Cannarozzo: Le sofferenze della Chiesa durante il nostro Risorgimento
10 Febbraio 2022
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, Antonello Cannarozzo ci offre questa riflessione ampia e documentata su eventi storici che ci riguardano in maniera diretta, e sui quali troppo spesso la retorica sabauda, fascista e poi repubblicana nelle sue varie sfumature hanno prevalso sull’analisi lucida e spassionata. Buona lettura.
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Le sofferenze della Chiesa durante il nostro Risorgimento
La tenace volontà di distruggere la più antica monarchia europea
Antonello Cannarozzo
L’Italia, al di là dell’ideale a cui tutti dobbiamo il nostro rispetto, non è nata in maniera del tutto irreprensibile come ci è stata raccontata a scuola e, forse, proprio da qui nascono tutte le nostre difficoltà ancora irrisolte, come, tra l’altro, l’annosa questione del Mezzogiorno.
Era certamente legittimo e necessario unire politicamente ciò che era già una realtà nel suo aspetto geografico e linguistico, ma è il metodo che fu adoperato che deve essere considerato e, se necessario, messo anche in discussione, non certo per andare contro la storia, ma per comprendere le nostre radici e, per quanto sia possibile, porvi dei rimedi.
Dunque, l’Italia unita doveva realizzarsi, non solo per un dovere storico, ma anche ideale, purtuttavia, ricordiamo che c’erano stati altri progetti per unificare la nostra penisola senza arrivare alle guerre con spargimenti di sangue, ma con i se e con i ma non si scrive di certo la storia.
In questo ambito, uno degli aspetti meno compresi dal grande pubblico, per quanto riguarda il nostro Risorgimento, è il rapporto tra Stato e Chiesa o per meglio dire tra un governo anti-cattolico come si dimostrerà il Regno Sabaudo e la Chiesa di Roma nel suo complesso.
Spesso, dai libri di scuola si apprende che il dissidio fu tra una visione moderna e liberale proiettata verso l’Unità della nazione, leggi Regno di Sardegna, contro il reazionario e anti italiano Stato Pontificio, vero ostacolo alla modernità che si stava affacciando in quegli anni in Europa.
Basterebbe, dunque, questa rappresentazione manichea dei fatti per giustificare tutto quello che avvenne contro la Chiesa, ma, come avremo modo di chiarire, le cose non stavano proprio così, infatti, Pio IX non era contro l’Italia unita, ma contro il modo violento e rivoluzionario che si era attuato per unificarla, il che è ben altra cosa.
Senza essere sospettati di complottismo – dei fatti come accadono ognuno può dare la lettura che crederà più adeguata – ma è certo che il Regno Sabaudo, per ingraziarsi gli Stati europei, allora protestanti e liberali, in vista della futura conquista della Penisola, doveva dar prova di essere omologato ad essi, promuovendo riforme popolari e con una vessazione non anti religiosa, si noti bene, le confessioni protestanti erano ben protette, ma solamente anti cattolica.
Infatti, per unificare l’Italia sotto il Regno Sabaudo, bisognava mettere fine non solo ai vari Stati e Staterelli che la componevano, ma colpire, una volta per tutte, lo Stato Pontificio e ricreare, così, una nuova identità non solo statale, ma anche un nuovo atteggiamento religioso.
Una visione che indubbiamente inasprì il rapporto con i cattolici, allora stragrande maggioranza nell’intera Penisola, ma che in seguito venne imposta dispotica presso i cittadini dei vari Stati annessi alla nuova Italia, specialmente nei confronti del Sud dove scoppiò, non solo, ovviamente, per questi motivi, la tragica ‘guerra’ contro il brigantaggio.
Un Risorgimento da discutere
Per comprendere la genesi del sofferto rapporto Stato –Chiesa nel periodo risorgimentale, è opportuno considerare un altro aspetto della conquistata unità nazionale, citiamo Antonio Gramsci per comprendere le ragioni di una politica a suo avviso senza scrupoli specie nei confronti del Sud.
Leggiamo dai Quaderni dal Carcere 1925/1935 la denuncia verso tutti coloro che per ingraziarsi il ‘potere’ scrivevano falsità storiche: ‘Quei scrittori salariati – afferma – che si ostinarono a infangare con il nome di briganti una guerra contro contadini ed emarginati sfruttati’ – e proseguendo con durezza – “È stata una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di briganti”.
Non solo, in un’intervista concessa a Roberto Cotroneo nel 2008, Andrea Camilleri, senza giri di parole, denunciò che il Mezzogiorno non è altro che una colonia del Nord, affermazione di cui riportiamo un breve, ma significativo estratto: “Quando una rivoluzione contadina venne chiamata brigantaggio, per cui uccisero 17 mila briganti che non esistono da nessuna parte del mondo. Ed erano invece contadini in rivolta, o ex militari borbonici. Tutto già da allora ha preso una piega diversa. Quando fu fatta l’Unità d’Italia noi in Sicilia avevamo 8000 telai, producevamo stoffa. Nel giro di due anni non avevamo più un telaio. Funzionavano solo quelli di Biella. E noi importavamo la stoffa. E ancora oggi è così”.
Luigi Pirandello, inizialmente di ideali risorgimentali mostrò ben presto le proprie critiche al nuovo regime, soprattutto nel romanzo “I vecchi e i giovani”, dove sono a confronto la vecchia generazione e la nuova, quella che vive i fatti del 1860, facendo dire alla protagonista Donna Caterina cosa è cambiato con i nuovi governanti: “Qua c’è la fame, caro signore, nelle campagne e nelle zolfare; i latifondi, la tirannia feudale dei cosiddetti cappelli [indossati dai padroni], le tasse comunali che succhiano l’ultimo sangue a gente che non ha neanche da comperarsi il pane “.
Ed ancora sull’argomento un altro pensiero di Andrea Cammilleri dal libro Il Quadro delle meraviglie: “La verità è che il Risorgimento fece l’Italia quale poi ce la siam trovata noi italiani, lacerata e divisa. Divisa tra italiani ricchi e italiani poveri. Fra italiani del nord e italiani del sud. Fra italiani dotti e italiani analfabeti. Tutte divisioni che oggi noialtri italiani, faticosamente, penosamente, stiamo cercando di colmare. Ma per far questo dobbiamo sapere la verità su come l’Italia fu fatta” e, aggiungiamo noi, di come la Chiesa non era un ostacolo all’ Unità d’Italia, ma era una denuncia vibrata per ciò che si stava attuando, non solo da noi, ma anche nel resto del mondo.
Una concezione che Pio IX comprese assai bene nel definire in più documenti quale sarebbe stato il destino degli uomini attuando leggi anti-cristiane. Una situazione, purtroppo, che ancora sussiste sempre più ai nostri giorni con la crisi dei valori, l’agnosticismo e, non ultimo, la sottomissione alle legge della grande finanza e dei mercati.
Al di là degli sforzi propagandistici, non era poi così facile sbarazzarsi dello Stato Pontificio, in assoluto la più antica monarchia d’Europa con oltre mille anni di storia.
L’importanza spirituale dello Stato Pontificio
Il potere temporale del papato, con il suo territorio indipendente, era stato la salvezza della Chiesa che poté così esercitare liberamente la propria missione di evangelizzazione senza vincoli politici e nazionali come invece avvenne per le “chiese” protestanti o per i patriarcati ortodossi che, una volta lontani da Roma, pensavano di aver conquistato finalmente la loro libertà.
Secondo i dettami più classici della campagna propagandistica politica, una prassi ancora attualissima, il nemico, prima di combatterlo, va indebolito con la denigrazione e reso possibilmente ridicolo ed inaffidabile, un arma che venne usata brillantemente in quel periodo anche contro i Borboni, oltre alla Chiesa, considerate tutte e due le realtà politiche come dei veri ignoranti, arretrati sotto ogni aspetto sociale ed economico, tirannici verso i propri sudditi, insomma due mondi che andavano sconfitti prima e “civilizzati” poi.
Nulla di più falso, ma i talk show non erano stati ancora inventati per ribattere queste falsità, pensiamo solo che, in proporzione agli abitanti in questi due Stati italiani, c’erano meno poveri che a Londra o a Parigi, le tasse erano assai minori e il benessere, sempre rapportato ai tempi, era dato dalla crescita della popolazione di un terzo già nella prima metà dell’800, lo sviluppo industriale era assai superiore rispetto alle aree del Nord Italia e potremmo continuare con le università e le accademie culturali, ma fu tutto inutile, il Nordaveva la missione di salvare dalle grinfie di governanti ‘oscurantisti’ il “povero e arretrato Sud”.
Tuttavia il problema vero rimaneva lo Stato Pontificio con il suo regno che si estendeva ben oltre i propri confini per arrivare alle estreme nazioni del mondo con il suo rappresentante, all’epoca papa Pio IX, uomo tutt’altro che arrendevole e propenso al compromesso.
In questo articolo tracceremo gli avvenimenti che portarono allo scontro i rapporti già tesi tra lo Stato Sabaudo e la Chiesa e di come essa subì, senza esagerare, nei suoi uomini e nelle sue istituzioni un vero martirio.
Per dare una prima segnale di come si sarebbe mosso il nuovo re sabaudo, Vittorio Emanuele II, acclamato dopo l’esilio di re Carlo Alberto, nel 1848 nell’aula del Parlamento torinese si discusse animatamente non sui problemi della grave crisi socio-economica causata dalla sconfitta della prima guerra d’Indipendenza contro l’Austria, ma contro la cancellazione degli ordini religiosi.
Un Parlamento delle élites
Prima di proseguire nel racconto degli accadimenti, sarà bene specificare che l’allora Parlamento piemontese, tanto decantato come espressione della volontà popolare, non lo era affatto, ma era chiuso in una struttura solamente elitaria.
Su quasi cinque milioni di abitanti venne dato il diritto di voto solo all’1,70% della popolazione, 83.369 elettori scelti per censo, cioè la propria ricchezza.
Detto questo non fu, come viene raccontato, la maggioranza del popolo piemontese ad esigere atti vessatori contro la Chiesa, anzi, proprio quest’ultimo si ribellò in più occasioni contro ciò che riteneva una grave ingiustizia.
Nel 1848, dopo la sconfitta militare già citata, ci fu l’insediamento del governo di Massimo D’Azeglio, con il quale si applicarono una serie di riforme giuridiche e amministrative, tra cui quella di limitare la libertà agli uomini di Chiesa che risiedeva entro i confini del Regno, attraverso le leggi proposte alla Camera dal Guardasigilli Giuseppe Siccardi, dal quale prenderanno il nome, e promulgate il 9 aprile del 1850 non senza fatica.
Il disegno legislativo si articolava sostanzialmente nell’abolizione dei privilegi, o ritenuti tali, della Chiesa che fino ad allora godeva, come il Foro Ecclesiastico, una istituzione storica che prevedeva il diritto d’asilo per chi si fosse rifugiato in una chiesa o in un edificio sacro, l’eliminazione del tribunale speciale per gli ecclesiastici fuori dalla giurisdizione statale e, infine, la cosiddetta “mano morta”, nulla di volgare, ma deriva dal francese antico main morte per indicare una forma di possesso rigida come quella della mano di un morto, risalente addirittura alla legislazione longobarda, e indicava la non assoggettabilità a imposte delle proprietà fondiarie degli enti ecclesiastici, e, quindi, la dispensa da qualsiasi tributo anche su cessioni di proprietà.
Altro colpo durissimo furono le nuove normative verso gli enti morali, che nella quasi totalità erano della Chiesa, questi istituti non potevano più, chissà perché, acquisire nuove proprietà senza il beneplacito delle autorità competenti e a questo punto lascio immaginare la liberalità di chi doveva dare l’approvazione.
Lo spirito di queste leggi verteva, si fa per dire, sulla parità di diritti, nessuno al di sopra dello Stato, facendo finta di dimenticare che la Chiesa non era una società che produceva un fatturato, la sua ricchezza derivava quasi tutta da donazioni, senza le quali non poteva sussistere.
Come capita anche ai giorni nostri, queste leggi liberticide per la Chiesa furono accettate dai cattolici liberali, mente quelli cosiddetti intransigenti opposero una fiera resistenza, sia in parlamento che nella società civile, pagandone le conseguenze.
I vescovi si ribellarono
A capo di questa disubbidienza troviamo l’arcivescovo di Torino, Luigi Fransoni che venne processato, arrestato e mandato in esilio a Lione dove morì nel 1862, senza poter tornare nella sua città.
Stesso trattamento per il vescovo di Cagliari, allora Regno sabaudo, EmanueleMarongiu Nurra, arrestato ed esiliato a Roma, tornò nella sua città nel 1866 solo per pochi mesi prima di morire.
Sempre in nome della libertà, il governo torinese non esitava ad arrestare e imprigionare anche altri vescovi, sacerdoti o semplici fedeli che non accettavano questi sopruso come il sequestro e la chiusura del giornale cattolico L’Armonia che aveva abbracciato la causa intransigente della Chiesa.
Tutte queste leggi crearono un conflitto con il Papa perchè entravano chiaramente in conflitto con il Concordato stipulato nel 1841, senza aver preventivamente stipulato, come previsto dalle norme sottoscritte, un accordo tra lo Stato e la Santa Sede.
Un primo segnale che le cose stavano cambiando e in peggio, quello stesso anno, il 21 luglio, avvenne la soppressione della Compagnia di Gesù, considerata avversa allo Stato piemontese perchè sempre attiva, anche nel resto d’Italia, nelle opere educative e caritatevoli, spesso dimenticate dal potere centrale.
Insieme all’espulsione di tutti i gesuiti che non erano piemontesi, ci fu anche quella delle Dame del Sacro Cuore, una congregazione assai diffusa in tutta la Savoia come istituto per l’educazione delle giovani e la propaganda del Sacro Cuore di Gesù.
Il 29 maggio del 1855, mentre i piemontesi inviavano un corpo di spedizione militare in Crimea, venne approvata la legge Rattazzi, dal nome del parlamentare e futuro Capo di Governo, presentata al Parlamento e nella quale si stabiliva l’abolizione di molti ordini religiosi, neanche avesse l’autorità del Papa.
Il risultato fu la chiusura di 335 tra case e conventi, oltre 5 mila religiosi, fra uomini e donne, espulsi dalle loro comunità religiose.
Inoltre, l’abolizione di ordini secolari come agostiniani, benedettini, carmelitani, certosini, cistercensi, cappuccini, domenicani, francescani con la scusa sociale che non provvedevano all’educazione, o all’assistenza degli infermi, erano inutili perché privi di utilità sociale.
Sembra di sentire, per una amara nemesi storica, discorsi del genere anche nei pressi dell’istituto Santa Marta in Vaticano.
Ricordiamo che l’iter della legge non fu così lineare, ma ebbe una serie di contrasti anche drammatici che presero inizialmente il nome dal senatore del Regno e arcivescovo di Casale Monferrato, Luigi Nazari di Callabiana, il quale, forte della sua autorevolezza, si era già opposto, ma senza successo alla riforma con la quale non intendeva tanto revocare antichi privilegi, quanto la confisca dei possedimenti ad essi annessi da secoli alla Chiesa e tolti solo per appianare i debiti dello Stato.
Il gioco delle parti
In merito alla chiusura dei conventi, ci fu una battaglia parlamentare che trovò dalla sua parte anche lo stesso re Vittorio Emanuele, il quale si riteneva ancora cattolico, ma le cose non stavano proprio così.
Davanti a questa opposizione, Cavour, allora Capo del governo, rassegnò, si badi bene, le dimissioni irrevocabili, salvo poi tornare poco dopo al potere riuscendo ad accordarsi con il Senato e a far passare la norma firmata dal Re ‘cattolico’ il 29 maggio 1855, insomma, a voler pensare male, fu un gioco delle parti.
Il papa, davanti a tanto mercanteggiare su leggi così fondamentali per la vita stessa della Chiesa e alle persecuzioni di cui erano vittime i sacerdoti oltre che i fedeli, non esitò a scomunicare tutti, re e Cavour, compresi, responsabili di questa approvazione legislativa e dei relativi soprusi.
Ricordiamo, solo come accenno, che Pio IX, benché fatto oggetto di gravi offese, di mortificazioni personali e le tante sopraffazioni subite dalla Chiesa, nel 1859, su richiesta accorata proprio di Vittorio Emanuele, accordò il perdono pieno e senza condizioni al Re.
Decisamente altra nobiltà d’animo.
Nonostante questo atto di magnanimità del papa, la macchina legislativa non si fermò per ostacolare in ogni modo l’attività della Chiesa.
A sostegno di un vero disegno per distruggerla, non venivano solo applicate leggi liberticide, ma si occupava anche militarmente, senza una ragione internazionale plausibile, lo Stato Pontificio.
Infatti, dopo il successo della seconda guerra d’Indipendenza nel biennio 1859-1860, i piemontesi pensarono bene, approfittando del vento rivoluzionario, di occupare la Romagna con la scusa di movimenti a favore dell’Italia, mentre erano poche centinaia, per poi l’anno dopo occupare come se nulla fosse e sempre con la stessa scusa, l’Umbria e le Marche lasciando allo Stato pontificio il Lazio e l’Abbruzzo, ma, ricordiamolo, tutto ciò poté accadere grazie al vile silenzio delle nazioni europee, anche quelle sedicenti cattoliche
Come se occupare terre non sue fosse la cosa più naturale, Vittorio Emanuelescrisse a Pio IX, il 7 febbraio 1860, difendendo la sua azione nelle regioni, ormai ex pontificie, occupate dall’esercito piemontese avvenute dopo nientemeno la richiesta di annessione di alcuni “patrioti” a cui certo non poteva dire di no, dimenticando che costoro non erano certamente legittimati a trattare nulla non essendo riconosciuti da alcuno, se non dai soli piemontesi.
La lettera seguì di una ventina di giorni l’enciclica Nullis certe, del 19 gennaio 1860nella quale il papa aveva invocato la restituzione pura e semplice dei territori che gli erano stati sottratti e manifestato il suo dolore al suo alleato Napoleone III, ma tutto fu inutile.
La sopraffazione in cifre
Quello stesso anno, con la caduta del Regno dei Borboni il nuovo Regno d’Italiaestese, come accennato, queste leggi anche al Sud con il risultato di avere 92 vescovi tolti dalla loro sede o perfino arrestati, ancora centinaia di preti in prigione, 12.000 tra religiosi e suore che vivevano al Sud sfrattati dai loro conventi e per finire ben 64 sacerdoti e 22 frati vennero fucilati spesso con l’accusa di fiancheggiatori dei “briganti”.
Una prassi, quella di ostacolare la vita della Chiesa, che si perpetuerà anche dopo la presa di Roma, quando furono ben 9 le sedi vescovili lasciate vuote in tutta Italia e i vescovi eletti dal Papa non potevano prendere possesso delle loro diocesi perché Io Stato unitario lo impediva, sempre, ovviamente, in nome della libertà religiosa.
La studiosa cattolica Angela Pellicciari scriverà in proposito: “Le conseguenze sociali delle leggi eversive furono anche queste: in nome della libertà 57.492 persone (i religiosi) furono privati di tutto quello che possedevano: del letto, dei mobili, del tetto, degli oggetti di culto, degli archivi, delle biblioteche, dei terreni, di tutto. Così successe anche per 24.166 opere pie che non più serviranno al sollievo diretto della povertà. Lo Stato solleva le sue finanze, ma i cittadini si abitueranno a vedere nello Stato un intruso da cui difendersi o dinanzi al quale rimanere indifferenti. Anche questa fu una causa del distacco degli italiani dallo Stato che usò violenza”.
Ma le leggi contro la Chiesa non si fermarono.
Il 7 luglio 1866 venne negato il riconoscimento a tutti gli Ordini della loro capacità patrimoniale e i beni appartenenti agli istituti aboliti furono confiscati dal demanio statale, e parallelamente venne dichiarato l’impegno d’iscrizione nel libro del debito pubblico di una rendita del 5% a favore del fondo per il culto.
Fu ancora stabilita la proibizione per ogni ente morale ecclesiastico di possedere immobili, in questa ‘rivoluzione’ le parrocchie furono salvate ma l’anno successivo furono eliminati con un colpo di spugna altri enti cattolici, rimanendo in vita solo i seminari, le cattedrali, le canoniche e gli enti preposti alla conservazione di oggetti d’arte.
Ancora nel 19 giugno 1873 il presidente del Consiglio, Giovanni Lanza, allargò l’esproprio dei beni ecclesiastici anche al territorio degli ex Stati Pontifici e, quindi, anche a Roma, la nuova capitale.
Due anni prima aveva promosso la Legge sulle Guarentigie nello sforzo di attuare la celebre formula cavouriana, “Libera Chiesa in libero Stato”, il provvedimento, però, diffuso unilateralmente dal governo, ma non venne mai riconosciuto dal papa per la “questione romana” rimasta per lungo tempo sospesa, tutto si sarebbe risolto solo nel 1929 con i Patti lateranensi e il Concordato.
La fermezza di Pio IX
La legge delle Guarentigie era costituita da numerosi articoli tra cui quello relativo alla Prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, dove erano riconosciute al papa alcune prerogative come: capo di Stato, una rendita annua dal bilancio dello Stato italiano, la sacralità sui palazzi apostolici, la facoltà di poter trattare liberamente il magistero spirituale, il diritto di rappresentanza diplomatica e l’opportunità di avere autonomi collegamenti postali.
Anche davanti a queste proposte Pio IX non poteva accettarle, soprattutto per una questione di dignità e di giustizia rimanendo fermo nelle sue idee, perché dando la sua approvazione, avrebbe di fatto accettato l’asservimento ad un potere che aveva invaso, senza una ragione, la propria terra e occupato Roma con la sola sete di conquista.
A nulla valse la successiva promulgazione con la quale si affermò che la legge delle Guarentigie era una legge fondamentale dello Stato.
La storia ci ha insegnato che la Chiesa davanti ai nemici esterni è sempre riuscita vincitrice anche se con sofferenze estreme, ma assai differente è quando la Chiesa si trova a combattere contro chi la vuole distruggere dall’interno.
Certo da cattolici abbiamo fede nel ‘Non prevalebunt’, ma sarà una battaglia drammatica perché contro avremo allora proprio coloro, o Colui, che avevano l’obbligo davanti a Dio di difenderla.
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Tag: cannarozzo, risorgimento, savoia
Categoria: Generale
Anche all’epoca, c’era chi capiva tutto e ne prevedeva le conseguenze. Cito:
“Al Lettore
Cattolico e monarchico, per convinzione e per affetto, scrivo per dar gloria a Dio e per rendere testimonianza alla verità in mezzo al presente trionfo della menzogna. Romano,
gemo per la ruina di Roma cristiana, scopo supremo della rivoluzione. Italiano, arrossisco che l’unità d’Italia sia il frutto di tanti delitti. Raccolgo memorie e lo faccio, per quanto è possibile, colla calma del filosofo cristiano, che con documenti alla mano presenta ai posteri il mostro più orrendo, che uscisse dalle mani dei figli degli uomini a’ danni dei figliuoli di Dio. Nei sette anni di assiduo lavoro che v’impiegai spesse volte credetti sognare, tanto sembravanmi incredibili le cose ch’ero costretto a registrare!
L’uomo onesto, che mi leggerà, qualunque sia il culto che professi, qualunque lo spirito che lo animi, renderà omaggio alla palpabile verità dei fatti che gli pongo dinnanzi, e
forse benedirà l’opera mia, dando così un compenso in questo misero mondo a chi consacrò intera la sua esistenza in difesa della causa dell’Altare e del Trono.”
STORIA DELLA RIVOLUZIONE ITALIANA – P.Mencacci
Se volete, potete leggervi tutto a qui:
https://www.rassegnastampa-totustuus.it/cattolica/wp-content/uploads/2014/07/STORIA-DELLA-RIVOLUZIONE-ITALIANA-P.Mencacci.pdf
grazie tante
Dimenticavo. L’arcivescovo Fransoni di Torino, finito in esilio, è lo stesso che creò un sacco di problemi a don Bosco. Il quale don Bosco tentò di opporsi alla politica anticlericale ammonendo il Re ma era amico anche di politici liberali tutt’altro che clericali come Rattazzi.
Vittorio Emanuele II assisteva ogni giorno alla messa, anche quando era in vacanza in montagna.
La realtà storica è sempre più complessa delle banalizzazioni schematiche e ideologiche.
Ennesima pliniata su quanto era bello l’Impero asburgico e quanto cattivi i Savoia.
Allora:
1. l’unità d’Italia l’hanno voluta in tanti e di tutte le tendenze, cattolici compresi (vedi Manzoni, Rosmini…).
2. i Savoia dal 1848 divennero monarchi costituzionali, non più assoluti, quindi non decisero loro le politiche dei vari governi;
3. tutti i Paesi europei che conosciamo – tutti! – sono emersi da guerre civili, lotte di religione eccetera. Ma a nessun francese, tedesco, inglese viene in mente di dire: spacchiamo la Francia, la Germania, l’Inghilterra perché non è giusto come si sono unificate; viene in mente solo ai catalani di oggi contro la Spagna, ma lo fanno perché sono atei e materialisti;
4. l’anticlericalismo e le politiche antiecclesiastiche non avevano nulla a che vedere col legittimismo dinastico, che infatti in Italia fu ampiamente minoritario e si estinse in breve, tanto più che membri delle varie dinastie preunitarie si sposarono coi Savoia e cessarono le loro rivendicazioni;
5. fantasticare di un’Italia confederale oggi vuol dire andare contro la storia in nome di ipotetici “se” e inoltre sembra non tener conto del penoso spettacolo dato dalle attuali Regioni, una più pasticciona dell’altra.
Se per decenni queste lagne non furono tenute da conto nemmeno dai cattolici italiani, il motivo non è chissà quale complotto massonico o chissà quale “retorica” (perché, questa roba qui non è retorica, sia pure “reazionaria”?), ma semplicemente il fatto che non erano attuali, a maggior ragione dopo i Patti Lateranensi del 1929, di cui oggi si celebra l’anniversario. Poi sono arrivati i pliniani dal Brasile con la pretesa di insegnare a noi la storia d’Italia!
Sì.Grazie.
Storia amarissima, quella dell’unità d’Italia, per noi meridionali.
Al quadro esatto ed esauriente, quanto può esserlo in un articolo, si può aggiungere il ruolo nefasto dell’Inghilterra, figliastra protestante, massonica e perciò nemica del Papato, da sempre invidiosa delle bellezze dell’Italia e predatrice, quanto più le sia stato evlo sia tuttora possibile ,di tali meraviglie. Pare che abbia finanziato la spedizione dei Mille, provvedendo poi alla eliminazione di uno scomodo testimone, quell’Ippolito Nievo che, guarda caso, era il tesoriere della spedizione.
A scuola ci dicevano che era semplicemente affondato con la sua nave. Come compenso di tali servigi,
le contrade più solatie fertili e panoramiche delle pendici dell”Etna furono regalate a conti e contesse d’ Albione, mentre le nobildonne siciliane venivano sventrate o sgozzate nei loro palazzi invasi dai garibaldini.
Ne fa memoria drammatica Verga.
Ho avuto il voltastomaco per tutto il periodo delle recenti celebrazioni garibaldine nella mia città.
Anche di Garibaldi bisognerà riscrivere la storia,
a mio parere, magari rinominando le innumerevoli vie ecoiazze a lui dedicate.
Qui poi siamo al caos spacciato per odine.
Gli inglesi che ebbero il feudo alle pendici dell’Etna sono l’ammiraglio Nelson e i suoi eredi a Bronte che lo ebbe, pensa un po’, dal re Ferdinando di Borbone in ricompensa per averlo aiutato contro la Repubblica napoletana del 1799 e facendo impiccare l’ammiraglio Caracciolo rinnegando i patti.
La strage fu fatta dai contadini di Bronte contro i signori in nome della “libertà”. E i colpevoli furono fucilati dai garibaldini di Nino Bixio. Ma negli ultimi decenni la propaganda comunista si era messa a demonizzare la repressione di Bixio per esaltare i rivoltosi. Quindi l’esatto contrario di ciò che sta dicendo lei.
Quanto poi alla leggenda di Nievo fatto naufragare con tutta la nave… Beh, dai, su, siamo seri.
La storia della Chiesa e di ogni credente è una guerra continua, senza interruzioni.
Lotta contro il mondo, lotta contro la carne e le sue concupiscenze , lotta contro il maligno, quest’ultimo poi si insinua come fumo malefico ovunque. Il Signore Gesù i ci ha avvertito:
” Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe” (Matteo 10, 16)
Non è facile tutto questo soprattutto quando il nemico ce l’hai in te stesso (lotta tra il bene e il male), nel tuo ambiente (assoluta indifferenza al Sacro), nella tua Patria (quando vengono emanate leggi ingiuste) e nella tua Chiesa (quando i Pastori non fanno più i Pastori e lasciano le pecore al loro destino!
Importante affresco storico, vorrei aggiungere soltanto che se l’Italia si balcanizzasse la sua sovranità scenderebbe sotto l’attuale zero
L’autore l’ha scritto in premessa: l’unificazione si era resa necessaria; ma il modo in cui fu fatta l’ha portata ad essere nel tempo – contrariamente quanto Lei ritiene – molto più sotto zero che se fosse balcanizzata (mi pare che la situazione che abbiamo sotto gli occhi, anzi, che subiamo sulla nostra pelle, nessun paese balcanico la subisce né può invidiare).
La soluzione migliore sarebbe stata una confederazione di Stati, con la relativa autonomia di ognuno di essi in molti campi; e certamente non ci sarebbe stata nessuna persecuzione della Chiesa, neanche in quello Stato da cui partì, il Piemonte, prima in se stesso, e dopo la forzata unificazione nel resto d’Italia, ché lo fece solo per accaparrarsi i beni della Chiesa per colmare le voragini di deficit provocati dalle guerre d’aggressione fatte contro gli altri Stati italiani (ed in Crimea). Beni con i quali la Chiesa stessa esercitava le sue opere sociali e caritative (gran parte degli ospedali, scuole, ecc. erano della Chiesa).
Un testimone dell’epoca (Fëdor Michajlovic’ Dostoevskij), certamente non offuscato nel suo intelletto da interessi di parte, così definì la malfatta unificazione (da: “Diario di uno scrittore”, ed. it. a cura di Ettore Lo Gatto, 1877, Maggio-Giugno, capitolo secondo, pp. 925-926):
«[…] per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, […] un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!”».
Consiglio la lettura: Il capitalismo nelle campagne di Emilio Sereni, soprattutto i primi capitoli.
Sereni fu ministro e senatore della Repubblica nonché membro della Costituente.
Sappiamo dell’obiettività del suo giudizio dall’appartenenza al PCI dell’autore. Un sunto della sua tesi, per chi non avrà il modo di leggere il libro, è che l’eversione dell’asse ecclesiastico è la causa dell’accumulazione di capitale agrario, ossia del latifondismo. Non appena furono emessi titoli di possesso delle terre ai contadini, cosicché da essere nominalmente ridistribuite, furono immediatamente comprati dai ricchi quando non sottratti con raggiro.
Mi piace sempre soffermarmi su un avvenimento della storia greca: che il popolo più aristocratico della storia, quello lacedemone, si costituì con la ridistribuzione equa delle terre voluta da Licurgo.
È parso al mio giudizio che il comunismo ha la via giusta economica ma moralmente errata, il liberalismo ha quella errata economica ma moralmente giusta (si parla di liberalismo cristiano). Divide et impera. Regnerai sapendo della concupiscenza della carne. Così l’uomo aspira alle ricchezza dell’ovest e alle voluttà dell’est. Panem et circensem