Cammino Sinodale Tedesco. Le Cinque Preoccupazioni di Roma. Ladaria Ferrer.
25 Novembre 2022
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mi sembra opportuno portare alla vostra attenzione il discorso che il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Ladaria Ferrer, ha pronunciato in occasione dell’incontro con i presuli della Conferenza Episcopale tedesca in relazione al “Cammino Sinodale” che sta portando quella Chiesa a uno scisma effettivo con il mondo cattolico. Buona lettura.
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Parte di un corpo più grande
Il cardinale prefetto del Dicastero per la dottrina della fede
C’è un passaggio della Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania che costituisce l’orizzonte di fondo di questo mio breve intervento. Scrive Papa Francesco al paragrafo 9 della lettera appena citata: «La Chiesa universale vive in e delle Chiese particolari [Lumen Gentium, 23], così come le Chiese particolari vivono e fioriscono in e dalla Chiesa universale, e se si ritrovano separate dall’intero corpo ecclesiale, si debilitano, marciscono e muoiono. Da qui il bisogno di mantenere sempre viva ed effettiva la comunione con tutto il corpo della Chiesa, che ci aiuta a superare l’ansia che ci rinchiude in noi stessi e nelle nostre particolarità, al fine di poter guardare negli occhi, ascoltare o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto sul ciglio della strada. A volte questo atteggiamento si può manifestare in un minimo gesto, come quello del padre verso il figliol prodigo, che lascia le porte aperte affinché, quando tornerà, possa entrare senza difficoltà [cfr. Evangelii gaudium, 46]. Ciò non è sinonimo di non camminare, avanzare, cambiare e persino non dibattere o dissentire, ma è semplicemente la conseguenza del saperci costitutivamente parte di un corpo più grande che ci vuole e ci aspetta, e che ha bisogno di noi, e che anche noi vogliamo e aspettiamo, e di cui abbiamo bisogno. È il gusto di sentirci parte del santo e paziente Popolo fedele di Dio».
Le parole che seguono vorrebbero ora proprio far risvegliare in ciascuno di noi questa consapevolezza di essere costitutivamente parte di un corpo più grande e che proprio una tale comunione con tutti gli altri membri della Chiesa può permettere — più di mille altri gesti o proclami eclatanti — quell’ospitalità oggi così necessaria nei confronti di chi è rimasto sul ciglio della strada.
Ed in verità sono tanti e tante coloro che oggi non si sentono più “a casa” nella casa del Signore e ne restano fuori. Sono poi ancora tanti e tante coloro che si sentono profondamente traditi dagli uomini e dalle donne della Chiesa cattolica e non ci frequentano più. Soprattutto sono, infine, tanti e tante coloro che non avvertono più alcuna fiducia in noi Vescovi. E questo accade non senza ragione. Il pensiero corre qui immediatamente alla dolorosa pagina degli abusi sessuali e più in generale di potere compiuti dal clero e a tutte le volte che in tali casi la nostra risposta come Chiesa non è stata all’altezza della situazione. Al riguardo non ci stancheremo mai di chiedere perdono alle vittime di questi abusi, offrendo loro il nostro possibile aiuto; allo stesso tempo, non ci stancheremo mai di rinnovare ogni giorno la nostra determinazione perché abusi contro i minori e abusi di potere da parte di uomini e donne della Chiesa non abbiano mai più ad accadere. Sotto questo punto di vista, posso assicurarvi che il Dicastero per la dottrina della fede è impegnato con ogni forza e con il massimo scrupolo ad assicurare che vengano inflitte le pene previste dal codice nei confronti di quei chierici che si sono macchiati di tali abominevoli crimini.
Da questo punto di vista, appare oltre misura encomiabile lo sforzo che la Chiesa che è in Germania sta compiendo al suo interno per stabilire protocolli di sicurezza per evitare ogni abuso contro i minori e ogni altra forma di violenza contro persone adulte da parte dei chierici ed in ogni caso all’interno delle istituzioni ecclesiali. Questo impegno ha trovato una sua particolare concretizzazione nel Cammino sinodale avviato nel 2019 dalla Chiesa che è in Germania e che proprio in questi mesi sta giungendo ad una fase di particolare importanza.
Ora, proprio nello spirito di quel «saperci [tutti] costitutivamente parte di un corpo più grande che ci vuole e ci aspetta, e che ha bisogno di noi, e che anche noi vogliamo e aspettiamo, e di cui abbiamo bisogno», evocato dalle parole sopra citate della Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania, è mio compito, in qualità di prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, presentarvi, venerabili confratelli, cinque specifiche preoccupazioni che sorgono da un’attenta lettura dei testi sinora discussi all’interno del vostro Cammino sinodale.
La prima preoccupazione riguarda il genere letterario dei testi. Non essendo il vostro un Sinodo, ma un cammino sinodale, non sembra per ora previsto alcun documento finale. Ma non è forse il caso di pensare a qualcosa come ad un documento finale del Cammino sinodale o a qualcosa di simile? Un tale interrogativo si impone nel momento in cui si nota che in tanti passaggi dei testi del Cammino sinodale ci sono affermazioni generiche circa le posizioni presenti nel santo popolo di Dio, riferimenti allusivi a evidenze scientifiche e sociologiche, utilizzo di risultati esegetici ancora discussi e discutibili, dichiarazioni senza esitazione di fine della metafisica e di eclissi di ogni verità, generici protocolli di possibile riconoscimento pubblico della dottrina ecclesiale, ed infine richiami a teologi e a teologhe senza nome e senza possibilità di identificazione. Si tratta di cose forse molto chiare per gli estensori dei testi e per lettori qualificati, ma se siamo parte di un corpo più grande e questi testi (con la loro già disponibile traduzione in altre lingue) iniziano ad avere una diffusione globale, non sembra fuori luogo la proposta di un documento finale o qualcosa di analogo in cui possa emergere un procedere più lineare e meno dipendente da affermazioni non pienamente acclarate.
La seconda preoccupazione riguarda il collegamento tra la struttura della Chiesa ed il fenomeno degli abusi di chierici contro i minori e gli altri fenomeni di abuso. Il discorso portato avanti dai testi, a causa pure della loro lunghezza e delle necessarie ripetizioni in più occasioni, non sembra tenere in giusto conto la natura specifica del corpo ecclesiale. Va da sé che tutto ciò che si può fare per evitare altri abusi di chierici contro i minori, deve essere fatto, ma questo non deve implicare una riduzione del mistero della Chiesa a semplice istituzione di potere o ad una preventiva considerazione della Chiesa quale organizzazione strutturalmente produttrice di abusi, che deve essere messa al più presto sotto controllo di super controllori. Da questo punto di vista, il rischio maggiore di molti suggerimenti operativi dei testi del Cammino sinodale è quello di fare perdere una delle conquiste maggiori del concilio Vaticano ii e cioè la chiara dottrina della missione dei vescovi e dunque della Chiesa particolare.
La terza preoccupazione riguarda la visione della sessualità umana secondo la dottrina della Chiesa ed in particolare per come essa trova espressione nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992. L’impressione generalizzata che al riguardo potrebbe emergere dalla lettura dei testi del Cammino sinodale è che su questo terreno nella dottrina della Chiesa non ci sia quasi nulla da salvare. Sarebbe tutto da cambiare. Come non pensare all’impatto che tutto questo ha su tanti fedeli che ascoltano la voce della Chiesa e si sforzano di seguirne le indicazioni di vita? Debbono forse pensare di aver sbagliato ogni cosa sino a questo momento?
Non si dovrebbe troppo facilmente pensare che la sessualità umana sia qualcosa di limpidamente davanti a noi e privo di quell’ambivalenza che ogni gesto umano comporta ed ancora di più ogni gesto umano legato all’esercizio della sessualità. Sarebbe stata auspicabile, da parte degli estensori dei testi e dell’Assemblea del Cammino sinodale, una maggiore cautela e un qualche anticipo di fiducia sulla visione che della sessualità ha realizzato il magistero negli ultimi decenni. La salvaguardia del carattere costitutivamente generativo e generazionale dell’essere umano resta uno dei grandi compiti profetici della comunità dei credenti in questo tempo di progressiva commercializzazione dell’esistenza umana.
La quarta preoccupazione riguarda il ruolo della donna nella Chiesa ed in particolare la questione dell’accesso della donna all’ordinazione sacerdotale. Anche in questo caso, i testi del Cammino sinodale appaiono al di sotto di un’ermeneutica partecipata delle posizioni magisteriali, riducendo il tutto alla seguente osservazione: nella Chiesa cattolica non si rispetta la dignità fondamentale delle donne, perché esse non possono accedere all’ordinazione sacerdotale. La posizione del magistero è in verità più specifica. Il punto decisivo al riguardo non è che nella Chiesa cattolica le donne non possono accedere all’ordinazione sacerdotale; il punto è che si deve accogliere la verità per la quale «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale» (san Giovanni Paolo ii, Ordinatio sacerdotalis).
Qui trova il suo senso pieno quel sentirsi parte di un corpo più grande, di un corpo che non è disarticolato, ma di un corpo che, per volontà esplicita del Signore Gesù, ha la sua guida in Pietro e nei suoi successori. Vorrei subito aggiungere che le ultime delibere del Cammino sinodale di voler rivolgere al Santo Padre Francesco la richiesta di riaprire tale questione smorzano certamente i toni tanto polemici del testo specifico circa l’accesso delle donne all’ordinazione sacerdotale e di questo non si può che essere riconoscenti. Certo, resta ancora una volta la questione della destinazione ultima di questi testi del Cammino sinodale. Il suggerimento fraterno rimane quello di approdare ad una sintesi più pacata e decisamente più in sintonia di quel “sentirci costitutivamente parte di un corpo più grande” che guida questo mio intervento.
La quinta ed ultima preoccupazione riguarda l’esercizio del magistero ecclesiale ed in particolare l’esercizio del magistero episcopale. Nei testi del Cammino sinodale resta quasi dimenticato il dettato della costituzione conciliare Dei Verbum ed in particolare la questione della tradizione della fede proprio grazie alla successione apostolica: «Gli apostoli poi, affinché l’Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi “affidando il loro proprio posto di maestri”» (dv, 7).
Prima della scrittura del corpus neotestamentario, vi è infatti la comunità di discepoli e di discepole del Signore Gesù chiamata a portare a tutti gli uomini e le donne della terra il messaggio della buona novella del Dio per tutti amore. Questa comunità, però, è una comunità ordinata, fondata su un capo che è Pietro e posta sotto la guida dei Dodici, ai quali spetta proprio il compito di autenticare la testimonianza degli altri discepoli e delle altre discepole del Signore. Nel corso dei secoli, questo ordine nella diaconia di tutti al regno dei Cieli è reso possibile proprio grazie alla presenza e missione dei vescovi ed in speciale modo alla presenza e alla missione del vescovo di Roma. Ai quali spetta, proprio per ciò, uno speciale compito nell’accompagnare tutti a vivere la carità nella verità e la verità nella carità. E se è vero che il magistero sta sotto il giudizio della Parola è anche vero che la Parola diviene viva e risuona come vivente proprio grazie all’esercizio del magistero dei vescovi e del vescovo di Roma in particolare. Quanto è confortante per ogni vescovo sapersi sempre cum Petro e sub Petro!
Non è pertanto possibile assimilare a questo compito così delicato e decisivo nella vita della Chiesa cattolica altri ministeri in essa presenti come quello dei teologi e di esperti in altre scienze.
Venerati confratelli, sono queste le preoccupazioni che nello spirito di quel sentirci tutti costitutivamente parte di un corpo più grande ho desiderato porgere alla vostra attenzione. La Chiesa universale ha bisogno della Chiesa che è in Germania, così come la Chiesa che è in Germania ha bisogno della Chiesa universale. Ma dobbiamo voler “avere bisogno” gli uni degli altri, dobbiamo voler attenderci gli uni gli altri, dobbiamo voler questa comunione di vita e di cammino. Ed in verità è proprio questo ciò che richiede il vostro sincero e profondissimo desiderio di essere sempre di più una Chiesa in cui tutti possono sentirsi a casa, in cui tutti possono sentirsi parte di una famiglia, una Chiesa in cui Dio rivela a tutti il suo volto di Padre, Figlio e Spirito Santo, soprattutto ora dopo le pagine drammatiche che abbiamo vissuto a causa dell’evidenza dei terribili abusi da parte di chierici contro i minori e di una loro gestione, da parte di alcuni vescovi, non sempre all’altezza della gravità della situazione.
Il Signore benedica il nostro voler aver bisogno gli uni degli altri.
di Luis Francisco Ladaria Ferrer
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Tag: cammino sinodale, Germania, ladaria
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