La Condanna del Card. Zen. Un Commento di José Antonio Ureta.
26 Novembre 2022
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, mentre fra Roma e Pechino si consumano silenzi e complicità che non riescono a risvegliare l’indignazione sempre pronta delle anime belle – anche e soprattutto cattoliche – progressiste, offriamo alla vostra attenzione questo commento di José Antonio Ureta, che ringraziamo di cuore, apparso su Tradizione Famiglia Proprietà. Buona lettura.
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di José Antonio Ureta[1]
L’arresto e l’incriminazione del cardinale Joseph Zen hanno evidenziato ancora una volta quanto si stia rivelando dannoso per la Chiesa cattolica l’accordo segreto provvisorio tra il Vaticano e il governo di Pechino sulla nomina dei vescovi. L’accordo mette tutti i cattolici all’interno di una gabbia predisposta dal Partito Comunista Cinese (PCC), senza alcun vantaggio concreto per pastori e fedeli. Il ritorno a un sistema di “patronato regio”, da cui la Chiesa era riuscita a malapena a districarsi dopo diversi secoli di braccio di ferro con i vari poteri temporali[2], comporta gravi limitazioni alla libertà religiosa. Infatti, con il pretesto della “sinizzazione”, il PCC ha imposto nuovi “Regolamenti sugli affari religiosi” e nuove “Misure amministrative per i gruppi religiosi”, che stabiliscono rigorosi criteri per la registrazione e l’attività delle organizzazioni religiose e dei loro leader. Un esempio su tutti: «Le organizzazioni religiose devono sostenere la leadership del Partito Comunista Cinese» e «incarnare i valori fondamentali del socialismo»[3].
A suscitare la reazione dei cattolici è stato soprattutto il fatto che l’ottenimento della registrazione come ente religioso richiede esplicitamente l’adesione al principio dell’indipendenza, dell’autonomia e dell’autoamministrazione della rispettiva entità religiosa. Ciò non è altro che una riproposizione della dottrina delle Tre Autonomie, condannata da Pio XII nel 1954, la cui accettazione da parte della Chiesa patriottica cinese ha poi portato alla sua classificazione come Chiesa scismatica. Nonostante ciò, nel giugno 2019, il Vaticano ha consigliato a vescovi e sacerdoti cinesi di registrarsi presso lo Stato[4].
Tre mesi prima, nella prefazione a un volume a cura di padre Antonio Spadaro per i tipi della Civiltà Cattolica, intitolato La Chiesa in Cina – Un futuro da scrivere, il cardinale Pietro Parolin tendeva a giustificare in anticipo il grave cedimento in preparazione, dichiarando: «Le finalità proprie dell’azione della Santa Sede, anche nello specifico contesto cinese, rimangono quelle di sempre: la Salus animarum e la Libertas Ecclesiae. Per la Chiesa in Cina, ciò significa la possibilità di annunciare con maggiore libertà il Vangelo di Cristo e di farlo in una cornice sociale, culturale e politica di maggiore fiducia»[5].
Lasciamo ad altri il compito di analizzare dal punto di vista della teologia e del diritto canonico la gravità di tale incitamento ad aderire allo scisma “patriottico”. In questo articolo vogliamo affrontare un aspetto dell’azione della Santa Sede in Cina che riguarda la Dottrina sociale della Chiesa. Si tratta dell’obbligo imposto alle comunità religiose riconosciute di sostenere “il sistema socialista” e “la via del socialismo con caratteristiche cinesi” e, inoltre, di “incarnare i valori fondamentali del socialismo”.
Il problema che si pone è il seguente: supponendo che la registrazione presso il Dipartimento per gli Affari Religiosi non richieda l’adesione al principio scismatico delle tre autonomie, la Chiesa cattolica potrebbe accettare una clausola che la obblighi a difendere il sistema socialista o, almeno, a tacere i suoi insegnamenti sulla proprietà privata? In altre parole, quanto è importante la proprietà privata nella Dottrina sociale complessiva della Chiesa e fino a che punto la sua predicazione può essere sacrificata in nome della salus animarum e della libertas Ecclesiae invocate dal cardinale Parolin? La predicazione del Vangelo in un Paese di missione come la Cina e l’amministrazione dei sacramenti alla minoranza cattolica giustificherebbero il silenzio dell’abbondante magistero ecclesiastico in difesa della proprietà privata?
Questo problema teorico – con importanti ripercussioni pratiche – in realtà non è nuovo. È stato sollevato durante la prima sessione del Concilio Vaticano II nel 1962, in relazione al disgelo tra il regime comunista polacco e la Chiesa cattolica.
Come è noto, le manifestazioni operaie in Polonia dell’ottobre 1956 portarono alla salita al governo di Władysław Gomułka, che liberò dal carcere il cardinale Stefan Wyszyński e accolse la sua richiesta di piena libertà di culto e di possibilità di catechizzare i bambini. D’altra parte, nelle elezioni parlamentari del gennaio 1957, la gerarchia cattolica chiese ai fedeli di sostenere i candidati della lista unica presentata dal Partito Comunista per evitare un’invasione russa come quella avvenuta pochi mesi prima in Ungheria. Un disgelo simile si stava profilando in Jugoslavia e nella stessa Russia di Nikita Krusciov. Dietro la Cortina di ferro, la Chiesa cattolica si trovò di fronte all’alternativa tra rimanere nella clandestinità o abbandonare la sua esistenza catacombale e accettare un modus vivendi, con grande vantaggio della propaganda comunista in Occidente.
Le relazioni tra i regimi comunisti e la Chiesa Cattolica furono uno dei temi caldi delle conversazioni nei corridoi vaticani all’inizio dell’assemblea conciliare, nonostante l’accordo concluso a Metz tra il cardinale Tisserant e il metropolita Nicodemo, in base al quale le autorità del Cremlino avrebbero accettato la presenza di osservatori della Chiesa Ortodossa russa al Concilio a condizione che l’assemblea si astenesse dal condannare il comunismo. Il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira e i rappresentanti della Società brasiliana per la difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP), che assistevano i vescovi Mons. Geraldo de Proença Sigaud e Mons. Antonio de Castro Mayer durante la prima sessione del Concilio Vaticano II, non mancarono di sollevare questo problema. Dal resoconto quotidiano[6] dei contatti avuti a Roma da tale delegazione tra l’ottobre e il dicembre 1962, risulta evidente la grande disparità di opinioni tra i prelati e gli esperti dell’ala conservatrice circa la legalità e l’opportunità di un accordo pratico con i regimi comunisti.
Alcuni prelati la consideravano perniciosa per ragioni strategiche, ma senza affrontare il problema morale di un modus vivendi che sacrificasse la predicazione circa la proprietà privata: «La distensione russa è tattica. La Russia non ha rinunciato né al dominio del mondo né alla lotta contro la Chiesa» (Cardinale Agagianian[7]); «In Polonia non c’è alcuna distensione; lo Stato sta stringendo sempre di più la sua morsa. Wyszynski e un’intera corrente in Vaticano pensano che se i cattolici non attaccano il comunismo, questi non attaccherà nemmeno noi. Bisogna avere poca dimestichezza con il comunismo per pensarla così» (Arcivescovo Buchko[8]); «Non ci può essere coesistenza; è come una persona seduta di fronte a un leone che può divorarla in qualsiasi momento» (Arcivescovo Silva Santiago[9]); «I comunisti disprezzano chi fa concessioni e rispettano gli intransigenti» (Arcivescovo Carboni[10]).
Più numerosi erano coloro che, pur riconoscendo i limiti imposti all’evangelizzazione, ritenevano moralmente lecito e pastoralmente opportuno trovare un accordo con il regime comunista, anche se il prezzo da pagare era il silenzio sulla proprietà privata: «In Russia è possibile insegnare la dottrina, i dogmi, amministrare i sacramenti, da un punto di vista positivo, cioè senza dire che l’avversario ha torto o combattere contro qualsiasi errore, tanto meno contro il regime governativo. Non si può insegnare che la dottrina della Chiesa difende la proprietà privata e tanto meno che il comunismo è un male. I genitori stessi non possono insegnare queste cose ai loro figli. Ma il buon esempio dei genitori è del tutto sufficiente a formare dei figli che percepiscano, attraverso tale esempio, che tutto il resto è sbagliato. Insomma, ci sono circostanze francamente praticabili per la salvezza delle anime e l’espansione della Chiesa in Russia» (Vescovo Katkoff[11]); «La Chiesa deve accettare questa situazione; la Russia si sta evolvendo perché la mitigazione del comunismo è evidente. Dobbiamo fare come nel primo Medioevo, quando la Chiesa convertì i barbari. Krusciov potrebbe diventare il capo dell’Occidente, incoronato dal Papa. Questo sarebbe conforme alla rivelazione di Fatima circa la conversione della Russia, qualora fosse autentica» (Arcivescovo Ronca[12]); «In Polonia si predica tutta la dottrina cattolica, senza restrizioni; sulla proprietà si predica sottovoce e questo non è male perché il popolo ha un grande senso della proprietà privata. Un’azione [sulla liceità di un accordo] non dovrebbe insistere tanto sulla proprietà privata, perché potrebbe sembrare favorevole a mantenere gli interessi del capitalismo. E non dovrebbe nemmeno parlare tanto contro la Russia, quanto contro il materialismo dialettico dell’Est, e anche contro il materialismo pratico dell’Ovest. E bisogna dire che i comunisti fanno qualcosa per i poveri» (Arcivescovo Gawlina[13]); «Si capisce la posizione di Wyszynski e dei polacchi perché, dopo tutto, qualcosa deve essere salvato; non avevano alternative. Il comunismo, se non fosse ateo, non sarebbe così cattivo; c’è in esso qualcosa di buono. Non credo che il socialismo sia la stessa cosa del comunismo. Non sappiamo come finirà questo stato di cose nei Paesi dominati dal regime comunista: o il regime crolla, il che sarebbe meglio, ma molto difficile, o si raggiunge un equilibrio, come è successo dopo la Rivoluzione francese, che difendeva gli stessi principi. Per la lotta religiosa, l’importante è l’educazione e l’illuminazione, ma non dobbiamo soffermarci sugli aspetti negativi» (Vescovo Adam[14]); «La posizione di Wyszynski è difendibile poiché non ha le stesse possibilità di difesa [che ha la Chiesa in Occidente]; per conservare la sua libertà, la Chiesa potrebbe rinunciare alla predicazione di alcuni dogmi (come nel caso del diritto di proprietà), per predicare solo quelli strettamente necessari alla salvezza delle anime» (padre Dulac[15]).
I membri della TFP che accompagnavano i suddetti vescovi brasiliani non ebbero praticamente alcun contatto con i padri progressisti del Concilio o con la vasta maggioranza centrista. Ma se le citazioni sopra riportate corrispondono alla posizione maggioritaria nell’ala conservatrice, non è irragionevole immaginare che tra i centristi una proposta di modus vivendi che includesse l’omissione della critica al collettivismo comunista e il silenzio sulla proprietà privata sarebbe stata ampiamente accettata. E ancor di più lo sarebbe stata tra la minoranza progressista, che non faceva mistero delle sue simpatie per il socialismo.
Molto preoccupato dei vantaggi che il comunismo internazionale avrebbe potuto ottenere, non solo dietro la Cortina di ferro ma soprattutto in Occidente, da un graduale silenzio sugli insegnamenti del magistero riguardanti la proprietà privata, il che avrebbe favorito l’infiltrazione di idee socialiste e l’approvazione di riforme strutturali collettiviste (come le riforme agrarie, principale bandiera di lotta della sinistra in America Latina), Plinio Corrêa de Oliveira decise di scrivere un breve saggio per dimostrare l’illegalità di un accordo che avrebbe imposto tale silenzio. La sua preoccupazione era così forte che lo scrisse in poche notti, durante il suo soggiorno a Roma, e nonostante il turbinio di visite e incontri allo scopo di discuterne con gli stessi prelati dell’ala conservatrice, alcuni dei quali sarebbero poi diventati membri del Coetus Internationalis Patrum.
Ne nacque un opuscolo intitolato “La libertà della Chiesa nello Stato comunista”. Lanciato originariamente come inserzione a pagamento sul quotidiano romano Il Tempo durante la seconda sessione del Concilio Vaticano II, ne venne distribuita una copia a tutti i Padri conciliari che partecipavano alla grande assise, nonché, in una versione ampliata, a tutti i partecipanti alla terza sessione. Tradotto in otto lingue (italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, ungherese, polacco e ucraino), lo studio ebbe 33 edizioni per un totale di 160 mila copie e fu riprodotto integralmente in più di trenta giornali e riviste in undici Paesi diversi.
Recensioni dello studio furono pubblicate in numerose riviste, tra cui “Divus Thomas” [16], “Informations catholiques internationales” ed “Esprit”. Tuttavia, nessuna recensione fu più arrabbiata della “Lettera aperta al Prof. Plinio Corrêa de Oliveira”, pubblicata sul settimanale “Kierunki”[17] e sul mensile “Zycie i Mysl”[18] dal giornalista polacco Zbigniew Czajkowski, membro del Consiglio consultivo del Presidente del Consiglio di Stato in rappresentanza dell’Associazione “Pax”, di cui fu per molti anni vicepresidente.
Lo studio esordisce sottolineando che, a fronte del cambiamento di atteggiamento di alcuni governi comunisti, «le opinioni dei circoli religiosi si stanno dividendo sulla direzione da prendere e con ciò si sta rompendo la diga di una solida e inflessibile opposizione al comunismo». E deplora che tra i cattolici «si stia facendo strada l’idea di stabilire ovunque, su scala quasi mondiale, un modus vivendi tra la Chiesa e il comunismo – a immagine di quanto accaduto in Polonia -, accettato come un male, ma un male minore», che a sua volta potrebbe portare «intere nazioni a una catastrofica capitolazione davanti alle potenze comuniste». Questa eventualità rende necessario «studiare, al più presto e nei suoi vari aspetti, i problemi morali inerenti al bivio in cui il comportamento relativamente tollerante di alcuni governi comunisti pone oggi la coscienza di milioni e milioni di persone».
Il problema di coscienza sollevato dallo studio di Plinio Corrêa de Oliveira potrebbe essere formulato come segue: può la Chiesa accettare una libertà d’azione limitata per amministrare ai fedeli i sacramenti e il pane della Parola di Dio, a condizione che l’insegnamento e la predicazione cattolica facciano tacere i fedeli sulla sua dottrina della proprietà privata o, in ogni caso, affermare che la proprietà privata è un ideale desiderabile in teoria, ma irrealizzabile in pratica, in virtù del regime comunista?
Alla maniera tomistica, l’autore solleva l’obiezione iniziale con tutta la nettezza e acutezza del caso: «A prima vista, si direbbe che la missione della Chiesa consista essenzialmente nel promuovere la conoscenza e l’amore di Dio, piuttosto che nel sostenere o mantenere un regime politico, sociale o economico. E che le anime possono conoscere e amare Dio senza bisogno di essere istruite sul principio della proprietà privata. La Chiesa potrebbe quindi accettare come male minore l’impegno a tacere sul diritto di proprietà, per ricevere in cambio la libertà di istruire e santificare le anime, parlando loro di Dio e del destino eterno dell’uomo e amministrando i Sacramenti».
La risposta proposta è solidamente fondata su principi teologici e osservazioni sociologiche, la prima delle quali è che «l’ordine temporale esercita una profonda azione formativa o deformante sull’anima dei popoli e degli individui», per cui «vivere in un ordine di cose [comunista] coerente nell’errore e nel male è di per sé un tremendo invito all’apostasia». Per questo motivo, «non c’è modo di evitare questa influenza se non istruendo i fedeli su ciò che in essa c’è di male».
Per venire al punto, lo studio sottolinea subito che «la missione magisteriale della Chiesa mira a insegnare una dottrina che è un tutto indivisibile», per cui «la Chiesa non può accettare nella sua funzione di insegnamento un mezzo silenzio, una mezza oppressione, per ottenere una mezza libertà. Sarebbe un completo tradimento della sua missione». D’altra parte, la Chiesa deve educare le volontà umane all’acquisizione della santità, ma la formazione genuinamente cristiana delle anime è seriamente ostacolata se i fedeli non hanno una chiara conoscenza del principio della proprietà privata e non lo vedono rispettato nella pratica.
Per dimostrare quest’ultima tesi, Plinio Corrêa de Oliveira adduce tre argomenti, dal punto di vista della missione di insegnamento e da quello della missione santificatrice della Chiesa. Vale la pena studiarli in dettaglio, perché sono il nucleo centrale del suo studio:
a) La conoscenza e l’amore della Legge sono inseparabili dalla conoscenza e dall’amore di Dio, perché la Legge è in qualche modo lo specchio della santità divina. E questo, che si può dire di ciascuno dei suoi comandamenti, è vero soprattutto se si considera tali precetti nel loro insieme. Astenersi dall’insegnare i due precetti del Decalogo (settimo e decimo comandamento: “Non rubare” e “Non desiderare la roba d’altri”) che sono alla base della proprietà privata significherebbe presentare un’immagine distorta di quell’insieme, e quindi di Dio stesso. Ora, se le anime hanno un’idea distorta di Dio, si formano secondo un modello errato, che è incompatibile con la vera santificazione.
b) L’intera nozione di giustizia si basa sul principio che ogni uomo, il suo prossimo e la società umana sono rispettivamente titolari di diritti, ai quali corrispondono ovviamente dei doveri. In altre parole, la nozione di “io” e “tu” è la base più elementare del concetto di giustizia. Ora, proprio questa nozione di “io” e “tu” nelle questioni economiche porta direttamente e inevitabilmente al principio della proprietà privata. Quindi, senza la giusta conoscenza della legittimità e dell’estensione – nonché della limitazione – della proprietà privata, non c’è una giusta conoscenza della virtù cardinale della giustizia. E senza questa conoscenza non è possibile né il vero amore né la vera pratica della giustizia [che è una delle virtù cardinali]; in breve, non è possibile la santificazione.
c) Tutto ciò che nuoce alla giusta formazione dell’intelletto e della volontà, sotto vari aspetti, è incompatibile con la santificazione. Ora, poiché dirigere il proprio destino e provvedere alla propria sussistenza sono oggetti immediati, necessari e costanti dell’esercizio dell’intelligenza e della volontà, e la proprietà è un mezzo normale perché l’uomo sia e si senta sicuro del proprio futuro e padrone di se stesso, ne consegue che abolire la proprietà privata, e di conseguenza consegnare l’individuo, come una formica indifesa, alla direzione dello Stato, significa privare la sua mente di alcune delle condizioni fondamentali del suo normale funzionamento. Senza accettare gli ideali utopici di una società in cui ogni individuo, senza eccezioni, sia proprietario, o in cui non esistano proprietà disuguali, grandi, medie e piccole, bisogna affermare che la più ampia diffusione possibile della proprietà favorisce il bene spirituale, e ovviamente anche il bene culturale, sia degli individui, sia delle famiglie, sia della società.
Al contrario, sostiene Plinio Corrêa de Oliveira, «il socialismo e il comunismo affermano che l’individuo esiste innanzitutto per la società e deve produrre direttamente, non per il proprio bene, ma per il bene dell’intero corpo sociale». In questo modo, lo stimolo migliore al lavoro cessa, la produzione diminuisce necessariamente, l’indolenza e la miseria si generalizzano in tutta la società. E l’unico mezzo – ovviamente insufficiente – che il Potere Pubblico può utilizzare come stimolo alla produzione è la frusta…».
Dunque, l’autore conclude che «è vano tacere sull’immoralità dell’intera comunione dei beni, al fine di ottenere la santificazione delle anime attraverso la libertà di culto e la relativa libertà di predicazione».
Va notato che lo studio su “La libertà della Chiesa nello Stato comunista” fu successivamente elogiato dall’allora Sacra Congregazione per i Seminari e le Università, ad opera del suo prefetto, il cardinale Giuseppe Pizzardo, e del suo segretario, il vescovo Dino Staffa, che lo qualificarono come «un’eco fedelissima dei documenti del supremo magistero della Chiesa» e considerando il suo autore «meritatamente famoso per la sua scienza filosofica, storica e sociologica».
Il saggio di Plinio Corrêa de Oliveira non impedì tuttavia alla Santa Sede di firmare con l’Ungheria, nel 1964, il primo di una serie di accordi con i regimi comunisti dell’Europa orientale, estendendo quella che sarebbe stata chiamata la Ostpolitik vaticana promossa da mons. Agostino Casaroli, più tardi creato cardinale. Il prezzo pagato è stato quello di mettere a tacere non solo la condanna del regime socio-economico comunista, ma persino qualsiasi denuncia delle persecuzioni subite dalla Chiesa del Silenzio, al punto di sacrificare figure eroiche come i cardinali Mindszenty, Stepinac, Slipyj e Beran. L’unico risultato palpabile fu quello di indebolire le Chiese locali e di ritardare il crollo dell’impero sovietico.
La caduta del Muro di Berlino screditò retrospettivamente la politica di riavvicinamento al comunismo, ma l’Ostpolitik continuò ad essere stimata dai diplomatici vaticani ed è stata ripresa, in relazione alla Cina, dal cardinale Pietro Parolin, discepolo del cardinale Casaroli. Il nuovo clima ha permesso l’accordo bilaterale tra la Santa Sede e la Cina e anche dichiarazioni scandalose, come quelle di monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che ha osato affermare, pochi giorni prima della firma dell’accordo, che «in questo momento, coloro che meglio mettono in pratica la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi», perché «cercano il bene comune, subordinano le cose al bene generale». In Occidente, invece, «il pensiero liberale ha liquidato il concetto di bene comune, non vuole nemmeno prenderlo in considerazione, dice che è un’idea vuota, senza alcun interesse. I cinesi, invece, non lo fanno, propongono il lavoro e il bene comune»[19].
Non sorprende che l’Associazione della Chiesa Patriottica Cinese e la Conferenza Episcopale Cinese – entrambe entità non riconosciute dal Vaticano, ma i cui vescovi sono stati reintegrati nella piena comunione dopo l’accordo del 2018 – si siano sentite libere di emanare un “Piano quinquennale per promuovere l’adesione della Chiesa alle linee guida della sinizzazione”, il cui obiettivo principale è quello di «promuovere il reciproco adattamento tra la Chiesa cattolica e la società socialista». A tal fine, «il clero e i cattolici dovrebbero essere guidati ad attuare i valori fondamentali del socialismo», il che comporta «l’accettazione della leadership del Partito Comunista Cinese»[20].
I vescovi cinesi riconciliati con Papa Francesco sono riusciti a realizzare ciò che l’arcivescovo Helder Câmara aveva già sognato 65 anni fa, nel momento in cui il “disgelo” di Gomulka cominciava a ottenere il silenzio magisteriale sulla necessità della proprietà privata: «Per noi cristiani, il passo successivo è quello di proclamare pubblicamente che non è il socialismo ma il capitalismo ad essere “intrinsecamente malvagio”, e che il socialismo è da condannare solo nelle sue perversioni»[21].
Note
[1] Cileno di origine, vive e lavora a Parigi. È socio fondatore della Fundación Roma, una tra le più influenti pro-life e pro-family organizzazioni cilene, dove è assistant of strategic and planning per il progetto Credo Chile. È anche impegnato come ricercatore nella Société Française pour la Défense de la Tradition, Famille et Propriété, Avenir de la Culture e Fédération Pro Europa Christiana. Ha tenuto la Relazione principale alla IV Giornata nazionale della Dottrina sociale della Chiesa, organizzata dal nostro Osservatorio l’1 ottobre 2022.
[2] Il Concilio Vaticano II nel suo decreto Christus Dominus sul ministero pastorale dei vescovi, esprime al n. 20 l’auspicio «che, per l’avvenire, alle autorità civili non siano più concessi diritti o privilegi di elezione, nomina, presentazione o designazione all’ufficio episcopale» e nel caso di accordi già esistenti, «rivolge viva preghiera, affinché (le autorità civili), ad essi vogliano spontaneamente rinunziare». Questo orientamento fu poi accolto nell’attuale Codice di Diritto Canonico, che nel canone 377 § 5 stabilisce: «Per il futuro non verrà concesso alle autorità civili alcun diritto e privilegio di elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi».
[3]https://www.churchinchains.ie/topics/chinas-new-regulations-for-religious-affairs/
[4]https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/06/28/0554/01160.html
[5]https://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/parolin/2019/documents/rc_seg-st_20190318_parolin-cina_it.html
[6] Murilho Maranhão Galliez, “Atividades, Impressões e Notícias Colhidas pelo Grupo da TFP em Roma durante a realização do Concílio Ecumênico Vaticano II”, manoscritto inedito. Le citazioni si riferiscono al giorno dell’appuntamento con la persona menzionata.
[7] Udienza del 18 ottobre 1962 con Mons. de Proença Sigaud e Mons. de Castro Mayer. Gregorio-Pietro XV Agagianian (1895-1971), Patriarca di Cilicia degli Armeni, Prefetto della Sacra Congregazione di Propaganda Fide. Ricevette un grande numero di voti, avvicinandosi alla maggioranza richiesta, nel conclave del 1958 che elesse Giovanni XXIII e fu uno dei quattro moderatori delle assemblee generali del Concilio Vaticano II.
[8] Udienza del 10 novembre 1962 con Plinio Corrêa de Oliveira. Ivan Buchko (1891-1974), vescovo titolare di Cadi e poi arcivescovo titolare di Leucas, vescovo ausiliare dell’eparchia ucraino-cattolica di Leopoli durante la Seconda Guerra Mondiale e poi visitatore apostolico degli ucraini dell’Europa occidentale.
[9] Incontro del 19 novembre 1962 tra Mons. de Proença Sigaud, Mons. de Castro Mayer e il Prof. Fernando Furquim de Almeida presso l’Ambasciata del Cile. Alfredo Silva Santiago (1894-1975), vescovo di Temuco e poi primo arcivescovo di Concepción, rettore della Pontificia Università Cattolica di Santiago (Cile), carica dalla quale dovette dimettersi dopo l’invasione della sede centrale da parte di una minoranza di studenti nell’agosto 1967, evento che preannunciò il maggio francese del 1968.
[10] Udienza del 26 ottobre 1962 con Plinio Corrêa de Oliveira. Romolo Carboni (1911-1999), arcivescovo titolare di Sidonia, delegato apostolico in Australia, Nuova Zelanda e Oceania, nunzio apostolico in Perù (durante il Concilio) e, dal 1967, nunzio apostolico in Italia.
[11] Udienza del 1° novembre 1962 con Plinio Corrêa de Oliveira. Andrei Katkoff M.C.I. (1916-1995), nato a Irkutsk e battezzato nella Chiesa ortodossa russa, la sua famiglia emigrò in Cina, dove studiò presso i marianisti, si convertì al cattolicesimo e fece la professione religiosa. Visse al Russicum di Roma e svolse il suo ministero tra i rifugiati russi in Inghilterra e in Australia. Consacrato vescovo nel 1958, nel 1960 fu nominato visitatore apostolico dei cattolici russi della diaspora.
[12] Udienza del 16 ottobre 1962 con Mons. Antonio de Castro Mayer e Plinio Corrêa de Oliveira. Roberto Ronca (1901-1977), fondatore del movimento laico cattolico anticomunista Civiltà Italica, arcivescovo titolare di Lepanto e prelato nullius del santuario di Pompei, poi canonico della Basilica di San Pietro. Fondatore degli Oblati e delle Oblate della Madonna del Rosario. Cappellano del carcere di Regina Coeli e Ispettore dei cappellani presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Vicino al cardinale Alfredo Ottaviani, durante il Concilio partecipò attivamente al Piccolo Comitato e al Coetus Internationalis Patrum.
[13] Udienza del 6 dicembre 1962 con Plinio Corrêa de Oliveira. Józef Feliks Gawlina (1892-1964), vescovo militare dell’Ordinariato militare di Polonia. Membro del Primo Consiglio Nazionale della Repubblica di Polonia in esilio. Durante la Seconda Guerra Mondiale, accompagnò le truppe polacche degli eserciti alleati in Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Kazakistan e fuggì dall’Unione Sovietica sull’ultimo trasporto per l’Iran. Nel 1942, Pio XII lo nominò vescovo ordinario per i rifugiati polacchi in Oriente. Partecipò come cappellano alla campagna d’Italia e fu decorato per le sue virtù militari. Dopo lo scioglimento dell’esercito polacco in Occidente, fu nominato custode spirituale dei polacchi in esilio e parroco della Chiesa di San Stanislao a Roma. Nel 1962 fu elevato ad arcivescovo titolare di Madito e Giovanni XXIII lo nominò membro della commissione preparatoria del Concilio Vaticano II.
[14] Udienza del 13 novembre con João Sampaio Neto e Murilho M. Galliez. François-Nestor Adam c.r.b. (1903-1990), nato in Valle d’Aosta, è stato prevosto dei canonici del Gran San Bernardo e, dal 1952, vescovo di Sion. Fu chiamato a collaborare alla commissione preparatoria del Concilio Vaticano II, ma fu deluso dai suoi sviluppi e lasciò una sessione. Amico personale dell’arcivescovo Marcel Lefebvre, lo autorizzò ad aprire un propedeutico nella sua diocesi e, in seguito, solo a voce, ad aprire il suo seminario a Ecône (cosa che poi smentì, dicendo di essere stato ingannato).
[15] Incontro del 29 ottobre con Plinio Corrêa de Oliveira. Raymond Dulac (1903-1987), sacerdote della diocesi di Versailles, formatosi nel Seminario francese di Roma, laureato in Diritto canonico e dottore in Teologia presso i seminari pontifici, successivamente collaboratore della Revue internationale des société secrètes, de La Pensée catholique e del Courrier de Rome. Si recò a Roma durante la prima sessione del Concilio con l’intenzione di “coordinare i vescovi integristi, ingenui e poco preparati” (Murilho M. Galliez). Pioniere nella critica al capitolo della Lumen Gentium sulla collegialità episcopale (critica che ha raccolto nel 1979 in La Collegialité épiscopale au deuxième concile du Vatican), è stato uno dei primi intellettuali a denunciare il Novus Ordo della Messa promulgato da Paolo VI.
[16] Articolo del suo direttore, padre Giuseppe Perini, nel numero di aprile-settembre 1964.
[17] N. 8 del 01-03-64.
[18] N. 1-2 del 1964.
[19] https://www.lastampa.it/vatican-insider/es/2018/02/02/news/chinos-quienes-mejor-realizan-la-doctrina-social-de-la-iglesia-1.33975278
[20] https://www.ucanews.com/news/sinicization-of-china-church-the-plan-in-full/82931
[21] Roger Garaudy, Parole d’Homme, Robert Laffont, Paris 1975, p. 118.
Attribuzione immagine: Michael Mooney, Our Lady of Lourdes Catholic church on Shamian Island in Guangzhou. The church sits on the French part of Shamian Island, Flickr, CC BY 2.0.
Fonte: OSSERVATORIO INTERNAZIONALE CARD. VAN THUÀN, Proprietà privata e libertà: contro lo sharing globalista, 14° Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, Cantagalli, Siena 2022.
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…ecco perché Francesco è ciò che ci meritiamo… Non nel mio nome: il mio destino è nella vera Chiesa di Cristo con il vero Papa, Benedetto. Quel “ci” meritiamo che mi accomuna a Francesco non mi sta bene, lo rifiuto drasticamente. Questo è Francesco: ti fa venire i sensi di colpa anche quando non ce n’è motivo: non ho partecipato alla sua falsa elezione, non lo seguo, ho subito il Vaticano II e me sono distaccato appena ho capito. No, io mi merito un sacco di cose ma non Francesco. E poi, non siamo noi al centro della sofferenza ma Cristo stesso; è Lui che Francesco sta crocifiggendo non noi. Prima Lui e poi noi che Lo seguiamo alla meno peggio
Due articoli imperdibili, uno migliore dell’altro : il complotto pandemico-vaccinista eil dispiegamento delle eresie del Concilio Vaticano secondo con il magistero bergogliano, dopo 60 anni di manipolazione e falsificazione della fede cattolica bimillenaria :
http://lascuredielia.blogspot.com/2022/11/sorella-morte-subitanea-etimprovisa.html?m=1
https://www.aldomariavalli.it/2022/11/25/analisi-ecco-perche-francesco-e-cio-che-ci-meritiamo-per-aver-tollerato-gli-errori-del-vaticano-ii/