Il “Me”. Che Però Può Vivere Solo Grazie agli Altri. Pensieri del Matto.

27 Gennaio 2022 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, è un tema appassionante e importante quello che il nostro Matto affronta oggi nella sua riflessione. Buona lettura e discussione…

§§§

IL “ME” VIVE GRAZIE AGLI ALTRI

«Mettetevi al posto del vostro prossimo e mettete il prossimo al vostro posto; così giudicherete bene. Comprando, immaginate di essere chi vende e vendendo d’essere chi compra: così comprerete e venderete equamente».

San Francesco di Sales

***

Il termine “altro”, latino alterum, indica il diverso, il differente. Gli Altri sono quindi i diversi, i differenti dal “me”. Differenti ma simili, ciò che non andrebbe mai dimenticato.

Il “me”, ciascun “me”, vive grazie agli Altri per una miriade di ragioni, essendo in costante INTERDIPENDENZA, diretta o indiretta, con essi. Ovviamente, anche ciascuno degli Altri è un “me” che si relaziona necessariamente agli Altri. Senza un relazionarsi interdipendente agli Altri il “me” non potrebbe sussistere, e, all’inverso, senza relazionarsi al “me” neanche gli Altri potrebbero sussistere. Fin dalla sua nascita ogni “me” ha bisogno degli Altri. L’interdipendenza gli è indispensabile. Nessun “me” può dirsene sciolto. Scrive delicatamente e profondamente il poeta Francis Thompson:

 

«Non puoi cogliere un fiore senza disturbare una stella».

Basterebbe meditare con costanza sull’interdipendenza  tra il fiore e la stella per convertirela propria coscienza incentrata illusoriamente sul “me”, che però non può sussistere senza gli Altri, senza il fiore, senza la stella.

 

Lo diciamo subito: l’interdipendenza fra il “me” e gli Altri è già dall’inizio dei tempi; anche l’Uomo Arcaico, seppur in un ambiente e con una coscienza per noi inconcepibili, doveva viverla, costituendo essa il nerbo dell’intimità con il Sacro, dunque della Religione.

 

«Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: ama il prossimo tuo come te stesso».

Inimmaginabile, quindi, una religione che si basi soltanto sull’amore per Dio ed escluda il Prossimo, cioè gli Altri, e quindi escluda l’interdipendenza. Amore, s’intende, incondizionato: «Amate i vostri nemici».

Di tale costante interdipendenza, diretta o indiretta, tra il “me” e gli Altri non si è di solito consapevoli, ciò facendo sorgere nel “me” un senso di autonomia, non di rado altezzoso, sprezzante, livoroso, e tanto illusorio quanto dannoso sia per il “me” sia per gli Altri. Il “me” autarchico è un’illusione che provoca danni a non finire. Il “me” che si sente “dalla parte giusta”, magari “protetto dall’Alto”, è un’illusione poiché dimentica che sono gli Altri (ovviamente scrittori sacri compresi) il parametro della sua presunta “integrità”. E ancor più gravemente dimentica che ogni giudizio sugli Altri è immediatamente un giudizio su di sé: «chi è senza peccato scagli la prima pietra».

L’interdipendenza tra il “me” e gli Altri è diretta quando si serve dell’“a tu per tu”,  ed è indiretta quando si serve necessariamente di ciò che gli Altri hanno prodotto (per esempio il computer di cui si sta servendo lo scrivente e che gli Altri hanno prodotto), ed è su questo secondo tipo di  interdipendenza che in questa sede ci soffermiamo, poiché sembra che l’inconsapevolezza della sua importanza vitale sia pressoché totale.

Gli spunti sono innumerevoli, e così scegliamo quello “universale” del mettersi a tavola per condividere un pasto; con-dividere, un atto di sapore eucaristico che il “me” non può compiere senza gli innumerevoli Altri.

È pressoché impossibile stabilire quale sia l’elemento primo da cui dipende la possibilità di mettersi a tavola, cosicché cercheremo di identificare una sequela di elementi a partire dal sedersi, in mancanza dei quali il “me” non siederebbe mai a tavola!

 

Ecco allora che per sedersi occorre una sedia che il “me” trova bell’e fatta dagli Altri. Finalmente seduto, il “me” si trova davanti dei piatti che trova anch’essi bell’e fatti dagli Altri. Poi si trova davanti delle posate fatte dagli Altri. Stessa cosa per il tovagliolo, per il bicchiere, per le bottiglie di acqua e di vino, per il pane, per l’olio, il sale e il pepe; tutti elementi bell’e fatti dagli Altri. Il tutto su un bel tavolo fatto dagli Altri.

 

Si noti come già sarebbe difficile sapere quanti sono davvero gli Altri che, con il loro lavoro, hanno permesso al “me” il solo atto di sedersi a tavola, e verso i quali esso dovrebbe nutrire profonda riconoscenza.

 

Piccola ma importantissima osservazione: quando si siedono per mangiare i Giapponesi dicono: “Itadakimasu!”, che non significa il grossolano “buon appettito” ma il raffinato, benevolente e riconoscente “grazie” rivolto agli Altri che hanno preparato il prelibato pasto.

Ma continuiamo: ora che arriva l’antipasto quanti Altri vi sono dietro? Quanti Altri hanno prodotto gli affettati, le olive, le tartine e chissà che altro che il “me” si appresta a gustare? Stessa cosa per la pasta o la minestra, per il secondo con contorno, per la frutta, il dolce, il caffè e l’amaro. E se non si mangia al buio lo si dovrà agli innumerevoli Altri che hanno fatto le lampade e gli impianti elettrici, sempre che l’elettricità giunga in casa grazie agli Altri che hanno progettato le centrali elettriche, agli Altri che le hanno costruite e agli Altri che hanno fornito i materiali necessari.

L’indagine qui sopra è molto ristretta e approssimativa ma sufficiente a provocare un salutare giramento di testa, perché tra gli Altri non vi sono soltanto i produttori di ciò di cui il “me” necessita, ma anche coloro che lo hanno venduto e coloro che lo hanno traportato nei punti vendita, sennonché il “me” che stacca anche un solo spicchio di arancia o beve appena un sorso di vino ne è totalmente incosciente e cresce nell’illusione di essere indipendente dagli Altri, magari esercitando il suo “libero arbitrio” e pontificando sui massimi sistemi religiosi, filosofici e scientifici, ma dimenticando che la nascita, la crescita e il mantenimento del suo corpo, nonché il pensiero e la parola che senza il corpo non possono darsi, gli sono possibili grazie agli Altri (ad iniziare dagli antenati e dai genitori) e, da non sottovalutare, grazie al respiro e al sangue che circola nelle vene, processi che accadono al “me”, del tutto indipendenti dalla sua volontà. Ed ammesso che il “me” abbia una volontà ed un comportamento non determinati da tutto ciò che non è il “me”.

E se procediamo nell’indagine ci accorgiamo che la dipendenza del “me” dagli Altri è davvero totale. E già, perché il tavolo poggia necessariamente su un pavimento fatto da Altri, e le finestre dell’ambiente in cui il “me” si appresta a mangiare sono state fatte da Altri, e così i lampadari e i lumi. Anche il pic-nic non sfugge: il tavolinetto e le sedie, la ghiacciaia, i panini, le bibite e quant’altro sono prodotti da Altri, per non dire del prato e degli alberi che il “me” trova bell’e pronti ad ospitarlo e che sono stati approntati da un … Super Altro, che infine è scaturigine e legame del “me” con gli Altri.

 

E se continuiamo appena un po’ con questo scandaglio senza andare fuori di testa, e finalmente facciamo volatilizzare l’illusione di un me autarchico, ci accorgiamo che anche il vaso con i fiori ed il mobile su cui poggia sono fatti dagli Altri, i fiori sono stati coltivati dagli Altri, gli alberi da cui il legno del tavolo è opera degli Altri, come pure gli indumenti e le scarpe che indossiamo. E ci sarebbe da chiedersi se le vivande che gustiamo giungerebbero mai a tavola ben cotte in mancanza di pentole fatte dagli Altri, dei fornelli e del forno fatti dagli Altri, del gas e dall’elettricità prodotta dagli Altri e fornita dagli Altri.

 

E continuando ancora si paleserebbe sempre più, anche se sempre più inconcepibile, l’interdipendenza che tiene insieme gli esseri umani e permette a ciascun “me” di vivere, pensare e parlare grazie agli Altri.

Si direbbe quasi, cosa inaudita per la coscienza comune, che il “me” è inverato dagli Altri, o meglio, da ciascun “me” degli Altri, come pure dal fiore e dalla stella! Il “me” autarchico non esiste.

 

Si propone al riguardo un significativo brano da Kenji Nishitani (1900-1990), La religione e il nulla.

«Tutte le cose che sono nel mondo sono collegate tra loro, in un modo o nell’altro. Non una singola cosa nasce senza una relazione con ogni altra cosa. L’intelletto scientifico pensa qui in termini di leggi naturali di causalità necessaria; l’immaginazione mitico-poetica percepisce una connessione organica, vivente; la ragione filosofica contempla un Uno assoluto. Ma a un livello più essenziale, qui deve essere visto un sistema di circuminsessione, secondo il quale, nel campo di  Śūnyatā tutte le cose sono in procinto di diventare signore e servitrici l’una dell’altra. In questo sistema ogni cosa è se stessa nel non essere se stessa, e non è se stessa nell’essere se stessa. Il suo essere è illusione nella sua verità e verità nella sua illusione. Può sembrare strano la prima volta che lo si sente, ma in effetti ci permette per la prima volta di concepire una forza in virtù della quale tutte le cose sono raccolte e messe in relazione tra loro, una forza che, fin dall’antichità, è stata chiamata “natura”».

 

Rileggiamo un passaggio estremamente importante: “nel campo del Śūnyatā tutte le cose sono in procinto di diventare signore e servitrici l’una dell’altra”. Ora, Śūnyatā significa Vacuità, la quale è onnidimensionale, quindi infinitamente sferica, ciò riportando alla “ampiezza, lunghezza, altezza e profondità” di cui in san Paolo, il quale dice anche “perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”, cioè della … Vacuità! Sì, Dio non è “qualcosa” bensì il Vuoto Vitale che … riempie ogni forma di vita! Dio è, secondo l’immagine (inimmaginabile!) proposta dal Libro del 24 filosofi, la sfera infinita il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo. Il “me” non può possedere Dio per la semplice ragione che Esso è senza forma mentre invece il “me” non smette di identificarsi con forme (cogitative, verbali, iconografiche) che mai possono “catturarLo” ma al più indicarlo assai alla lontana. È invece Dio che possiede il “me”. Ogni “me”.

 

Una sfera infinita in cui “tutte le cose sono signore e servitrici l’una dell’altra”. Non è così? Dio è il Vuoto che contiene, vitalizzandole, tutte le cose, quindi anche il “me” e gli Altri, secondo un’interdipendenza di signoria/servitù reciproche, al di fuori della quale nulla potrebbe sussistere: «comprando, immaginate di essere chi vende e vendendo d’essere chi compra: così comprerete e venderete equamente», come dire, mettersi nei panni degli Altri, di ogni altro “me”, gesto impossibile al “me” incapace di concepire l’interdipendenza con gli Altri, col fiore e con la stella.

 

Vi è pertanto un’orizzontalità-terrestrità tenuta insieme da una forza naturale – l’Amore che crea e regge l’interdipendenza – che nel contempo è anche soprannaturale e verticale, senza tempo e senza spazio, stabile, possente, incondizionata, centrale ed irradiante i cui simboli sono, per esempio, l’Asse che non vacilla confuciano, l’Yggdrasill norreno, il pilastro egizio Djed, l’Asse del mondo, insomma l’Albero della Vita.

 

Neanche il santo, il profeta, il filosofo, il teologo, il sacerdote, il monaco, lo scienziato, il medico, il poeta e l’artista, le primizie dell’umanità potremmo dire,  possono fare a meno dell’interdipendenza con gli Altri. Ognuno di essi ha una platea composta dagli Altri in assenza dei quali non solo non potrebbe sussistere, ma la sua testimonianza si ridurrebbe  ad un assurdo solipsismo. Ogni palcoscenico è in necessaria interdipendenza con una platea e viceversa. Palcoscenico e platea non posson ignorarsi, e se lo fanno lo spettacolo degenera nel non senso.

Lo stesso scrivente queste righe, le scrive poiché almeno uno degli Altri le leggerà e, se del caso, le pubblicherà, e, forse, almeno uno degli Altri le commenterà, a patto che il “me” che legge e commenta sia consapevole che può farlo perché lo scrivente è uno degli Altri, cioè un suo simile che gli permette di esistere, ciò che dovrebbe generare il reciproco rispetto data la reciproca interdipendenza.

Che ne sarebbe di “me” senza gli Altri? Questa la domanda che potrebbe far nascere una NUOVA COSCIENZA, un nuovo (o forse antico!) modo di porsi non più incentrato sul “me” quale granitico agglomerato religioso, filosofico, scientifico e ideologico – ma basta una sola di queste componenti – bensì sulla Forza naturale e soprannaturale insieme, cioè sull’interdipendenza la cui energia interna e irradiante è Carità o Compassione trascendente ogni dottrina e ogni dogma, che, pur nella loro liceità, possono solo balbettarne.

 

Non c’è alcun “me” che possa accaparrarsi la formula della Vita, né per fede né per convinzione filosofica o scientifica o ideologica, poiché tale formula concerne l’interdipendenza che è universale, e nessun “me” che resti coriaceamente “al sicuro” nella propria autoreferenziale forma mentis, nella propria comfort zone, può cogliere l’universale, cioè lo Spirito che è senza forma, per vantarlo come garanzia del proprio sussistere individualista.

 

L’individualismo non può che essere esclusivista, e come tale una negazione dell’universale; una stanza ristretta vuota piena di buio in cui non entra mai il pieno di sole. Il “me” individualista si autonega e non se ne accorge. Peggio ancora se pensa “Dio è con me!”, quale prova di un impossibile, presuntuoso, diabolico “chissenefrega” nei confronti degli Altri.

 

Ogni affermazione o negazione che il “me” esprime, esattamente come sta accadendo allo scrivente e a chi sta leggendo, non può fare a meno degli Altri (lungo il Decumano) e del Super Altro (lungo il Cardo), che è l’irradiante Legame del “me” con ciascun “me” degli Altri, con il fiore e con la stella.

§§§




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30 commenti

  • italo di giuseppe ha detto:

    Ciao marco scrivi bene, un po complesso sembra ma in sostanza ho capito..ti lascio questa …preghiera

    CONGIUNZIONE STELLARE

    RICORDO DEL GIORNO
    E’ GIA’ ORA DI SPENGERE
    LA LUCE
    RESTA SUL COMODINO
    LA LUCE D’INFANZIA
    DOVE SEI PADRE ORA
    NEL RUMORE DEL GIORNO
    NEL CAMMINO DELL’UOMO
    E FRASTUONO DEL TEMPO
    FORSE VEGLI I SOGNI
    SEI L’AMANTE PER LE
    VIE DEL SILENZIO
    CHE MOSTRA IL VOLTO
    TRA IL VENTO
    SMOVENDO FRONDE
    PERCUOTENDO L’ANIMA
    O FORSE L’OMBRA
    CHE AMASTI
    DEL GIORNO PERSO
    IL GRIDO O NEL PIANTO
    DI QUESTO TEMPO
    DOVE SEI PADRE OGGI
    SEI FORSE LA STELLA
    FRA QUESTI SOGNI
    CHE NELL AURORA
    IN QUESTO MARE
    FRA IL VOLO DI GABBIANI
    SEI IL RIFLESSO CHE FA
    RISPLENDERE IL SENSO
    DI QUESTI GIORNI.

    8/2/2022
    Italo
    Congiunzione astrale

    UN SALUTO

  • miserere mei ha detto:

    Mettersi nei panni altrui non significa doverla pensare come lui, ma cercare di capire perchè la pensa così.
    Il me si misura e si confronta con l’alterum (il non me).
    L’esercizio è salutare con tutti, ma di più con Dio.
    Basta non iniziare pensando subito per come la vedo io.
    Soprattutto perchè io sono alterum per tutti gli altri.
    Fin qui il nostro matto è molto logico.
    Poi però ti piazza lì la poesia: “Non puoi cogliere un fiore senza disturbare una stella”, in un goccio di sana follia.
    La croce è follia per il sapiente: la croce è Dio che ama.
    Muore per me dopo avermi creato ed essere stato insultato dal mio peccato che disordina la perfezione.
    Il cristianesimo in fondo è una guarigione da un male.
    Proprio questo nostro tempo mostra come per non ammalarci siamo disposti a perdere anche l’umanità.
    Transumani ma sani: così ci vogliono i culti leviatani
    Così una religione scesa a patti con l’inoculo non sa pensare la vera croce, preferendo una falsa scienza.
    Non sa parlare di fiori e stelle, ma di tamponi e dosi.
    Non ispira alla vita, ma tratta di paura e di morte.
    Non apre all’eterno, oltre, ma è tutta qui: un inferno.
    Sì, è tutto legato: tanti altri così generano il vuoto.
    Ognuno è precipitato nel nulla, annullato nel vuoto.
    Mettersi nei panni altrui per capire la disperazione…
    E’ da matti, ma è l’unico modo per abbracciare la croce.
    La croce è l’intersezione del cardo e del decumano.
    L’Oltre, l’Altro si è fatto uomo per essere messo lì.
    In croce era velata la divinità. Nell’ostia lo è l’umanità.
    Eppure in quel pane c’è tutto, la stella e il fiore: Amore.
    La comunione con questa follia del Logos dice la fede.
    Il me in croce è salvezza per gli altri. E salva me.

    • Il Matto ha detto:

      🙏

      • italo ha detto:

        CERCANDO UN ME MIGLIORE
        un giorno persi me stesso
        smarrendomi bussanndo
        nella speranza d’aiuto
        non dimentico il tempo trascorso
        nella ricerca di poter tornare
        forse ero migliore seguendo alcuni passi
        forse ho perso una via
        in cambio di rendermi comprensibile scrivendo
        ogni volta che cado sono piu sensibile
        e’ stato un lavoro tornare in questa casa
        tra la follia di un tempo
        e la follia di oggi
        e quello che vedo ancora intorno
        non e’ distante da quando mi persi
        lo smarrimento che vedo intorno
        dovrebbe portare molti a bussare se stessi
        a causa di cio’ che appare intorno(…)
        forse e’ normale provare questo
        essere un po svampiti qui
        e’ una conferma di essere
        figli di questo mondo
        e il tocco di questo pianeta
        che ci fa diversi e unici

        Buongiorno Ho scritto questo pensiero,in isolamento, sto in quarantena.ho rotto l’isolamento scrivendo un po di poesie. visto che sono in cura da diversi anni mi ha colpito molto la sua pagina del matto….pero’ secondo me la carta dei tarocchi non va molto bene in certi ambiti e discorsi.magari lei ha studiato. mi sono sentito un po colpito, non ferito.

  • Il Matto ha detto:

    “Ed è in certi sguardi che si nasconde l’infinito” (Battiato).

    Meraviglioso! Commovente!

    Di che altro può fregarci se non dell’infinito?

  • Mimma ha detto:

    Ho corretto due volte Areopagita, ma il correttore vuol saperne più di me..

  • Mimma ha detto:

    Noterelle per Dionigi Aeropagita.
    Gesù non disprezza come inutili orpelli tutti gli “schemi umani” , tanto é vero che si serve della formidabile struttura imperiale romana per la diffusione del Cristianesimo, struttura che aveva già assimilato la civilta greca.
    Non si comprenderebbe , se così non fosse, perché la Scrittura definisce “pienezza dei tempi ” il periodo della pax augustea in cui CRISTO sceglie di incarnarsi.
    Inoltre Gesù non è contrario al buon senso, ma al senso comune, cioè all’accettazione acritica della realta , che spesso diventa ipocrisia, osservanza superficiale di norme create ad hoc dal potete dominante che non ha basi nella Verità o pedissequa aderenza alla vice dei piu.
    Da questo derivano le Sue parole sferzanti, severissime, nei confronti di scribi e farisei, ai quali ricorda che gli uomini non sono creati per il sabato, ma il sabato per l’uomo, ossia non il legalismo salverà l’uomo, ma il senso profondo fella legge.
    Egli non è certo venuto ad abolire la Legge, ma per darle pieno compimento, ossia dimostrare che ubbidire ad essa dev’essere atto d’amore nei confronti di Dio e dei fratelli,anche se nemici, non mera osservanza formale.
    La rivoluzione Cristiana sta proprio nella nuova tipologia di amore predicata dal Redentore la cui misura è ” come io vi ho amati”, ossia senza calcolo di ricambio, senza attesa di gratitudine e fino al sacrificio di sé…
    Sicché Gesù Cristo, sia benedetto il Suo Nome, è venuto a liquidare ogni formalismo, ogni osservanza che sia vuota di autentico ardore per la verita e la giustizia.
    Tutto questo Agostino compendia nel suo celebre: ” Ama e fa’ quel che vuoi ” , perché è indubbio, lapalissiano direi che chi ma non può fare del male all’amato.
    Tutto ciò premesso, l’idea che dell’inferno ha la dottrina cattolica non solo è corretta, ma congrua al ragionamento che si è svolto e da esso discende.
    Chi non ama, è divisivo, è diabolos e si autoconfina nel regno dei divisi, degli odiatori.
    Essi sono tali non perché non hanno osservato le regolette, come afferma lei, gentile Areopagita, ma perché non amando, hanno infranto la Legge, tutte le parole d’amore del Creatore dell’universo, del Cosmo, cioè dell’immensità ordinata.
    Il Matto nostro ha dimostrato chec’è interdipendenza inesorabile, necessaria, ( piaccia o no ) tra gli elementi di questo universo cosmico.
    È una rete.
    Se si smaglia, manca poco a che ridiventi caos.
    Cordialmente la saluto.

  • Forum Coscienza Maschile ha detto:

    Quando non parla di Tao e Cabale il Matto è più lucido di altri.
    L’atomizzazione della società è uno strumento di potere. Il mondo cattolico, come tutto il tessuto sociale, è stato infettato da un elevato grado di conflittualità e litigiosità.
    I virus sono gli infiltrati in tutte le realtà sociali (cattolica compresa), che spesso sono in posizioni di responsabilità. La recente querelle sulle relazioni con pessimi ambienti di un noto intellettuale cattolico lo dimostra.
    L’uso dei cellulari e dei social sostituisce gli incontri di persona con una socialità virtuale.
    Questo è un problema ben più grave di quello di Bergoglio e sodali, sia perché è meno evidente (anzi negato) sia perché impedisce la rinascita della Chiesa a partire da realtà sane.
    Se c’è una certezza a questo mondo, è che la Chiesa in Occidente non rinascerà finché non si aggregherà un piccolo resto, da cui ripartire. E sono persuaso che se ciò non avverrà, se continueremo, come diceva McLuhan, a comportarci gli uni con gli altri “come stranieri che si incrociano nella notte”, il Signore tratterà i cristiani d’Europa come il sale insipido che si getta per le strade; e a ben poco varranno devozioni e prosternazioni (“Signore, Signore”) se avremo seppellito il talento che Dio ci ha dato sotto terra .
    La pratica cristiana oggi è diventata quasi un alibi, un’evazione dalla propria vocazione. Come mi fece intendere un cristiano nordafricano, che rischiava la vita a causa dei musulmani. Forse, un giorno non lontano dovremo andare in Arabia per trovare un cristiano perché qui tra denatalità, aborti (anche quelli “ogni tanto”), vaccini e spreco del tempo che Dio ci ha donato non ne rimarrà neanche uno.

    • Il Matto ha detto:

      😊

      Mi sembra di non aver parlato mai di “Cabale”. Del Tao sì perché è una fonte preziosa che può aiutare a comprendere l’interdipendenza universale nonché il Principio e la sua Azione.

      In ogni modo, grazie per il contributo.

      P.S. Anche il Tao non può essere escluso dall’interdipendenza che è universale.

      • Forum Coscienza Maschile ha detto:

        C’è un parallelismo tra alcuni principi taoisti (“Il Tao è vuoto e vuotandosi produce”, “il mondo ha natura del vuoto”) e la Cabala. Come riportato da Elémire Zolla ne I Mistici dell’Occidente:
        “La corrispondenza musicale è con la nota generatrice dei toni, che presuppone il silenzio; la corrispondenza geometrica è il punto, che presuppone il vuoto; nella mistica occidentale la condizione dell’unità ossia della prima causa, cioè la causa non causante, è detta sovraessenzialità, nella Qabbáláh è detta ayn, il nome più segreto di Dio: nulla.”
        Senza sottovalutare l’insegnamento di filosofie umane sulle illusioni del mondo, da cristiani sappiamo che la Creazione è reale ed è cosa buona.
        E così mi sono ritrovato io a parlare di cabale, spero per edificazione (ossia ammonimento) dei passanti.

        • Il Matto ha detto:

          Vede com’è facile debordare verso “le cabale”?😊
          Un debordare, a mio parere, molto istruttivo e non necessariamente da “ammonire”.

          Il brano di Zolla, sempre a mio avviso, non fa una grinza.

          Forse dove Lei riporta “causa non causante” andava scritto “causa non causata?

          “La Creazione è reale ed è cosa buona”. Ma se, per dirne una, san Paolo avverte che passa la figura di questo mondo”, come la mettiamo? Può essere reale ciò che passa o diviene? Forse anche il passare o divenire è una realtà? Sarebbe il caso di dire che la Creazione è e non è reale? Debordiamo così anche nel buddhismo?

          L’argomento è senza dubbio stuzzicante. E forse non esauribile in una o più formule verbali.

  • Mimma ha detto:

    Sei riuscito a commuovermi, meraviglioso Matto!
    Ma per favore non chiamarmi adulatrice.
    Mi ha ferito molto.non dico mai ciò che non sento

  • Mimma ha detto:

    Accetto l’omaggio dal gran cavaliere.
    Ringrazio e correggo ultima frase del mio strampalato intervento :
    …dovrebbero catalogarsi come misantropi o folli.

  • Dionigi Areopagita ha detto:

    Interessante. Il Matto dovrebbe informarsi sul Cristianesimo Ortodosso. All’origine del Cristianesimo, infatti, non c’è una religione: al contrario, si potrebbe affermare che il Cristianesimo nacque come movimento anti-religioso, iconoclasta, dal momento che il Cristiano si faceva beffe di tutto ciò che un buon cittadino dell’epoca (come quello odierno) considerava essenziale: appartenenza a una specifica nazionalità (Ebraica), rispetto di determinate norme di condotta sociale (lo stato Romano), buon senso (Gesù Cristo è scandaloso, assolutamente contrario al buon senso)… Cristo, cioè Dio, irrompe nella realtà storica e mostra come tutti gli schemi umani siano fondalmente orpelli inutili. Gesù Cristo, nato Ebreo, dimostra come i farisaismi rabbinici siano mere costruzioni umane che finiscono per perdere di vista la trascendenza e diventare delle gabbie mentali, all’interno delle quali si finisce paradossalmente per perdere di vista Dio.
    Il Cristiano è quindi non qualcuno che segue delle regole etiche stese a puntino (Gesù Cristo ha lasciato una sola grande regola) ma è qualcuno che comunica con Dio e con gli altri figli di Dio in un rapporto di comunione, agape. Lo scopo del Cristianesimo non è, come tra i Latini, il salvarsi dall’inferno, ma la “teosi”, cioè l’unione con Dio. E non ci può essere unione con Dio senza gli altri. Per questo anche l’idea dell’Inferno, come concepita dal Cattolicesimo, è priva di senso, perché trasforma la comunione in Cristo in una dottrina di salvezza personale dove lo scopo finale è salvare la propria pelle dalle fiamme dell’inferno.

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Il principio, molto reale, dell’interdipendenza tra individuo e società non porta soltanto verso l’amore e la collaborazione, però! Ha portato e porta a molti conflitti tra individuo e individuo, tra individuo e gruppo, tra gruppo e gruppo. Non è proprio tutto così bello e serafico il discorso….
    Buona giornata a tutti.

    • Il Matto ha detto:

      Veramente non si tratta della bellezza e seraficità del discorso.

      Si tratta di una realtà inconfutabile che comprende tutto e il contrario di tutto, e a cui, piaccia o non piaccia, non ci si può sottrarre.

      Nessun “me” può affermare: io sono indipendente, autarchico, autosufficiente.

      Per questo accennavo alla necessità di una NUOVA COSCIENZA, che realizzi l’interdipendenza invece di sottovalutarla e subirla.

      • stilumcuriale emerito ha detto:

        Sinceramente non capisco di che cosa vorresti farti merito. Tutte le organizzazioni sociali, dalle corporazioni, ai partiti, agli stati, alle religioni, alle associazioni sportive, ai fans club, agli ex studenti di una determinata università hanno sottolineato il carattere di sistema aperto delle organizzazioni, strettamente inserite nel tessuto sociale nel senso più ampio. Ma se ognuna ha le sue regole, i suoi principi, i suoi amici e i suoi nemici, la società continuerà a marciare nello stesso senso in cui ha marciato fino ad oggi. Conflittualmente e inesorabilmente orientata alla distruzione paradossalmente costruttiva.

        • Il Matto ha detto:

          Di cosa voglio “farmi merito”?

          Di niente.

          Ho posto un tema d’importanza universale: l’innegabile interdipendenza fra uomini, animali, piante e minerali, che richiede una trasformazione della coscienza.

          • stilumcuriale emerito ha detto:

            Forse non hai letto questo articolo e relativi commenti.

            https://www.marcotosatti.com/2022/01/17/caro-draghi-rompere-il-termometro-non-abbassera-la-temperatura/

          • Il Matto ha detto:

            Ho ri(letto) e non posso che apprezzare.

            Soltanto dubito che l’osservazione scientifica, essendo oggettiva, analitica e diretta verso l’esteriore, possa fungere da mezzo efficace per una trasformazione della coscienza dell’osservatore, e quindi comportare un effettivo cambio, dall’interno, della visione del mondo. Mi riferisco ad una trasformazione radicale della coscienza che non è appannaggio di un aumento della fede in un Dio oggettivato bensì di un irrompere del Divino nella coscienza stessa.

            Soltanto un’altra cosa. Nell’articolo si afferma che “ il Sole, fonte di energia e di vita per la terra, è un sistema chiuso. Quando le sue riserve di idrogeno si esauriranno si spegnerà, senza bisogno di alcun intervento divino”. Quindi si viene a dire che un sistema chiuso è autonomo rispetto alla Forza primordiale che lega l’universo, ovvero che il Sole si spegnerà sottraendosi all’interdipendenza universale. Ritengo che ciò non sia condivisibile.

  • Mimma ha detto:

    Nessun me può accaparrarsi la formula della vita…
    D’accordo.
    Forse il segreto sta nell’amare il prossimo.
    Ma che significa amare il prossimo?
    Che significa amare? Chi è il prossimo?
    Ogni me, dicono, si realizza pienamente solo nell’amare ogni altro. Cosa nobilissima a dirsi.
    A farsi…
    Ogni altro però non è il prossimo, il vicinissimo.
    A meno che ogni vicinissimo non sia da considerarsi eidolon di ogni altro uomo.
    In effetti , se si riflette, lo è, e in modo straordinariamente provocatorio, nel senso che se non si riesce ad amare il padre, il figlio, la sorella, come si può pretendere di amare Mimma, il Matto …
    Unicamente nell’amare ogni altro da sé in Cristo,
    osssia nella preghiera e nel sacrificio, forse si riesce a questa meta.
    Altrimenti mi sembra utopia.Pgni ragionamento sulla necessità di sentirsi legato agli altri diventa utopia.
    Siamo così feroci tra noi !
    Intendendo per amore non il sentimento che si prova, se si prova, per affini e parenti, ” il prossimo” appunto , ma l’afflato di quello Spirito, sfuggente a ogni sforzo umano di immaginazione e determinazione, che è Fonte di ogni vita e di ogni pensiero e che viene a visitare le nostre povere menti, se Lo invochiamo. Lui, Digitus paternae dexterae, Fons vivus, Ignis, Charitas et Spiritalis unctio.
    Se così non fosse, san Pietro Eremita, sant’ Antonio Abate e tutti i loro seguaci ed amici dovrebbero catalogarsi come omofobi e folli.

  • acido prussico ha detto:

    Il “me” e l’altro/a.
    “È morto il gorilla più vecchio del mondo: addio a Ozzie.
    L’esemplare, allo zoo di Atlanta dal 1988, aveva 61 anni.
    Dopo oltre 15 anni insieme, non è riuscito a superare il dolore per la scomparsa della sua compagna di habitat.”
    (https://www.corriere.it/animali/22_gennaio_26/morto-gorilla-piu-vecchio-mondo-addio-ozzie-3cf70cf8-7eaf-11ec-8100-35836a383fae.shtml)

    • Il Matto ha detto:

      Infatti, l’interdipendenza non riguarda soltanto il mondo umano, bensì implica anche il mondo animale, vegetale e minerale.

      Non è possibile separare i quattro mondi. Sono interdipendenti. Senza gli altri tre mondi anche l’umano non potrebbe darsi.

      Mi sono limitato al mondo umano, altrimenti il discorso si sarebbe allargato a dismisura.

  • Impertinente ha detto:

    Faccio due osservazioni, per le quali vorrei stabilire la perennità di quanto enunciato da Lei. Mi richiamo all’angelico dottore.
    1. La formula “una forza in virtù della quale tutte le cose sono raccolte e messe in relazione tra loro” non è corretta, almeno in parola. Se per forza intendiamo quello che s’è sempre inteso, non solo col filosofico dynamis/potentia, ma anche, colla mediazione dei Principia di Newton, dove trattano la gravità, nelle scienze fisiche; e cioè intendiamo la possibilità d’essere una cosa in atto da parte di un soggetto che può, ossia ne ha la potenza/facoltà; tale cosa per cui “tutte le cose sono raccolte e messe in relazione tra loro” è l’essere create, ch’è una attualità. Inoltre, dirla natura come physis, come fisica o biologia, esclude gli angeli, comunque creature anch’essi. Le luci intellettuali provengono remotamente da Dio e sono volontà divina, ma prossimamente dagli angeli. Anch’essi fanno parte dell’invisibile e molte delle speculazioni contemporanee dovrebbero raccogliere le passate sulle NATURE (concetto metafisico) angeliche.
    2. La necessità degli altri equivale alla necessità della società. Ciò dipende dalla natura (metafisica) dell’uomo: animale che pensa. Nessun uomo “nasce imparato”: ossia: il pensiero va attuato nell’anima umana, essendo la scienza una potenza dell’anima.

    • Il Matto ha detto:

      La ringrazio per il Suo interessante contributo.

      Tenga presente che la parola “forza” del brano di Nishitani è una traduzione dal giapponese, lingua molto complessa e dalle infinite sfumature. “Forza”, in giapponese può scriversi e intendersi in almeno cinque modi. Per esempio, uno di questi è tairyoku: forza spirituale, ma già mi sto incamminando su un terreno arduo.

      E poi, come si sa, tradurre è un po’ tradire.

  • In sintesi ha detto:

    Re del cielo, Consolatore, Spirito di verità, Tu che sei presente in ogni luogo e ogni cosa riempi, tesoro di beni e datore di vita, vieni e abita in noi, purificaci da ogni macchia, e salva, tu che sei buono, le nostre anime.