L’Incarnazione e la Fede Concreta. Aurelio Porfiri.
9 Dicembre 2023
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, il maestro Aurelio Porfiri offre alla vostra attenzione queste riflessioni legate al tempo liturgico che stiamo vivendo. Buona lettura e condivisione.
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L’incarnazione e la fede concreta
Il tempo di Avvento e Natale ci fa meditare sulla grande realtà dell’incarnazione, una realtà che in effetti è meno creduta di quello che si pensa.
Il cattolicesimo non è una religione spiritualista, ma una religione spirituale.
Non è di certo una religione disincarnata, una religione che vive di astrazioni lontane dalla vita reale. Esso è vita reale ma non per esserne soffocato, ma bensì per elevarla alle cose supreme dello spirito.
Esso è come un occhiale per vedere la vita reale, non ci rende ciechi, ma anzi ci permette di vedere ancora pia fondo e ancora meglio e ci permette di dare un senso a quanto ci circonda. Attraverso di esso penetriamo nel mondo con una comprensione del tutto diversa, che non ci impedisce di gioire delle cose belle della vita, ma anzi ce le offre su un piano di elevazione del tutto speciale. Io dico che bisogna sempre sospettare di coloro che mostrano troppa ripugnanza per il buon cibo, il sesso e altre cose belle della vita. Il cattolicesimo non ci insegna a rinunciare a tutto questo, ma ad usarlo ad un fine.
Gesù incarnandosi ci ha insegnato veramente che chi si abbassa sarà innalzato e che non dobbiamo temere il mondo ma la mondanità. Chesterton avrebbe detto che c’è qualcosa di depravato in un uomo che non abbia voglia di violare i dieci comandamenti. Un paradosso? Certamente.
Ma un paradosso che ci ricorda che la nostra è una religione di carne e sangue, è una religione che poggia bene sulla terra per elevarsi alle altezze sublimi. Non è uno spiritualismo o uno spiritualismo vago e inconcludente. Non ama le categorie ma le persone e proprio perché le ama le giudica al fine della loro salvezza. Non è una misericordia senza giustizia, ma una misericordia che non avrebbe senso se non fosse poggiata sulla giustizia.
A me questo aspetto concreto e allo stesso tempo spirituale del cattolicesimo è sempre piaciuto. Come tanti della mia generazione, ho purtroppo subito il vago spiritualismo che viene propinato anche in tante lezioni di catechismo, per cui la fede diventa una idea che si incarna in astrazioni ma non nella vita. E questo per reazione endogena ha provocato il fatto che si sia esaltato non la vita reale, ma l’attualità elevata a paradigma di interpretazione delle cose dello spirito. Ecco perché la Chiesa rincorre ora quel mondo che non raggiungerà mai, che sarà sempre un passo avanti mentre la Chiesa dovrebbe essere capace di elevare questo mondo verso l’alto.
Credo che tutto questo si riflette molto nel modo in cui molti interpretano il canto gregoriano, come un canto dolce dolce che pretenderebbe di evocare cose dello spirito come se nella stanza accanto ci fosse un bambino che dorme. Ma il canto gregoriano è il canto dei guerrieri della fede che marciano verso il trionfo finale sulle strade della vita in cui a volte devono rotolarsi nella terra per essere poi più bianchi della neve.
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Tag: avvento, incarnazione, porfiri
Categoria: Generale
Gentile Occhi Aperti, è sempre un piacere leggere le sue riflessioni. La ringrazio, e ringrazio l’ottimo Porfiri per questa opportuna sottolineatura delle conseguenze logiche e teologiche dell’Incarnazione. Negli anni ’80 mi aiutarono a
dedicarvi attenzione San Giovanni Paolo II e Vittorio Messori.
Grazie a lei, FRANJO carissimo e buon Avvento!
Maria Santissima è la Madre di Dio.
Abitava in una casa, a Nazaret e tra quelle mura avvennero prima il prodigio dell’Immacolata Concezione (la creatura umana tornata all’originale creato da Dio) e poi del concepimento verginale in lei del Verbo di Dio.
Nella sua provvidenza Dio non si è limitato a tessere la storia, ma ha punteggiato di straordinari segni i passaggi più straordinari: la tilma guadalupana, la Santa Casa a Loreto, la sacra Sindone, i miracoli eucaristici.
Non ci ha lasciati nell’ideale, ma ci ha dato prove.
In questi giorni si fa memoria di Guadalupe e di Loreto.
Le mura della casa della Sacra Famiglia stanno a indicare l’importanza di quell’esperienza trentennale di santità nella quotidianità e di quotidianità santa.
Loreto conserva oggi una parte di quei muri, spessi 90 centimetri, 3 pareti fino a 2 metri di altezza. Le porte esistenti non sono le originali. Lo spazio delimitato è di quasi trenta metri quadrati, 9 x 16 cubiti amma secondo le unità di misura in uso in galilea al tempo di Gesù.
Le mura di Loreto, costruite con una tecnica edilizia inusuale in Italia e con mattoni tipici delle maestranze nabatee, non hanno fondamenta, ma a Nazaret esistono, perfettamente combacianti, le fondamenta di quei muri, adattati ad integrare l’abitazione alla grotta che vi si accostava.
Quella casa NON è stata scomposta in blocchi (non ve n’è traccia) per trasportarla dov’è (un luogo senza senso, lontano dal mare e sulla pubblica via che vi transitava alla fine del XIII secolo). E non è nemmeno nel primo luogo in cui giunse dopo essersi mossa da Nazaret.
Noi, ebbri di razionalismo, non crediamo più a nulla che non ci sia imposto di credere, usando il cervello solo per ascoltare la propaganda, ma in difetto quando c’è da osservare la realtà. Purtroppo la carne ne risente: un cervello instupidito dal demonio non farà che provocare dolori alla carne che lo porta intorno (fratel asino). Un’anima privata della protezione divina finirà per essere riempita dello spirito del mondo, che ama rendere schiavo (e bestia) l’uomo.
Dio lascia segni di carne, sangue, agave e mattoni.
Sono per chi li sa leggere e misurare. La vera fede aiuta.
Bravo
L’incorruttibilità dei corpi di alcuni santi si presta ad importanti riflessioni, caro Porfiri.
Tra quelle possibili mi chiedo se nella Chiesa, tra gli errori passati (visto che il “tempo preconciliare” è spesso canonizzato a prescindere…), non ci sia quello di aver indotto, in certa qual maniera, a “demonizzare” il corpo. Con tutto quel che ne consegue.
La chiamata alla santità è quanto di più concreto e “incarnato” vi possa essere per l’uomo, tanto che Cristo è venuto a prendere su di Sè questa condizione e ad offrirsi come Porta. Stretta…
Egli mangiava e beveva con i peccatori: e fu giudicato “mangione e beone”.
Egli imparò il lavoro da San Giuseppe: e non fu appellato il “figlio del carpentiere”?
Egli ebbe amici: per Lazzaro “scoppiò in pianto, si commosse profondamente, si turbò”.
E così leggiamo in molti altri punti delle Scritture, che tutto ci offrono tranne l’immagine di un Dio impalpabile…etereo…evanescente…
Allora Cristo tutto ha santificato: giammai il peccato!
Il peccato nostro l’ha condotto a morire di croce, per salvarci e riammetterci all’amicizia con Dio: non pentirsi e non mutar testa, cuore e vita significa rompere per l’eternità l’unico vincolo d’amicizia e d’amore che solo conta, in fondo, e che da Cristo stesso ci era stato restituito.
Dio perdona sempre, ma solo i cuori veramente contriti.
E come ogni dono, anche quello della conversione andrebbe sempre umilmente implorato. Convertirsi è per tutta la vita!
Il tempo della Misericordia è il tempo del pentimento, esaurito il quale, non resta che fare i conti con l’economia della Sua Giustizia. Piaccia o no. Credendolo oppure no. Consapevolemente o anche no.
Il corpo è parte fondamentale alla gioia dello spirito ed a questo è chiamato, servendo e non facendosi servire, fiaccando la parte più nobile dell’uomo!
Per questo Padre Pio chiamava il corpo, con vera grazia di “intus legere”, “fratel asino”…