Viganò, 60 Anni di Concilio e Chiesa Auto-Referenziale

27 Ottobre 2022 Pubblicato da

 

 

 

 

Marco Tosatti 

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo messaggio dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Buona lettura.

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REPETITA JUVANT

Come con la propria autoreferenzialità la “chiesa conciliare”

si ponga di fatto fuori dal solco della Tradizione della Chiesa di Cristo

 

 

 

C

on la prosopopea che contraddistingue la propaganda ideologica, il recente panegirico bergogliano (qui) in occasione del sessantesimo anniversario dell’Apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II non ha mancato di confermare, al di là della vuota retorica, la totale autoreferenzialità della “chiesa conciliare”, ossia di quella organizzazione eversiva nata in modo quasi impercettibile dal Concilio e che in questi sessant’anni ha quasi totalmente eclissato la Chiesa di Cristo occupandone i vertici e usurpandone l’autorità.

La “chiesa conciliare” si considera erede del Vaticano II prescindendo dagli altri venti Concili Ecumenici che l’hanno preceduto nel corso dei secoli: questo è il fattore principale della sua autoreferenzialità. Essa vi prescinde nella Fede, proponendo una dottrina contraria a quella insegnata da Nostro Signore, predicata dagli Apostoli e trasmessa dalla Santa Chiesa; essa vi prescinde nella Morale, derogando ai principi in nome della morale situazionale; essa vi prescinde infine nella Liturgia, che in quanto espressione orante della lex credendi si è voluto adattare al nuovo magistero, e allo stesso tempo si è prestata essa stessa come potentissimo strumento di indottrinamento dei fedeli. La Fede del popolo è stata corrotta scientificamente tramite l’adulterazione della Santa Messa operata con il Novus Ordo, grazie al quale gli errori contenuti in nuce nei testi del Vaticano II hanno preso corpo nell’azione sacra e si sono diffusi come un contagio.

Ma se da un lato la “chiesa conciliare” ci tiene a ribadire di non voler aver nulla a che fare con la “vecchia Chiesa”, e tantomeno con la “vecchia Messa”, dichiarando l’una e l’altra lontane e improponibili proprio perché incompatibili con il fantomatico “spirito del Concilio”; dall’altro essa confessa impunemente il venir meno di quel vincolo di continuità con la Traditio che è il necessario presupposto – voluto da Cristo stesso – per l’esercizio dell’autorità e del potere da parte della Gerarchia, i cui membri, dal Romano Pontefice al più ignoto Vescovo in partibus, sono Successori degli Apostoli e come tali devono pensare, parlare, agire.

Questo taglio radicale con il passato – evocato a tinte fosche dal primitivo eloquio di chi conia neologismi come «indietrismo» e scaglia anatemi contro «i merletti della nonna» – non si limita ovviamente alle forme esterne – con tutto che esse siano appunto forma di una ben precisa sostanza, non a caso manomessa – ma si estende ai fondamenti stessi della Fede e della Legge naturale, giungendo ad un vero e proprio sovvertimento dell’istituzione ecclesiastica, tale da contraddire la volontà del divino Fondatore.

Alla domanda «Mi ami tu?», la chiesa bergogliana – ma prima ancora quella conciliare, con meno spudoratezza, ma sempre giocando su mille distinguo – «si interroga su se stessa», perché «lo stile di Gesù non è tanto quello di dare risposte, ma di fare domande». Verrebbe da chiedersi, a prendere seriamente queste parole inquietanti, in cosa consistano la divina Rivelazione e il ministero terreno di Nostro Signore, il messaggio del Vangelo, la predicazione degli Apostoli e il Magistero della Chiesa, se non nel rispondere alle domande dell’uomo peccatore, che è egli stesso a fare domande, ad avere sete della Parola di Dio, bisogno di conoscere le Verità eterne e di sapere come conformarsi alla Volontà del Signore per conseguire la beatitudine in Cielo.

Il Signore non fa domande, ma insegna, ammonisce, ordina, comanda. Perché Egli è Dio, Re, sommo ed eterno Pontefice. Egli non ci chiede chi sia la Via, la Verità, la Vita, ma indica Sé stesso come Via, Verità e Vita, come Porta dell’ovile, come Pietra angolare. E a Sua volta sottolinea la propria obbedienza al Padre nell’economia della Redenzione, mostrandoci la Sua santa sottomissione come esempio da imitare.

La visione di Bergoglio capovolge i rapporti, li sovverte: il Signore pone a Pietro una domanda con la quale egli, rispondendo, sa bene cosa significhi nella pratica amare Nostro Signore. E la risposta non è facoltativa, né può essere negativa o sfuggente, come invece fa la “chiesa conciliare”, che per non spiacere al mondo e non apparire fuori moda, dà maggiore importanza alle seduzioni delle ideologie caduche e ingannatorie, rifiutandosi di trasmettere nella sua integrità ciò che il Suo Capo le ha ordinato di insegnare fedelmente. «Mi ami tu?», chiede il Signore ai Cardinali inclusivi, ai Vescovi sinodali, ai Prelati ecumenici; ed essi rispondono come gli invitati alle nozze: «Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato» (Lc 14, 18). Ci sono impegni ben più pressanti, ben più remunerativi, dai quali ottenere prestigio e approvazione sociale. Non c’è tempo per seguire Cristo né tantomeno per pascere le Sue pecorelle, peggio ancora se ostinate nell’«indietrismo», qualsiasi cosa voglia significare.

Per questo non ci sono più altri Concili, se non il loro Vaticano II; il quale, per il fatto di essere l’unico a cui si appellano, si mostra contemporaneamente estraneo, se non del tutto opposto nelle forme e nei contenuti, a ciò che sono tutti i Concili Ecumenici: unica voce dell’unico Maestro, dell’unico Pastore. Se la voce del loro concilio non è compatibile con quella del Magistero che l’ha preceduto; se il culto pubblico non può esprimersi nella forma tradizionale perché lo considerano in contraddizione con la “nuova ecclesiologia” della “nuova chiesa”, la spaccatura tra prima e dopo c’è ed è innegabile; ed anzi ne vanno fieri, presentandosi come innovatori di qualcosa che non est innovandum. E perché non si veda che vi è un’alternativa credibile e sicura, ecco che tutto ciò che rappresenta e ricorda il passato dev’essere denigrato, ridicolizzato, banalizzato e infine rimosso, applicando per primi quella cancel culture oggi fatta propria dall’ideologia woke. Da ciò si comprende l’avversione alla Liturgia antica, alla sana dottrina, all’eroismo della santità testimoniata con le opere e non enunciata in fatui proclami senz’anima.

Bergoglio parla di una «chiesa che ascolta»; ma proprio perché «per la prima volta nella storia, ha dedicato un Concilio a interrogarsi su sé stessa, a riflettere sulla propria natura e sulla propria missione» egli dimostra di voler fare da sé, di poter rinunciare all’eredità della Tradizione e a rinnegare la propria identità, «per la prima volta nella storia», appunto. Questa autoreferenzialità parte dal presupposto di un “meglio” da attuarsi rispetto a un “peggio” da correggere, e questo non riguarda le debolezze e le infedeltà dei suoi singoli membri, ma «la propria natura e la propria missione», che Nostro Signore ha stabilito una volta per tutte e che non sta ai Suoi Ministri mettere in discussione. Eppure Bergoglio afferma: «Torniamo al Concilio per uscire da noi stessi e superare la tentazione dell’autoreferenzialità, che è un modo di essere mondano», mentre proprio il «tornare al Concilio» è la prova più sfrontata della sua autoreferenzialità e della rottura col passato.

Così i secoli di maggior espansione della Chiesa – durante i quali si è scontrata con gli eretici e ha reso più esplicita la dottrina che riguardava le verità che essi impugnavano – sono considerati una imbarazzante parentesi di “clericalismo” da dimenticare, perché quegli stessi errori li ritroviamo tutti nelle deviazioni del Concilio. Il passato remoto – quello della presunta antichità cristiana, dei “secoli primitivi”, delle “agapi fraterne” – nella narrazione conciliare è sostanzialmente un falso storico, che nasconde deliberatamente la virile testimonianza dei primi Cristiani e dei loro Pastori, perseguitati e martirizzati a causa della loro Fede, del loro rifiuto di bruciare incenso alla statua di Cesare, della loro condotta morale in contrasto con i costumi corrotti dei pagani. Quella coerenza, anche di donne e di fanciulli, dovrebbe far vergognare coloro che profanano la Casa di Dio rendendo culto alla pachamama per assecondare i deliri amazzonici del green deal, dando scandalo ai semplici e offendendo la Maestà divina con atti idolatri. Non è questa autoreferenzialità, giunta a violare il Primo Comandamento pur di inseguire i propri farneticamenti ecumenici?

Non lasciamoci ingannare da queste parole seducenti, che non sono buttate lì a caso: la Chiesa di Cristo non è mai stata “autoreferenziale”, ma cristocentrica, perché essa è il Corpo Mistico di cui Cristo è Capo, e senza Capo non può sussistere. È viceversa inesorabilmente autoreferenziale quella sua versione desolatamente mondana e priva di orizzonti soprannaturali che si definisce “chiesa conciliare” e che esercita il proprio potere sull’inganno di presentarsi come fautrice di un ritorno alla purezza delle origini dopo secoli in cui essa si sarebbe chiusa «nei recinti delle comodità e convinzioni», e contemporaneamente pretendere di poterne adulterare l’insegnamento che Cristo ha comandato di trasmettere fedelmente.

Quali «comodità» avrebbero contraddistinto la storia bimillenaria della Sposa dell’Agnello, guardando alla ininterrotta persecuzione che essa ha subito, al sangue versato dai Martiri, alle battaglie mosse dagli eretici e dagli scismatici, all’impegno dei suoi Ministri nella diffusione del Vangelo e della Morale cristiana? E quali sarebbero le difficoltà di una chiesa che si interroga senza convinzioni, che si genuflette zelante alle istanze del mondo, che si accoda all’ideologia green e al transumanesimo, che benedice le unioni omosessuali, che si dice pronta ad accogliere i peccatori senza la pretesa di convertirli, che si accorda con i potenti della terra addirittura nella propaganda vaccinale sperando di sopravvivere a se stessa?

Vi è un qualcosa di terribilmente egocentrico, tipico dell’orgoglio luciferino, nel pretendersi migliori di chi ci ha preceduto, rimproverandogli a torto un autoritarismo cui si ricorre per primi e con scopi opposti alla salvezza delle anime.

Segno ulteriore di autoreferenzialità è il voler imporre alla Chiesa una struttura democratica che sovverte l’impianto essenzialmente monarchico (anzi, direi imperiale) voluto da Cristo. Vi è infatti una Chiesa docente costituita dai Pastori sotto la guida del Romano Pontefice, e una Chiesa discente costituita dal popolo di Dio, i fedeli. La cancellazione dell’impostazione gerarchica – che Bergoglio definisce «il peccato brutto del clericalismo che uccide le pecore, non le guida, non le fa crescere» – mira ad un altro e ben più grave inganno, anzi ad una vera e propria eversione nel corpo ecclesiale: fingere di poter condividere la potestà di chi ha la responsabilità di trasmettere il Magistero autentico con coloro che, non ordinati e pertanto non assistiti dalla grazia di stato, hanno invece il diritto di esser condotti in pascoli sicuri. La parola magister porta in sé la superiorità ontologica – magis – di chi insegna su chi apprende ciò che ancora ignora. E il pastore non può certo decidere con le pecore dove condurle, perché come gregge esse non sanno dove andare e sono esposte agli assalti dei lupi. Far credere che l’interrogarsi «sulla propria natura e sulla propria missione» possa rappresentare un ritorno alle origini è una colossale menzogna: «voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando» (Gv 15, 14), ha detto Cristo. E così devono comandare i Suoi Ministri, che in quanto tali, finché rimangono a Lui sottomessi, esercitano l’autorità vicaria del Capo del Corpo Mistico. Ministri (da minus, che indica l’inferiorità gerarchica) nel senso etimologico di servitori, soggetti all’autorità del loro padrone; sicché la Gerarchia cattolica è Magistra nell’insegnare solo ciò che come Ministra ha ricevuto da Cristo e gelosamente custodisce.

Abbiamo conferma di questa visione democratica e antigerarchica della “chiesa conciliare” anzitutto nella sua liturgia, in cui il ruolo ministeriale del celebrante è quasi negato, a vantaggio del “popolo sacerdotale” teorizzato da Lumen Gentium e messo nero su bianco nell’eretica formulazione dell’art. 7 della Institutio Generalis del Messale montiniano del 1969: «La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII, 20)». Cos’è questa, se non autoreferenzialità nel giungere a modificare la definizione stessa della Messa sulla falsariga di quello “spirito del Concilio” e in contraddizione con i Canoni dogmatici del Tridentino e dell’intero Magistero precedente al Vaticano II?

La Chiesa non è e non può essere democratica, né “sinodale”, come piace chiamarla eufemisticamente oggi: il popolo santo di Dio non «esiste per pascere gli altri, tutti gli altri», ma perché vi sia una Gerarchia che gli assicuri i mezzi soprannaturali per giungere alla meta eterna, e perché «tutti gli altri» – molti, ma non tutti – siano condotti nell’unico ovile sotto la guida dell’unico Pastore dalla Provvidenza di Dio. «E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre» (Gv 10, 16).

La forte denuncia del Card. Mueller sulla minaccia che rappresenta l’impostazione ereticale della sinodalità – i cui infausti frutti si vedono già – è in tal senso quantomai motivata e testimonia il grave malessere di tanti Pastori combattuti tra la fedeltà all’ortodossia cattolica e l’evidenza del tradimento in atto da parte dei suoi indegnissimi, odierni custodi. Costoro potevano forse non essere contro la “chiesa conciliare” e contro il “concilio” – tra virgolette – finché non era evidente la sua portata devastante sulla vita dei singoli fedeli, dell’intero corpo ecclesiale e del mondo; ma oggi, dinanzi all’evidenza del fallimento più completo e disastroso del Vaticano II e della scelta sciagurata di abbandonare la Sacra Tradizione, anche i più prudenti e moderati sono costretti a riconoscere lo strettissimo rapporto di correlazione tra scopo prefisso, mezzi adottati e risultato ottenuto. Anzi, proprio nella considerazione dello scopo che si voleva raggiungere, dovremmo chiederci se quanto ci veniva entusiasticamente annunciato come “primavera conciliare” non fosse un pretesto, dietro cui in realtà si celava il piano inconfessabile contro la Chiesa di Cristo. I fedeli non solo non partecipano con maggior consapevolezza ai Santi Misteri come si era loro promesso, ma sono arrivati a considerarli superflui, portando la frequenza alla Messa a livelli infimi. Né si può dire che i giovani trovino alcunché di entusiasmante o eroico nell’abbracciare il Sacerdozio o la Vita religiosa, dal momento che l’uno e l’altra sono stati banalizzati, privati della loro specificità, del senso di offerta e di sacrificio sull’esempio di Nostro Signore, che ogni azione davvero cattolica deve portare con sé. La vita civile si è imbarbarita oltre ogni dire, e con essa la morale pubblica, la santità del matrimonio, il rispetto stesso della vita e dell’ordine della Creazione. E questi propagandisti del Vaticano II rispondono con le sfide della bioingegneria, del transumanesimo, vagheggiando esseri prodotti in serie e connessi alla rete globale come se mettere mano alla natura umana non fosse un’aberrazione satanica indegna di essere anche solo ipotizzata. Li sentiamo pontificare che «l’esclusione dei migranti è schifosa, è peccaminosa, è criminale» (qui), mentre le ong, le Caritas e le associazioni assistenziali lucrano sul traffico dei clandestini a spese dello Stato e rifiutano accoglienza agli stessi Italiani, abbandonati dalle istituzioni e vessati dalle crisi indotte dal Sistema. Esortano al disarmo le Nazioni “sovraniste” e portano a vergognarsi della propria identità i cittadini, ma teorizzano la liceità dell’invio di armi in Ucraina a un fantoccio del Nuovo Ordine Mondiale, finanziato dagli enti globalisti e dalle principali organizzazioni dell’élite.

Un altro gravissimo errore teologico che adultera la vera natura della Chiesa risiede nelle basi essenzialmente laiciste dell’ecclesiologia conciliare, non solo per quanto concerne la visione dell’istituzione e il suo ruolo nel mondo, ma anche per aver spezzato il vincolo di gerarchica complementarietà tra l’autorità spirituale della Chiesa e l’autorità civile dello Stato, che entrambe hanno la propria origine nella Signoria di Cristo. Questo tema, apparentemente complesso nella sua trattazione quasi iniziatica da parte dei cultori del Vaticano II, è stato oggetto di un recente intervento di Joseph Ratzinger (qui) e mi ripropongo di affrontarlo separatamente.

«Tu che ci ami – dice Bergoglio nell’omelia della “memoria di San Giovanni XXIII” – liberaci dalla presunzione dell’autosufficienza e dallo spirito della critica mondana. Liberaci dell’autoesclusione dall’unità. Tu, che ci pasci con tenerezza, portaci fuori dai recinti dell’autoreferenzialità. Tu, che ci vuoi gregge unito, liberaci dall’artificio diabolico delle polarizzazioni, degli “ismi”». Parole di un’impudenza inaudita, quasi beffarde. Ebbene, è giunto il momento in cui i chierici e i fedeli della “chiesa conciliare” si interroghino se essa non sia la prima a presumere di poter essere autosufficiente, ad alimentare la critica mondana deridendo i buoni Cattolici come rigidi e intolleranti, ad escludersi deliberatamente dall’unità nella Tradizione, a peccare orgogliosamente di autoreferenzialità.

 

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

26 Ottobre 2022

S. Evaristi Papæ et Martyris

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3 commenti

  • Lucia Buttaro ha detto:

    Si! Questo volere democratizzare la Chiesa Cattolica è stato proprio diabolico! Insisto nel fare osservare che la pretesa di Benedetto XVI di “fondare” un papato collegiale con la sua persona “orante” e l’altra che “governa” trae la sua origine proprio in questo diabolico inganno! Mons. Viganò, brillante e lucido come sempre fa una ricostruzione “divina” ma poi tira la conclusione “pagana”. Monsignore , ma secondo lei la Madonna a Fatima che ci è andata a fare? E perché non comprende che questo stato della Chiesa a causa dei gravi peccati del clero avrebbe potuto essere attenuato se io e lei avessimo esaudito le richieste della Madonna? Pregate per il Santo Padre perché dovrà molto soffrire! Ma quando Gesù liberò il sordomuto lo fece perché “soffriva” e Lui ne ebbe compassione. E lei ha compassione di chi è stato reso sordomuto a causa, anche dei suoi peccati, nel clero? E tu lo ami Pietro?

  • Catholicus ha detto:

    Caso emblematico di gerarchia apostate ed eretica, coptata e promossa dalla Prima Sede, anch’essa in evidente stato di apostasia, eresia e tradimernto, (simili cum simili…),
    http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2022/10/lassurdita-di-piegare-letica-per-non.html
    …. gerarchia che poi impone le proprie folli ideologie al basso clero, che si adegua, opportunista, arrivista o semplicemente pavido, alla don Abbondio (magari con dispiacere, ma “bisogna pur mangiare”)… un caso altrettanto emblematico di basso clero felice di seguire la gerarchia nell’apostasia :
    http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV4601_Catholicus_Inclusione_e_valorizzazione.html

  • OCCHI APERTI! ha detto:

    Pensavo a una parabola…

    Nel Vangelo di Matteo leggiamo che Gesù disse ai discepoli:

    “Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si avvicinò al primo e gli disse: “Figliolo, va a lavorare nella vigna oggi”. Ed egli rispose: “Vado, signore”; ma non vi andò.
    Il padre si avvicinò al secondo e gli disse la stessa cosa. Egli rispose: “Non ne ho voglia”; ma poi, pentitosi, vi andò.
    Quale dei due fece la volontà del padre?”. Essi gli dissero: “L’ultimo”.
    E Gesù a loro: “Io vi dico in verità: I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio”.

    Cristo e Traditio insegnano che uno, e uno solo, è timoniere della barca di Pietro.
    Nessuno può, dunque, pontificare senza contravvenire a questa precisa volontà del nostro Redentore, posta per la vera vita della Chiesa ela salvezza di tutti.
    A Dio piacendo, un Vaticano III sarà indetto da quel Sommo Pontefice voluto dalla Provvidenza per tale compito, ma prima è necessario sia manifesta la disobbedienza che di tra i pastori di ogni gerarchia – e i fedeli – va palesandosi ognor di più.
    E Provvidenza, allora, a me pare sia Francesco I, il quale – per divin volere, giacchè il caso non esiste – è causa involontaria di una manifestazione esteriore di dissenso covato evidentemente sotto troppi pontificati (più che sotto al suo), in fine giudicati estranei al mandato di Cristo!
    Lo trovo molto comprensibile ma, non per questo, meno grave. Tanto più se si coinvolge il Popolo di Dio, incapace, indatto e del resto non chiamato a gestire il peso della Chiesa, di cui deve far parte con l’aiuto dei Ministri. Ma forse sarebbe più opportuno dire “nonostante l’ostacolo di certi Ministri”.

    A dirla tutta e a pensarci bene, questo spiega l’ascesa del cardinal Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio: non abbiamo amato davvero nè ubbidito mai nè a San Giovanni Paolo II nè al Santo Padre Benedetto XVI!!! Inutile andare più indietro.

    Per obbedienza – come ci ricorda la parabola trascritta all’inizio – si intende una adesione totale, prima interiore che esteriore, alla volontà del Padre.
    Per obbedire è necessario amare. L’obbedienza richiede dimenticanza di sè, fiducia viva in Dio, abitudine alla pratica dell’umiltà e a “posporsi”. Sapendo bene che si ubbidisce ai superiori per ubbidire a Dio, con i limiti che questo ubbidire implica (ce lo ha appena ricordato Mons. Schneider!).
    Questo lo insegna Dio e lo insegnano i Santi, “Traditio” vivente al nostro fianco e aiuto fondamentale per discernere in tempi di “confusione”…

    Ma sentiamo che dice la Madonna delle Tre Fontane (apparizione approvata da S.S Pio XII ma conosciuta più che altro solo localmente), apparsa al ferocissimo protestante Cornacchiola, poi convertitosi.

    1° gennaio 1985:

    “La Chiesa è stata fondata per salvare nella FEDE OPERANTE E UBBIDIENTE: amatela e vivetela con amore! CHI E’ FUORI E ODIA NON SI SALVA; chi è dentro e ama riceve aiuti per la salvezza!
    Ricordatevi che la Chiesa fondata da mio Figlio – che è Dio, e non lo dimenticate – è il mezzo per la salvezza, e NON E’ ANTROPOLOGICA: NON CAMBIA, NON E’ SOGGETTA AL TEMPO CHE TRASFORMA E CONSUMA. La Chiesa è e resta la via della salvezza: o si accetta com’è, oppure non si accetta. NON SI PUO’ FARE, nella Chiesa, la chiesa” …

    Poi, da pagina 168 a pagina 175 circa del noto libro di Gaeta da cui traggo queste note, si tocca il tema del Vaticano II, evidenziandone la bontà allorquando vien detto che il carattere della purezza sacerdotale, della santità, della fedeltà, dell’unità e del dover essere clero santo vivente è chiaramente espresso nel Vaticano II.

    Certo il Cornacchiola, depositario di queste confidenze della Madre di Dio, nell’anno successivo alla chiusura del Concilio, viene “avvertito” della necessità di mantenere saldo il timone della Chiesa e la crisi del periodo post-conciliare viene ben esaminata dalla Madonna, la quale si fa anche portavoce di un messaggio durissimo di Gesù (1° gennaio 1988):

    “voi state calpestando le mie pecore e le portate verso la perdizione! … Perchè non fate conoscere più la mia dottrina?
    Perché le mie pecorelle le portate dove sono erbe secche e cespugli mortali?
    Perché le abbeverate con acque malsane?
    Io sono venuto a portare una dottrina: la dottrina della salvezza, e non sono venuto a riunirvi come vi ho trovati, ma vi ho istruiti, vi ho convertiti, vi ho mandati a istruire per convertire, a coloro a cui la mia legge non era più la loro legge! Vi ho salvati per salvare tutto il mondo!
    Questa è l’eredità che vi diedi in consegna: l’eredità, la dottrina da trasmettere a ogni creatura, e non voi prendere da loro e lasciarli come si trovano, o approvando come sono e quello che sono, come sono! Se questa fosse la via giusta, be’ …l’avrei già percorsa Io stesso e ve l’avrei indicata; e invece IO SONO STATO UCCISO PROPRIO PERCHE’ LA MIA DOTTRINA NON ERA LA LORO DOTTRINA, la mia verità non era la loro verità. …
    Ma voi, cosa avete fatto? Avete chiuso la vostra bocca e chiuso le orecchie del mio gregge, cioè del mio popolo!
    Questo, perché voi non parlate al mio popolo e perché sia sordo e non senta neppure il mio richiamo!
    Avete chiusa la porta della mia Chiesa, il dolce Ovile da me fondato e a voi consegnato! L’avete chiusa per non entrarvi voi e non farci entrare il mio popolo! Avete chiuso il vostro e il loro cuore per non più amare!”

    Parole che ricordano in modo impressionante il senso di quelle riportate dall’evangelista Luca contro Scribi, Farisei e Dottori della Legge del capitolo 11 e seguenti.

    Poi nell’estasi del 28 aprile 1986, Cornacchiola si trova in piazza san Pietro con la Vergine che gli mostra:

    “coloro che hanno ubbidito alla voce di Dio in Gesù Cristo per mezzo del Papa, che è la voce della Chiesa, voce viva nella Chiesa eternamente viva. Tutti nella gloria, osannando; e coloro che non hanno ubbidito, nel buio triste e malinconico. Vedi figlio mio – mi dice la Vergine – anche se chi dà un ordine ti sembra che sbagli, tu sei tenuto a ubbidire, a meno che quest’ordine tocchi la fede, la morale e la carità. Allora no!”