo secolo, attraverso tre diversi papi e cinque vescovi; una narrazione che al tempo stesso propone un ritratto inquietante della Padova dell’epoca, dominata da un’insana alleanza tra potere civile e religioso. Con un intento dichiarato dall’autore: «Far emergere dalla polvere una memoria sepolta in un sottotetto al centro di Padova, e dare voce oggi a un povero prete, avversato e combattuto in vita, che nemmeno la morte ha restituito alla storia condivisa della diocesi.
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Tag: giuseppe, paccagnella, padova
Categoria: Generale