VANGELO DI DOMENICA 8 MAGGIO
TEMPO DI PASQUA
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Commento
Sentivo il bisogno di un pò di dolcezza dopo la lunga polemica nella sinagoga di Cafarnao tra Gesù e i capi dei Giudei. Il contesto odierno rimane sempre uno scontro, quello avvenuto a Gerusalemme durante la festa delle luci, festa nella quale i Giudei ricordavano la riconsacrazione del tempio nel 165 a.C. Ma nell’ambito di questo scontro Gesù ha modo di dire con forza la solidità del legame che intrattiene con i suoi amici. Il loro rapporto non é fondato su una dottrina ma su un’attrazione affettiva. Non c’è modo di credere in Gesù senza volergli bene poiché il contenuto della fede in Lui e nel Padre é precisamente la relazione di amore. Aderire a questo amore senza amare é impossibile. Chi crede ama e per sapere se credi in Gesù devi chiederti se lo ami. Chi ama qualcuno sa che ad accendere il cuore, prima ancora che i contenuti delle parole, é il loro suono, il loro timbro, l’inflessione peculiare della voce, il ritmo, il calore, le pause di silenzio, gli accenti o la loro assenza. La voce é una delle forme con le quali la singolarità della persona si manifesta e si fa conoscere a chi la ama. Pensiamo per un istante a cosa succede quando immersi in una città straniera veniamo raggiunti dal suono familiare della lingua della nostra terra: subito con gli occhi andiamo in cerca della sua provenienza. Se l’inflessione dialettale produce una cosa del genere, immaginiamo quale potenza può avere la voce della madre per il suo bimbo, dell’amato per la sua amata, del Signore per il suo discepolo. C’è una musica nella voce di Gesù, un sussurro che coglie chi gli vuole bene, una sorta di richiamo ad alzarsi e a seguirlo, un invito rivolto a ciascuno in modo particolare, del tutto particolare, decifrabile soltanto da colui a cui é rivolto. Il brano evangelico della liturgia odierna riporta soltanto un parte del discorso di Gesù. Poco prima Gesù aveva detto che il pastore chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Le conduce fuori da cosa? Fuori dal proprio egoismo, dalle paure, dalla superbia, dalla tentazione della violenza, dell’avidità, dell’incredulità. Non appena il discepolo sente le parole del Signore, prima ancora che si accendano concetti nella sua testa si muovono forze nel suo petto. Il discepolo non segue il Signore perché aderisce ad un elenco di ideali ma perché é Lui a guidarlo, perché sa bene che Gesù ha dato la vita per lui. Il Signore a sua volta non chiama i discepoli perché sono sempre all’altezza del suo amore ma perché li ha scelti, perché li ama così, perché hanno quella voce lì, quei volti lì, quella storia lì. I capi dei Giudei, i padroni del mondo, i potenti della storia devono sapere che non riusciranno a strappare i discepoli dall’abbraccio del Signore. Nessuno riuscirà a separarli. Non c’è modo di portare il Signore a stancarsi di loro né modo di spingerlo ad esserne deluso. Se lo mettano bene in testa coloro che cercano di convincere i discepoli che l’amore di Dio non esiste e che, se c’è, non basta alla vita. Gesù e il Padre agiscono come UNO in ogni cosa, compresa questa. Il Padre e il Figlio impegnano sé stessi nel custodire la vita per sempre dei discepoli. La morte farà il suo mestiere. Ma non cambierà di una virgola il destino dei discepoli e di tutti coloro che vorranno lasciarsi condurre nei pascoli verdi della vita.
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