Natale in Casa De Vito. I Ricordi di Benedetta Bambina, con un Augurio…

16 Dicembre 2022 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali la nostra Benedetta De Vito offre alla vostra attenzione questi ricordi e un pensiero di conforto per il Natale, a dispetto di tutto e di tutti…buona lettura.

 

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In casa de Vito noi bambini, cinque come le dita di una mano, non facevamo l’albero di Natale, considerato da mia madre molto chiassoso, inelegante e per nulla consono allo spirito nudo e semplice del Natale. Palle, palline, sciarpe filanti d’oro e d’argento, stelle e stelline cozzavano, secondo mia madre, che era in famiglia “arbitra elegantiarum”, con la povertà della stalla di Betlemme, dove il Divino Bambino aveva per culla soltanto una mangiatoia e per riscaldamento non un fuoco, ma il fiato caldo del bue e dell’asinello. E, dunque, se in casa dei vicini su di sopra, l’albero di Natale grande, acceso di luci, bucava il buio del giardino e da lontano sembrava gridare la sua vanitosa bellezza, da noi splendeva solo un piccolo, rustico presepe.

Le montagne a far da spalla dietro la capanna di Betlemme erano fatte con carta mimetica stropicciata e piena di pallottole di carta di giornale; il firmamento, una distesa silente di azzurro trapunto da stelle dorate, era appeso con lo scotch al muro da una parte all’altra. Le statuine, tutte avvoltolate con carta riciclata, venivano sistemate da noialtri bambini, nello sfondo del palcoscenico dove si consumava l’eterna meraviglia. Si sistemavano i pastorelli, seguiti dalle loro pecorelle bianche, alcuni suonavano una cornamusa, altri il piffero, altri nulla. Gli angeli venivano appesi alla capanna, con i loro vestiti color pastello, rosa, celeste, giallo canarino. Sui monti, lontani, i placidi magi seguivano la stella e i cammelli loro. Per il laghetto, uno specchio da trucco, nascosti i bordi di plastica sotto una coltre di muschio raccolta in giardino, ci mettevo sopra le paperelle trovate nell’uovo di Pasqua dell’anno prima: mamma papera con i suoi anatrini e a volte erano rosse e altre gialle. Il Bambino Divino, nascosto da mia madre non so dove, aspettava il giorno del suo arrivo mentre San Giuseppe e la Madonna erano già lì, con le braccia in adorazione, in sacra attesa.

Attendevo anche io e non per aprire i regali che quelli erano piccole cose, magri pensieri, in una casa piena di bambini. Soltanto dopo la messa di Mezzanotte, che ci vedeva riuniti nella cappella di San Gregorio, tra gli scout di Monsignor Nobels, il Bambino trovava il suo posto tra mamma e papà e tra noi. Il freddo mordeva, ma era notte d’amore e d’amore il cuore ripieno. Dormivo, anche io, sotto le stelle di Betlemme.

Ecco nel ricordo che s’accende il mio Natale di tanti anni fa quando il bene era bene e il male male. Oggi, però, per grazia celeste, continuo a viverlo così, nella purezza della vera vita mentre tutt’intorno suona, malefica, la grancassa del diavolo, sotto l’arcobaleno di Satana che rende il male bene agli occhi velati degli uomini. In casa, al centro della piccola sala che chiamo salotto, ho la capanna di Betlemme e quest’anno, da Loreto, mi è arrivata da una cara amica in dono una candela benedetta e quindi il lume al presepe lo fa lei e diventa tutto color di luna piena e, come scriveva Sant’Alfonso nella versione in napoletano di “Tu scendi dalle stelle”, era di notte, ma pareva mezzogiorno…

Sì, anche se intorno a me e a tutti regna il caos e un diluvio di parole false e menzognere, anche se non abbiamo a Roma il Vicario di Cristo (o forse lo abbiamo celato, non so), il Bambinello nasce lo stesso a Betlemme e nel nostro cuore, Lui: Via, Verità e Vita. E ora, dopo aver messo un punto a capo a questo bozzetto natalizio, corro a fare il pane alle noci da portare ai miei cari padri stimmatini di Sant’Agata dei Goti perché, da bimba, non Babbo Natale, ma Gesù Bambino veniva a portarmi il pacchettino e siccome era freddo dicembre gli lasciavo (come mi aveva insegnato la nonna Lisetta) in un bricchetto un poco di latte, due noci sgusciate e un pezzettino di pane.

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