Arrendersi All’Evidenza. Mascherina Criticabile? Il Tampone è Anche Peggio. Leggete.
23 Luglio 2022
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, mi sembra opportuno portare alla vostra attenzione questo articolo di Arrendersi All’Evidenza, che una volta di più – e lo ringraziamo di cuore – esamina con lucidità i meccanismi della follia che ci è stata imposta per oltre due anni, e che c’è chi vorrebbe replicare per il prossimo autunno, nella più totale assenza di supporti scientifici. Buona lettura.
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SE LA MASCHERINA E’ CRITICABILE, IL TAMPONE LO E’ DI PIÙ
Il termometro indiscusso della pandemia è il tampone: è lui a stabilire il numero dei positivi al coronavirus.
Il rilevamento dell’acido nucleico virale avviene tramite Polimerase Chain Reaction (PCR), il “molecolare”. La sigla rt che troviamo scritta davanti all’acronimo PCR indica una reverse transcription real time. L’antigene virale lo si rileva invece tramite Rapid Antigen Detection, il cosiddetto “rapido”, mentre la ricerca degli anticorpi nel sangue è la via seguita dal test “sierologico”, che non è un tampone.
Per i tamponi più utilizzati (PCR e Rapido), diversi fattori che concorrono all’attendibilità del risultato del test.
Il PCR risente delle amplificazioni (Ct: sono il numero di potenze di 2 che esprimono la replica del segnale effettivamente presente): valori di Ct minori di 35 significano una carica virale più alta, mentre per Ct maggiori di 35 indicano un rischio di contagio bassissimo, trattandosi di cariche virali esigue. Per facilitare la comprensione, si consideri che il segnale di un Ct=40 rispetto a un Ct=30 è amplificato di 10 potenze di 2, ovvero 2x2x2x2x2x2x2x2x2x2= 1024 volte di più. Ogni 10 potenze di due il segnale è amplificato circa mille volte. Quindi a Ct=30 siamo già a un miliardo di volte il dato iniziale.
Il primo PCR messo a disposizione era stato ideato per riconoscere il virus alfa-Wuhan. Oggi quel virus è già mutato in numerose varianti e quella attualmente più diffusa è la BA.5. Il PCR viene comunque utilizzato per stabilire la positività e il Ct utilizzato, raramente indicato sui referti, si spinge abitualmente a Ct ≥ 40.
Che cosa misura? E chi stabilisce che la misura sia precisa e significativa? La sensibilità analitica del RT-PCR nasce da un assunto che merita di essere capito bene: quando fu messo a punto il test per il Covid-19 (era già disponibile nel febbraio 2020!) non c’era disponibile alcuna quantità nota di virus isolato.
Per convalidare il tampone hanno perciò lavorato in vitro su “trascrizioni” del gene RNA (gene N; Genbank MN908947.2) completo, a titolo noto (copie RNA/microlitro), diluito, estratto, contato per servire da gene di controllo. La sigla indicata, MN908947.2, è un plasmide, cioè un minuscolo filamento circolare di DNA avvolto a doppia elica che è presente nel citoplasma. Include una sequenza T7 RNA, che funge da promotrice della trascrizione quando necessario. Nel documento CDC 2019-Novel Coronavirus (2019-nCoV) Real-Time RT-PCR Diagnostic Panel (21 luglio 2021) reso noto da FDA – https://www.fda.gov/media/
Questa affermazione è a pagina 40 del documento. Nel medesimo, è detto che l’individuazione di RNA virale potrebbe non indicare la presenza del virus infettivo o che lo stesso virus sia effettivamente responsabile del quadro clinico o dia informazioni sull’efficacia dei trattamenti. Insomma: non è un test diagnostico! Tanto più che la positività al test NON esclude malattie provocate da altri microrganismi patogeni. Il plasmide utilizzato è quello del materiale genetico del virus del comune raffreddore. Il documento identificato con la sigla CDC-006-00019, Revision: 07 CDC/DDID/NCIRD/ Division of Viral Diseases Effective: 07/21/2021 ammette che il test PCR “Covid” è stato sviluppato senza campioni isolati per la calibrazione del test. Non è stato sviluppato con campioni reali, ma piuttosto con il materiale genetico di un comune raffreddore. Possiamo leggere che:
A- il test funziona con 3 primer, 2 relativi al nucleocapside (N1 specifico per il Sars-Cov-2 e N3 generico invece per i coronavirus) e l’ultimo specifico per un gene che codifica per una proteina S spike specifica del Sars-Cov-2.
B- viene eseguito scegliendo un Ct di 39 cicli, in pratica tutto lo spettro della PCR: il test dà risultato positivo per ogni segnale di fluorescenza che appare nei primi 39 cicli.
C- anche se un eventuale virus di Sars-Cov-2 contiene gli elementi per dare positività a tutti e 3 i primer presenti nel test (ovviamente possiede tutte e 3 le porzioni geniche cercate), dalla tabella su come interpretare i dati apprendiamo che anche se solo 1 primer è positivo, il test dà come esito la positività.
Non bisogna scandalizzarsi del metodo individuato per stabilire analiticamente il limite inferiore del dosaggio al PCR. Piuttosto bisogna capire che il metodo PCR non è diagnostico e che quanto più si vanta capace di riconoscere valori molto bassi, vicini al Limit of Detection, diventa sospetto l’averlo messo a punto con un virus diverso da quel che dice di riconoscere.
Che cosa cerca e trova il test PCR? Le sequenze geniche con cui si va alla ricerca del virus. Nel test dell’OMS il ritrovamento del gene E è aspecifico e tipico di tutti i coronavirus; quello del gene N2, che dovrebbe essere più specifico (seppur non esclusivo) per il SARS-CoV2 mediamente è positivo attorno a 37-38 cicli!
Il CDC/FDA utilizza il gene N del virus, quello del suo nucleocapside. Questa scelta di focalizzarsi sul gene N, nelle sue due versioni N1 e N2, non esclude che altri nucleocapsidi virali diano un risultato positivo. Solo il gene RdRP-SARSr-P2 è quasi specifico per il nuovo coronavirus.
Anche il test Drosten, utilizzato in Europa basa il processo diagnostico su isolamenti e definizioni del virus elaborati al computer, senza nessuna presenza fisica del virus, in assenza delle fonti fisiche degli acidi nucleici genomici virali.
Circolano un centinaio di differenti tamponi, nessuno dei quali effettivamente risulta convalidato secondo i classici criteri e dettami della prassi analitica. Si tratta, come per i vaccini, di autorizzazioni concesse in via emergenziale, ma poi trasformatesi in qualcosa di più certificante e degno di fede del Vangelo. Non scordiamoci che dal valore del test, dal numero dei positivi, è dipeso il mettere in lock down nazioni intere! Il virus è anche mutato, ma il PCR resta il guardiano ritenuto degno di fede perché comunque quello che vede (stra-amplificandolo) è certamente lui, il SARS-CoV-2.
Più di una fonte qualificata ribadisce che sopra i 35 cicli l’affidabilità del tampone crolla, e al massimo si può sostenere che rileva tracce di un virus talmente debole da non essere più infettivo.
Che cosa stiamo cercando? Come lo contiamo? Con che criterio lo diciamo presente? E se c’è qualcosa sarà veramente lui? E se anche fosse lui, sarà abbastanza, come carica virale, da comportare una patologia?
La FDA ha assegnato al test una EUA, un’autorizzazione di emergenza, saltando tutti i passaggi di verifica. L’EUA è un’autorizzazione emergenziale all’uso, mirante a ricercare la presenza di acidi nucleici riconducibili al coronavirus SARS-CoV-2. Non dice assolutamente nulla circa diagnosi, carica virale, contagiosità etc etc.
Le autorità nazionali non hanno mai impartito direttive per un numero di cicli di amplificazione non superiore a Ct 35. In queste condizioni è ovvio che il PCR test possa avere cross-reattività con altri Coronavirus. E’ un test sensibile e rileva anche frazioni del virus che sta cercando, amplificando il campione milioni di volte. Un frammento non è un virus intero, capace di replicarsi e infettare altri esseri umani. E’ solo una piccola parte della struttura virale ciò che viene rilevato dai primer della PCR, non l’intero virus. Solo virus interi possono infettarci. Il numero di cicli di amplificazione necessario per raggiungere un risultato positivo è raramente riportato.
Perché non si è provveduto subito a fare uno studio che potesse fornire un indice di riferimento e venisse adottato in tutti i laboratori in modo uniforme e invece si è lasciati liberi i ricercatori di amplificare a PIACIMENTO i parametri, targando una grossa fetta di “positivi asintomatici” malgrado siano soggetti sani e non infettivi?
Un approccio SI/NO all’interpretazione del tampone PCR non convalidata da coltura virale origina falsi positivi e la reclusione immotivata di un grande numero di persone. Sarebbe come se un test per il colesterolo rispondesse solo Alto o Basso ! Kary Mullis (premio Nobel, l’inventore del PCR, morto nel 2019) affermava che con la PCR, amplificando, rendi positiva anche l’acqua.
I tamponi dimostrano e certificano SOLO che è presente il materiale rilevato: non indicano con certezza un’identità, né l’infettività… Questa è indimostrabile con il tampone…
Analiticamente per il PCR è stato stabilito il limite inferiore di rilevabilità (LoD) attribuibile al metodo, andando a verificare la positività, con Ct tra 32 e 35 in almeno il 95% dei casi. L’approccio, per quanto sia tecnicamente brillante, non rappresenta esattamente la situazione reale… Inoltre la marcata influenza di fattori successivi al campionamento fa sì che un errore iniziale (di conservazione, di esecuzione, di preparazione, di qualità dei reagenti) possa portare a un grande errore finale.
Ovviamente un test positivo con Ct elevati in soggetti asintomatici, anche se concorre ad ingrossare le schiere dei positivi (e dei deceduti “con Covid”, se il soggetto muore per una qualsiasi ragione nei 28 giorni successivi) ha un significato diverso da una positività sintomatica portatrice di una carica virale elevata e quindi di una reale contagiosità del soggetto.
I vari tamponi differiscono per sensibilità e specificità. La sensibilità è la probabilità che un risultato “positivo” del test corrisponda effettivamente alla presenza del virus. La specificità è la probabilità che un risultato “negativo” del test corrisponda effettivamente all’assenza del virus.
Nel saggio in rt-Real Time PCR maggiore è il numero delle “molecole stampo” presenti all’inizio della reazione e minore sarà il numero di cicli necessari per raggiungere un determinato valore di CT. Viceversa, un alto valore di CT, ottenuto dopo numerosi cicli di amplificazione, indica una bassa quantità di target genico iniziale e quindi di genoma virale.
I test antigenici intercettano, tramite anticorpi policlonali o monoclonali, specifici peptidi (porzioni proteiche) della proteina S (Spike) o N (nucleocapside) presenti sulla superficie virale di SARS-CoV-2.
Il test può risultare negativo se la concentrazione degli antigeni è inferiore al limite di rilevamento del test. Così si è diffuso/imposto un test con un LoD bassissimo. Ma che senso ha cercare la pagliuzza se meno di una balla di paglia non è una misura degna di significato clinico? O quel che conta è trovare comunque la pagliuzza?
Chi valuta i numeri dev’essere conscio di come la probabilità teorica pre-test influenza l’interpretazione dei risultati. Un falso positivo con i tamponi rapidi è molto più probabile quando i tassi di malattia sono più bassi.
Tra l’altro il protocollo di identificazione stabilito dall’OMS per i tamponi molecolari identificherebbe come positivi solo coloro che esprimono contemporaneamente tutte e tre le sequenze geniche ricercate (indizio che si tratta del virus intero, vitale e non di suoi frammenti inattivi) con Ct inferiori a 35 e non anche una sola di esse (come poi stabilita da una direttiva autonoma del Ministero della Salute) a Ct superiori ai 35 cicli di amplificazione. Deroga su deroga e amplificazione su amplificazione, diventare positivi è più facile.
CRONACA
Un’impennata così esagerata della percentuale di positivi tra quanti in questi giorni si sottopongono al tampone, qualsiasi esso sia, lascia un po’ perplessi. Una possibile spiegazione riguarda ovviamente il test.
I tamponi molecolari PCR vengono eseguiti soprattutto in ospedale. Il loro numero è più o meno stabile (tra 300 e 400 mila alla settimana) incidendo per circa il 25% del totale nelle settimane di maggio e giugno.
Il numero dei tamponi rapidi riguarda le farmacie e altre strutture: nelle ultime due settimane ne sono stati fatti uno sproposito (2 milioni la settimana contro un andamento precedente di poco superiore al milione).
Guarda caso ad essere elevata è la percentuale di positivi tra chi esegue il tampone rapido (quasi uno su tre!) mentre attualmente il molecolare dà positività attorno al 15%. Con quel che abbiamo spiegato in precedenza, questi dati dovrebbero far drizzare le antenne sulla possibilità di qualche abbaglio.
Nei mesi scorsi (tra febbraio e maggio) era il tampone molecolare a dare valori percentuali di positività un po’ più elevate, ma con differenze non clamorose tra i due metodi: attorno al 10-15% per entrambi.
Se due metodi danno tassi di positività così differenti, addirittura un 32% contro un 18%, l’attendibilità del test va a farsi friggere. I tamponi molecolari RT-PCR presentano un’elevata probabilità di falsi positivi, soprattutto quando il paziente è asintomatico. Adesso vediamo che i tamponi antigenici stanno trovando quasi una percentuale doppia di positività! Sarà forse stato il caldo? Sono stati conservati bene i tamponi rapidi? O i lotti utilizzati hanno una sensibilità differente da prima?
La positività crea il malato-asintomatico (un ossimoro) generando un’ansia che assimila il positivo al contagioso, conteggiando come “caso” anche chi non ha praticamente nulla, senza differenziarlo da chi invece ha effettivamente dei problemi.
E’ chiaro che un test che raddoppia i positivi rispetto al PCR, il quale già viene amplificato a dismisura (sovrastimando i casi meritevoli di attenzione per carica virale), in concomitanza con il raddoppio del numero di questi test (che suona già strano di suo…) porta a un totale di positivi sospettabile di poco credibilità.
A riprova, le terapie intensive ne stanno risentendo in minima misura, mentre la conta dei morti “con Covid” si gonfia giocoforza per i criteri di attribuzione adottati. Non è un’elucubrazione no-vax. Lo scrive anche il GIMBE:
Testing. Si registra un aumento del numero dei tamponi totali (+17%): da 2.152.065 della settimana 29 giugno 2022-5 luglio 2022 a 2.517.540 della settimana 6-12 luglio 2022. In particolare i tamponi rapidi sono cresciuti del 19,4% (+350.351) e quelli molecolari del 4,4% (+15.124). La media mobile a 7 giorni del tasso di positività sale dal 17,1% al 18,6% per i tamponi molecolari e dal 29,8% al 31,8% per gli antigenici rapidi.
https://www.gimbe.org/pagine/
Insomma: un 25 o 30% di percentuale di positivi è poco credibile, specialmente a luglio. Lo scorso anno la percentuale era venti volte di meno!
Kary Mullis (premio Nobel, l’inventore del PCR, morto nel 2019) affermava che con la PCR, amplificando, rendi positiva anche l’acqua. Se almeno piovesse…
AAE
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Tag: arrendersi all'evidenza, pcr, tamponi
Categoria: Generale
Gentile AAE, il test sierologico – che non è un tampone come Lei specifica – può essere utile a dimostrare che si è avuto il Covid (in mancanza di tampone eseguito a suo tempo)? Voglio dire, poiché il test sierologico dimostra la presenza di anticorpi nel sangue, perché non può essere un valido strumento di dimostrazione che la malattia ha fatto il suo corso? Io parlo riguardo a persone non vaccinate. Grazie per la risposta.
Buona domanda. Anche di test sierologici ne esistono diversi tipi: quelli che indagano gli anticorpi dopo il vaccino non sono i medesimi da usare per valutare l’immunità post infezione.
I test quantitativi per dosare gli anticorpi alla proteina spike individuano tutti gli anticorpi IgM e IgG che riconoscono la spike. La conoscenza che ne deriva non è tanto quella circa la presenza di anticorpi neutralizzanti (indistinguibili), ma solo l’evidenza di un’avvenuta infezione e anche quando (se IgG ancora negative e IgM positive l’infezione è avvenuta di recente, tra dieci e trenta giorni prima; se entrambe le Ig sono positive l’infezione è accaduta oltre un mese prima). Ovviamente anche il vaccino, se efficace, per un certo lasso di tempo fa produrre questi anticorpi verso la spike.
I test qualitativi per anticorpi anti-nucleocapside qualora positivi individuano anticorpi differenti da quelli verso la spike e certamente dovuti ad un’infezione con conseguente risposta dell’immunità naturale (non al vaccino). Tuttavia l’eventuale positività non dà alcuna misura dell’entità degli anticorpi e non garantisce di per sé che vi sarà protezione ad una nuova infezione.
I test sierologici per gli anticorpi anti-RBD serve a dosare gli anticorpi da vaccino perché RBD (receptor binding domain) riconosce una specifica struttura della proteina spike (il suo “uncino”). Ovviamente anche l’infezione naturale dà una positività. Anche in questo caso l’avere questi anticorpi NON dice per quanto tempo ne saremo protetti, tanto che ciò dipenda da un’infezione, quanto che dipenda dalle varie dosi di siero.
Chi fa il test sierologico prima e dopo la vaccinazione per “vedere la differenza” deve attendere almeno dieci giorni dal vaccino. Per la cronaca: le autorità non lo hanno consigliato… Sia mai che …?
Pensate: se sei asintomatico, ma positivo al tampone, vieni catalogato come malato anche senza avere niente, mediante un’amplificazione del tampone elevatissima, avendo una carica virale bassissima.
Se però hai gli anticorpi, che dovrebbero essere quelli che proteggono dall’infezione, non devi considerarti protetto, perchè non si conosce il livello anticorpale che dia protezione certa.
E’ come alla roulette (truccata?): il banco vince sempre.
Un solo grido un solo credo… no vaccino… no green pass… no tampone… no mascherina… amen!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Nuccio carissimo, ti leggo sempre e sempre ti apprezzo.
Credo che non mi farò mancare il tuo “Captagon Suite”. Meriti fiducia.
Grazie dell’articolo, come sempre ottimo.
Alla luce di quanto riportato da Blondet (https://www.maurizioblondet.it/volevano-iniettarmi-il-remdesivir/), invito qualche avvocato a pubblicare una diffida da inviare all’ASL qualora si finisse reclusi nei loro lager (che fruttano più di 9000 euro a testa al giorno!) per un tampone. Si configura il reato di sequestro di persona ed è probabile che di fronte a una diffida ben fatta i nostri eroi rilascerebbero rapidamente il malcapitato