Quale Sinodalità per il Prossimo Futuro? Sibilio, Il Pensiero Cattolico.
30 Marzo 2023
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione questo articolo apparso su Il Pensiero Cattolico, che ringraziamo per la cortesia, relativo al tema della sinodali. Buona lettura e diffusione.
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Vito Sibilio: QUALE SINODALITA’ PER IL FUTURO PROSSIMO?
“Mentre si accende il dibattito sulla sinodalità in vista del sinodo di ottobre, pubblichiamo il puntuale contributo del Prof. Gianvito Sibilio, dottore in storia medievale e direttore di Christianitas Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo. Egli ha presentato a San Severo, il libro di Nicola Bux e Guido Vignelli, La Chiesa sinodale. Malintesi e pericoli di un “grande reset” ecclesiastico Fede&Cultura, Verona 2023″.
Da sempre la Sinodalità è stata sinonimo di governo collegiale della Chiesa, una forma che erroneamente in modo esclusivo si attribuisce alle Chiese Orientali (Ortodosse, Precalcedonesi, Apostolica d’Oriente) o anche alle Chiese Riformate (con i Sinodi delle Chiese Episcopaliane o i Concistori di quelle Presbiteriane), ma che in realtà è stata una caratteristica anche della Chiesa Latina sino al XIV sec., e lo è tutt’ora nelle Chiese sui iuris. L’antica prassi dei due Sinodi diocesani annuali, del Concilio provinciale annuale e dei frequenti Concili plenari delle Chiese locali – come nei Regni Romano Barbarici – se non generali, che poi venivano riconosciuti come Ecumenici, durò a lungo ma fu battuta in breccia dal montante centralismo papale, al quale i vescovi, a partire dal momento in cui furono quasi tutti eletti da Roma, preferirono rivolgersi per risolvere i loro problemi, piuttosto che ai loro pari. Fu così che la tradizione andò in disuso. Ma quando nel Concilio Vaticano I, con la definizione del dogma dell’Infallibilità del Papa e del suo Episcopato Universale, la centralizzazione del potere ecclesiastico nelle mani del Romano Pontefice raggiunse il suo apice, si pose anche il problema di riequilibrare le competenze tra lui e l’Episcopato stesso. La cosa è stata risolta dal Concilio Vaticano II che, con il suo magistero supremo ed ordinario, ha insegnato la dottrina del Sacro Collegio episcopale con il Papa e sotto il Papa, al quale spetta la suprema potestà sulla Chiesa tanto quanto al Pontefice stesso da solo. Tale dottrina, la cui più qualificata applicazione è senz’altro la convocazione, di libera periodicità, dei ventuno Concili Ecumenici, ha implicato uno sforzo di maggiore attuazione pratica, ancora in corso, la cui massima espressione è stata l’istituzione del Sinodo dei Vescovi, con la costituzione apostolica Apostolica Sollicitudo, da parte di Paolo VI. Questo organismo, di diritto pontificio e non divino, con funzioni ad oggi solo consultive, formato da vescovi o eletti dalle Conferenze Episcopali o scelti dal Papa o nominati in quanto consulenti, forse non ha mai funzionato come avrebbe potuto e, di recente, con la costituzione apostolica Episcopalis Communio, è stato riformato da Papa Francesco, che ha introdotto il metodo della consultazione della base dei chierici e dei fedeli nei lavori preparatori del Sinodo, e che a tale scopo ha convocato una Assemblea sinodale specifica, che doveva tenersi nel 2022 ma che è slittata di un altro anno. La cosa ha ovviamente aperto un dibattito, basato su dicotomie. La funzione della base, investita del sacerdozio regale, deve rimanere consultiva per alcuni, mentre per altri andrebbe allargata sino ad assumere poteri decisionali, come se la distinzione tra sacerdozio legale e reale andasse abolita o fosse superata. Il diritto dei fedeli di pronunziarsi riposa sul sensus Fidei, che mai s’inganna e sempre si accorda con le successive definizioni magisteriali, ma qualcuno invoca la facoltà, da parte di questo stesso senso, di ripronunziarsi su quanto già definito. Si afferma con forza che la lex orandi si possa convertire in opinioni argomentate, essendo in sintonia con la lex credendi, ma alcuni affermano che quest’ultima sarebbe sincronizzata anche con la lex agendi. In queste nuove antinomie, sempre la seconda parte è in assoluta dissonanza con la dottrina definita della fede, se non con i fondamentali principi su cui si regge qualsiasi società gerarchica, non solo religiosa. Però il dibattito non è stato incanalato solo nella direzione inequivocabilmente ortodossa, per cui l’instrumentum laboris del Sinodo è diventato un documento onnicomprensivo, interpretabile in diverse maniere, applicabile in ancor più modi, incapace di garantire il futuro sviluppo di questo nuovo metodo ecclesiale, che devia di molto dal cammino dell’esercizio della collegialità episcopale. Perciò l’instrumentum è stato oggetto di opposte valutazioni: dai peana della Civiltà Cattolica alle critiche vibranti dei Cardinali Pell, Burke e Müller. Quello che sarà, non sappiamo, ma è un dato di fatto che le devianze esistenti, ad esempio nella Chiesa tedesca col suo Conciliabolo, non sono state condannate, mentre le nomine fatte nell’organigramma decisionale, tra le quali spicca quella del Cardinal Jean Claude Hollerich – che fino a qualche anno fa mai avrebbe potuto aspirare al galero – non lasciano presagire nulla di buono. Sembra che il Pontefice creda che i conflitti non vadano sopiti ma suscitati, alla ricerca di una sintesi ulteriore prossima ventura, secondo una interpretazione un poco semplificata dell’opposizione polare di Romano Guardini. Sembra altresì che alla Curia Romana oggi non interessi garantire l’omogeneità disciplinare e l’uniformità liturgica e dottrinale della Chiesa, ma solo una coesistenza pacifica tra realtà di fatto completamente diverse. Non è chiaro, quindi, quale modello di Chiesa sia il migliore, nella mente di questo ceto dirigente ecclesiastico progressista. L’esito catastrofico dei due Sinodi sulla Famiglia, scolpito nella monumentale ambiguità dei passaggi chiave di Amoris Laetitia, sembra essere il faro, spento, in questa navigazione tormentata. Molti presumono di poter andare avanti con sicurezza, perché si tratta della convocazione legittima di un organismo ecclesiastico legale da parte del Papa regnate, il che è tutto vero. Ma questi crismi di legalità non impedirebbero la tracimazione del dibattito dentro e fuori l’aula, se non vi fosse una mano forte ad orientarlo e una mente sicura ad impostarlo. Sembra che poteri oscuri vogliano ipotecare il futuro della Chiesa, a dispetto dello stesso Pontefice e della sua formazione, un poco stantia, nella Teologia del Pueblo, che in questo contesto viene di fatto completamente rivisitata. Sono questi poteri come quello imperiale di Costanzo II, che impose l’arianesimo nei Conciliaboli di Seleucia Rimini, anche a un riluttante Papa Liberio? E’ questo Sinodo in convocazione infiltrato da strane teologie, come il Conciliabolo di Pistoia, che Pio VI dovette tollerare a lungo, fino a quando non si sentì libero di sconfessarlo? Ognuna di queste comparazioni è possibile, ma non rende la complessa problematicità della situazione attuale, nella quale la crisi, amplificata dall’esterno, scaturisce da dinamiche interne della Chiesa che affondano le loro radici nella crisi post conciliare e nel rinnovamento teologico degli anni centrali del secolo scorso, in primis nella svolta antropocentrica della teologia rahneriana. In verità, il problema di fondo non è la metodologia teologica proposta, ossia quella sinodale, per quanto improvvisata e abborracciata da una sinistra ecclesiastica andata al potere fuori tempo e che sembra non ravvisare le differenze tra il mondo in cui nacque e in quello di oggi. Il vero problema è la crisi formativa, del clero e dei laici, che in Occidente e nelle Americhe sono del tutto inappropriati a svolgere anche solo una funzione consultiva, se non fermamente regolata. Gli sviluppi della questione sono quindi tutti aperti. Del resto, negli anni sessanta e settanta un primo modello di consultazione allargata si ebbe nelle Comunità di Base, coi suoi trecentomila membri, nate all’ombra della Compagnia di Gesù, del tutto allo sbando sotto il Generalato di Arrupe. In questo modello, assimilabile anche ad altri di diversa matrice, che chiamiamo della contestazione progressista cattolica – penso all’Isolotto di Enzo Mazzi – ogni principio, pastorale canonico liturgico e dottrinale, veniva sottoposto al vaglio della comunità stessa. Se è questa la meta dei Padri Sinodali, la Chiesa umanamente è perduta, essendo inevitabile una frantumazione. Ma è anche vero che, oltrecortina, proprio negli anni disgraziati della contestazione, nella Chiesa polacca, precisamente nell’Arcidiocesi Metropolitana di Cracovia, il Cardinale Karol Wojtyla riuniva i fedeli, i religiosi e i laici in autentici comitati di base, in cui potevano esprimersi su temi politici, economici, sociali, culturali – da cui erano esclusi dall’ateismo monopartitico della dittatura bolscevica – ma anche religiosi. La cosa era possibile perché il laicato polacco era ed è fedele alla Regula Fidei e il suo clero, solidamente formato, era stato temprato dalla persecuzione nazista e comunista. Le proposte dei comitati di base, incluse quelle religiose, venivano poi portate dall’Arcivescovo in Conferenza Episcopale e all’occorrenza anche al Sinodo di Roma. Per questo Paolo VI poté dire che la Chiesa Polacca aveva recepito benissimo il Concilio senza entrare in crisi. Possiamo immaginare che Papa Francesco conosca questo modello e speri che esso trionfi, sia pure attraverso un acre contrasto con l’altro? Per sentire cum Petro, noi ci auguriamo di sì. Ma in ogni caso, siccome il dibattito sinodale è in corso, tutti coloro che hanno a cuore la conservazione della retta fede e della disciplina della Tradizione, sia pure nel quadro di una sua crescita e sviluppo regolari, possono e devono guardare al modello polacco, propugnandolo, mentre denunciano i rischi insiti nell’altro paradigma. In tal caso la meta da raggiungere sarebbe quella di una consultazione, senza pregiudizio del potere di magistero e di ordine, nelle coordinate precise di una fede ben enunciata e, di conseguenza, anche ben vissuta.
E’ questo l’apporto che possiamo dare alla grande e caotica consultazione in corso, avendo lo sguardo fermo a Cristo, che è il solo a guidare la Chiesa, con la consapevolezza che Egli chiama tutti ad operare responsabilmente.
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Tag: pensiero cattolico, sibilio, sinodali
Categoria: Generale
Il lettore cui è poco congeniale lo stile dell’articolo, può leggere questi passi illuminanti:
“Sembra che il Pontefice creda che i conflitti non vadano sopiti ma suscitati, alla ricerca di una sintesi ulteriore prossima ventura”
C’è un manovratore?
“Non è chiaro, quindi, quale modello di Chiesa sia il migliore, nella mente di questo ceto dirigente ecclesiastico progressista.”
La burocratizzazione delle coscienze (“seguite il Sinodo e non sbaglierete”):
Molti presumono di poter andare avanti con sicurezza, perché si tratta della convocazione legittima di un organismo ecclesiastico legale da parte del Papa regnate
“Se è questa la meta dei Padri Sinodali, la Chiesa umanamente è perduta, essendo inevitabile una frantumazione.”
Più che perduta, sparita dalla società occidentale (ma, ed è quello che conta, i sinodi sono salvi). Certo clero fa finta di non vedere mentre i nemici della Chiesa esultano.
Devo convenire di essere favorevole alle sue affermazioni benchè laconiche a fronte di frasi molto emblematiche di Gianvito Sibilio, del quale a suo tempo ho avuto molto piacere di apprezzare lo studio filologico e lessicale ne “Le parole della prima crociata” legato ai fatti che succedettero al Concilio di Clermont. Ma qui Sibilio preso da un timore, ormai comune ad intellettuali, poco cristiani e troppo presi di se, di dire la verità, tutta intendo, si perde in una logorroica disamina del principio sinodale colpendo la botte piena (i vescovi) e con molta, troppa pietà, la moglie ubriaca: il cd. “papa regnante” ( mi era uscito “ragnante” ma gli indigeni Pietri e Paoli ed i loro innamorati “occhi ben chiusi” non avrebbero colto il riferimento al diavoletto occidentale noto come la nonna dell'”uomo ragno”). Insomma aria fritta perchè poco chiara e non all’altezza di Sibilio che avrebbe una capacità logica ben più profonda, se la volesse applicare alla eresia galoppante, pubblica e pervicace di Bergoglio, che come elemento estraneo ed inquinatore, privo di conduzione spirituale dall’alto, non permette che alcun sinodo – con o senza di lui – , – a latere o in subordine – possa fare dottrina ma solo inutile o deleteria presenza come è inutile e ancor più deleterio chi lo ha convocato.
Mi riesce davvero difficile trovare ortodossia in molte, troppe uscite di Bergoglio. Inutile fare l’elenco, le conoscete tutti