The Catholic Thing. Una Pontificia Accademia della Vita senza Vita.
4 Luglio 2022
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mi sembra opportuno portare alla vostra attenzione, nella traduzione di Vincenzo fedele, che ringraziamo di cuore, questo articolo pubblicato su The Catholic Thing in merito alla reazione vaticana alla sentenza della Corte Suprema sull’aborto. Buona lettura.
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Da THE CATHOLIC THING
Una Pontificia Accademia senza vita
Anthony Esolen SABATO 2 LUGLIO 2022
Noi cattolici americani che abbiamo combattuto per la vita del nascituro abbiamo avuto molto da festeggiare quando la Corte Suprema è finalmente ritornata sui propri passi, dopo aver a lungo usurpato il potere legislativo, dichiarando che lo smembramento di un bambino nel grembo materno non è un diritto garantito dalla Costituzione. Si potrebbe pensare che lo scampanio delle campane delle chiese risuonasse ovunque. Questo testo lo abbiamo ricevuto dall’organizzazione vaticana più qualificata nella questione. Merita di essere esposto nella sua completezza:
La Pontificia Accademia per la Vita si unisce alla dichiarazione dei Vescovi Usa sulla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti. Come hanno dichiarato l’arcivescovo H. Gomez e l’arcivescovo Lori:
“E’ il momento di sanare le ferite e riparare le divisioni sociali; è un momento di riflessione ragionata e di dialogo civile, e di unirci insieme per costruire una società e un’economia che sostengano i matrimoni e le famiglie, e dove ogni donna abbia il sostegno e le risorse di cui ha bisogno per portare con amore il proprio figlio in questo mondo”.
Il parere della Corte mostra come la questione dell’aborto continui a suscitare un acceso dibattito. Il fatto che un grande Paese con una lunga tradizione democratica abbia cambiato posizione su questo tema è una sfida anche per il mondo intero. Non è giusto che il problema venga accantonato senza un’adeguata considerazione che copra tutti gli aspetti. La protezione e la difesa della vita umana non è una questione che può rimanere confinata all’esercizio dei diritti individuali, ma è una questione di ampio significato sociale. Dopo 50 anni, è importante riaprire un dibattito non ideologico sull’importanza che la tutela della vita ha in una società civile per chiederci che tipo di convivenza e che tipo di società vogliamo costruire.
Si tratta di sviluppare scelte politiche che promuovano condizioni di esistenza favorevoli alla vita senza cadere in posizioni ideologiche aprioristiche. Questo significa anche garantire un’adeguata educazione sessuale, garantire un’assistenza sanitaria accessibile a tutti e predisporre misure legislative a tutela della famiglia e della maternità, superando le disuguaglianze esistenti. Abbiamo bisogno di una solida assistenza alle madri, alle coppie e al nascituro che coinvolga l’intera comunità, favorendo la possibilità per le madri in difficoltà di portare avanti la gravidanza e di affidare il bambino a chi può garantirne la crescita.
Mons. Paglia ha affermato: “di fronte alla società occidentale che sta perdendo la passione per la vita, questo atto è un forte invito a riflettere insieme sul tema serio e urgente della generatività umana e delle condizioni che la rendono possibile; scegliendo la vita, la nostra responsabilità per il futuro dell’umanità è rimessa in gioco”.
Ho visto facce più allegre a un funerale.
Fatemi prendere nota di cosa manca qui:
• Nessuna menzione di Dio, o di Gesù Cristo.
• Nessuna gioia per le centinaia di migliaia di vite che saranno risparmiate.
• Nessuna meditazione sulla bellezza e la santità del bambino.
• Nessun senso di sollievo, che un grande male possa essere costretto in ritirata, un male che ha fatto quello che fanno tutti i mali – ha corrotto le persone che lo compiono o lo permettono.
• Nessuna gratitudine per gli americani del movimento pro-vita che hanno svolto un lavoro così duro, spesso con scarso sostegno da parte della Chiesa ufficiale, per mantenere viva la questione politica e per fornire alle donne in situazioni di difficoltà cure mediche, vestiti, latte artificiale, un posto dove stare, e così via.
• Nessun riferimento che colleghi l’aborto ad altri peccati contro il bambino e contro la famiglia, peccati che siamo arrivati ad accettare con un’alzata di spalle. Il più significativo tra questi è la fornicazione. Secondo il CDC, nel 2019, l’86% degli aborti negli Stati Uniti è stato praticato da donne non sposate.
• Nessuna indicazione che si debba, quindi, cercare di resuscitare, anzi di ricostruire dalle macerie, una cultura genuinamente umana che promuova l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio.
Intanto un documento che insiste sul fatto che dobbiamo avere un “dibattito non ideologico sul posto che la tutela della vita ha in una società civile” e che bisogna “promuovere condizioni di esistenza favorevoli alla vita senza cadere in posizioni ideologiche a priori ”, è esso stesso un ideologico caso di studio.
Qui, a quanto pare, gli operatori pro-life negli Stati Uniti sarebbero ben felici di essere almeno ignorati e lasciati senza gratificazione alcuna. Invece sono pure sospettati per il loro presunto attaccamento ai “diritti individuali”, qualunque cosa questo significhi.
Eppure gli autori stessi sembrano attaccati a una visione del mondo individualistica e statalista allo stesso tempo. Se avessero avuto saldamente in mente il matrimonio e la formazione di famiglie stabili e ricche di bambini, avrebbero potuto vedere svanire la peggiore forma di disuguaglianza: la disuguaglianza tra quelle che venivano chiamate famiglie dei colletti bianchi e famiglie operaie, dei colletti blu.
Ma qui è presa in considerazione la disuguaglianza tra quello che guadagnano gli uomini e quello che guadagnano le donne; e la loro preoccupazione presuppone che uomini e donne siano semplici individui contrapposti nell’arena economica, in competizione tra loro, piuttosto che destinati a unirsi in matrimonio, e quindi a cooperare per un lavoro più umano ed una più umana edificazione della casa e della famiglia.
In effetti, il documento tradisce una propensione verso il materialismo, verso soluzioni tecnocratiche e burocratiche a problemi che sono di natura morale e spirituale. Sono sbalordito che dopo sessant’anni di continui segnali di fallimenti, l’educazione sessuale possa ancora essere promossa come una soluzione a qualche cosa.
Va bene invocare “l’intera comunità” in merito all’accoglienza di un nuovo bambino nel mondo, ma dove sono queste comunità? Dove possono essere, quando così tante persone non sono sposate e vivono da single, e quando le persone sposate hanno pochi figli e trascorrono al lavoro tutto il tempo?
O “l’intera comunità” è solo un eufemismo per indicare lo stato e i suoi numerosi strati egoistici di intermediari?
Sì, accolgo con favore la discussione “non ideologica” su ciò a cui miriamo: una società reale, ricca di bambini e allegra, e non solo la “coesistenza” di attori economici atomizzati.
Ma, Signore caro, è il tempo della gioia, non è vero?
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