Martiri Cattolici Giapponesi nel ‘500, Esempio per i Cristiani di Oggi.

12 Aprile 2023 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Antonello Cannarozzo, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione questo ricordo dei martiri del Giappone del XVI secolo, un esempio per i cristiani di oggi. Buona lettura e condivsione.

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Storia dei martiri cattolici giapponesi

Un esempio per i fedeli di oggi

 

Antonello Cannarozzo

 

La crisi ormai più che decennale dell’attuale Chiesa, con il suo odio verso la Dottrina di sempre, pone ai fedeli una serie di interrogativi drammatici: cosa fare, come comportarsi nei confronti delle autorità ecclesiastiche? Tornare, come molti già hanno profetizzato, nelle catacombe per continuare a celebrare la santa Messa altrimenti, detto con amara ironia, nascondersi proprio da colui che è chiamato a difendere il suo gregge: il papa o presunto tale? Oppure, ancora, Dio non voglia, essere indotti a creare uno scisma dai futuri ancora più incerti?

L’importante, per un fedele, è sapere che l’Onnipotente non abbandona mai chi pone fiducia in Lui e quando tutto sembra crollare, si alzerà il grido “Non praevalebunt” e tanto deve bastare ai veri cattolici per la loro certa vittoria, nonostante tanti dolori.

Questo tragico periodo della storia che stiamo vivendo, non è certo un accadimento isolato nel passato della Chiesa, scritta con il sangue dei martiri, ma è, purtroppo, la prima volta in duemila anni che la Chiesa ufficiale diventa il carnefice dei suoi figli più devoti.

Moltissimi, sfogliando le pagine della storia, sono le vicende che possono consolarci in questi tempi bui e, ai bergogliani di turno, avvisarli che non è lecito porsi contro la Dottrina di sempre perché alla fine li vedrà sempre perdenti, come la commovente storia, forse ancora poco conosciuta, dei martiri cattolici giapponesi del XVI secolo che sto per raccontare, può insegnarci.

Nel XVI secolo il Giappone seguiva una politica che oggi possiamo paragonare, per il suo ferreo isolazionismo, all’attuale Corea del Nord, infatti entrare o uscire dal Paese era proibito tanto da essere considerato un reato per il quale si era condannati a morte e, lo stesso trattamento, anche per gli stranieri che potevano arrivare, perchè avrebbero potuto infettare il popolo, secondo le autorità governative, con idee e atteggiamenti non convenienti alla cultura tradizionale nipponica.

Insomma una paura che sfociava in una vera paranoia.

Il potere era virtualmente nelle mani dell’Imperatore, ma il vero comando stava nelle mani dello Shogun, un titolo ereditario concesso ai dittatori politici e militari che dominarono il Giappone tra il 1192 ed il 1868 avendo diritto di vita o di morte sui loro sudditi.

Questo era il Paese che si presentò a san Francesco Saverio, insieme ai suoi due compagni gesuiti, nella sua opera missionaria cominciata nel 1549.

Da vero uomo di Dio, non valutando certo i pericoli a cui andava incontro, cominciò da subito, una volta arrivato nella grande isola di Kyushu, a sud del Giappone, la sua evangelizzazione e convertendo in breve migliaia di abitanti dell’isola, al di là di ogni più rosea aspettativa. Il santo missionario morirà poco dopo il suo arrivo, nel 1552, ma lascerà, come vedremo una grande eredità di fede.

A convertirsi non furono, come vuole una certa narrazione, solo poveri contadini ignoranti, ma anche esponenti delle classi più abbienti specie tra cui nobili e intellettuali e tra questi, qualche anno dopo, una figura di primissimo piano nella gerarchia feudale, il daimyo (alto funzionario militare, ndr)Oda Nobunaga che nel 1577, insieme a tutti i suoi sottoposti, accettò la parola di Cristo.

Una conversione eroica se si pensa agli editti minacciosi emanati dallo Shogun contro eventuali neo convertiti.

Nonostante i pericoli, fu un periodo di una grande fermento religioso che videro anche molti samurai diventare cristiani e per dimostrare la loro fede mesero l’effige della croce sulle loro bandiere. Sembrava allora, ai cronisti dell’epoca, che un incendio di fede attraversasse l’intero arcipelago e che la nuova religione, portata dagli stranieri, avrebbe di lì a poco raggiunto tutto il Giappone, ma così non fu.

Ben presto, dato che i soli editti non sortivano alcun risultato, si cominciò ad avviare una violenta persecuzione verso i cattolici (ricordiamo che allora non c’erano ancora i protestanti, ndr)

Nel mese di gennaio del 1597 il potente daimyo Hideyoshi, per dare l’esempio incarcerò ventisei cristiani dando così un l’avvertimento al popolo del pericolo che avrebbero corso abbracciando la nuova fede.

Era l’inizio della grande persecuzione.

Le autorità non si limitarono solo a giustiziarle questi ventisei sventurati, ma prima vennero torturati, poi mutilati e non contenti, per sfregio, furono fatti sfilare in giro per le città giapponesi come monito, infine, con grande crudeltà, condannarono quei poveri corpi, ormai straziati, ad ore di agonia mediante una crocefissione pubblica il 5 febbraio di quell’anno a Nagasaki, già importante centro di nuovi convertiti.

Nonostante queste crudeltà, solo tra il 1618 e il 1622, gli anni del grande martirio, avvennero in tutto il Giappone con massacri, roghi, prigionia e pur tuttavia le autorità si accorsero ben presto che, nonostante tutto, i cattolici rimanevano ben saldi nella loro fede tra cui tantissimi giovani.

Come ai tempi dell’antica Roma non mancarono atti di grande eroismo di coloro che andarono volontariamente al martirio, pur potendoti salvare abiurando la loro fede.

Famoso è l’episodio, tra i tanti, di coloro che si fecero massacrare pur di non calpestare l’immagine di Cristo posta in terra dai soldati.

La situazione, intanto, si faceva ogni giorno più difficile non solo per i cristiani, ma anche per le autorità che non riuscivano a sconfiggere la religione straniera che, nonostante tante persecuzioni, non sortivano alcun effetto.

In proposito, una pagina di grande coraggio e di fede da parte dei cattolici fu certamente l’assedio del castello di Hara, entrato nelle geste dell’epica giapponese tanto da essere riportata poi in un famoso testo per il teatro classico Kabuki:

Nel 1637, un contadino, fervente cattolico, della prefettura di Nagasaki ebbe la visione di un miracolo, l’immagine di Dio che lui portava segretamente con sé, improvvisamente venne circondata da una luce vivissima, un evento che ben presto fece accorrere numerosi altri fedeli che vollero contemplare il miracolo incuranti del grave pericolo che correvano, ma ben presto furono scoperti dalle autorità e molti fedeli vennero subito giustiziati.

Una condanna che sembrava dover tacitare per sempre gli animi cristiani, invece innescò una protesta da parte dei cittadini, quasi tutti cattolici, che non esitarono per protesta ad innalzare sulle mura della città di Nagasaki la bandiera bianca con il simbolo della croce, una sfida inaccettabile per lo Shogun.

Subito le forze governative cercarono di entrare in città per reprimere la rivolta, ma furono accolte da una ferma resistenza, ma che non bastò a far indietreggiare gli assalitori i quali erano certamente militarmente più agguerriti.

Davanti ad una situazione insostenibile, i cattolici decisero allora di occupare il vicino castello di Hara e farne il loro baluardo fino all’estremo sacrificio, non senza vendere cara la propria pelle.

Ci furono perdite gravi da entrambi le parti e per lo Shogunato fu anche una grave perdita di immagine della sua autorità.

In questo contesto avvenne l’episodio del samurai Amakusa Shiro, comandante dei ribelli cattolici, che ricorda molto il gesto, avvenuto quasi quattro secoli dopo e che ebbe come protagonista il comandante franchista dell’Alcazar di Toledo, Josè Moscardò, durante la guerra di Spagna del 1936 contro i repubblicani.

Per fiaccare lo spirito guerriero degli assediati, furono mostrati a Shiro alcuni dei suoi famigliari presi prigionieri con la promessa di essere fatti salvi se si fosse arreso.

Pur con profondo dolore, il samurai rispose che il suo destino e quello dei suoi famigliari era nelle mani di Sanfuranshisukosanna, cioè San Francesco d’Assisi, e continuando la resistenza del castello.

Vista l’impossibilità di una vittoria e nonostante il divieto da loro stessi emanato, i governativi non esitarono a chiedere aiuto a delle navi olandesi che si trovavano ad attraversare il mare del Giappone, di bombardare gli assediati nel castello di Hara.

Saputo chi erano gli arroccati nella fortezza ed essendo loro protestanti, non esitarono a cannoneggiare per ben 15 giorni l’intero edificio con notevoli perdite.

Ormai esausti, senza armi e senza cibo, i cattolici ancora rimasti, non esitarono ad affrontare le forze governative, entrate ormai nell’ edificio, a mani nude e forti solo di una grande fede.

Fu ovviamente un massacro che durò due giorni, ma alla fine questi eroi dovettero soccombere. Vennero uccisi tutti e si racconta che ci vollero tre navi per portare via tutti i cadaveri di questi “santi martiri”, circa undicimila.

Tutto era finito, la religione cattolica era stata messa definitivamente al bando e le terre vennero popolate da confuciani e buddisti.

Ogni ricordo della fede cattolica venne, dunque, cancellato, almeno così sembrava.

Duecento anni dopo, nel 1868, con l’avvento dell’imperatore Meiji e la successiva apertura del Giappone al mondo, anche i cattolici poterono vivere di nuovo la loro fede, ma quale fu la sorpresa per i primi missionari giunti nel Paese quando videro che, nonostante le persecuzioni, la completa chiusura di qualsiasi possibilità di praticare la fede, tuttavia erano ancora vivi numerosi gruppi di cattolici vissuti in clandestinità che con grandi sacrifici avevano saputo mantenuto viva la loro fede.

Ecco il grande miracolo di fede a cui accennavamo, e oggi possiamo prendere esempio da questi eroi e innalzare la croce che non verrà mai vinta da alcuno, nonostante la cieca rabbia di coloro che si mostrano contro la Messa e la Dottrina di sempre.

Antonello Cannarozzo

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1 commento

  • Enrico Nippo ha detto:

    Il film “Silence” di Martin Scorsese può fornire un’occasione di riflessione in merito all’argomento.