L’Universale, Estatico, Ah! il Matto.
26 Dicembre 2023
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae il nostro Matti offre alla vostra attenzione queste riflessioni che ben si adattano al tempo natalizio. Buona lettura e condivisione.
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L’UNIVERSALE, ESTATICO AH!
Può darsi che da parte dei fedeli cattolici, tanto ecclesiatici quanto laici, sia giunto il tempo di un ampliamento di sguardo secondo quanto esposto in quanto segue, e che, è da precisare, non intaccherebbe in nulla la loro fede. Parlo di uno sguardo ecumenico, perciò né ecumenista vaticanosecondista né conservatore preconciliare (dissolutore il primo quanto impietrante il secondo), quindi uno sguardo davvero universale, eclettico, munifico, quindi cattolico. Direi uno sguardo nuovo e antico, com’è scritto profondissimamente in Matteo:
«Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Neanche a dirlo, non mancherà chi griderà allo scandalo e, tanto per cambiare, stigmatizzerà Cusano e Vannini come pericolosi attentatori gnostico-massoni alla cattolica fede, Matti come il sottoscritto che li propone e quindi da mettere all’indice. Ma che dire? Così è sempre andata, va e andrà la vita su questo terrestre, incidentato, onirico piano orizzontale, ossia in questo sogno che per ciascuno, dotto o ignorante che sia, ha un inizio e una fine.
Eh sì! se non ci si accorge che questa vita terrena è un sogno, un passaggio onirico, per giunta dalla durata non solo sconosciuta ma diversa per ciascuno, non si può non rimanere aggrappati a ciò che il sogno presenta e rimanerne preda facendone un motivo di vita, sicché sarebbe da chiedersi, molto seriamente, cosa ci si porta di là quando il sogno finisce. Al riguardo, molto istruttivo risulta un detto dei Nativi d’America (i veri Americani):
«Il giorno che ho capito che l’unica cosa che mi porterò via è ciò che vivo, ho iniziato a vivere ciò che voglio portarmi via».
E siccome, da Matto, “voglio portarmi via” nientemeno che l’Archè, “ho iniziato a vivere” slanciandomi diuturnamente verso Esso evadendo pervicacemente dal sogno. Come? Con l’apofasi, ossia lasciando andare tutto ciò che il sogno mi presenta. E ciò perché io non sono il sogno, ma il Sognatore!
«Rabbi Jehudi racconta: “Quando avevo tredici anni mi si rivelarono improvvisamente alcuni dei passi più complessi della Torah e a diciotto anni ero considerato uno dei grandi della Torah. Ma mi rendevo conto che l’uomo non può giungere alla perfezione soltanto grazie all’apprendimento. Compresi ciò che sta scritto nel midrash su nostro padre Abramo: egli studiò il sole, la luna e le stelle e non trovò Dio in nessun luogo, e nel non trovarlo gli si manifestò la presenza di Dio. Questa profonda intuizione mi accompagnò per tre mesi. Poi cominciai a cercare così a lungo fino a che non giunsi anch’io alla verità del non trovare”».
Martin Buber, Die Geschichten der Chassidim (Storie dei Chassidim), Zurich 1949, pag. 715.
«La verità del non trovare»: apofasi. Punto più che ostico per molti.
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da marcovannini.it
Niccolò Cusano: La pace della fede, Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2023. Introduzione e note di Marco Vannini.
Nel 1453, subito dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi, mentre i più progettavano una nuova crociata, Niccolò Cusano scrisse il De pace fidei. In esso si immagina un Concilio tenuto in cielo tra i filosofi di tutte le religioni, alla presenza del Verbo, cioè Cristo, degli apostoli Pietro e Paolo e del Signore stesso, per ricercare la pace tra le diverse fedi. Essa viene effettivamente trovata grazie al generale riconoscimento che, al di là delle diversità teologiche e di culto, è sempre un unico Dio quello che in realtà tutti i popoli hanno sempre adorato, nella comune ricerca della beatitudine eterna. Religio una in rituum varietate: una sola religione nella diversita dei riti, è la formulazione sintetica che Cusano offre per una vera e duratura pace religiosa.
Opera straordinaria per i tempi in cui fu pensata e scritta, La pace della fede è un testo che ha ispirato nei secoli molti filosofi sul tema dei conflitti religiosi, ma che non manca di rivelare tutta la sua attualità nel nostro tempo.
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Marco Vannini, Sulla religione vera. Rileggere Agostino, Lindau, Torino 2023.
Questo libro riprende esplicitamente anche nel titolo il De vera religione di Agostino, con le sue due tesi essenziali. La prima è che da sempre all’interno dell’uomo abita la Verità – luce visibile non con gli occhi del corpo, ma con quelli della mente, oltre lo spazio e il tempo. La seconda è che fede cristiana e filosofia sono la medesima cosa, in quanto l’appello evangelico alla sequela di Cristo con la rinuncia a sé stessi coincide con la filosofia, nel suo senso originario di distacco, «esercizio di morte», come la definisce Platone, e come fu ben chiaro ai primi Padri della Chiesa.
Mentre le teologie fondate sulle Scritture non superano l’esame della filologia e della critica storica contemporanea e il cristianesimo sembra così avviarsi al tramonto, la religione vera si mantiene nella mistica, che è la forma di vita che prosegue quella filosofica del mondo classico: Meister Eckhart, san Giovanni della Croce, Henri Le Saux-Abhishiktananda ne sono alcuni degli esempi, antichi e moderni. A essi, e innanzitutto ad Augustinus magister, occorre perciò fare riferimento, oggi più che mai.
«Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi! Et ecce, intus eras et ego foris […] mecum eras et tecum non eram…»
«Tardi ti ho amato, o bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato!
Tu eri all’interno di me, ma io ne ero fuori […] tu eri con me, ma io non ero con te…».
Agostino, Confessioni X, 28
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Si propone ora, nella temperie di quanto sopra, un significativo passo, di indubbio sapore apofatico, tratto da Henry Le Saux (monaco benedettino), Tradizione indù e Mistero trinitario.
«Ogni vero cammino verso Dio, in qualunque contesto spirituale, deve terminare nell’ah di Geremia: “A, a, a, dixi, Domine Deus: ecce, nescio loqui” (Ger 1,6). L’uomo comincia a conoscere davvero Dio soltanto quando sa di non saper nulla di lui.
“Quando pensi di conoscerlo bene,
in verità sai poco del Brahman …
Colui che non lo conosce, lo conosce;
colui che lo comprende, non l’ha compreso …
In un risveglio esso è conosciuto …
è come lampo che guizza, fa batter la palpebra e dire: ah!”
(Kena Upanishad 2, 1.3: 4,4).
Finché si cerca di cogliere e trattenere Dio nelle parole e nei concetti, non si abbraccia che un idolo* . Dio sfugge alla presa nell’istante stesso in cui si tenta di afferrarlo.
* Per San Gregorio Nisseno ogni concetto relativo a Dio è un simulacro, un’immagine fallace, un idolo… Non vi è che un solo nome per esprimere la natura divina, ed è lo stupore che afferra l’anima quando essa pensa a Dio» (Vladimir Lossky, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, tr. it. di M. Girardet, Bologna: Il Mulino-EDB, 1967, p. 29, con riferimento a S. Gregorio di Nissa, De vita Moysi e In Cantica XII)».
* * *
«L’ah di Geremia», il «lampo che guizza, fa batter la palpebra e dire: ah!»:
proprio così: l’AH! L’universale, estatico AH! Il momento magico della vera Vita! Tutto il resto del “tempo” non è che impastoiamento sonnifero in elucubrazioni e chimeriche preoccupazioni che impietrano la coscienza, rattrappiscono le ali dell’anima, impediscono il risveglio liberatore del Sognatore.
Nipponicamente (son tornato da un recente, magico soggiorno in Giappone), mono no aware: “l’ah delle cose” (o anche “il pathos delle cose”) che Henry Focillon così illustra nel suo splendido Il genio giapponese:
«Conoscere l’ah delle cose, ossia la loro tristezza, la loro vita nascosta, la loro emozione latente, la dolcezza e il dolore che ciascuna di esse mescola all’armonia dell’universo. Conoscere l’ah delle cose significa essere sensibili alla loro poesia segreta, ascoltarne la lezione di umanità. Non bisogna vivere per se stessi, bisogna vivere per gli altri, bisogna vivere per il tutto. Chi comprende l’ah delle cose accede allo spirito di sacrificio, alla carità, alla bontà».
Più cattolico (direi quasi francescano) di così?
* * *
Propongo ora il magnifico Inno a Dio di Gregorio di Nazianzo (PG 37, 507), che, se bene assunto, può contribuire all’ampliamento di sguardo che si proponeva all’inizio.
«O Tu, che sei oltre ogni cosa!
Come altrimenti Ti si può celebrare?
Qual parola potrà lodarti?
La lingua non riesce a esprimerTi
Qual pensiero può coglierti?
Tu sei inafferrabile dalla mente.
Tu solo sei indicibile,
Origine di tutto ciò che è detto.
Tu solo sei impensabile.
Padre di tutto ciò che è pensato.
Tutte le cose inneggiano a Te,
sia le parlanti che le mute.
Tutte le cose T’onorano,
sia le intelligenti che le incoscienti.
Il desiderio di tutti, di tutti il gemito
in Te s’incontrano. Tutto Ti prega.
Tutto che intende l’opera Tua
un tacito inno T’eleva.
In Te tutto sussiste,
a Te s’affretta.
Di tutti sei il Fine,
e Uno, e Tutto, e Nulla.
Non sei una cosa sola, né tutte.
Tu hai tutti i nomi, e come chiamerò
Te, il solo innominabile?
Qual intelletto celeste
potrà penetrare oltre le nubi?
Sii propizio,
o Tu, che sei oltre ogni cosa!
Come altrimenti Ti si può celebrare?».
*
Notare non solo quell’«Uno, e Tutto, e Nulla» che travalicano la ragione, ma anche quei “tutto”, “tutti”, “tutte”, ossia l’esclusione dell’esclusivo che in treccani.it viene così spiegato:
«Che tende a escludere o ha forza di escludere: clausola e.; diritto e., che compete a una sola persona o ente, escludendo tutti gli altri dall’esercizio del diritto medesimo; modello e., lo stesso che modello in esclusiva. Riferito a persona, che afferma o giudica troppo recisamente, ritenendo buone soltanto le opinioni proprie e fallaci quelle altrui».
«L’AH di Geremia»,
l’induista «lampo che guizza, fa batter la palpebra e dire: AH!»,
il nipponico «mono no aware, l’AH delle cose».
È sempre il medesimo, contemplativo, magico, inclusivo, risvegliante, trasumanante, universale, cattolico AH! che sprizza grazie all’universale onnipervadenza dello Spirito Santo, la Luce beatificante.
Tutto il resto è angusto bozzolo donde mai il sognante bruco può trasfigurare in risvegliata, libera farfalla.
Il Verbo – l’Archè – nasce nel silenzio della grotta del cuore, poiché nell’albergo rumoroso dei meandrici intrecci del cervello (quindi, mi si permetta un’impertinenza, anche negli articoli del Diritto canonico), non c’è posto per Lui.
«Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose,
e la notte era a metà del suo corso,
la tua parola onnipotente dal cielo,
dal tuo trono regale, guerriero implacabile,
si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio,
portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile».
In un profondo silenzio … una spada affilata che ristabilisce l’ordine …
Solo un profondo silenzio, quindi un’apofasi, può far cadere la cortina del sogno, e propiziare l’autentico, estatico AH!, unica autentica risposta al richiamo dell’Archè che nasce nella grotta del cuore.
Stupefacente AH! che rapisce e risveglia chi, in profondo silenzio, perciò in istato apofatico, contempla il Cielo nella Santa Grotta, sprovvista, si noti, di biblioteca!
Contemplare l’Arché, l’Infante che dalla Grotta richiama … senza parlare! Infante: «da IN per non e FANTEM da FARI parlare» (etimo.it).
Non per nulla i Sufi sapientissimamente proclamano:
«Solo dal cuore puoi toccare il cielo».
Jalal ad-din Rumi
«Il Tuo posto nel mio cuore
è tutto il mio cuore.
Non c’è spazio per nient’altro
oltre a Te».
Mansur al Hallaj
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Tag: matto, universale estatico
Categoria: Generale
Anelito verso la trascendenza, L ‘Altissimo ristori la ” sete ” che traspare dalle ” matte ” riflessioni. Buon Anno a tutti.
🙏
“Verità del non trovare”. A mio modestissimo avviso non significa semplicemente impossibilità del non trovare, c’è qualcosa di più, forse si allude a qualcosa che va oltre il (tecnicamente) non poter fare. Comunque in effetti è un concetto ostico, come scrive Il Matto, ostico però non vuol dire non poterlo meditare…
A proposito di al Hallaj, vado un po’ fuori tema e chiedo al Matto se può gentilmente chiarirmi una cosa. Quando al Hallaj afferma: “Vidi il mio Signore con l’occhio del mio cuore. Chiesi: chi sei? Rispose: tu.” A cosa intende riferirsi? Si riferisce a una assimilazione/identificazione della persona con “l’uno supremo”; oppure con Signore intende che ognuno dovrebbe essere il Signore di se stesso? (Inteso cioè più banalmente come padronanza di noi stessi).
“Verità del non trovare”: “forse si allude a qualcosa che va oltre il (tecnicamente) non poter fare”.
Toglierei il “forse”.
Inoltre preciserei: non solo oltre il tecnicamente NON POTER fare ma anche oltre il tecnicamente POTER fare. Si tratta, insomma di una rinuncia, di un abbandono tanto del fare quanto del non fare. Qui entra in ballo l’intenzione al cui riguardo lo zen dice: “con l’intenzione realizza la non intenzione”.
Riguardo ad al Hallaj, ti rispondo con Maestro Eckhart (Sermoni):
“L’occhio nel quale io vedo Dio è lo stesso occhio in cui Dio mi vede: l’occhio mio e l’occhio di Dio non sono che un solo occhio, una sola visione, una sola conoscenza, un solo amore”,
e con Angelo Silesio (Il pellegrino cherubico):
“Quel che in lui si conosce, questo bisogna essere”,
che così Vannini commenta:
“Essere Dio, diventare Dio: questo il linguaggio che il mistico non teme di usare, ben consapevole che non si tratta di uno sciocco e blasfemo elevarsi al rango dell’Ente supremo, come le menti rozze possono credere, bensì, al contrario, di farsi nulla, annientarsi in quanto egoità (eigenschaft) e così riconoscersi come spirito, ovvero spirito nello Spirito”.
Spero di esserti stato almeno un pochino utile.
Ciao.
Non “pochino utile” ma tantissimo utile. Grazie Matto, grazie per entrambe le risposte. Bello, anche se può apparire paradossale, il pensiero di rinunciare (anche) al non fare. Ottimo il chiarimento di Vannini sull'”essere Dio” (qui in effetti molti fanno capziosamente confusione).
PS – Ovviamente nel mio primo commento volevo scrivere “…semplicemente impossibilità di trovare…”.
👍
Avanti così! Avanti tutta!
Alla prossima.
signor matto, l’abramo di cui parla è l’Abramo astronomo babilonese noto per la sua bontà,la sua ricchezza e per i suoi numerosi figli.
Riferisco ciò che ne dice Rabbi Jehudi in Martin Buber.
Sembra che nel midrash di Abramo vi siano parecchi dettagli in più di quelli contenuti nella narrazione biblica.
In ogni caso, a me ha colpito soprattutto la “verità del non trovare”.
Grazie.
Molto bello e interessante il sapere quante grandi anime hanno aspirato all’Alto, alla Luce. Eppure…
eppure quell'”Ah” straordinario mi “viene”
nell’ascoltare : “Quanno nascette Ninno ” di Alfonso Maria de’Liguori.
Mi pare contenga tutta la sapienza antica: la paura del “tremendum” ( implicito nella Luce), addolcita dalla sensorialità carnale e spirituale delle carezze e dei baci al bambino innocente, la resipiscenza di sé in grazia della contemplazione paradisiaca del volto materno, l’aspirazione esiodea e biblica di rivivere come creature tutte miracolosamente affratellate nella “mitica” età dell’oro, dell’ armonia, della pace di Saturno e dell’Eden… Una utopia? Una “illusione” o una autentica scala per ascendere, forse, contenuta in questa “semplice” Ninna-Nanna, dolcissimamente offerta a noi nella dolce lingua napoletana.
Ottimo commento!
Grazie!
Sono piccolo, povero,bella creatura circondata dall,amore della Mamma e del Padre
Per voi ho subito la crocifissione
Ora sono vivente nel tabernacolo..e
Vi aspetto in silenzio che veniate a darmi il vostro amore
Venite adoriamo il Signore Gesù !
Grazie.
Particolarmente quel “vi aspetto in silenzio” ci fa ben riflettere.
Sono piccolo, povero,bella creatura circondata dall,amore della Mamma e del Padre
Per voi ho subito la crocifissione
Ora sono vivente nel tabernacolo..e
Vi aspetto in silenzio che veniate a darmi il vostro amore
Venite adoriamo il Signore Gesù !