Dal Padre Nostro alla Carità senza Passare dal Mondo. R.S.

12 Ottobre 2023 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione queste riflessioni di un amico fedele del nostro sito, R.S. tanto più opportune in questi giorni pieni di odio e violenza. Buona lettura e condivisione.

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DEUS CARITAS EST

dal Padre Nostro alla Carità senza passare dal mondo.
I discepoli chiesero a Gesù di insegnar loro a pregare e così Egli recitò il Padre Nostro.
La preghiera si rivolge a Dio come Padre, innanzitutto per santificarne il nome e attenderne il Regno.
E’ una preghiera che dalla terra sale al Cielo perché in terra avvenga la volontà del Cielo.
Preghiamo di ricevere un pane che banalmente non sazia la fame e che Gesù dice d’essere Lui stesso!
Preghiamo per chiedere perdono e per saper perdonare, liberandoci dal Maligno che insegna altro.
Preghiamo il Padre perché la prova che ci riguarda non ci trovi incapaci di reggerla e di superarla.
E’ una preghiera che sale dai bisogni terreni, ma che vuole trasfigurarli in un desiderio d’Oltre.
E’ una preghiera che desidera la comunione con Dio e la liberazione dal principe di questo mondo.
E’ una preghiera che cerca il soprannaturale, perché la grazia che chiede non può venire dall’uomo.
Mentre l’amore di cui normalmente parliamo è cosa umana, la carità (charis) è cosa divina.
Il Padre Nostro spiega bene perché il Catechismo (CCC 1822) definisca la carità “la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per sé stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio”.
La virtù è una disposizione abituale e ferma a compiere il bene.
Nella preghiera al Padre c’è tutto il succo e il sapore del “comandamento nuovo” e Gesù spiega lo bene” “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9).
La carità è molto paziente (bisogna rimanere) e senza questa carità “l’uomo non è nulla” (1Cor 13,2).
La carità è l’amore di Dio in noi e ci spinge ad amare come ama Dio. La carità è un dono di Dio!
La carità non si identifica con la solidarietà, specialmente quando i gesti vengono mostrati pubblicamente per essere visti e cercare un consenso, vantando un merito.
Si può comprendere perché, alla pur virtuosa chiesa di Efeso (Ap 2) “colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro” possa rimproverare di aver “abbandonato la carità di prima”. E’ una chiesa decaduta da quell’altezza e che ha bisogno di ravvedimento.
La carità, anche se bisogna amare il prossimo “come sé stessi”, non è a nostra misura e non può consistere nell’essere permissivi verso il peccato, che non santifica il nome del Padre o limitarsi a un filantropismo che potrebbe non aver nulla a che vedere con il Regno dei Cieli e la volontà di Dio.
Un amore benigno e paziente, pacificato e che non si adira, che non si vanta e non si gonfia, che tutto sopporta, sa perdonare (come preghiamo il Padre di saper fare), non gode dell’ingiustizia, non cerca il proprio utile e supera una fede capace di trasportare le montagne: solo così la carità (che è cosa divina) può COMPIACERSI DELLA VERITA’ (che è in Dio).
Amare è anche correggere e Dio castiga (purifica) quelli che ama. Lo fa con amore, ma lo fa.
L’oro si prova con il fuoco e anche al giusto è talvolta necessaria l’esperienza della croce.
Amare il prossimo è innanzitutto riconoscerne il valore per Dio, dato che anche per salvare quell’anima il Figlio dell’uomo ha versato il suo sangue innocente: Gesù lo ha amato!

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