Rieducationis Custodes: il Commento di Messa in Latino alle Risposte di Roche
19 Dicembre 2021
Marco Tosatti
Cari amici e nemici, nel Vaticano di papa Bergoglio qualcuno ogni tanto risponde ai Dubia, se gli fa comodo e ne ha voglia. Qui sotto trovate l’articolo con cui la redazione di Messa in Latino puntualizza la risposta della Congregazione per il Culto Divino a domande relative all’improvvido, violento, e divisivo Motu Proprio Traditionis Custodes. Buona lettura.
Rieducationis Custodes: il nostro commento ai Responsa su #traditioniscustodes
I Responsa della Congregazione per il Culto Divino sull’applicazione di Traditionis Custodes sono “apocalittici” (in senso etimologico), cioè pienamente rivelatori della dichiarazione di guerra lanciata dal Santo Padre contro i fedeli legati alla liturgia tradizionale. QUI il nostro post di ieri con il testo completo e le prime riflessioni a caldo.
Non è più possibile continuare a illudersi che non c’è nessun attacco o che in fondo sarebbe solo un ritorno all’indulto. Per chi ancora non lo avesse compreso chiaramente il 16 luglio, arrivano i Responsa pubblicati ieri a rendere evidente che:
– il Santo Padre vuole non solo regolamentare ma sradicare e porre fine alla liturgia tradizionale;
– allo scopo intende frantumare la vita liturgica dei fedeli e delle comunità tradizionali (solo Messa, no altri sacramenti);
– la temporanea sopravvivenza è concessa al solo scopo di rieducarli affinché si decidano ad abbandonarla del tutto per frequentare solo ed esclusivamente il Novus Ordo;
– in altre parole, il Santo Padre desidera che a breve, nella Chiesa universale, non risuoni più nessun «Introibo ad altare Dei».
Il tutto col pretesto di una mentalità “anticonciliare” diffusa (senza mai dire quanti sono, in quali forme, eccetera, alla stregua di un grimaldello usato con kafkiana vaghezza per etichettare e colpire l’avversario, come avviene nei peggiori regimi che all’ora del declino infieriscono con particolare crudezza verso i “nemici del popolo”).
E se anche fosse questo a spingerlo, allora un conto è adottare singole misure per un singolo problema, ben altro invece è voler estinguere ex abrupto una liturgia che per secoli ha scandito la vita della Chiesa cattolica, e che dovrebbe essere venerata piuttosto che perseguitata da un Papa.
Premessa
Tracciamo qui una rapida panoramica, divieto per divieto, dell’ultimo assalto del prefetto del Culto Divino, monsignor Roche, con l’assenso del Papa nell’udienza del 18 novembre, datato il 4 dicembre e apparso ieri, 18 dicembre, sul bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.
Innanzitutto, colpisce la forma: non un’istruzione applicativa, ma appunto quella dei responsa ad altrettanti dubia posti da alcuni (uno, nessuno, centomila?) vescovi. Una sollecitudine mai riscontrata per ben altri e più noti dubia di 4 cardinali, due dei quali sono entrati nell’eternità prima di ricevere risposta.
La parte discorsiva iniziale non fa che ribadire la bontà e l’irreversibilità dell’«unica espressione della lex orandi», vale a dire la liturgia riformata, voluta dai padri conciliari (senza però mai e poi mai interrogarsi sulla concreta applicazione di questa riforma, sull’effettiva rispondenza alla costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium e soprattutto senza mai chiedersi se dopo 50 anni le chiese si siano riempite o svuotate). È ivi compresa anche la constatazione di quanto sia «triste vedere come il vincolo più profondo di unità [cioè la Messa] diventi motivo di divisione»: è vero, è triste, ma chi ha fomentato questa divisione? I fedeli che nella liturgia antica hanno scoperto maggior nutrimento spirituale rispetto alla media di celebrazioni parrocchiali la cui mediocrità è sotto gli occhi di chiunque? Oppure certa gerarchia che si accanisce contro una liturgia densa di spiritualità, che ha l’unica colpa di essere “preconciliare”?
Primo dubium
Il primo dubium riguarda la possibilità di derogare al divieto di celebrare la Messa tradizionale in chiese parrocchiali, laddove non siano presenti oratori, cappelle o altri edifici non parrocchiali. A prima vista appare qui un miglioramento, ma solo a prima vista. In realtà è il più istruttivo sul fine e i mezzi. La Congregazione concede infatti il permesso di celebrare in parrocchia, se non si dispone di altri edifici, ma il permesso deve venire dalla Congregazione stessa, valutando «con scrupolosa attenzione» ed evitando che i fedeli “ordinari” ne vengano “contaminati” al punto da suggerire: «non è opportuno che venga inserita nell’orario delle Messe parrocchiali essendo partecipata solo dai fedeli aderenti al gruppo». Manca solo la raccomandazione di sigillare le porte.
Questo punto termina con l’ipocrita excusatio non petita (accusatio manifesta) che «In queste disposizioni non vi è alcuna intenzione di emarginare i fedeli che sono radicati nella forma celebrativa precedente: esse hanno solo lo scopo di ricordare che si tratta di una concessione per provvedere al loro bene (in vista dell’uso comune dell’unica lex orandi del Rito Romano) e non di una opportunità per promuovere il rito precedente». Oltre a ribadire il fine di “rieducazione” alla famigerata «unica forma» della lex orandi, ribadisce anche l’opinione (errata) di mons. Roche per cui le aperture di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI intendevano solo contenere i gruppi esistenti e non promuovere in alcun modo il rito tradizionale – a smentirlo basterebbe l’invito di San Giovanni Paolo II a rispettare «l’animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un’ampia e generosa applicazione delle direttive» (Ecclesia Dei, 2 luglio 1988); e la constatazione di Benedetto XVI che «anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia» (Lettera ai vescovi, 7 luglio 2007) oltre all’auspicio dell’arricchimento reciproco tra le due forme del rito. «Anche giovani persone»: questa motivazione, che aveva spinto Benedetto XVI ad ampliare le precedenti concessioni, spinge ora Francesco a restringerle. Infatti, la giovane età media dei fedeli tradizionali, inversamente a una presenza giovanile piuttosto rarefatta nelle celebrazioni secondo l’«unica espressione» della lex orandi, smentisce sia il cliché dei pochi “nostalgici” che richiederebbero il Vetus ordo sia il “mito fondativo” della liturgia postconciliare come “Messa dei giovani”. Semmai, i giovani li ha fatti scappare.
Secondo dubium
Al secondo responsum si frantuma l’unità di vita liturgica dei fedeli e delle comunità legati al rito antico. In generale è concessa soltanto la Messa, non altri sacramenti secondo l’uso tradizionale. Questi ultimi sono permessi solo alle parrocchie personali erette allo scopo ma – attenzione – solo il Rituale e niente Pontificale. Cioè, almeno queste ultime potranno celebrare battesimi, matrimoni eccetera (contenuti nel Rituale) in rito antico, ma non cresime e ordinazioni (divieto di usare il Pontificale)! In linea di principio, dunque, si concede per ora (passateci l’espressione) il diritto di sopravvivenza ma non quello di procreazione. Anche qui si ripete paternalisticamente l’intento di «accompagnare quanti sono radicati nella forma celebrativa precedente verso una piena comprensione del valore della celebrazione nella forma rituale consegnataci dalla riforma del Concilio Vaticano II».
Altri dubia
I dubia seguenti riguardano la concelebrazione, motivo per revocare al presbitero la facoltà di celebrare in rito tradizionale qualora neghi la validità e la legittimità della concelebrazione. In realtà, in gran parte si tratta di sacerdoti diocesani, quindi concelebranti almeno saltuariamente nelle celebrazioni in rito nuovo; e a rigore di termini ricordiamo che anche i sacerdoti degli istituti di rito tradizionale nel giorno dell’ordinazione concelebrano (unico caso previsto secondo la liturgia tradizionale), per cui non ne negano in principio la legittimità e validità. Essa appare piuttosto un pretesto capzioso per togliere il permesso al sacerdote che legittimamente preferisce celebrare individualmente, come previsto anche dal canone 902.
Segue l’apologia del Lezionario, «uno dei frutti più preziosi della riforma liturgica», con un curioso cortocircuito: le letture del rito antico dovranno essere prese dal lezionario e dalla traduzione in vigore per il rito nuovo. Allo stesso tempo però, «Non potrà essere autorizzata nessuna pubblicazione di Lezionari in lingua vernacola che riporti il ciclo di letture del rito precedente» (sempre perché, detto tra le righe, lorsignori sperano che si estingua di qui a qualche anno, per cui non si può incoraggiare la pubblicazione di libri liturgici appositi per esso).
Neanche a dirlo, il vescovo non potrà concedere autonomamente il permesso di celebrare secondo il Messale antico, ma dovrà essere autorizzato dalla Sede apostolica. Questa è la migliore smentita su un ipotetico ritorno all’indulto giovanpaolino: quest’ultimo infatti lasciava ai vescovi grande libertà di concedere, invece Traditionis Custodes lascia loro soltanto la libertà di negare, mentre non possono concedere nulla senza passare per la Sede Apostolica (cioè per Roche, che sarà ben lieto di negare il permesso, per mandato del Santo Padre). Ci risulta da fonti certe che la Congregazione ha l’ordine, da parte del Papa, di bocciare ogni richiesta in tal senso.
Seguono infine ulteriori casistiche, che si possono ben riassumere con questa massima: tutto ciò che non è proibito è obbligatorio (ma generalmente è proibito).
Ci sarebbe troppo da scrivere e da piangere di fronte a una gerarchia aperta a tutto e a tutti, ma pronta a cestinare qualsiasi cosa che emani eccessivo odore di Tradizione, dando un calcio a quei fedeli mai presi in considerazione ma etichettati a priori come “rigidi”, “pelagiani” eccetera, mentre il Santo Padre ci tratta da “figliastri” manifestando nei nostri confronti un livore degno di miglior causa. E intanto la Fraternità San Pio X e i sedevacantisti stappano champagne!
Redazione di Messa in Latino
«E voi, padri, non esasperate i vostri figli» (Ef 6,4: «non esasperate», come ben traduce la tanto raccomandata versione CEI 2008)
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Tag: messa in latino, motu proprio, traditionis custodes
Categoria: Generale
Non capisco. Sì aprono le autostrade per inserire nella fede la pachamama, e poi si fa la guerra alla tradizione cattolica latina. Non ha senso tutto ciò
Mi permetto due osservazioni:
1) il motu proprio di luglio era già stato esplicito nel dichiarare guerra alla liturgia di sempre e nell’ affermare che le comunità dei fedeli legati alla Tradizione vanno accompagnate ( leggi: rieducate ) nell’ accettazione definitiva della riforma liturgica. I responsa non aggiungono nulla
2) dopo anni di penose ambiguità, finalmente si torna ad avere una situazione chiara e limpida. Il motu proprio Summorum Pontificum ha confuso le acque per un po’, ha definito la Messa di sempre “rito straordinario” ( ?! ) e ha auspicato che le due forme dell’unico rito si potessero arricchire a vicenda: semplicemente scandaloso.
Non esistono e non sono mai esistite due forme dell’ unico rito romano.
Esiste la Messa Cattolica Apostolica Romana ed esiste il rito di Paolo VI,che e’ il rito di un culto diverso da quello Cattolico.
Prima facciamo pace con questo, prima saremmo più uniti e più forti nel difendere la Chiesa da questa banda di eretici
Il Santo Padre farebbe e direbbe questo è quello… e di seguito atrocità dietro atrocità… desidererei capire : Santo ? Chi ? e anche: Padre ? Chi ? e ancora : di chi ? Grazie a chi volesse essere così gentile da darmi una risposta. Logica e coerente, ovviamente, sono già abbastanza confusa.
Il fatto che si sia scelto la forma di risposta a “dubia” (dopo avere ignorato spocchiosamente altri dubia presentati non da anonimi ma da 4 Cardinali) fa il paio con il nome di Traditionis Custodes al Motu Proprio in quanto a sarcasmo. Non ci si accontenta di cercare di uccidere quello che si considera un nemico, ma lo si vuole irridere, come facevano certi carnefici sul patibolo prima di squartare il malcapitato di turno. Il richiamo poi a non usare la liturgia come elemento di divisione, a premessa delle risposte, è veramente inqualificabile. Un’inversione assoluta e totale della realtà. La menzogna eletta a sistema
Bergoglio può fare quello che vuole. E’ stato messo lì dov’è apposta per distruggere. Ma ci sarà sempre qualche prete cattolico senza paura che continuerà a difendere la Tradizione. Perchè sappiamo bene che le porte degli inferi non prevarranno.
Messa in Latino si conferma un sito eccellente per completezza e lucidità di analisi (compresa la nota finale sullo champagne).
Dal tenore del testo sembra emergere, che riportare alla liturgia riformata è solo una scusa per distruggere le ultime tracce del cattolicesimo. Non si può ignorare che la nuova liturgia svuota le chiese, ancor più con l’accelerazione dissolutrice impressa da riforme (leggi picconate) ormai quasi quotidiane. Non serve dire chi comanda tutto questo, con una strategia studiata nei minimi dettagli.
Il lettore accorto si chiederà come mai il Maligno si accanisce contro le comunità Ecclesia Dei, mentre concede tutto (Messa, celebrazione dei Sacramenti e persino chiese) ad altre comunità che celebrano in rito antico.
L’Abbé Barthe ha ragione, questo continuo concedere e abrogare toglie credibilità alla gerarchia, per cui cercare in ogni modo di far sopravvivere questo santo rito sembra l’unica strada percorribile.
La Messa (ma anche i seminari) sono il fondamento delle nostre comunità; solo con essi il cattolicesimo potrà rinascere in Occidente, se Dio nella sua misericordia lo vorrà.
Quasi inutile dire che se “cesserà il culto” in Occidente, cesserà anche la civiltà occidentale.
Dal messaggio n. 5217 della
Madonna di Anguera ho
estrapolato questo passo :
i valorosi soldati in talare
combatteranno in favore
dell’unica e vera Chiesa
del mio Gesù.
Evidentemente i soldati in
talare sono i preti tradizionalisti ,
e non quelli che vanno in giro
col clergyman o addirittura in
jeans .
A dire la verità i preti, nella quasi totalità, vanno in giro non in clergyman o in jeans, ma vestiti nel modo più sciatto e anonimo possibile! E questo perché? Non certo per dare testimonianza della loro “rappresentanza” (dovrebbero essere i Rappresentanti del Re dei Re, almeno nella divisa!) e della loro fede ma per nascondersi il più possibile, ad imitazione del diavolo che è il Principe della menzogna!
A dire la verità i preti, nella quasi totalità, vanno in giro non in clergyman o in jeans, ma vestiti nel modo più sciatto e anonimo possibile! E questo perché? Non certo per dare testimonianza della loro “rappresentanza” (dovrebbero essere i Rappresentanti del Re dei Re, almeno nella divisa!) e della loro fede ma per nascondersi il più possibile, ad imitazione del diavolo che è il Principe della menzogna!