Humanae Vitae. La Chiesa e la (Ricorrente) Tentazione di Aronne. Luca Del Pozzo.
3 Dicembre 2022
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, Luca Del Pozzo, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione questo prezioso articolo sull’enciclica Humanae Vitae, il suo valore oggi, e i tentativi che da più parti all’interno della Chiesa si stanno facendo per rivederla, ritoccarla, e in ultima analisi demolirla. Buona lettura.
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In ogni epoca la Chiesa è soggetta a quella che potremmo definire la “tentazione di Aronne”, ossia mettersi dalla parte del popolo dando al popolo ciò che il popolo vuole; per questo è necessario che in ogni epoca ci sia un Mosè che, all’opposto, scelga di stare dalla parte di Dio, guidando il popolo non dove il popolo vuole andare né tanto meno dove vuole lui, ma dove Dio vuole. Il che significa porsi nella prospettiva di quantomeno provare ad elevare le persone alla statura del Vangelo anziché abbassare l’asticella del Vangelo alla statura della (poca) fede delle persone, come invece accade oggi.
In questo mezzo secolo e più che ci separa dalla sua promulgazione, l’enciclica Humanae Vitae è stata fin dall’inizio e a più riprese oggetto di contestazioni e attacchi mossi da quegli ambienti ecclesiali che, discettando delle magnifiche sorti e progressive di una Chiesa finalmente moderna, in scia alla sempre fraintesa “apertura” della Chiesa nei confronti del mondo operata dal Vaticano II (fraintendimento, è bene precisarlo, che non nasce dal Vaticano II in sé quanto dalla ben nota “ermeneutica della discontinuità” impostasi nel post Concilio che purtroppo continua a fare danni) spingono per una revisione in senso aperturista, appunto, della dottrina cattolica sulla contraccezione (e non solo).
Non stupisce quindi che anche oggi sia in corso, come restituiscono le cronache, l’ennesimo tentativo di dare l’assalto o se si vuole la spallata ad un documento che per quei cattolici “nei cui occhi passa una luce d’estasi quando sentono pronunziare la parola «mondo»”, per rifarci ad una azzeccatissima immagine di Augusto Del Noce, rappresenta la pietra d’inciampo per eccellenza nel cammino di una Chiesa che vuole stare al passo con i tempi, come si dice.
A stupire invece è la miopia (non troviamo termine più misericordioso) di chi non si rende conto che rivedere l’Humanae Vitae servirebbe solo a creare ulteriore confusione in un momento in cui le acque in cui naviga la barca di Pietro sono già parecchio agitate. Basti guardare, tanto per fare un esempio, a quanto sta accadendo in Germania con il “cammino sinodale” cosiddetto (a proposito: c’è da sperare che sia solo una diceria priva di fondamento la voce secondo cui tra i motivi di cotanta rinnovata spinta riformatrice nei confronti di Humanae Vitae, vi sarebbe anche, non solo ma anche, la necessità di provare a sminare il terreno dal rischio di uno scisma – che com’è noto è tutt’altro che una prospettiva remota.
Un’apertura sulla contraccezione, questo il succo del ragionamento, potrebbe servire insomma a ricondurre i riottosi vescovi tedeschi a più miti consigli; tanto più che con un colpo solo, una volta che si fosse osato separare ciò che Dio ha unito, ossia sessualità e procreazione, verrebbe spianata la strada anche al riconoscimento dell’omosessualità, che è un altro dei punti in cima all’agenda di chi vuole essere “cattolico in modo diverso”, come ha tenuto a sottolineare il presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Bätzing, a margine della recente visita ad limina). Né vale l’obiezione, pure ricorrente nei succitati ambienti, che siccome lo sanno pure i muri che dei precetti di santa romana Chiesa in materia sessuale la maggior parte dei cattolici se ne infischia da tempo, un’eventuale via libera alla contraccezione non farebbe neanche troppo rumore e sarebbe pure ben accolto.
No, dico scherziamo?
Sarebbe come avallare il principio che i contenuti di fede e morale possono (o debbono?) essere ripensati a seconda degli umori del popolo, del contesto socio-culturale e antropologico e via dicendo. Spiacenti, ma non è così che “funziona” la Chiesa. Forse la politica (e anche qui, fino a un certo punto, se pensiamo alla politica “alta”, quella che non insegue il consenso a tutti i costi avendo il coraggio di fare anche scelte impopolari) può permettersi il lusso di inseguire i sondaggi e i trends, certo non la Chiesa. Oppure addio Chiesa. E’ questo che si vuole? Non c’è ombra di dubbio che il Vangelo debba essere sempre “incarnato”, debba cioè essere calato nella realtà storica ed esistenziale delle persone contro una visione meramente astratta della fede, nozionistica e intellettualistica. Bisogna però stare attenti a sviste e fraintendimenti.
Altrimenti si corre il rischio che nel momento in cui il Vangelo viene calato nella realtà, il risultato è un qualcosa che non è più Vangelo. Detto altrimenti: un conto è predicare e vivere lo stesso Vangelo di sempre nelle differenti epoche storiche – e da questo punto di vista la storia della santità è forse il miglior esempio di questo assunto: non esiste un solo santo o una solo santa che non siano o siano stati/e figli e figlie del proprio tempo; tutt’altra faccenda è, prendendo spunto dal fatto che i tempi cambiano, assumere una prospettiva ultimamente storicista e relativista (entrambe incompatibili con il cattolicesimo) per cambiare linguaggi e contenuti nella pia illusione che così la Chiesa resta sempre “sul pezzo” e il mondo ti segue meglio (ciao core). Tra l’altro, basta guardare alla situazione della Chiesa nei paesi più “avanzati” (leggasi: Germania, Olanda, Belgio, ecc.) per rendersi conto di come a furia di “ascoltare”, “accompagnare”, “accogliere” eccetera, eccetera, della fede sia rimasto ben poco se è vero che l’emorragia di fedeli non accenna a diminuire.
A dimostrazione del fatto che (s)vendere la primogenitura per un piatto di lenticchie non paga. Mai. E che anzi, a furia di abbassare l’asticella predicando un Vangelo a misura d’uomo, dalla Chiesa in uscita all’uscita dalla Chiesa è un attimo (per inciso: un esempio di vangelo a misura d’uomo è quello offerto di recente dal card. Hollerich, tra le altre cose Relatore generale al Sinodo sulla Sinodalità, il quale ha detto in un’intervista che essere testimoni del Vangelo, cioè testimoniare la morte e resurrezione di Cristo, significa “principalmente” impegnarsi nel mondo – pregasi allacciare le cinture – “per la salvaguardia del creato, per la giustizia, per la pace”. Ora qualcuno dirà: embè?
Che c’è di più bello e nobile e giusto della giustizia, della pace, della salvaguardia dell’ambiente? Niente, ci mancherebbe. C’è però un “però”. Ed è che per impegnarsi per quelle nobili cause forse, dico forse, non c’era bisogno che Gesù Cristo si lasciasse maciullare né tantomeno che risorgesse.
O ci siamo persi qualcosa?
E’ un vangelo a misura d’uomo per il semplice motivo che sono tutti ambiti per i quali non è richiesta la fede. Anche un ateo incallito può avere a cuore come e più di un credente la giustizia, la pace, ecc. E anzi, se vogliamo dirla tutta l’attenzione o l’interesse per le cose di quaggiù spesso e volentieri nasce come conseguenza del fatto che non c’è una prospettiva per le cose di lassù, il che dovrebbe forse indurre un supplemento di riflessione, ma lasciamo stare).
Non per nulla s. Giovanni Paolo II, in quel capolavoro che è Varcare le soglie della speranza, parlando giustappunto dell’accoglienza dell’insegnamento della Chiesa da parte del mondo sottolineava come (in corsivo nel testo) “quando la vera dottrina è impopolare, non è lecito cercare una popolarità facile. La Chiesa deve dare una risposta alla domanda: «Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?» (Mt 19,16). Cristo ci ha prevenuti, avvertendo che la via della salvezza non è larga e comoda, ma stretta e angusta (cfr. Mt 7, 13-14). Non abbiamo il diritto di abbandonare tale ottica, né di mutarla. Questo è il monito del magistero, questo è anche il dovere dei teologi – soprattutto dei moralisti – i quali, come collaboratori della Chiesa docente, hanno una loro parte speciale” (p. 190). Non c’è bisogno di essere esperti né dottori della legge per rendersi conto di come purtroppo la distanza tra l’atteggiamento della Chiesa di oggi e questo che diceva Wojtyla neanche tre decenni fa sia a dir poco siderale. E a proposito di quel “dovere dei teologi” cui faceva riferimento il santo papa polacco: esercitarsi in improbabili funambolismi teologici per far dire all’Humanae Vitae ciò che non dice, ci sembra vada in tutt’altra direzione rispetto a quanto indicato da Wojtyla. Come accadde qualche anno fa in occasione di un convegno tra le austere mura della Gregoriana, quando uno dei relatori – il teologo Maurizio Chiodi – rileggendo Humanae Vitae alla luce di Amoris laetitiase ne uscì dicendo che in certe circostanze si può ricorrere ai metodi contraccettivi. A scanso di equivoci questo il passaggio conclusivo della relazione: “La tecnica (leggi: i metodi contraccettivi in quanto distinti da quelli naturali, nda), in date circostanze, può consentire di custodire la qualità responsabile dell’atto coniugale. Essa perciò non può essere rifiutata a priori, quando è in gioco la nascita di un figlio, poiché anch’essa è una forma dell’agire, e come tale richiede un discernimento sulla base di criteri morali irriducibili ad un’applicazione sillogistico-deduttivo della norma”. Più chiaro di così si muore. Come se non bastasse, di recente lo stesso Chiodi è tornato alla carica affermando in un’intervista che con Humanae Vitae si è “nel campo della doctrina reformabilis”, ossia si può riformare perché evidentemente per lui (come per molti altri) l’insegnamento di Humanae Vitae non impegna l’infallibilità del magistero. Sbagliando, ovviamente. Intendiamoci, Chiodi non è certo il primo e non sarà l’ultimo ad avere una posizione aperturista su pillola e annessi. Però, ecco, ci sia consentito dire che se ad un teologo che esprime simili posizioni oltre che essere nominato membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita, gli vengono affidate cattedre in istituti come il Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia (il che, da altra angolatura, la dice lunga sulla discontinuità del nuovo corso impresso all’Istituto nonostante si sia cercato, non senza qualche goffaggine comunicativa, di dimostrare il contrario), bè Huston forse abbiamo un problema?
E’ normale che nelle facoltà teologiche il Magistero (nella fattispecie il paragrafo n. 2370 del Catechismo che, tu guarda le coincidenze, cita espressamente Humanae Vitae) venga “riletto”? In nome magari della libertà di ricerca? Ad ogni modo, a beneficio di Chiodi, della PAV e di quanti propongo ogni due per tre rivisitazioni a dir poco stravaganti di Humanae Vitae, nella nostra infinita miseria ci sentiamo sommessamente di suggerire la lettura e la meditazione di questo passaggio dell’Evangelium Vitae di s. Giovanni Paolo II (è un po’ lungo ma vale la pena) che illumina un aspetto forse non sufficientemente messo a fuoco da lorsignori quando si parla di contraccezione: “Si afferma frequentemente che la contraccezione, resa sicura e accessibile a tutti, è il rimedio più efficace contro l’aborto. Si accusa poi la Chiesa cattolica di favorire di fatto l’aborto perché continua ostinatamente a insegnare l’illiceità morale della contraccezione. L’obiezione, a ben guardare, si rivela speciosa. Può essere, infatti, che molti ricorrano ai contraccettivi anche nell’intento di evitare successivamente la tentazione dell’aborto. Ma i disvalori insiti nella «mentalità contraccettiva» — ben diversa dall’esercizio responsabile della paternità e maternità, attuato nel rispetto della piena verità dell’atto coniugale — sono tali da rendere più forte proprio questa tentazione, di fronte all’eventuale concepimento di una vita non desiderata. Di fatto la cultura abortista è particolarmente sviluppata proprio in ambienti che rifiutano l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione. Certo, contraccezione ed aborto, dal punto di vista morale, sono mali specificamente diversi: l’una contraddice all’integra verità dell’atto sessuale come espressione propria dell’amore coniugale, l’altro distrugge la vita di un essere umano; la prima si oppone alla virtù della castità matrimoniale, il secondo si oppone alla virtù della giustizia e viola direttamente il precetto divino «non uccidere». Ma pur con questa diversa natura e peso morale, essi sono molto spesso in intima relazione, come frutti di una medesima pianta. È vero che non mancano casi in cui alla contraccezione e allo stesso aborto si giunge sotto la spinta di molteplici difficoltà esistenziali, che tuttavia non possono mai esonerare dallo sforzo di osservare pienamente la Legge di Dio. Ma in moltissimi altri casi tali pratiche affondano le radici in una mentalità edonistica e deresponsabilizzante nei confronti della sessualità e suppongono un concetto egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi della propria personalità. La vita che potrebbe scaturire dall’incontro sessuale diventa così il nemico da evitare assolutamente e l’aborto l’unica possibile risposta risolutiva di fronte ad una contraccezione fallita. Purtroppo la stretta connessione che, a livello di mentalità, intercorre tra la pratica della contraccezione e quella dell’aborto emerge sempre di più e lo dimostra in modo allarmante anche la messa a punto di preparati chimici, di dispositivi intrauterini e di vaccini che, distribuiti con la stessa facilità dei contraccettivi, agiscono in realtà come abortivi nei primissimi stadi di sviluppo della vita del nuovo essere umano”. Non credo servano commenti.
Per concludere, va ribadito con forza che non c’è proprio alcun bisogno di rivedere Humanae Vitae. Men che meno perché “i tempi sono cambiati”, come vuole la narrativa mainstream. Sorvolando sul fatto che i tempi possono cambiare in meglio o in peggio ed è preciso dovere della Chiesa non limitarsi a prendere atto che i tempi cambiano (maddai?), bensì esprimere un giudizio sul cambiamento, auspicabilmente alla luce della fede, quello che forse sembra sfuggire alla premiata ditta PAV&Co. è che quando si parla di contraccezione (e lo stesso vale per aborto, eutanasia, ecc.) c’è in gioco la verità sull’uomo. Scusate se è poco. Motivo per cui, proseguiva s. Giovanni Paolo II in Varcare le soglie della speranza, “Allontanarsi da tale verità non costituisce affatto una tendenza verso lo sviluppo, non può essere ritenuta una misura di «progresso etico». Di fronte a simili tendenze ogni pastore della chiesa, e soprattutto il Papa, deve essere particolarmente sensibile, per non disattendere il severo monito contenuto nella Seconda Lettera di Paolo a Timoteo; «Tu, però, vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero” (4,59)”. Quando si dice “il vostro parlare sia «sì, sì, no, no», il di più viene dal maligno”. L’esatto opposto dei “sì, ma” e dei “no, però” oggi in voga nella Chiesa della misericordia.
Come si vede torna la questione da cui siamo partiti: chi vuole essere la Chiesa oggi, Aronne o Mosè? Oltretutto, anche rispetto a situazioni come, ad esempio, il dramma della denatalità che affligge l’Italia (e non solo), la posizione di una Chiesa che da un lato denuncia ai massimi livelli l’inverno demografico e, dall’altro, aprisse alla contraccezione, rischierebbe di apparire, come dire, un pelo controintuitiva. Ma al di là di questo, il punto che ci preme rimarcare è che oggi più di ieri è necessario che la Chiesa, a partire dai pastori, riscopra e riproponga un’enciclica che non abbisogna né di “tagliandi” né di essere “sviluppata”, avendo conservata intatta tutta la sua carica profetica in quanto saldamente ancorata alla verità dell’uomo. E che non cessa di essere punto di riferimento e guida sicura per le tantissime famiglie che l’hanno accolta e vissuta senza riserve, testimoniando che si può vivere ciò che la Chiesa insegna.
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Luca Del Pozzo
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Tag: del pozzo, paolo VI, umane vitae
Categoria: Generale