Aurelio Porfiri, da Hong Kong. Finché Covid non vi Separi…

19 Settembre 2022 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il maestro Aurelio Porfiri offre alla vostra attenzione questo reportage da Hong Kong, dove si trova attualmente. Buona lettura e meditazione…

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Finché Covid non vi separi

Se pensiamo che in Italia il Covid è un’ossessione, allora posso dirvi che a Hong Kong questa ossessione è quasi a livello scientifico. Le misure precauzionali sono veramente imponenti ed ogni visitatore ne fa esperienza. Pensate che fino a non molto tempo fa si doveva osservare una quarantena di 21 giorni per chiunque arrivava nella città. Ora è stata ridotta a tre giorni più quattro giorni di misurazione della temperatura (due volte al giorno) e di test rapidi quotidiani più tamponi molecolari ripetuti ogni due o tre giorni. Per dirvi la mia esperienza, ieri durante il mio secondo giorno di quarantena ho avuto qualche sintomo che secondo le direttive del governo doveva essere riportato. Insomma, dovevo andare all’ospedale. Mi hanno scortato dalla mia camera e quando sono sceso alla lobby sembrava un film americano, con persone bardate con dispositivi di protezione con ricetrasmettitrici per segnalare la mia presenza (“il paziente sta arrivando”). Insomma, si prende molto seriamente questo virus, come da una parte è comprensibile. Si rincorre la strategia di “zero infezioni”, del resto prendendo esempio dalla Cina continentale, che persegue lo stesso fine.

In Cina le cose sono ancora più draconiane, con lockdown improvvisi come quello all’Ikea di Shanghai in cui si vedono i clienti che scappano per non rischiare di restare chiusi dentro. Insomma lì certamente non si scherza e le misure sono applicate con ferrea rigidità.

Ma anche ad Hong Kong non c’è poi da stare molto allegri. C’è però da comprendere il perché, essendo ancora vivo il ricordo dell’epidemia di SARS cominciata nel marzo del 2003. Un articolo accademico (Lee SH. The SARS epidemic in Hong Kong–a human calamity in the 21st century. Methods Inf Med. 2005;44(2):293-8. PMID: 15924195) così riassume nelle sue conclusioni questa epidemia: “Hong Kong era mal preparata nella fase iniziale dell’epidemia. L’epidemia ha prodotto non solo problemi sanitari, ma anche sociali, economici e umanitari. L’epidemia, tuttavia, ha creato un forte senso di unità tra tutti i settori della popolazione nella lotta contro la malattia”. A quel tempo il Vescovo era Joseph Zen, oggi Cardinale, che ha raccontato anche il coinvolgimento della Chiesa in quella battaglia. Ma anche oggi non si scherza. Tutti hanno un codice QR che serve per entrare in certi luoghi piuttosto che in altri. Chi ha il codice ambra non può entrare in ristoranti, chiese o scuole. E queste non sono persone contagiate. Si può tornare alla quasi normalità quando il codice diviene blu. Naturalmente non devo neanche dire che tutti indossano la mascherina, anche perché è obbligatorio.

Torniamo alla Chiesa. Ancora oggi, nel momento in cui scrivo (settembre 2022) possono entrare in chiesa solo alcune persone che hanno il codice QR blu. Per gli altri si devono trovare soluzioni alternative come la Messa in streaming o in spazi aperti. In un articolo di Jeff Mirus, apologeta cattolico americano, raccolto nel libro A Church of Hope? viene tra l’altro affermato: “Il problema con la risposta al Coronavirus, quindi, è che è architettata essenzialmente da una volontà di evitare possibilità future che non sappiamo sorgeranno. In tali circostanze, le persone ben informate che non hanno paura di essere controculturali stanno iniziando a combinare statistiche pubblicamente disponibili con la realtà non statistica che nessuno che conosce qualcuno che ha il virus. E così iniziano a meravigliarsi. Per dirla senza mezzi termini, si chiedono se la prevenzione sia peggiore della malattia”. Questo è un problema complicato anche da noi, perché non si è ancora ben compreso dove la fede deve stare in questa situazione. Certamente prevenire è importante, ma dove finisce il nostro benessere materiale e inizia quello spirituale?

La Cina ha una lunga consuetudine con le epidemie, dall’Asiatica del 1957 alla influenza in Hong Kong nel 1968, giungendo poi all’aviaria, alla sars e al Covid 19. Il motivo per cui questo accade lo spiega il virologo Giorgio Palù un un’intervista con Elisa Speronello (ilbolive.unipd.it) nel febbraio 2020: “Se parliamo di pandemie, l’ultima di H1N1 si è sviluppata tra Messico e California nel 2009, mentre in Cina ricordiamo quella del ’57 e quella del ’68. Il nuovo coronavirus, il Covid-19 o Sars2, non ha ancora dato origine a una pandemia, che richiede una manifestazione su più larga scala” spiega il professore. “Se consideriamo invece le epidemie, molte si sono effettivamente originate in Cina: avrebbero potuto dare inizio a pandemie, ma non lo hanno fatto”. Il motivo principale per cui la Cina, con tutto il Sud-est asiatico, è un luogo particolarmente favorevole ai virus, è lo stretto contatto tra uomini e animali, che vengono tenuti in casa e nelle fattorie per essere allevati o mangiati, per non parlare di tutti quei mercati in cui vengono venduti animali vivi. “Con l’H5N1, aviaria, la Cina ha preso provvedimenti molto draconiani – commenta Palù – e ha fatto ammazzare tutti i polli che c’erano nelle case dei cinesi per diminuire il contagio”. Come se non bastasse, la Cina è sulla rotta migratoria di vari uccelli selvatici come le anatre. “Ci sono poi molte risaie, e gli uccelli che planano in queste zone possono essere portatori sani dell’influenza aviaria che viene trasmessa anche tramite le feci: in quegli stagni ci sono miliardi di virus, e lì vicino vengono allevati maiali e altri animali domestici, anche uccelli. Così i virus si propagano: c’è una commistione tra animali domestici e selvatici e tra loro e l’uomo” dichiara Palù. E poi ci sono tutti i problemi denunciati dagli ambientalisti: altri fattori che aumentano il rischio di epidemie sono il disboscamento e l’inurbamento ma anche i cambiamenti climatici: se un ambiente in cui vivono gli animali viene occupato anche dall’uomo, possono diffondersi malattie anche molto gravi: è il caso dell’ebola del 2014, epidemia tutt’ora in corso, quando il virus è arrivato anche nelle metropoli. “Ci sono poi i cambiamenti climatici” spiega Palù. “Il 20% dei virus è trasmesso da vettori come zanzare, zecche e flebotomi che stanno migrando a causa dei cambiamenti di temperatura, si pensi a West Nile””. Insomma, tutto questo insieme all’alta densità di popolazione e quindi alla possibilità di contatti più stretti ci portano a capire il perché dei comportamenti draconiani da questa parte del mondo. Ovviamente capire non significa giustificare.

Il cardinale gesuita Michael Czerny in un suo articolo (humandevelopment.va) sulla pandemia fa queste riflessioni: “Le notizie che ogni giorno arrivano dai cinque continenti ci parlano di una Chiesa che si sta mobilitando su vari fronti. Molti cattolici sono fra coloro che si sono rimboccati le maniche e non hanno esitato a spendersi completamente. Le innumerevoli iniziative di carità concreta testimoniano come l’amore di Dio agisca in maniera nascosta, secondo lo spirito evangelico del lievito che fermenta tutta la pasta (Mt 13,33). Pensiamo a quanti continuano a fornire cibo, servizi essenziali, sicurezza pubblica. Pensiamo ai tanti medici ed infermieri, ai presbiteri e religiosi che, mettendo a rischio la propria vita, rimangono in prima linea e assicurano vicinanza ai malati. Donando se stessi «fino alla fine» (Gv 13,1), ci offrono una luminosa testimonianza di coerenza agli insegnamenti ed esempi di Gesù, ricordando a tutti che la cura della persona ammalata ha la precedenza su tutto. In questo momento è l’uomo nella sua interezza che soffre, e tanti hanno bisogno di guarigione. Per questo motivo anche la preghiera, che tutti possono provare ad offrire, risulta indispensabile. In queste condizioni eccezionali, in questo tempo “sospeso”, che ha imposto a tutti di rallentare, siamo stati costretti a ridurre i nostri ritmi frenetici, a cambiare le nostre abitudini, a inventarci nuove percezioni, criteri e risposte. La quarantena ci ha strappati alla nostra consueta trama di relazioni e per molti la solitudine ha rappresentato una scomoda sorpresa. Il crescente numero di decessi ha causato un profondo turbamento in coloro che non si erano mai posti realmente di fronte al mistero della propria morte. Dovendo fare i conti con se stessi e con la propria vita interiore, o magari perché alla ricerca di conforto e di rassicurazione, o perché si sono riscoperte le tradizioni in cui era stati educati, molti hanno avvertito il bisogno di mettersi alla ricerca di Dio. Si tratta di una svolta innovativa in un’epoca in cui il progresso tecno-scientifico può allontanare le persone dalla religione. E quando ci si mette alla ricerca di Dio, un passo importante è dato proprio dall’intraprendere una seria revisione di vita. Le certezze su cui si è edificata la propria esistenza possono ora apparire traballanti, e ciò lascia emergere delle scottanti domande di “senso”: per cosa ho vissuto? Per cosa vivo? Sarò capace di andare oltre me stesso? La fede, che riesce a scuotere la “comodità” in cui vive l’uomo di oggi, può aiutare queste domande ad affiorare lentamente, mentre Dio è sempre pronto a darvi risposta”. Ma si è veramente cercato la risposta di Dio? Molti hanno avuto l’impressione che il nostro Dio fosse una divinità inferiore, in fondo incapace di dare le risposte necessarie che ci possono venire dal nuovo dio, la scienza. Ora, è vero che il ruolo della scienza è importante nel lenire le sofferenze del corpo, ma essa non si occupa di anima. E chi se ne dovrebbe occupare? Certo la Chiesa, ma essa sembra a volte incapace di annunciare quelle parole di vita eterna che le sono state annunciate dal Fondatore.

Il cattolicesimo in Hong Kong è minoritario, quindi si spiega che la forza di trattare con il governo non è eccezionale, anche se, come ho detto in precedenza, l’influenza culturale della Chiesa attraverso le sue istituzioni non è certo da sottovalutare. Forse dovremmo interrogarci di più noi in Italia, dove il cattolicesimo è stato una forza fondamentale dell’identità italiana, anche se oramai possiamo testimoniare che esso è ampiamente in ritirata. Cristo è medico, come viene detto da sant’Ambrogio in un famoso testo, medicus est. Ma ci crediamo veramente?

In Hong Kong con la realtà del Covid ci si scontra ad ogni passo anche se, detto sottovoce, non si capisce come mai in percentuale i contagiati degli ultimi tempi, facendo una comparazione statistica, sono quattro volte di più che nella rilassata Italia. Che cosa non funziona? È difficile a dirsi. Certo che misure del genere possono solo essere implementate in un posto dove la disciplina è un valore più importante dell’individualismo. Da noi molto difficilmente potrebbero funzionare.

Eppure dobbiamo considerare l’impatto che questa pandemia sta avendo anche sui fedeli e ci aiuta il sociologo Giuseppe de Rita, in un articolo di Riccardo Maccioni su Avvenire nel 2021: “L’immagine usata è quella del gregge smarrito. Richiamo evidente alla parabola evangelica, con la differenza che qui a essersi persa non è un’unica pecora che il buon pastore ora cerca lasciando sul monte le altre novantanove. Si tratta invece di rispondere a un disagio più diffuso, al malessere di quella parte di mondo cattolico per niente soddisfatto dalla posizione assunta nell’anno della pandemia dalla Chiesa italiana, di cui sottolinea l’irrilevanza, l’eccessiva sottomissione, l’autoreferenzialità. Una “denuncia” fotografata e interpretata dall’associazione “Essere qui”, nata da un gruppo di amici guidati dal sociologo Giuseppe De Rita con Liliana Cavani vicepresidente e, tra i soci, Gennaro Acquaviva, Ferruccio De Bortoli, Mario Marazziti, Romano Prodi e Andrea Riccardi. Il risultato è una ricerca confluita nel volume appena pubblicato da Rubettino: “Il gregge smarrito”. Chiesa e società nell’anno della pandemia (164 pagine, 15 euro, ebook 8,99). Non un semplice atto d’accusa, spiegano gli autori, semmai uno stress test o, per dirla in termini più consueti, un esame di coscienza, un “discernimento” sia interno alla Chiesa istituzione sia dal punto di vista dei fedeli, necessario per poi poter ripartire con maggiore vigore e consapevolezza del tanto che i cattolici possono offrire nella costruzione del bene comune. In proposito, secondo la ricerca, la crisi legata al Covid ha fatto emergere alcune criticità latenti nella Chiesa da tempo, come «lo scollamento con la società reale, la distanza tra fedeli e pastori, l’irrilevanza nel pensiero socio-politico»”. È molto importante questa osservazione, il Covid ha solo messo in luce i segni di una crisi che già da tempo coinvolge la Chiesa, una crisi che la “nuova primavera” non ha certo risolto.

E questo non riguarda solo l’Italia, ma certamente anche Hong Kong, che negli ultimi anni ha vissuto un cataclisma e che ha visto nominare il nuovo Vescovo dopo due anni di stallo. Il fatto che la sede vescovile è rimasta vacante per così tanto tempi la dice lunga sulle tensioni che agitano la città e la Chiesa locale e i diversi modi, al suo interno, di articolare il rapporto con la grande Cina. Sono problemi non da poco, che non vanno di certo sottovalutati. La pandemia è stata ed è un elemento di divisione anche laddove la coesione sociale è ritenuta un valore primario.

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