Kwasniewski. La Vera Obbedienza nella Chiesa. (Non contro il Bene Comune…).

23 Marzo 2022 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mi sembra interessante offrire alla vostra attenzione, nella traduzione di Vincenzo Fedele, che ringraziamo di cuore per il lavoro e la cortesia, questo articolo di Maike Hickson apparso su Life Site News. Buona lettura.

§§§

 

Riflessioni su un nuovo libro di Kwasniewski – Esperto liturgista mostra come i cattolici non debbano obbedire ai decreti papali che attaccano il bene comune della Chiesa

Poiché l’attacco al rito tradizionale va contro il bene comune della Chiesa, non si deve obbedire.

LifeSiteNews – lun 14 marzo 2022 

Il Dr. Peter Kwasniewski, in un nuovo opuscolo dal titolo True Obedience in the Church (pubblicato da Sophia Press), [La vera obbedienza nella Chiesa – Sottotitolo: Una guida al discernimento in questi tempi sfidanti – Purtroppo il libro non è ancora tradotto in lingua italiana – NdT] presenta le basi e i limiti dell’obbedienza alle autorità della Chiesa e chiarisce che la Chiesa non ha il diritto di fare sparire la Messa cattolica tradizionale ed i libri liturgici associati. Le autorità ecclesiastiche non possono sospendere o punire un sacerdote per la semplice adesione alla Messa tradizionale. Questo liturgista e filosofo si spinge a dire che tali pene sarebbero “nulle e invalide” e, quindi, tali sacerdoti “possono continuare ad amministrare i sacramenti come prima”.

Nella prima parte del suo piccolo libro, il Dr. Kwasniewski evidenzia le basi e l’importanza dell’obbedienza, sia alla Chiesa che allo Stato, poiché entrambe queste autorità ci sono state date da Dio e in quanto l’obbedienza ad esse serve al bene comune. 

Quando obbediamo alle nostre autorità, in definitiva, obbediamo a Dio. 

L’oggetto di tale obbedienza è chiaro. «L’autorità è generata da questo: nasce per servire e promuovere il bene comune di molti», scrive l’autore. Ma allo stesso tempo, il concetto stesso di bene comune limita anche questa autorità. Il potere dell’autorità di vincolare le persone “risiede nel bene comune, quindi se l’autorità schiera apertamente il suo pronunciamento contro il bene comune, allora quel comando manca intrinsecamente del potere di legame morale”.

Questo principio è spiegato come principio naturale anche nel catechismo per i bambini. Tutti insegniamo ai nostri figli che devono obbedire a noi, ai loro genitori, a meno che non diciamo loro di andare a casa del vicino per rubare qualcosa. I nostri ordini sono nulli e non validi se ordiniamo ai nostri figli di peccare e di andare contro il bene comune.

Qual è allora questo bene comune all’interno della Chiesa? 

E’, come spiega Kwasniewski, «la vita di Gesù Cristo, suo Capo sovrano, la grazia sovrabbondante della sua anima divinizzata, condivisa con le sue membra mediante l’illuminazione dell’intelletto, tramite la rivelazione, e l’ardore del cuore mediante la carità soprannaturale del suo Cuore  nonchè la divinizzazione delle anime mediante la vita sacramentale e la preghiera”. 

L’ultima parte, la preghiera, è principalmente “il culto solenne, formale e pubblico, che noi chiamiamo sacra liturgia”.

Ed è proprio quest’ultimo punto che vogliamo approfondire, perché il libro del dottor Kwasniewski è chiaramente scritto in risposta al documento pontificio Traditionis Custodes del luglio scorso che mira a far estinguere una volta per tutte la forma tradizionale della liturgia. 

Papa Francesco ha poi affermato che i libri liturgici del Novus Ordo, il nuovo ordinario della Messa, “sono l’unica espressione della lex orandi del rito romano”, dichiarando così obsoleto il rito tradizionale che si è sviluppato nei secoli.

Per il dottor Kwasniewski, è chiaro che l’atteggiamento espresso in questo documento è “un punto di vista profondamente non cattolico, anzi anticattolico”. Continua dicendo:

Poiché la liturgia è veramente la “fonte e il culmine della vita cristiana”, la casa della rivelazione divina e l’agente primo della nostra trasformazione in Cristo, ne consegue che abolire, vietare o comunque operare contro il venerabile rito romano che era ricevuto con umiltà, amato con gratitudine e generosamente lodato per secoli, dopo secoli di crescita ininterrotta, è l’attacco più noto e dannoso al bene comune possibile o immaginabile.

E quindi torniamo alla questione dell’obbedienza. 

Poiché questo attacco al rito tradizionale è contrario al bene comune della Chiesa, non dovrebbe essere oggetto di obbedienza. 

Qui il dottor Kwasniewski cita la Fraternità San Pio X che ribadisce che la Messa tradizionale «appartiene alla parte più intima del bene comune nella Chiesa». Limitarlo, continua la dichiarazione, “non può avere legittimità”.

«Questa legge, non è una legge della Chiesa, perché, come dice san Tommaso, una legge contro il bene comune non è una legge valida».

Basandosi su numerose autorevoli dichiarazioni di teologi e uomini di chiesa, il dott. Kwasniewski illumina sul dovere di qualsiasi pontefice romano di preservare la liturgia della Chiesa e di non alterarla drasticamente. Ad esempio, Francisco Suárez, SJ, ci ha detto che «se il Papa impartisce un ordine contrario alle giuste consuetudini, non bisogna obbedirgli», aggiungendo che «sarebbe lecito resistergli», se il Papa ordinasse qualcosa che va contro la giustizia o il bene comune. Il dottor Kwasniewski va ancora oltre dicendo che “siamo obbligati a rifiutare [ordini ingiusti] per l’amore che nutriamo per Nostro Signore”.

Ed è qui che il dottor Kwasniewski insiste affinché quei sacerdoti sospesi – o addirittura scomunicati o laicizzati – per aver rifiutato di abbandonare il rito tradizionale possano continuare il loro ministero. 

Scrive che “qualsiasi pena o punizione inflitta per ‘disobbedienza’ ai rivoluzionari sarebbe illecita. Se una pena è comminata in base a false premesse teologiche o canoniche, è nulla, così come il processo canonico e la scomunica di Giovanna d’Arco furono riconosciuti più tardi come illegittimi”. “Il sacerdote può continuare ad amministrare i sacramenti come prima; le sue facoltà rimangono intatte”, afferma l’autore. 

Il dottor Kwasniewski insiste inoltre sul fatto che viviamo in tempi straordinari, in uno stato di emergenza, “quando l’autorità ecclesiastica, con il suo assalto alla tradizione liturgica e teologica, si è orientata contro il bene comune della Chiesa”. L’autore sottolinea anche che il vescovo Atanasio, sebbene a un certo punto scomunicato, “non ha esitato a portare avanti comunque le proprie opere”.

Questi pochi esempi delle argomentazioni e delle citazioni dell’opera potrebbero dare ai nostri lettori una sufficiente idea del suo valore. Questo piccolo libro è un tesoro per i tradizionalisti cattolici. Ci fornisce tutti gli argomenti necessari per avere una coscienza ben formata in queste aspetti di estrema attualità, per il bene e la salvezza delle anime.

Ricordiamo anche che la stessa linea di argomentazione, così come presentata in questo libro, può essere applicata – ed è stata applicata – al caso dell’arcivescovo Marcel Lefebvre. Ai tempi in cui la Messa di tutti i secoli fu effettivamente cancellata (chiedete ai cattolici che vissero quel tempo), Lefebvre resistette per preservare quel grande tesoro della Chiesa, in definitiva per tutti noi che ora, in numero crescente, possiamo godere di questa bellissima liturgia che ci conduce a Dio ed alla sua adorazione.

Potrebbe anche valere la pena ricordare ai nostri lettori l’intervista di LifeSite dell’ottobre 2021 al noto autore tedesco e difensore della Messa tradizionale, Martin Mosebach, che ha argomentato in merito, sulla falsariga del dottor Kwasniewski. Ha ipotizzato che coloro che amano l’Antico Rito potrebbero benissimo dover vivere per un breve periodo di tempo in uno stato di “legittima illegalità”.

Il vescovo Athanasius Schneider ha approvato il nuovo libro del dottor Kwasniewski, affermando che “offre un chiarimento teologico prezioso e tempestivo sul significato autentico dell’obbedienza”. Ha aggiunto che questa pubblicazione “porterà pace di coscienza a molte anime perplesse e confermerà la loro fedeltà alla perenne tradizione dottrinale e liturgica della Santa Madre Chiesa”.

Il libro del Dr. Peter Kwasniewski True Obedience in the Church: A Guide to Discernment in Challenging Times è appena uscito ed è disponibile su Amazon e può essere acquistato in formato tascabile o in formato e-book. Su questo sito i sacerdoti possono ordinarne una copia gratuita, grazie ad un generoso benefattore. [Come detto prima il libro, purtroppo non è ancora disponibile nell’edizione in lingua italiana. Speriamo in una disponibilità a breve e ad una analoga iniziativa di distribuzione gratuita ai nostri sacerdoti – NdT].

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26 commenti

  • alessandro ds ha detto:

    – Documento della S.Congregazione del S.Ufficio 3 Luglio 1907 –
    Scritto su esplicita richiesta di Papa Pio X con la sua approvazione e supervisione concernente il decreto ex cathedra Lamentabili sane exitu sugli errori dei modernisti e la loro condanna: traduzione italiana di Mons.Germano Straniero.

    TESI 6 riguardante la chiesa discente (fedeli e chierici) e la chiesa docente (i vescovi):
    Nella Tesi qui condannata, la scienza umana, e perciò fallibile, pretende di essere duce e padrona anche del Magistero della Chiesa in materia di fede.
    Si vorrebbe dunque che non la Chiesa insegnate sia la Magistra fidei, ma la discente, come insegna appunto il PROTESTANTESIMO: e cioè, quei fedeli che dovrebbero essere insegnati da essa, pretendono di farla da maestri su la medesima.[…].
    Si vede immediatamente che questa pretesa non farebbe che capovolgere totalmente l’ordine stabilito da Dio nella sua Chiesa. Come è possibile dunque escogitare che non sia più la Chiesa insegnante, che deve ufficialmente insegnare soprattutto in materia di fede, ma che siano i semplici fedeli che debbano imporre le idee universalmente ricevute, o le nuove viste ammesse nel mondo della moderna scienza?
    E notisi che qui non si tratta si parla di di teorie nel semplice campo della scienza umana; ma si va assai più oltre pretendendosi farla da dottori anche i materia di cristiana credenza,
    Queste sono ABERRAZIONI che neppure varrebbe la pena di confutare. – Cristo ha detto soltanto agli Apostoli ed ai loro legittimi successori : “andate in tutto il mondo ed insegnate a tutte le genti tutto ciò, che io vi ho comandato” e ancora “chi ascolta voi , ascolta me”, di modo che S.Paolo chiama gli Apostoli “ambasciatori di Cristo” ed agli Efesi ripete “facenti funzioni legali di Cristo”
    E’ dunque manifestamente Eretica questa tesi condannata che tenderebbe a sconvolgere dai suoi più intimi fondamenti la divina costituzione della Chiesa.

    • DePicchi ha detto:

      Repetita juvant.
      Niente di quanto ho scritto, né di quanto afferma Kwasniewski, contraddice questo insegnamento.
      Al massimo, il suo citarlo a sproposito dimostra che l’insegnamento (corretto) del Concilio è stato travisato per fare della Chiesa un “totalitarismo del Papa”.
      Il Papa ha il primato su tutti i vescovi, e la potestà suprema di insegnare a tutti i battezzati. Ma non è né mai può essere un “monarca assoluto”, come ebbe a rimarcare il card. Ratzinger.

      E qui aggiungo:
      Dire che la “Ecclesia Docta”, in determinati momenti e contesti storici, può essere più fedele alla regula fidei di quanto non lo sia la “Ecclesia Docens” non significa affermare che la Ecclesia Docens diventi Docta, e viceversa.
      No. Significa affermare che una volta istruito e informato dal senso della fede, il popolo cristiano è legittimato – talvolta obbligato – a resistere a chi quell’insegnamento, fino al giorno prima affermato e difeso, ora lo getta alle ortiche, o peggio.

      L’ultramontanismo del tardo ottocento/prima metà novecento poteva andar bene finché Papi e Vescovi facevano, chi meglio chi peggio, il loro lavoro. Oggi sono spesso latitanti o impegnati in “altro”. Continuano a essere Papi e Vescovi, pastori legittimi, ma non siamo affatto obbligati a seguirli verso pascoli maleodoranti o nocivi (anzi!).

      • alessandro ds ha detto:

        Come no, kwasniewski ha la pretesa di voler insegnare lui agli. Ultimo 5 Papi e agli ultimi 2 Concili quale è il vero “bene comune per la Chiesa” Andando contro la loro idea di bene comune.. Kwasniewski rientra perfettamente nelle persone per il quale il Santo Papa Pio X ha fatto erigere quel documento.
        Kwasniewski è meglio che faccia il suo lavoro e che non cerchi di creare zizzania nella Chiesa, che di problemi già ne abbiamo tanti.

  • Angelo Simoni ha detto:

    Le idee del dott. Kwasniewski mi sembrano più vicine al modo di pensare dei protestanti piuttosto che a quello cui siamo tenuti noi cattolici.

    • DePicchi ha detto:

      Tenuti? No.
      Abituati? Sì. Soprattutto dopo che sulla scia del Concilio Vaticano I (primo, N.B.) si è diffusa tra i cattolici una idea del Papa come di un oracolo che parla su tutto, sempre infallibile-o-poco-ci-manca.

      Non che non si debba rispetto, per carità.
      Ma la Chiesa Cattolica, la Chiesa di Cristo, non è e non può essere la chiesa del leader carismatico come un italia mussoliniana o una germania hitleriana. Non è una società che si riplasma sul governante di turno. La Chiesa è di Cristo. E se il papa, qualsiasi papa, fa “el líder”, manca al suo dovere, quello di essere servo dei servi di Dio.

      • alessandro ds ha detto:

        Non è così, nella chiesa cattolica (unica chiesa creata da Dio e non da mani d’uomo) la missione dell’insegnamento nella Chiesa è prerogativa dei Vescovi (chiesa docente) e i fedeli e sacerdoti sono coloro che devono imparare (chiesa discente).
        Il Papa è il docente dei docenti, non ha solo un primato di rispetto, ma egli ha il Primato di autorità anche a livello giuridico.
        Lei rinnegando il Primato del Romano Pontefice, sicuramente non è cattolico. Sarà di qualche altra setta.
        Ciò trova corrispondenza anche nel Vangelo, infatti Gesù mando nel mondo gli Apostoli per insegnare.
        Quando la chiesa discente pretende di voler influenzare la chiesa docente o di correggerla, ci troviamo davanti a una della prerogative dei Protestanti.
        Un Laico n

        • DePicchi ha detto:

          Caro Alessandro, non so a che titolo dispensa patenti di cattolicità o meno: come dice – e giustamente! – l’autorità per simili determinazioni è solo quella dei legittimi pastori.

          Se la rassicura, io mi professo cattolico e romano. Riconosco tanto il primato di Pietro (che a dire il vero è più categoria di giurisdizione ecclesiastica), quanto (ciò a cui probabilmente si riferiva lei) la sua piena e suprema potestà (che invece appartiene anche al Collegio Apostolico – di cui il papa è parte ineliminabile).

          Faccia uno sforzo per comprendere la complessità del reale.
          Purtroppo, “quando la chiesa discente pretende di voler influenzare la chiesa docente o di correggerla”, non necessariamente si tratta di sentimenti cripto-protestanti, ma può essere la manifestazione di quel sensus fidelium di cui ha parlato la Commissione Teologica Internazionale nel 2014, per cui:
          “Il sensus fidei fidelis consente anche a ogni credente di percepire una disarmonia, un’incoerenza o una contraddizione fra un insegnamento o una prassi e la fede cristiana autentica di cui vive […] Avvertiti dal proprio sensus fidei, i singoli credenti possono giungere a rifiutare l’assenso a un insegnamento dei propri legittimi pastori se non riconoscono in tale insegnamento la voce di Cristo, il buon Pastore. «Le pecore lo seguono [il buon Pastore] perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei» (Gv 10,4-5). Per san Tommaso un credente, anche privo di competenza teologica, può e anzi deve resistere in virtù del sensus fidei al suo vescovo se questo predica cose eterodosse” (https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html nn. 61-63)

          Ancora sulla sua critica di filo-protestantesimo, deve sapere Newman ha parlato di una “sospensione della ecclesia docens” rispetto a un periodo di conclamata crisi, come quello in cui nella Chiesa serpeggiava, anche sulle cattedre episcopali, l’eresia ariana.
          Il Santo cardinale arrivò a dire che, in questo periodo, “il divino dogma della divinità di Nostro Signore fu proclamato, inculcato, mantenuto e (umanamente parlando) preservato molto più dalla Ecclesia docta [la Chiesa “insegnata”] che dalla Ecclesia docens [la Chiesa “insegnante”]” e che “il corpo dell’episcopato fu infedele al suo incarico, mentre il corpo del laicato fu fedele al suo Battesimo”.
          Anche lui membro, come me, di qualche setta?
          Questo punto, come molti altri, li troverà – se vorrà approfondire senza spirito polemico – nel libro del Prof. Kwasniewski.

          Questo è l’insegnamento cattolico, non uno pseudo-totalitarismo in salsa clericale.

      • Alessandro ds ha detto:

        Costituzione dogmatica “Pastor Aeternus” Ex cattedra.
        Art. 3 – Dunque se qualcuno affermerà che il Romano Pontefice ha semplicemente un compito ispettivo o direttivo, e non il pieno e supremo potere di giurisdizione su tutta la Chiesa, non solo per quanto riguarda la fede e i costumi, ma anche per ciò che concerne la disciplina e il governo della Chiesa diffusa su tutta la terra; o che è investito soltanto del ruolo principale e non di tutta la pienezza di questo supremo potere; o che questo suo potere non è ordinario e diretto sia su tutte e singole le Chiese, sia su tutti e su ciascun fedele e pastore: sia anatema.

        • DePicchi ha detto:

          Niente di quanto ho scritto, né di quanto afferma Kwasniewski, contraddice questo insegnamento.
          Al massimo, il suo citarlo a sproposito dimostra che l’insegnamento (corretto) del Concilio è stato travisato per fare della Chiesa un “totalitarismo del Papa”.
          Il Papa ha il primato su tutti i vescovi, e la potestà suprema di insegnare a tutti i battezzati. Ma non è né mai può essere un “monarca assoluto”, come ebbe a rimarcare il card. Ratzinger.

  • daouda ha detto:

    Il professore sorvola su questioni che non permettono un corretto inquadramento della questione:

    a) il rito del 62 stesso è una manipolazione del rito romano com anche nel sito New Liturgical Movement si sotiene sovente. Ugualmente si ammetterà che l’andazzo sovversivo della liturgia è iniziato almeno con Pio X riguardo il breviario romano.

    b) è proprio dell’autorità sorvegliare ed imporre rituali a vantaggio dei fedeli. Al tempo di Pio V utilizzare un messale romano anteriore sarebbe stato atto di per sè stesso di scisma dopo la sua riforma. O no? Se dunque l’autorità cura e fa progredire riformando il rito la preghiera ecclesiale, ciò lo fa per garantire l’unità dell’ecumene nella lode a DIO e dunque agisce in piena legittimità punendo gli abusi e favorendone lo sviluppo. Ciò è il senso del riformare. Il discrimine allora appunto nell’atto giuridico è la fedeltà all’intangibilità liturgica e la custodia del deposito cultuale apostolico ( cosa non aventesi con il novu ordo difatti ) ma il fatto che Francesco abbia dichiarato secondo l’articolo 1 ed 8 di TC che la sola lex orandi della Chiesa è il novus ordo deriva intrinsecamente e direttamente dalle statuizioni che abrogano le leggi precedenti in campo liturgico di Paolo VI per quanto riguarda la divina liturgia ed il divino ufficio. Parlare di lex orandi del novus ordo è questione giuridica, non liturgica! Perché svegliarsi ora? Perché perdersi nel credere e considerare un indulto concessivo e derogativo come preghiera pubblica, solenne ed ufficiale della Chiesa quando per definizione non può esserlo?

    Giocare sporco non fa onore a nessuno. L’articolo è di fatto condividisibile e meritorio, ma tali asserzioni sono ancora pregne di vane incrostazioni…

    • DePicchi ha detto:

      Caro Daouda,

      circa il punto a), sa bene che il professore e, in generale, il movimento liturgico più sano, non sorvolano affatto ma, anzi, sono ben consci delle deformazioni subite dal rito romano, tanto nella Messa quanto nell’Ufficio Divino, nel corso del ‘900 (e, volendo, anche prima).
      Il Kwasniewski ci ha fatto, tra l’altro, una conferenza: http://blog.messainlatino.it/2021/06/i-cambiamenti-liturgici-nel-xx-secolo.html
      Verrà il tempo di una restaurazione, attenta e autentica; devota e non ideologica.

      Il punto b) mi è poco chiaro, nella tesi che vuole esprimere. Ad ogni modo, quanto dice sulla “riforma” di Pio V da un lato è semplicistico: sulla carta, amplissima era la possibilità di avvalersi delle tradizioni liturgiche proprie di ogni chiesa particolare; e i baluardi a che il rito romano non fosse generalizzato erano, teoricamente, solidi (un singolo vescovo non aveva, da sé solo, il potere di imporre nella sua diocesi il messale di Pio V) – ciò che è stato in pratica, sotto la spinta (malaugurata?) di un incalzante protestantesimo e di una Roma vista, a quel punto, come vessillo d’unità, ha portato a un triste impoverimento della legittima varietà liturgica nella chiesa latina.
      Dall’altro lato, mi pare che attribuisca troppa importanza alle uscite sconclusionate del pontefice regnante/dei suoi corifei liturgiticanti: la questione è grave, ma non è seria. La formula “lex orandi” non ha mai avuto uno statuto propriamente giuridico nella vita della Chiesa. Più teologico, in realtà, tant’è che non “statuit legem canonicam”… ma la “legem credendi”! Vero che la Chiesa latina ha sempre inclinato verso il giuridicismo, ma non è lecito trasporre indebitamente categorie teologiche in campo canonistico (come ha tentato di fare, con operazione tanto sciocca quanto, in definitiva, inutile, l’ultimo – si fa per dire – motu proprio).

      • daouda ha detto:

        Prima di tutto complimenti per le altre risposte.

        Sò bene che non sorvolano affatto, ma l’attegiamento avutosi con Benedetto XVI riguardo la SP mi ha destato molta preoccupazione per l superficialità con cui si è accettata l’idiozia della possibilità di una scuola liturgica di avere due riti paralleli ed avulsi uno all’altro, cosa peggiore in sè rispetto alle derive di Francesco.
        Ma quel che volevo sottolineare, indipendentemente la manipolazione del rito del 62 e l’invenzione incresciosa del rito del 69, è la problematica giuridica.
        Giustamente mi fa notare che la locuzione in oggetto inerisce la Fede ma proprio in quanto espressa in un atto legale e canonico assume un suo proprio statuto correlato.
        Ora un indulto non può essere preghiera pubblica ed ufficiale e solenne della Chiesa di riferimento, in termini del tutto giuridici appunto, e tal cosa, stanti alla MR e LC di Paolo VI ( rispettivamente sulla messa e sul breviario ) era dunque vigente dal 69 in quanto tali costituzioni erano abrogative di tutto qul che era statuito precedentemente.
        Lo stesso Pio V ha bandito tutti i messali in uso precedenti al suo riguardo il rito romano da lui emendato e tutti i messali con meno di duecento anni come sappiamo. Ma l’imposizione di una riforma non può aversi senza “sentenza” canonica, è forse qui che considera la cosa troppo alla leggera perché è allora evidente che la locuzione di cui parliamo ha sempre vissuto grazie alla forza della sacra potestas.
        Che ciò sia fatto riformando o sovvertendo, sempre di atto d’autorità giurisdizionale si parla: come non è mai stato abrogato alcun messale precedente Pio V, così non è abrogato alcun messale del 62 o precedente, perché s abrogano le leggi e le costituzioni, non i messali in sè.

        Il punto b) mi è poco chiaro, nella tesi che vuole esprimere. Ad ogni modo, quanto dice sulla “riforma” di Pio V da un lato è semplicistico: sulla carta, amplissima era la possibilità di avvalersi delle tradizioni liturgiche proprie di ogni chiesa particolare; e i baluardi a che il rito romano non fosse generalizzato erano, teoricamente, solidi (un singolo vescovo non aveva, da sé solo, il potere di imporre nella sua diocesi il messale di Pio V) – ciò che è stato in pratica, sotto la spinta (malaugurata?) di un incalzante protestantesimo e di una Roma vista, a quel punto, come vessillo d’unità, ha portato a un triste impoverimento della legittima varietà liturgica nella chiesa latina.
        Dall’altro lato, mi pare che attribuisca troppa importanza alle uscite sconclusionate del pontefice regnante/dei suoi corifei liturgiticanti: la questione è grave, ma non è seria. La formula “lex orandi” non ha mai avuto uno statuto propriamente giuridico nella vita della Chiesa. Più teologico, in realtà, tant’è che non “statuit legem canonicam”… ma la “legem credendi”! Vero che la Chiesa latina ha sempre inclinato verso il giuridicismo, ma non è lecito trasporre indebitamente categorie teologiche in campo canonistico (come ha tentato di fare, con operazione tanto sciocca quanto, in definitiva, inutile, l’ultimo – si fa per dire – motu proprio).

      • daouda ha detto:

        Prima di tutto complimenti per le altre risposte.

        Sò bene che non sorvolano affatto, ma l’attegiamento avutosi con Benedetto XVI riguardo la SP mi ha destato molta preoccupazione per l superficialità con cui si è accettata l’idiozia della possibilità di una scuola liturgica di avere due riti paralleli ed avulsi uno all’altro, cosa peggiore in sè rispetto alle derive di Francesco.
        Ma quel che volevo sottolineare, indipendentemente la manipolazione del rito del 62 e l’invenzione incresciosa del rito del 69, è la problematica giuridica.
        Giustamente mi fa notare che la locuzione in oggetto inerisce la Fede ma proprio in quanto espressa in un atto legale e canonico assume un suo proprio statuto correlato.
        Ora un indulto non può essere preghiera pubblica ed ufficiale e solenne della Chiesa di riferimento, in termini del tutto giuridici appunto, e tal cosa, stanti alla MR e LC di Paolo VI ( rispettivamente sulla messa e sul breviario ) era dunque vigente dal 69 in quanto tali costituzioni erano abrogative di tutto qul che era statuito precedentemente.
        Lo stesso Pio V ha bandito tutti i messali in uso precedenti al suo riguardo il rito romano da lui emendato e tutti i messali con meno di duecento anni come sappiamo. Ma l’imposizione di una riforma non può aversi senza “sentenza” canonica, è forse qui che considera la cosa troppo alla leggera perché è allora evidente che la locuzione di cui parliamo ha sempre vissuto grazie alla forza della sacra potestas.
        Che ciò sia fatto riformando o sovvertendo, sempre di atto d’autorità giurisdizionale si parla: come non è mai stato abrogato alcun messale precedente Pio V, così non è abrogato alcun messale del 62 o precedente, perché s abrogano le leggi e le costituzioni, non i messali in sè.

        Buona giornata

        p.s. ho scritto un doppione con un copia incolla, se si potesse cancellare, grazie

        • DePicchi ha detto:

          Lei è sempre un interlocutore interessante (ci siamo già incontrati: talvolta su queste pagine commento utilizzando il mio nome reale, altre sotto questo pseudonimo).

          Condivido che sia una “idiozia” la “possibilità di una scuola liturgica di avere due riti paralleli ed avulsi uno all’altro”… tuttavia mi fermo prima di parlare di ciò come qualcosa di “peggiore in sè rispetto alle derive di Francesco”.
          Senz’altro, dal punto di vista della coerenza sistematica (e quindi, per definizione, dogmatica), le due forme del rito romano erano qualcosa di insostenibile, tant’è che i commentatori più attenti l’avevano già correttamente individuata come una conveniente, e molto pratica, finzione giuridica.
          Dall’altro, sempre guardando al lato pratico, la situazione dopo SP aveva permesso a molte anime di riscoprire (com’era naturale che fosse) insieme a tutto il tesoro liturgico anche quello dottrinale e, nel migliore dei casi, ascetico.
          Perché quello che conta, alla fine, è la santificazione.
          So che può apparire semplicistico, e forse lo è.
          Ma in quest’ottica la situazione dopo Traditionis Custodes, per quanto più coerente (anche se è vero l’opposto di quello che vi si afferma), è per tante anime molto peggiore di quella sgangerata pax benedectina di cui abbiamo (più o meno) goduto per un quattordicennio.

          P.S. non si preoccupi per il doppione

          • daouda ha detto:

            Purtroppo io guardo le cose politicamente, e strumentalmente SP con TC sono state entrambe funzionali all’obiettivo.
            D’altronde la Theosis fra coloro che hanno riscoperto o da sempre avanzato l’ala tradizionalista io non l’ho scorta, e men che meno si potrebbe cercarla fra i progressisti.
            Non che debba ergermi su qual piedistallo…concordo con tutto quel che ha scritto in realtà, ma ugualmente potremmo sostenere fra noi che il riduzionismo del rito paolino avvalora ed aiuta lo smantellamento cultuale affinché catacombalmente permangano i sacramenti nella loro essenzialità. DIO sà difatti ciò che permette…scritta così però mi fa un po’ troppo vate, ma partivo dal presupposto che forse il ritorno alla tradizione sia più apparente che altro. Ringraziando DIO ulteriormente non saremo giudicati su questo, ed è qui il difficile di interloquire con i faziosi. Non dovessimo ribadire l’ovvio me ne starei ben zitto visto che chiunque potrebbe appurare la mia scarsa preparazione oltre che scarsa Fede…

  • Dino Brighenti ha detto:

    Bergoglio non è papa
    PAPA BENEDETTO È Il PAPA

  • Alessandro ds ha detto:

    Beh, tutto il ragionamento si basa una premessa sbagliata e soggettiva. Dice che la messa Vetus Ordo è “il bene comune della chiesa”, ovvero, senza messa Vetus Ordo non ci sarebbe più bene comune o comunque verrebbe leso.
    Si può parlare di bene comune quando questo bene riguarda il 100% dei cattolici, o almeno l’80%, non esiste il bene comune quando la questione riguarda solo il 10%.
    Non dimentichiamoci che un buon 90% dei Cattolici non la pensa allo stesso modo, ma trovano più giovamento con la Novo Ordo. Un pò perché capiscono le parole, un pò per altri motivi…
    Il catechismo spiega che è lecito non obbedire a un ordine immorale, ma applicato a situazioni diverse, veramente serie, come ad esempio un superiore o un Papa che ti ordinano di andare in guerra a combattere, e allora è lecito disobbedire.
    Ovviamente è pieno di partigiani lefevbriani o tradizionalisti estremisti che saranno pronti a tirare fuori 1000 supercazzole per cercare di portare il ragionamento dalla loro parte, ma il concetto di “bene comune” Ha un significato preciso, e non si può parlare di bene comune per il 10% delle persone.
    Il bene comune sta nel far trovare giovamento all’altro 90%.
    Poi strumentalizza anche le parole di San Tommaso “una legge contro io bene comune non è una legge valida”, anche qui c’è da discutere, 1 il Santo non parlava delle leggi stabilite dal Papà o dal Concilio, che se cercheremo in altri testi del Santo dice che è obbligatorio rispettarle.
    In più c’è anche la superbia e la presunzione che esso possa insegnare al Papa cosa è bene o oppure non per la chiesa, invece di riflettere con umiltà che magari lui non è all’altezza per capire ciò che invece il Papa può capire ( non mi riferisco a Bergoglio, ma più in generale)

    • DePicchi ha detto:

      “il concetto di “bene comune” Ha un significato preciso”, e lei, caro Alessandro, non ha evidentemente idea di quale sia.

      Non ne abbia male, ma lei sta, letteralmente, dando i numeri.
      “100%, o almeno 80%”. Ma che sta dicendo?
      Se l’80% degli abitanti di una nazione, per connivenza o abitudine, accetta l’aborto (male intrinseco) o una tassazione esorbitante (male relativo, come può essere la messa nuova rispetto alla messa antica – un rito oggettivamente “peggiore”, perché meno chiaro nell’esporre le verità credute, che talvolta deliberatamente occulta; oltre che frutto di una operazione mai vista prima nella storia della Chiesa, un rifacimento da capo a piedi della liturgia, di modo che è almeno dubbio il suo “diritto di cittadinanza” nella Chiesa), allora il “bene comune” sta nell’accettare l’aborto o la tassazione esorbitante, nell’accettare quel male assoluto o relativo?

      Senza le minime basi non dico di teologia, ma quantomeno di filosofia politica, è meglio non esprimersi su certi argomenti, invece di sparare percentuali a caso.

      Dall’argomento numerico, al massimo, si può concludere che il N.O. risponde attualmente al bene comune nella misura in cui andrebbe tollerato, temporaneamente, finché il popolo cristiano non sia pronto a tornare a una liturgia autentica, e non spuria come quella a cui è, purtroppo, abituato.

      • stilumcuriale emerito ha detto:

        Ahi, ahi, quanto sa di sessantottino quel “nella misura in cui”.
        Cioè, però, non so se mi spiego. Detto con senza nessuna cattiveria.

        • daouda ha detto:

          Aggiungo ai giusti appunti di DePicchi che poi dovremmo analizzare alla luce del “sensum fidelium” in relazione al depositum Fidei , qual senso in ogni caso poteva avere inventarsi un rito dal nulla nel 69? Cioè seguito da 0 persone ed imposto arbitrariamente…

          prego…

        • DePicchi ha detto:

          Si spieghi si spieghi, ché son nato circa un trentennio dopo quel sessantotto – e quindi certe cose, forse, mi sfuggono 🙂

          • stilumcuriale emerito ha detto:

            Era solo una battuta che mi è sfuggita (data la serietà dell’argomento dell’articolo) perchè prima del sessantotto quella locuzione non veniva usata. Nel 68 e anni immediatamente seguenti divenne comune a tutti (ma soprattutto fra gli studenti e gli operai di sinistra) e a me è sempre rimasta impressa come una cosa tra il ridicolo e l’indigesto.
            “Nella misura in cui che sono qua vuol dire che a me la cosa mi interessa” mi disse un rappresentante sindacale durante una riunione 🙂 Per questo mi ha fatto specie trovarla nel suo commento.

      • alessandro ds ha detto:

        In filosofia il bene comune è qualcosa che giova all’intera riguarda collettività della persone. (Io dice do 80% sono stato generoso)
        Si può distinguere dal bene comune nel senso sociale o politico, che indica un qualcosa utilizzabile da tutta la collettività, come l’acqua ad esempio.
        Lei ha già sparato la prima supercazzola.
        Poi lei ha iniziato a parlare di aborti o tasse paragonandolo al rito liturgico, cercando di metterli sullo stesso piano e farlo sembrare simili, per poter introdurre la seconda supercazzola.
        Poi lei è caduto proprio nell’ultimo punto che indicano. Lei crede di saperne più degli ultimi 5 Papi e degli ultimi 3000 Vescovi, presumendo lei di insegnare a loro quale sia il bene comune per la chiesa.

        • DePicchi ha detto:

          Guardi che apostrofare le tesi altrui come “supercazzole” non confuta alcunché, né aggiunge spessore ad affermazioni grossolane.

          Non sono “caduto” in alcun punto. La sua non è che fosse sta grande illuminazione: “i laici devono starsene sempre zitti perché il papa e i vescovi la sanno più lunga”. No. Il buon Dio ci ha donato un intelletto per usarlo. Anche (anche) per riconoscere che è bene brindare prima alla coscienza, e poi al papa (Newman).

          Se lei pensa che sia valida quella parodia dell’argomento di autorità che propone, allora senz’altro non avrà motivo di opporsi a quella sfilza (ben più di 5) di papi rinascimentali che hanno praticato apertamente simonia, nepotismo e decadenze varie. Senz’altro facevano il bene comune della Chiesa, non pretendiamo di insegnargli qualcosa.

    • Enrico Nippo ha detto:

      Quindi qual è il bene comune lo stabilisce la maggioranza?

      • MARIO ha detto:

        No, lo stabilisce il piccolo resto degli eletti, che si credono maggioranza, essendo tutti gli altri… eretici.