Porfiri: gli Antichi e la Bellezza, la Chiesa e l’Erotismo.
8 Gennaio 2022
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, il maestro Aurelio Porfiri ci offre oggi una riflessione sul tema della bellezza, e del suo rapporto con la vita, e con la religione. Buona lettura.
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Gli antichi e la bellezza
Alcuni immaginano che la questione dell’apparire, della bellezza, sia una questione prettamente moderna, legata ai ritmi e alle smanie della contemporaneità. In realtà il nostro tempo ci ha regalato l’uso consumistico della bellezza, che comunque ci dice una cosa importante: la bellezza vende. Purtroppo una delle più grandi produttrici di bellezza nella storia, la Chiesa cattolica, da un certo punto in poi ha cominciato a pensare che si potesse avere una equivalenza fra il bello e il funzionale mentre il principio d’oro degli antichi è sempre stato che il funzionale doveva essere anche bello. Cioè la funzionalità non negava la bellezza, ma anzi la esigeva.
Un intellettuale americano questo ci dice sulla bellezza e gli antichi: “Non c’è nulla di particolarmente moderno o americano in questa preoccupazione per il ben vestire e il ben apparire. Siti archeologici egiziani di 2500 anni prima dell’era cristiana hanno restituito testimonianze di gioielli e altri ornamenti del corpo, mentre tracce di ocra e di altre sostante usate per dipingere le membra sono attestate da ritrovamenti ancora precedenti, quali quelli dei siti paleolitici della Francia meridionale” (Daniel S. Hamermesh, La bellezza paga). Quindi la bellezza è sempre stata cercata quasi con ostinazione da tutte le civiltà e la grandezza di queste non si misurava soltanto con quanto sapevano conquistare ma anche con quanto di bello sapevano produrre. Oggi assistiamo a due paradossi. Il primo lo abbiamo menzionato, la più grande produttrice di bellezza si è votata al funzionale che poi, senza bellezza, fatalmente non funziona. Cioè, diviene una pallida imitazione di quello che dovrebbe rappresentare. Il secondo paradosso riguarda invece la società che ha pensato di valorizzare la bellezza ostentandola, come fosse un mezzo per adescare i passanti. Eppure nella bellezza esiste anche un elemento di riservatezza che è importante. Il filosofo Byung-chul Han dice: “Il bello è un nascondiglio. Per la bellezza il nascondimento è essenziale. La trasparenza non si accorda alla bellezza. La bellezza trasparente è un ossimoro: la bellezza è necessariamente un’apparenza. Vi è insita un’opacità. Opaco significa ombreggiato. Lo svelamento toglie alla bellezza l’incanto e l’annienta, perciò essa è, secondo la sua essenza, indisvelabile” (La salvezza del bello). Questo ci insegna che la bellezza va maneggiata con molta cura.
Non sbagliavano coloro che dicevano che la Chiesa aveva contribuito ad esaltare l’erotismo. In che senso? Perché proprio attraverso i suoi “velamenti” (persone, cose, oggetti) una bellezza altra si liberava, si “svelava”, in questo modo “rivelandosi” (velandosi due volte?). Questo erotismo però non passa solo per la carne ma è un fremito spirituale profondo che scuote il nostro spirito fino a farlo tremare di un desiderio che sembra destinato a divenire inesausto. Ecco che la civiltà cristiana e cattolica ha sempre avuto la chiave per la vera bellezza che sapeva donare a coloro che accettavano di ardere sulle sue strade e di divenire una luce per tutti. Ora quella porta si preferisce chiusa, ben serrata.
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Categoria: Generale
Un tempo l’estetica era strumento per l’inizio di una ascesi, come una prima e più dolce rampa che si agganciava ad altre sempre più ardue e che portavano sempre più in alto, sino ad una altezza che permetteva il lancio verso il divino. Ora invece è sempre uno strumento, ma per una discesa in lieve pendio che prosegue con clivi sempre più scivolosi e che portano verso il baratro dell’inferno.