Edwin Benson, TFP. Per Quanto Tempo Ancora Ignoreremo la Minaccia più Grande?
8 Ottobre 2022
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, mi sembra opportuno portare alla vostra attenzione questo articolo apparso su Tradizione Famiglia Proprietà, che ringraziamo per la cortesia. Buona lettura e riflessione…
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Per quanto tempo ancora ignoreremo la minaccia più grande?
di Edwin Benson
Nel febbraio 1972, il presidente americano Richard Nixon visitò la Cina. Milioni di persone rimasero affascinate mentre la televisione trasmetteva le notizie del suo viaggio in tutte le case. Da allora, la politica estera americana si alterna fra la gioia e l’accecamento per il bagliore di quei sette giorni.
È ora di togliere i paraocchi. La Cina non è mai stata all’altezza dell’ottimismo ingiustificato dell’Occidente. Il popolo cinese non è mai stato libero. Da quando i comunisti hanno preso il potere, hanno perseguito il loro programma di dominio del mondo.
Trasformano in basi militari isole che non possiedono. Traggono profitto dal lavoro quasi schiavo. Investono miliardi di dollari in terreni agricoli americani e fanno “regali” sontuosi alle università. I loro vicini, compresi i più importanti alleati asiatici dell’Occidente, li temono.
Allo stesso tempo, la Cina è una delle principali fonti di molti prodotti vitali. In effetti, il suo dominio nella produzione di semiconduttori potrebbe potenzialmente paralizzare gli Stati Uniti. Se la Cina dovesse invadere Taiwan, come ha minacciato di fare, la situazione potrebbe peggiorare a dismisura. La Cina sta espandendo la sua rete di influenza in tutto il mondo.
Eppure, gli “esperti” del Dipartimento di Stato continuano a mettere la testa sotto la sabbia. Perché? Mi vengono in mente tre motivi.
La forza dell’abitudine
La politica dei governi occidentali ha costantemente favorito la Cina dal 1972. Qualsiasi cambiamento improvviso rappresenterebbe una significativa rottura dell’ordine liberale del dopoguerra.
Dopo la visita del Presidente Nixon, Jimmy Carter ritirò il riconoscimento diplomatico statunitense a Taiwan e lo assegnò alla Cina. Le Nazioni Unite seguirono l’esempio. George Bush senior ricoprì il ruolo di incaricato d’affari con la Cina nel 1974 e nel 1975. I presidenti successivi hanno favorito tutti una continua espansione del commercio con la Cina, nella vana speranza che il miglioramento delle relazioni con l’Occidente avrebbe reso la Cina più aperta.
Si pensava che il commercio con la Cina avrebbe promosso la pace nel mondo. Gli uomini d’affari speravano di vedere il vasto mercato da un miliardo di persone aprirsi ai prodotti occidentali.
Dottrina di sinistra filocomunista
Quando si aprirono le porte del commercio cinese, l’ideologia comunista cinese entrò anche in Occidente. Durante i giorni di Mao, le sinistre edulcorarono i risultati del comunismo e idealizzato persino la sua Rivoluzione culturale, accettando la dialettica marxista della lotta di classe e la sua applicazione da parte della Cina.
Per questo motivo, c’è chi ha simpatizzato ideologicamente con la Cina, nonostante la sua orribile situazione dei diritti umani e le decine di milioni di persone uccise sotto il regime.
L’apertura della Cina all’Occidente ha rappresentato una variante del comunismo che ha mantenuto le sue dottrine egualitarie, pur accettando alcune riforme di mercato. L’Occidente è venuto in soccorso dell’impoverito gigante comunista e gli ha fornito capitali, tecnologia e know-how. La sinistra occidentale sperava che questa nuova formula avrebbe fatto accettare le sue idee.
Dopo aver atteso per decenni che la Cina adottasse il libero mercato e le libertà fondamentali, molti sono ora delusi e si rendono conto che la dipendenza occidentale dalla Cina ha raggiunto livelli pericolosi.
Una Cina sempre più aggressiva sta distruggendo i sogni di pace. L’America “woke” sta adottando molte idee tipo della “rivoluzione culturale” cinese cancellando intellettuali e proibendo certi discorsi. Le università “woke” emulano la Cina censurando le opinioni sgradite.
Avidità aziendale
I cinesi controllano ora la produzione che un tempo forniva posti di lavoro agli statunitensi. Ciò è spesso dovuto agli stipendi incredibilmente bassi del Paese che favorisce la delocalizzazione della produzione per ridurre i costi.
Il produttore di scarpe sportive Nike è un caso tipico. Questo gigante delle calzature non possiede fabbriche e appalta circa il trenta per cento della sua produzione alla Cina. Un altro trenta per cento viene fabbricato nel Vietnam, anch’esso a guida comunista.
Il massiccio trasferimento della produzione in Cina rende praticamente impossibile non utilizzare i prodotti manufatti lì. La Cina è anche il terzo mercato di esportazione per l’America, con una vendita di prodotti per 151 miliardi di dollari nel 2021, rispetto ai meno 4 miliardi del 1985 e ai 16 miliardi del 2000.
Pertanto, le grandi aziende hanno molto da guadagnare con le attuali politiche. Ad esempio, il canale di notizie economiche e finanziarie CNBC, afferma che “circa l’80% delle vendite globali delle macchine Buick [nel 2018] sono state realizzate in Cina”. La mentalità aziendale ritiene che la Cina sia un mercato troppo grande per essere scartato a causa di controversie su questioni non commerciali. Questo comportamento non è limitato alla General Motors (che produce le Buick). Un recente articolo della rivista Forbes ha menzionato che la Disney e la National Basketball Association (NBA) hanno una storia di cedevolezza di fronte alla riprovevole situazione dei diritti umani in Cina.
Sta suonando l’allarme?
L’America si sta finalmente svegliando vedendo la piena portata della minaccia cinese? Purtroppo la risposta è no.
Alcuni americani però si rendono conto del pericolo e prendono provvedimenti: per esempio, rifiutando i prodotti “Made in China” ogni volta che è possibile. Altri sostengono che il Congresso dovrebbe indagare sulla portata del ruolo della Cina nella crisi di Covid. I genitori più saggi si rifiutano di permettere ai propri figli di utilizzare il social network TikTok, legato alla Cina a doppio filo. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Australia hanno in gran parte impedito al gigante tecnologico cinese Huawei di fare breccia nei loro sistemi di comunicazione.
Tuttavia, molti membri del governo e del management aziendale statunitensi sembrano troppo avidi, ideologicamente solidali o compiacenti, per interrompere le relazioni con la Cina. La situazione cambierà se la Cina invaderà Taiwan? E se bombardasse il Giappone o l’Australia? Si dovrebbe tracciare da qualche parte una linea sulla sabbia o un punto di non ritorno.
Fonte: Tfp.org, 26 settembre 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.
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