Giovanni Formicola: memoria del 18 luglio 1936.

18 Luglio 2023 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, l’avvocato Giovanni Formicola, offre alla vostra attenzione questo articolo di commemorazione di un evento storico importante. Buona lettura e condivisione.

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Anche quest’anno provo a pagare un’altra rata del debito – in realtà inestinguibile – che ogni buon cattolico e ogni uomo di buona volontà ha con quel cruciale 18 luglio 1936. Quando insorse contro la Rivoluzione rossa in atto un gruppo di alti ufficiali dell’esercito spagnolo, coadiuvati dalle migliori autorità civili, da una parte cospicua – certo maggioritaria – del popolo organizzato in partiti, comunità, associazioni e confraternite religiose, e incoraggiati dalla stragrande maggioranza del clero e dei religiosi di Spagna, minacciati nelle loro vite, chiese e conventi. Il debito, come ho già scritto, è costituito dal fatto che quell’insorgenza consentì la sopravvivenza della Chiesa e del cattolicesimo, minacciati da una vera e propria azione di annientamento fisico e istituzionale – e in quanto cattolico non posso che esserne grato: Cristo poté ancora poggiare il capo in Terra di Spagna –, e dal fatto che il potere rosso in Spagna si sarebbe potuto facilmente propagare, dopo la sciagurata seconda guerra mondiale, in Francia e in Italia. Quegl’insorgenti fermarono il comunismo, e così ritardarono una catastrofica crisi di civiltà

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In Spagna, uno dei luoghi di più antica civiltà cristiana, il furore rivoluzionario si era infatti scatenato con particolare aggressività e ferocia. In quella vicenda fu coinvolto l’intero mondo, e i suoi protagonisti appaiono dotati d’una notevole maturità e consapevolezza dei propri rispettivi ruoli. Fu un fenomeno globale, all’interno del quale si scorgono, ancorché non in purezza, le linee che dividono nella storia dell’Occidente cristiano la Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione[1]. Cioè, da un lato, un ulteriore episodio dell’aggressione all’ordine religioso, morale, culturale, politico, sociale ed economico scaturito dalla prima evangelizzazione, e dall’altro la difesa di quel che ne sopravviveva, in vista d’una sua completa restaurazione. In ultima analisi, in quegli anni, la consapevolezza della curvatura anche religiosa e anti-religiosa dello scontro fu tutt’altro che assente e ininfluente.

Quello che immediatamente va sottolineato è che in Spagna, come in Messico dieci anni prima, la reazione cristiana fu non solo spirituale e culturale – cioè non fu impegnata solo sul piano della «battaglia delle idee» –, ma anche, e legittimamente, politica e militare: la totalità del raggio d’azione del nemico rivoluzionario è tale da imporre una risposta altrettanto totale, e comunque certamente pure politica. In quest’ultimo campo, inoltre, l’impegno fu cristiano sia in modo diretto – in quanto cristiani –, che indiretto, come effetto dello spirito e della mentalità cristiana diffusi che consentivano d’intendere, magari solo a livello intuitivo, la minaccia costituita dalla Rivoluzione nelle sue manifestazioni correnti, non foss’altro per il buon ordine e la tranquillità della vita sociale ed individuale.

Inoltre, è utile premettere che in Spagna la dimensione socio-economica della Rivoluzione comunista fu certamente meno dominante di quella ateistica e anti-cristiana. Cioè, se pure s’invocava il proletariato, la lotta di classe e l’espropriazione delle fabbriche e delle terre, l’azione rivoluzionaria aveva una curvatura culturale, ostile proprio alla mentalità, ai costumi ed alla legislazione religiosamente informati, tale da far ritenere ch’essa fosse molto più simile a quella dei giorni nostri che a quella di tipo sovietica, che allora identificava il comunismo. Sicché, dire genericamente «rossi» i rivoluzionari della Spagna della prima metà del XX secolo è più preciso che dire comunisti.

Perciò, la Rivoluzione in Spagna fu più un «assalto al Cielo» che alla proprietà privata, e la reazione fu piuttosto una Cruzada[2] che la difesa di uno specifico ordine socio-economico, sebbene sia stata anche e l’una e l’altra. Tale «assalto al Cielo» ha radici profonde nell’Ottocento, ed è la continuazione del progetto rivoluzionario, che è politico e religioso, sociale e culturale, economico e morale, cui si provò a dare cruento compimento con una violenta accelerazione, con la combinazione di metodi d’azione legali e illegali, in prospettiva insurrezionale.

Infatti, con la vittoria – «legale», ma non numerica: i brogli furono decisivi – delle sinistre unite nel «Fronte Popolare» alle elezioni del febbraio 1936 la situazione precipitò[3]. Il presidente della Repubblica, Niceto Alcalá Zamora y Torres (1877-1949), cattolico centrista (sostanzialmente un democristiano che guarda a sinistra, e di fede repubblicana) aveva sciolto le Cortes, rifiutando di dare l’incarico di formare il governo al leader della ceda (confederazione spagnola delle destre autonome), José Maria Gil Robles y Quiñones (1898-1980), nonostante vi fosse una maggioranza pronto a sostenerlo. I su richiamati brogli elettorali, le violenze, le divisioni della destra, la costituzione di una «terza forza» cattolica, diedero al blocco delle sinistre, per effetto della legge elettorale e per l’arbitrario annullamento delle elezioni nelle circoscrizioni in cui aveva vinto la destra, la maggioranza parlamentare[4]. Si scatenarono immediatamente la violenza nelle piazze e la repressione di stato. Il nuovo governo rosso liberò con un’amnistia ad hoc i rivoluzionari del 1934 ancora imprigionati. Per i partiti e per gli uomini di destra, ma soprattutto per i cattolici, gli ecclesiastici, i religiosi e le religiose, per la Chiesa e per le chiese, in Spagna l’aria si fece irrespirabile[5].

 

Nei pochi mesi che vanno dal febbraio al giugno 1936 si contarono, per mano dei rossi di qualunque appartenenza (socialisti, comunisti, anarchici, sindacalisti) 269 uccisi, 1287 feriti, 251 chiese incendiate o profanate, di cui 160 completamente distrutte[6]. Numerosissimi furono le sedi dei partiti di destra devastate, le proprietà dei militanti danneggiate o distrutte, gl’imprigionamenti pretestuosi e illegittimi[7]. La notte tra il 12 e il 13 luglio 1936 venne sequestrato e barbaramente ucciso dalle Guardias de Asalto, una milizia istituita dai governi di sinistra come contraltare alla Guardia Civil, ritenuta prevalentemente di orientamento monarchico e conservatore, il deputato monarchico José Calvo Sotelo (1893-1936). La cosiddetta «goccia che fa traboccare il vaso»[8]. Il 17 luglio nel Marocco spagnolo, il 18 luglio nel territorio metropolitano, un gruppo di alti ufficiali dell’esercito si sollevò contro il governo del Fronte Popolare. Figura di spicco fra essi, il generale Francisco Franco Bahamonde (1892-1975), che guiderà l’Alzamiento Nacional alla vittoria e poi la Spagna per quasi quarant’anni. Egli è l’amato capo della Legione Spagnola, il generale d’alto comando più giovane d’Europa, il vincitore, al servizio peraltro del primo governo repubblicano nel 1934, dell’«Ottobre rosso» delle Asturie, l’ascritto alla Confraternita dell’Adoración Nocturna, il fedele della Messa e del rosario quotidiani. Fin da subito, Franco intense il suo gravissimo gesto d’insorgenza contro il potere costituito come obbligato dall’onore militare e dal senso cattolico, e quindi lo visse come crociata in difesa della Fede: «La nostra non è una guerra civile […] ma una crociata […]. Sì, la nostra è una guerra religiosa. Noi combattenti, non importa se cristiani o mussulmani, siamo soldati di Dio e non ci battiamo contro gli uomini ma contro l’ateismo e il materialismo»[9].

Così ritennero di esprimersi i vescovi spagnoli, circa un anno dopo, quindi in modo meditato, con una Lettera collettiva, datata 1luglio 1937

«[…] Nessuno potrà negare che, quando scoppiò il conflitto, la stessa esistenza del bene comune – la religione, la giustizia, la pace – era gravemente compromessa, e che il complesso delle autorità sociali e degli uomini saggi, che costituiscono il popolo nella sua organizzazione naturale e nei suoi migliori elementi, riconoscevano il pubblico pericolo. Per quanto riguarda la terza condizione [perché un’insorgenza contro i poteri in atto sia legittima] richiesta dall’Angelico, quella della convinzione degli uomini prudenti sulla probabilità del successo, la lasciamo al giudizio della Storia; i fatti, fino ad oggi, non le sono contrari. […].

«[…] risulta provato con documenti, come il minuzioso progetto della rivoluzione marxista, che era in gestazione e sarebbe scoppiata in tutto il paese, se per gran parte non lo avesse impedito il movimento civico-militare, era diretto allo sterminio del clero cattolico, e degli uomini di destra più qualificati, alla sovietizzazione dell’industria e all’instaurazione del comunismo. […] esauriti i mezzi legali, la coscienza nazionale era persuasa le restasse unicamente il ricorso alla forza per poter sostenere l’ordine e la pace […] non rimaneva alla Spagna altro che la seguente alternativa: o soccombere all’assalto definitivo del comunismo distruttore, già preparato e decretato, come accadde nelle regioni dove non trionfò il movimento nazionale, o tentare, con uno sforzo titanico di resistenza, di liberarsi dal terribile nemico e salvare i principi fondamentali della sua vita collettiva e delle sue caratteristiche nazionali.

[…]

«La Spagna restò divisa […] in due tendenze: la spirituale, a lato dei sollevati, che intraprese la difesa dell’ordine, della pace sociale, della civiltà tradizionale e della Patria e, assai palesemente, in un grande settore, la difesa della religione; e dall’altra parte, la materialista, si chiami essa marxista, comunista o anarchica, che volle sostituire alla vecchia civiltà della Spagna, con tutti i suoi fattori, la nuovissima “civiltà” dei sovieti russi.

«[…] la Chiesa, malgrado il suo spirito di pace e benché non abbia voluto la guerra, né abbia collaborato ad essa, non poteva restare indifferente nella lotta: glielo impedivano la sua dottrina ed il suo spirito, il senso di conservazione e l’esperienza della Russia. Da una parte si sopprimeva Dio, di cui la Chiesa deve realizzare l’opera nel mondo e alla Chiesa si cagionava un danno immenso nelle persone, nelle cose e nei diritti, come forse non ha mai sofferto istituzione alcuna nella storia; dall’altra, qualunque fossero gli umani difetti, restava lo sforzo per la conservazione del vecchio spirito spagnolo e cristiano.

[…]

«[…] Oggi come oggi, non c’è in Spagna altra speranza per riconquistare la giustizia e la pace e i beni da esse derivanti, che il trionfo del movimento nazionale».

Giovanni Formicola

 

Liberamente tratto dal mio

Difesero la fede, fermarono il comunismo. La Cristiada, Messico 1926-1929. La Cruzada 1936-1939, Cantagalli, Siena 2019

cui mi permetto di rimandare per un possibile primo approfondimento.

 

[1] Cfr. Plinio Corrêa de Olivêira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, presentazione e cura di Giovanni Cantoni (1938-2020), trad. it. Sugarco, Milano 2009.

[2] Il primo ad utilizzare il termine è il vescovo di Salamanca (poi primate di Spagna) mons. Enrique Pla y Deniel (1876-1968), nella sua lettera pastorale Las dos ciudades del 30-9-36: «[…] non si tratta di una guerra per questioni dinastiche, né di forma di governo, ma di una Crociata contro il comunismo, per salvare la religione, la patria e la famiglia». La qualifica di Cruzada, poi, viene ratificata nella Lettera Collettiva dei vescovi di Spagna (cfr. infra).

[3] Cfr. Gabriele. Ranzato, La grande paura del 1936. Come la Spagna precipitò nella guerra civile, Laterza, Roma-Bari 2011.

[4] Cfr. ibid., pp. 99-120.

[5] Il capo repubblicano e massone «[…] Azaña [Manuel, 1880-1940 ]già il 17 marzo scriveva al cognato “ho perso il conto delle località in cui hanno bruciato chiese e conventi”» (ibid., p. 214).

[6] Questi i dati forniti da José Maria Gil Robles al Parlamento (cfr. Francisco José Fernandez de la Cigoña, ¿Tuvo paz la Iglesia española durante la Repubblica?, in Iglesia Mundo, nn. 323-324, luglio 1986, p. 17).

[7] Ranzato – storico dichiaratamente anti-fascista e anti-franchista – non può che constatare «[…] un avanzato sfacelo dello Stato di diritto» (La grande paura, cit., p. 269), che portava addirittura a non eseguire le sentenze di assoluzione dei militanti di destra, che venivano perciò trattenuti in carcere (ibid., p. 273). Egli è costretto a riconoscere che è «[…] discutibile […] perpetuare l’immagine della Spagna della primavera 1936, come quella di un paese di democrazia liberale accettabilmente funzionante, capace di garantire la continuità del suo sistema […] al riparo di qualsiasi pericolo di sovvertimento rivoluzionario, che sarebbe stato trascinato alla guerra civile solo da una sollevazione militare reazionaria e fascista»(ibid., p. 316).

[8] «[…] l’assassinio di Calvo Sotelo fu la scintilla che causò l’esplosione», che Franco «e gli altri capi militari, i quali tutti avevano fedelmente servito la repubblica», avrebbero voluto evitare, e perciò avevano messo in guardia il «Governo contro i pericoli a cui esso andava incontro» (cfr. Winston Leonard Spencer Churchill [1874-1965], La Spagna ci offre una lezione pratica [2 ottobre 1936], in Idem, Passo a passo, trad. it. Mondadori, Milano 1947, p. 61).

[9] Intervista del 16-11-’37, cit. in Paul Preston, Francisco Franco. La lunga vita del caudillo, Mondadori, Milano 1997, p. 292.

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