“Chi Ubbidisce alla Loggia non Può Ubbidire alla Legge”. Una Opinione, Prima Parte.

3 Gennaio 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, Una Opinione, offre alla vostra attenzione questo racconto, diviso un due parti…ecco la prima. Buona lettura e condivisione.

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“Chi ubbidisce alla Loggia non puó ubbidire alla Legge”

 

Leggendo la seguente affermazione: “(Bergoglio) … è un uomo con una mentalità di potere”, nell´articolo: “Quanto in Basso Dobbiamo Ancora Cadere? Bergoglio Visto da Henry Sire”, pubblicato recentemente in marcotosatti.com, mi è venuta in mente la seguente domanda: “Ma papa Francesco appartiene a qualche societá segreta?” Lo scritto non ne parla proprio. Ma allo stesso tempo mi pare inverosimile che la persona Jorge M. Bergoglio non abbia pensato di aderire il piú presto possibile ad una società segreta al fine appunto di assicurarsi ogni potere per lui immaginabile (del perché di questa possibilitá si veda in seguito). E pensando pensando mi sono detto: “Ma anche se fosse cosí, cosa c´è di tanto male ad appartenere ad una societá segreta? Lá dentro si considerano “fratelli tutti” e a parte questa fissa loro, di piú non gli si puó rimproverare”. Per cui ho lasciato li l´interrogativo.

 

Poi ho dormito un´intera notte e al risveglio mi è iniziato a rimbalzare nella testa la storia del giudice iniquo e della vedova  (Lc 18:1-5). All´inizio non ho trovato razionalmente nulla che lo collegasse alla questione ma poi mi sono ricordato dello scritto di Maria Valtorta (Vol. VIII/505) ed ecco che lá, grazie agli ulteriori particolari raccontati da Gesú, ho capito perché era pertinente.

Ecco il Suo racconto (e cosí vi risparmio la fatica di andarlo a cercare – inoltre l´insegnamento della parabola credo che sia attualissimo, anzi … salvificissimo!):

«Ascoltate questa parabola, che vi dirà il valore della preghiera costante.
Voi lo sapete ciò che dice il Deuteronomio parlando dei giudici e dei magistrati. Essi dovrebbero essere giusti e misericordiosi, ascoltando con equanimità chi ricorre a loro, pensando sempre di giudicare come se il caso che devono giudicare fosse un loro caso personale, senza tener conto di donativi o minacce, senza riguardi verso gli amici colpevoli e senza durezze verso coloro che sono in urto con gli amici del giudice. Ma, se sono giuste le parole della Legge, non sono altrettanto giusti gli uomini e non sanno ubbidire alla Legge. Così si vede che la giustizia umana è sovente imperfetta, perché rari sono i giudici che sanno conservarsi puri da corruzione, misericordiosi, pazienti verso i ricchi come verso i poveri, verso le vedove e gli orfani come lo sono verso quelli che non sono tali.
In una città c’era un giudice molto indegno del suo ufficio, ottenuto per mezzo di potenti parentele. Egli era oltremodo ineguale nel giudicare, essendo sempre propenso a dar ragione al ricco e al potente, o a chi da ricchi e potenti era raccomandato, oppure verso chi lo comperava con grandi donativi. Egli non temeva Dio e derideva i lagni del povero e di chi era debole perché solo e senza potenti difese. Quando non voleva ascoltare chi aveva così palesi ragioni di vittoria contro un ricco da non poter dare ad esso torto in nessuna maniera, egli lo faceva cacciare dal suo cospetto minacciandolo di gettarlo in carcere. E i più subivano le sue violenze ritirandosi sconfitti e rassegnati alla sconfitta prima ancora che la causa fosse discussa.
Ma in quella città c’era pure una vedova carica di figli, la quale doveva avere una forte somma da un potente per dei lavori eseguiti dal suo defunto sposo al ricco potente. Essa, spinta dal bisogno e dall’amore materno, aveva cercato di farsi dare dal ricco la somma che le avrebbe concesso di saziare i suoi figli e vestirli nel prossimo inverno. Ma, tornate vane tutte le pressioni e suppliche fatte al ricco, si rivolse al giudice.
Il giudice era amico del ricco, il quale gli aveva detto: “Se tu mi dài ragione, un terzo della somma è tuo”. Perciò fu sordo alle parole della vedova che lo pregava: “Rendimi giustizia del mio avversario. Tu vedi se io ne ho bisogno. Tutti possono dire se ho diritto a quella somma”. Fu sordo e la fece cacciare dai suoi aiutanti.
Ma la donna tornò una, due, dieci volte, alla mattina, a sesta, a nona, a sera, instancabile. E lo seguiva per via gridando: “Fammi giustizia. I miei figli hanno fame e freddo. Né io ho denaro per acquistare farina e vesti”. Si faceva trovare sulla soglia della casa del giudice quando questi vi tornava per sedersi a tavola coi suoi figli. E il grido della vedova: “Fammi giustizia del mio avversario, ché ho fame e freddo insieme alle mie creature” penetrava sino nell’interno della casa, nella stanza dei pasti, nella camera da letto durante la notte, insistente come il grido di un’upupa: “Fammi giustizia, se non vuoi che Dio ti colpisca! Fammi giustizia. Ricorda che la vedova e gli orfani sono sacri a Dio e guai a chi li conculca! Fammi giustizia se non vuoi soffrire un giorno ciò che noi soffriamo. La nostra fame! Il nostro freddo lo troverai nell’altra vita, se non fai giustizia. Misero te!”.
Il giudice non temeva Dio e non temeva il prossimo. Ma di esser sempre molestato, di vedersi divenuto oggetto di risa da parte di tutta la città per la persecuzione della vedova, e anche oggetto di biasimo, era stanco. Per questo un giorno disse fra sé: “Per quanto io non tema Dio, né le minacce della donna, né il pensiero dei cittadini, pure, per porre fine a tanta molestia, darò ascolto alla vedova e le farò giustizia obbligando il ricco a pagare. Basta che essa non mi perseguiti più e mi si levi d’intorno”. E chiamato l’amico ricco gli disse: “Amico mio, non è più possibile che io ti contenti. Fa’ il tuo dovere e paga, perché io non sopporto più di essere molestato per causa tua. Ho detto”. E il ricco dovette sborsare la somma secondo giustizia.

Questa è la parabola. Ora a voi applicarla.”

Seguono le parole di Gesú che illustra il significato della parabola. Qui un link:

http://www.valtortamaria.com/operamaggiore/volume/8/dv-nel-tempio-una-grazia-ottenuta-con-la-preghiera-incessante-e-la-parabola-del-giudice-e-della-vedova

Ora riprendo per spiegare perché secondo me questa parte dello scritto della Valtorta è importante (come tutte del resto): nel racconto il giudice si propone di fare un torto alla vedova per favorire il proprio “amico mio” (cosí lo chiama). Ma nelle società segrete il giudice che vi ha aderito (e penso che ce ne siano moltissimi: il fatto che durante la “piandemia” molti politici, medici, ecc. hanno fatto quello che hanno voluto e nessuno ancora viene portato seriamente sul banco degli imputati me lo grida in faccia), salvo casi di intimitá stretta, a mala pena si sognerebbe di usare questo appellativo e userebbe invece il termine di “fratello”. E con questo appellativo sottintende un vincolo fra lui ed altri come lui che è stato creato artificialmente (iniziazione) ma che si presume che durerá per tutta la vita (credo che qui si applichino le parole del Gran Maestro Di Bernardo) e che nel caso di rottura da parte dell´aderente reciderá contemporaneamente il vincolo con tutti i “fratelli”. Si deve pensare, e chi non lo pensa è certamente uno scemo, che le società segrete sono tali perché hanno appunto dei segreti da custodire. Per cui il primo problema che i “fratelli” vogliono evitare in caso di defezione di uno di loro, sará certamente: “E se spiffera tutti i nostri segreti?”

Il giudice del Vangelo puó sempre decidere, e lo fa, di dispiacere all´amico se la situazione gli diventa insopportabile. Il giudice aderente alla società segreta puó sí avere tanti amici nel senso vero del termine come il primo, ma ancor piú “fratelli acquisiti”, e ció rientra nella natura della “fratellanza” (come anche di quella di sangue), che è normale che vengano aiutati all´occorrenza perché cosí lui si aspetta da loro alla stessa maniera e che nella distribuzione di indebiti favori possono venire addirittura prima dei veri fratelli di sangue o di coloro che sono semplicemente amici o di coloro che non sono amici ma a cui viene negata giustizia.

Non è detto che l´appartenente alla società segreta debba fare per forza qualcosa per essa o per i suoi aderenti. In teoria potrebbe avere la fortuna che non gli si chieda mai niente, ma anche la sfortuna che gli si chieda tutto. L´importante è che sia sempre pronto e disponibile ad attivarsi a fare qualcosa (sempre in base alle sue possibilità concrete) secondo quanto gli viene richiesto dagli altri “fratelli” o da qualche “fratello” importante che ne rappresenta l´autoritá. E qui ha normalmente scarsa manovrabilitá nel potersi tirare indietro se non ne condivide gli scopi o i metodi che deve impiegare: deve normalmente stare al gioco e poi pensare magari ad uscirse dopo dalla società segreta o pensare ad imboscarsi laddove puó farlo (qua sto tirando ad indovinare ma mi pare che il ragionamento fili). Sorvolo sulla possibilità, concretissima a mio avviso, che chi sta nelle società segrete abbia compiuto atti inconfessabili e quindi possa essere facilmente ricattato.

Il giudice del Vangelo si puó procurare la tranquillità dell´animo dando la giustizia richiesta non essendo legato da alcun o poco condizionamento. L´appartenente alla società segreta con l´atto di iniziazione ha fondamentalmente abbandonato questa libertà e l´ha messa nelle mani dei “fratelli” piú anziani (che sanno tante cose in piú riguardo agli scopi della società segreta e che tanto meno sono note quanto piú sta in basso nella scala gerarchica).

Ora … andando al caso concreto attuale di un giudice che ha aderito ad una società segreta (e questo discorso vale generalmente anche per chi non sia giudice): questo tenderà e forse a volte sará costretto a giudicare a favore del “fratello”, qualora se lo ritrovi nel banco degli imputati o come parte in causa, e non secondo il comportamento giusto o sbagliato che ognuno ha avuto. E qui avviene una situazione che é chiaramente in contrasto con quella prescritta dal Deurotomio: “Essi dovrebbero essere giusti e misericordiosi …”, cadendo cosí nel peccato cosí come era caduto il giudice del Vangelo che Gesú non esita a definire “giudice iniquo”. Ma questo eventuale concreto comportamento non è un qualcosa che puó avvenire una volta ogni tanto, spesso oppure mai, il punto non è questo: qui si sta davanti ad una persona che si impegna a priori (qualcuno potrebbe anche pensare: “Giura”?), e questo salvo nei casi in cui rischi di fare scoprire sé stesso e i suoi “fratelli” di fronte alla pubblica opinione … a differenza del giudice “iniquo” del Vangelo a cui non importa il “pensiero dei cittadini”, il “fratello” moderno ci tiene alla propria rispettabilità mostrando cosí un elevatissimo grado di ipocrisia, a che tutte le volte che si troverà a giudicare o perseguire un “fratello” (ma forse anche dei “fratelli” di altre società segrete “sorelle”) lo favorirà sempre e comunque (e naturalmente … i “fratelli”, sicuri dell´impunitá garantita dal “fratello” giudice, saranno piú propensi a gettarsi senza remore in azioni spericolate o addirittura disoneste che senza il suo previsto e scontato aiuto non avrebbero mai pensato di compiere per paura di essere perseguiti). E quindi cosí come per il giudice del Vangelo anche il giudice moderno che si è fatto “fratello” ha, quando sentenzia in tale maniera, un comportamento disapprovato da Dio. Va aggiunto che nel caso del giudice del Vangelo, l´amico deve stare sempre con la paura che il giudice “amico” non lo assecondi (e quindi prima di compiere il suo atto ingiusto, ci penserà almeno due volte o quanto meno dovrá cercarne un assenso preventivo).

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2 commenti

  • Gsk ha detto:

    Traduzione: iscriviti al PD….

  • mons. Egizio Salomone ha detto:

    Un po’ dissento. Per l’Italia il d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109, all’art. 3 proibisce ai giudici ordinari (unica categoria, solo quelli, non amministrativi e contabili) di aderire “ad associazioni segrete o i cui vincoli sono oggettivamente incompatibili con l’esercizio delle funzioni giudiziarie”. Ma l’associazione a cui i riferisce l’autore non è “segreta”, perché pubblica con la propria sottoscrizione (è società non riconosciuta). Quindi la faccenda resta dubbia per i giudici. No, lì i potere non viene da fratellanze, e le decisioni discutibili sono più faccenda di ideologia convinta o di mancanza di senso storico e dunque di teoremi inverosimili e complicatissimi (un complotto complicatissimo non riesce mai: ha troppi passaggi da superare). Per un professionista conviene più un Rotary, meno fatiche (certe società sono molto, molto impegnative), più cene, più soldi. Oppure circoli e fondazioni (nel pd ognuno ha la sua).
    Cmq tra tutte le categorie i giudici ordinari sono i meno rappresentati in siffatta società, per evitare rogne dal csm, provvedimenti disciplinari da impugnare ecc. Non è previsto di favorire il fratello, solo di soccorrerlo in pericolo. Si esce mettendosi in sonno (dal quale si può anche rientrare). In Italia hanno facoltà di giudicare in certe aree geografiche, in Francia sono 10 volte di più, nei paesi anglosassoni come dice Bergoglio sono “tutti fratelli”, ma lì sono cristiani protestanti, compresi pastori e vescovi (e sovrani). Lì inoltre sono alla luce del sole, fanno visite turistiche nei templi, lo scrivono nel curriculum, è una cosa più “popolare”.
    Se vuole una categoria ove si favoriscono solo gli amici (più che i fratelli) v. i docenti universitari (non ho mai visto un concorso non fatto ad personam) specie in campo medico, ma ovunque. Ho constatato che i maggiori favoritismi girano tra i cosiddetti cattolici (?) democratici, la ex sinistra dc non ha più soldati ma ha migliaia di generali ovunque nello stato e fuori, e favorisce i propri fratelli (qui fratelli religiosi, ma di religioso hanno poco: sono fondamentalisti cristiani con una patina sottilissima di cristianesimo). Se vuoi far carriera lascia stare le società varie e “dossetizzati” (come io suggerii a un collega che voleva divenire docente universitario, e lo divenne infatti).