Maurizio Ragazzi. Aborto, Corte Suprema USA e Diritto Naturale.
29 Giugno 2022
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il prof. Maurizio Ragazzi – che ringraziamo di cuore – offre alla vostra attenzione queste considerazioni sulla sentenza della Corte Suprema in tema di aborto. Buona lettura.
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Aborto, Corte Suprema USA e diritto naturale
Dr. Maurizio Ragazzi
Non avrei mai pensato che avrei visto il giorno in cui la Corte Suprema USA avrebbe fatto piazza pulita di quella spazzatura criminale che, per 50 anni, e’ stata Roe v Wade. (Spazzatura anche a dire di molti abortisti, che hanno riconosciuto come quella falsa sentenza non fosse fondata su nessun principio giuridico degno di questo nome, e criminale perche’ e’ costata la vita, solo negli USA, ad oltre 60 milioni di bambini massacrati con l’aborto).[1] Ma la Provvidenza e’ ben piu’ forte della nostra rassegnazione e, nel giorno della solennita’ del Sacratissimo Cuore di Gesu’, vero difensore degl’innocenti, ci ha sorpreso con questo dono. Lo strumento sono stati cinque giudici (Thomas, Alito, Gorsuch, Kavanaugh e Coney Barrett),[2] gli ultimi tre dei quali nominati da Trump che, se non fosse anche per i molti provvedimenti pro-vita della sua presidenza, con il suo solo contributo a questa sentenza sarebbe entrato da protagonista indiscusso negli annali della storia del movimento pro-vita. I cinque giudici della maggioranza, nel legare il loro nome ad una sentenza storica, hanno dato prova di coraggio, se si considerano i picchettaggi di fronte alle loro case, l’attentato alla vita di uno dei cinque, e la reazione da scalmanati del mondo progressista, incapace di accettare qualsiasi sconfitta in quanto si crede portatore di una (falsa) verita’ universale che esso stesso crea e si sente in dovere d’imporre, anche violentemente, a tutti gli altri.
Come sempre succede per le sentenze americane, anche questa (Dobbs State Health Officer of the Mississippi Department of Health et al. v. Jackson Women’s Health Organization et al.),[3] che ha ribaltato l’infame Roe v Wade, e’ assai complessa e richiede, per una sua integrale valutazione, conoscenze approfondite di diritto sostanziale e procedurale americano. Ma cio’ non toglie che si possano fare almeno tre brevi considerazioni generali di carattere etico-giuridico:
- La portata della sentenza Dobbs. La sentenza Dobbs non si contrappone a Roe nel senso che l’aborto, prima vergognosamente innalzato a cosiddetto “diritto costituzionale” (il “diritto” di… fare a pezzi i bambini nel ventre della madre), venga adesso proibito. La sentenza si limita ad affermare che spetta ai singoli stati degli USA di legiferare in un senso o nell’altro (abortista o anti-abortista), senza preclusioni da parte della Corte Suprema. A ragione di cio’, vari commentatori conservatori hanno lodato la sentenza per aver restituito la decisione al popolo dei vari stati, come esercizio di vera democrazia. Ma e’ proprio cosi’? E’ proprio vero che la decisione se gli innocenti ancora nel ventre delle loro madri possano essere impunemente uccisi spetta ad un voto di maggioranza, seppur del popolo invece che dei giudici? Gia’ la formulazione della domanda racchiude in se’ una risposta negativa. E’ assurdo ritenere che una costituzione, chiamata a tutelare i diritti fondamentali di tutti, non parta dalla premessa che nessun essere umano innocente, nato o non ancora nato, possa essere impunemente soppresso. La questione e’ se ci possa essere una democrazia senza valori (questione cara a San Giovanni Paolo II) e se una legge contraria al diritto naturale sia davvero una legge o sia invece una sua tragica caricatura (questione da sempre centrale nella riflessione sul rapporto fra diritto naturale e diritto positivo).[4] Quindi, sia da una prospettiva etica che giuridica, la sentenza Dobbs non e’ certo soddisfacente. Ma, nonostante cio’, sarebbe errato negarne la portata storica di passo fondamentale nella giusta direzione, per aver gettato Roe v Wade nel pattume cui da sempre appartiene (assieme al delirio di un preteso “diritto costituzionale” all’aborto), e per le misure pro-vita in vari stati dell’Unione che, gia’ adesso, si stanno adottando a seguito della sentenza Dobbs.
- Restrizione giudiziaria. I membri della Corte Suprema americana sono nove. Nel caso Dobbs, cinque hanno votato a favore e tre contro. Il nono giudice, cioe’ il presidente Roberts, si e’ ancora una volta distinto nel dare un colpo al cerchio ed uno alla botte: come i suoi cinque colleghi della maggioranza (e quindi la sua non e’ un’opinione dissidente), ha sostenuto la costituzionalita’ della legge del Mississippi all’origine del caso Dobbs ma, differentemente da loro, non ha ritenuto fosse necessario a questo fine ribaltare Roe v Wade. Giustificando la sua posizione, il presidente Roberts si e’ appellato, nella sua opinione, al “semplice ma fondamentale principio di restrizione giudiziaria: se non e’ necessario andare oltre nella decisione di un caso, allora non bisogna andare oltre”.[5]Ora, nessuno dubita che il principio di restrizione giudiziaria abbia storicamente svolto un ruolo importante nella giurisprudenza della Corte, anche se e’ stato a volte utilizzato come foglia di fico.[6] E non e’ nemmeno necessario valutare qui se, nel caso in questione, la posizione del presidente Roberts abbia qualche plausibilita’ giuridica: il giudice Alito, redattore dell’opinione di maggioranza nella sentenza Dobbs, ha risposto a Roberts da par suo su questo punto.[7] Piuttosto, la questione e’ se e come il principio di restrizione giudiziaria trovi applicazione di fronte a precedenti giudiziari in contrasto col diritto naturale. Ancora una volta, una questione con importanti risvolti sia giuridici che etici.
- Connessione dei peccati. Nella loro opinione dissidente, i tre giudici pro-Roe hanno scritto che, “in maniera del tutto evidente, il diritto di porre fine ad una gravidanza e’ derivato direttamente dal diritto di acquistare ed usare contraccettivi” (casi Griswold del 1965 ed Eisenstadt del 1972), e a loro volta quei diritti “hanno condotto, piu’ di recente, a diritti d’intimita’ e matrimonio omosessuale” (casi Lawrence del 2003 e Obergefell del 2015).[8] Di nuovo, non e’ qui il caso di discutere la relazione fra questi casi e l’impatto che la decisione Dobbs potra’ o non potra’ avere su quei (falsamente conclamati) “diritti”. Tali questioni sono ampiamente considerate nell’opinione della Corte, in quella del giudice Kavanaugh, ed in quella del giudice Thomas.[9] Piu’ limitatamente, non si puo’ fare a meno qui di rilevare come esista una connessione dei peccati, a partire da quella fra contraccezione e aborto che, lungi dall’escludersi reciprocamente secondo lo slogan menzognero “piu’ contraccezione e meno aborto”, si sostengono ed alimentano a vicenda, come drammaticamente accertato in diritto statunitense.
In definitiva, non resta che auspicare che, anche a livello internazionale, la conoscenza della sentenza Dobbs metta in moto misure concrete di protezione della vita pre-natale sin dal concepimento, come sta gia’ avvenendo in vari stati degli USA, e comporti sia una riflessione approfondita sul rapporto fra diritto positivo e diritto naturale che salvaguardi i diritti fondamentali di tutti (nati e non ancora nati), sia il rigetto d’immaginari “diritti” che, invece di essere fondati sulla natura dell’uomo, non sono altro che il frutto della volonta’ di sopraffazione.
[1] La tragica ironia e’ che il diabolus ex machina di Roe v Wade era stato il “cattolico” giudice Brennan (una preghiera per la sua povera anima), nominato nel 1956 dal presidente repubblicano Eisenhower in seguito anche all’insistenza con la quale il Cardinal Spellman (a quel tempo arcivescovo di New York e prelato piu’ influente d’America) aveva chiesto la nomina di un giudice cattolico, dato che non ce ne era stato piu’ nessuno alla Corte Suprema dopo la morte di Frank Murphy nel 1949. Come spesso accade, l’amministrazione capi’ fischi per fiaschi e procedette alla nomina di un giudice che non poteva certo soddisfare il cardinale. (Si veda J. Cooney, The American Pope. The Life and Times of Francis Cardinal Spellman (1984), pp. 237-238).
[2] Tutti e cinque questi giudici sono cattolici, eccetto che Gorsuch, cresciuto cattolico, da anni frequenta una comunita’ episcopale. Il presidente della Corte, Roberts, e’ anche lui cattolico, come lo e’ la giudice pro-Roe Sotomayor, mentre gli altri due giudici che hanno votato contro la sentenza Dobbs (Breyer e la Kagan) sono ebrei.
[3] Il testo della sentenza e’ disponibile al sito della Corte: https://www.supremecourt.gov/opinions/21pdf/19-1392_6j37.pdf.
[4] La questione emerse, in modo quasi drammatico, durante le domande e risposte seguite ad una conferenza data alla Gregoriana, nel 1996, dal giudice Antonin Scalia (pilastro dei conservatori alla Corte Suprema dalla fine degli anni ’80 alla sua morte nel 2016): http://robertaconnor.blogspot.com/2016/03/justice-scalia-at-gregorian-university.html.
[5] Pagina 2 dell’opinione del presidente Roberts.
[6] Nella sua opinione nel caso del 2007 Federal Election Commission v. Wisconsin Right to Life, Inc., il giudice Scalia aveva criticato un falso concetto di restrizione giudiziaria che equivale in realta’ a “offuscamento giudiziario”.
[7] Pagine 72-77 dell’opinione della Corte.
[8] Pagine 4-5 dell’opinione dissidente.
[9] Pagine 37-39 dell’opinione della Corte, pagine 2-3 dell’opinione del giudice Thomas, e pagina 10 dell’opinione del giudice Kavanaugh. In particolare, nella sua opinione il giudice Thomas, vero decano della maggioranza conservatrice alla Corte, auspica che venga rivisitato il concetto di giusto processo sostanziale (substantive due process) con conseguenze per i casi all’origine di quei nuovi “diritti” (si fa per dire) derivati da giudizi meramente politici, senza alcun fondamento nella costituzione americana.
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Mi permetto di rilevare una contraddizione, almeno nei termini, quando si afferma che un presidente/giudice è pro-vita quando nello stesso momento è pro-pena-di-morte.
Saluti.
Grazie per il Suo commento, caro Giovanni. L’aborto e’ un male morale intrinseco, mentre la pena di morte non lo e’. (Anche nella nuova redazione del paragrafo 2267 del Catechismo sulla pena di morte, si parla di inammissibilita’ dell’irrogazione della pena di morte, ma non che questa sia un male morale intrinseco). Le due fattispecie di aborto e pena di morte sono quindi fra loro differenti, e l’appellativo “pro-vita”, per essere usato in un modo che non sia talmente generico da non significare piu’ nulla, dovrebbe a mio avviso essere riservato a chi rigetta i mali morali intrinseci contro la vita umana innocente, quali aborto, eutanasia o genocidio. Un augurio a Lei ed agli altri lettori per la festa liturgica dei Santi Pietro e Paolo!
Grazie anche a lei Maurizio per la replica.
Moralmente parlando non riuscirei ne ha consigliare un aborto ne ha condannare a morte nessuno…non capisco come le due cose si possano conciliare dato che si tratta di sopprimere la vita in ambedue i casi, ma evidentemente chi ricopre certe posizioni di potere riesce a trovare un compromesso interiore.
Vengono soppresse due vite, ma nel caso della pena di morte la vita viene soppressa perche’ giudicata colpevole di un crimine efferato, mentre nel caso dell’aborto la vita soppressa e’ innocente e viene uccisa proprio perche’ esiste. Davvero non vede la differenza?
https://fathermsuhy.com/
another canceled priest! They are ushering in foreign priests who do whatever they want them to do (the usccb), and canceling out all the good priests!