Mascarucci. Omelia Domenicale di Tarquinio il Superbo. Draghi über Alles…

16 Dicembre 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, i problemi tecnici che hanno impedito per qualche giorno a SC di apparire hanno anche interrotto il flusso regolare di notizie e commenti; e fra questi c’era questo commento di Americo Mascarucci a un editoriale apparso domenica scorsa su Avvenire, a firma del direttore, che ci sembra opportuno offrirvi adesso, in un momento in cui non ha perso nulla della sua attualità. Buona lettura.

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L’omelia domenicale di Tarquinio “il superbo”

Puntuale come un orologio svizzero è arrivata l’omelia domenicale di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, sulla prima pagina del quotidiano della Cei. Ed è l’ennesimo spot propagandistico a favore dell’ “uomo indispensabile”, ovvero l’attuale premier Mario Draghi. Che la Cei di Bassetti tifi per Draghi è cosa nota, ma l’editoriale di Tarquinio, va detto, questa domenica puzza un po’ di intolleranza. Intolleranza per la democrazia, ovvero per quelle residuali forme di dibattito politico che sono viste addirittura come pericolose.

Pericolose per chi? Per Draghi naturalmente. Perché, a detta di Tarquinio, la politica starebbe ritenendo l’attuale Presidente del Consiglio “troppo scontato”, ovvero disposto a sopportare tutto. Ciò che il direttore di Avvenire teme è che Draghi possa stancarsi dei giochetti della politica e possa sbattere la porta in faccia ai partiti. Il che per Tarquinio equivarrebbe pressappoco ad una catastrofe.

Sono ormai mesi che l’ex presidente BCE tira dritto per la sua strada senza curarsi minimamente delle posizioni dei partiti della sua “maggioranza minestrone”. I quali partiti del resto non fanno altro che litigare su aspetti del tutto secondari della vita politica, ritrovandosi poi d’accordo sulle scelte fondamentali, ovvero su ciò che vuole il premier. Un gioco delle parti che è servito unicamente per finalità elettorali, insomma per far vedere che alla fine non è che sono tutti uguali; che votare Lega non è come votare Pd, o che votare M5S non è proprio come votare Forza Italia. Ma alla fine tutti allineati e coperti sulle questioni più dirimenti, vedi la gestione politica della pandemia, il green pass obbligatorio, persino quello super ultima versione, che discrimina i non vaccinati a metà: possono lavorare di giorno o viaggiare sui mezzi di trasporto con il tampone negativo, diventando improvvisamente pericolosi la sera se decidono di andare al ristorante; in quel caso il tampone negativo, valido fino ad un’ora prima per stare in ufficio o viaggiare in metropolitana, diventa di colpo inaffidabile per entrare in un cinema, in un teatro, in un bar, ristorante, palestra ecc.

Ricordate quando la Lega ripeteva che mai e poi mai avrebbe consentito che il green pass diventasse obbligatorio per lavorare? E la stessa cosa ripetevano i 5Stelle per non essere da meno? O che non avrebbero permesso discriminazioni nei confronti di chi liberamente rifiutava il vaccino? Che la libertà di scelta restava sacra ed inviolabile? Visto quanto hanno funzionato le minacce?

Eppure Tarquinio si dice tanto preoccupato dall’idea che Draghi possa mollare tutto a causa dei giochetti e degli sgambetti dei partiti della maggioranza. E quali sarebbero questi pericolosi sgambetti? Il direttore lo spiega chiaramente: quelli della Lega ai danni del ministro Lamorgese sull’immigrazione, e quelli di parte della sinistra pronta a sostenere lo sciopero generale della Cgil e della Uil (con la Cisl contraria). Tutte operazioni che sanno di tattica elettorale e nulla più.

La Lega in crisi di consensi cerca di riguadagnare terreno sul tema centrale della propaganda salviniana (appunto il contrasto agli sbarchi che tanta fortuna ha portato al Salvini ministro dell’Interno) ma senza andare oltre una generica e poco convincente richiesta di dimissioni del ministro Lamorgese (senza mai presentare ad esempio una mozione di sfiducia in Parlamento); i 5Stelle battono sul reddito di cittadinanza e sui temi legalitari, ma poi le loro barricate non si sono viste, nemmeno quando è arrivata la riforma della giustizia che ha di fatto reintrodotto la prescrizione sotto mentite spoglie.

E i sindacati, accusati di essere conniventi con Draghi dopo la famosa mano sulla spalla del premier a Landini il giorno della visita alla devastata sede della Cgil, oggi con lo sciopero generale tentano di riguadagnare una fiducia fortemente compromessa dopo il totale appiattimento sulla politica del governo dei mesi scorsi; con i segretari confederali che hanno addirittura sbandierato come una vittoria l’aver scongiurato il licenziamento per chi non esibiva il green pass sul posto di lavoro (peccato fosse anticostituzionale e dunque inapplicabile), convincendo il governo a non andare oltre la sospensione dallo stipendio. E paradosso dei paradossi, Landini è arrivato a specificare che in realtà lo sciopero non è nemmeno contro Draghi, ma contro la sua maggioranza che gli impedirebbe di fare la manovra economica come vorrebbe lui. In pratica lo stesso ragionamento di Tarquinio, che però accusa i sindacati della sinistra di voler sgambettare il premier.

Insomma, ciò che sconcerta nell’editoriale del direttore di Avvenire, è il tentativo di imporre una sorta di grembiulino a tutti i partiti, obbligandoli ad uniformarsi alla politica di Palazzo Chigi, rinunciando persino a portare avanti le battaglie di bandiera che servono a mantenere un minimo di consenso elettorale; chi con la lotta all’immigrazione, chi con il reddito di cittadinanza, chi con il taglio delle tasse, chi con i bonus edilizi, chi con lo stralcio delle cartelle esattoriali.

La colpa dei partiti della maggioranza sarebbe dunque quella di dimostrare di esistere ancora, in un Parlamento che ormai non conta più nulla e dove si ratificano soltanto i decreti emergenziali del governo, demonizzando sistematicamente le poche voci ancora libere che si muovono in un emiciclo svuotato di ogni funzione rappresentativa. Ma per Tarquinio tutto ciò ancora non basta, bisogna dire di sì a Draghi, senza se e senza ma, soprattutto senza fiatare, perché se il premier si stufa allora per l’Italia sarà la catastrofe (peccato che i cimiteri siano pieni di persone che si ritenevano indispensabili e a cui il mondo è tranquillamente sopravvissuto). E se in passato “l’uomo della Provvidenza” era Mario Monti che imponeva sacrifici agli italiani per il bene del Paese, oggi per Tarquinio è diventato Draghi a cui bisognerebbe tributare eterna gratitudine perché invece “scuce risorse”. E quei farabutti dei politici osano pretendere di stabilire come deve scucirle, cercando di tirare la coperta dalla loro parte, come del resto è sempre avvenuto da quando l’Italia è diventata una repubblica parlamentare. E sapendo già che non potranno andare oltre le briciole che il premier benignamente dispenserà loro.  Peccato che Tarquinio non abbia chiuso il suo editoriale con le note della celebre canzone “In Fila per Tre” di Edoardo Bennato, perché sarebbero calzate a pennello per rafforzare il suo superbo ragionamento:

“Presto vieni qui, ma su non fare così

Ma non li vedi quanti altri bambini?

Che sono tutti come te

Che stanno in fila per tre

Che sono bravi e che non piangono mai

E’ il primo giorno però domani ti abituerai

E ti sembrerà una cosa normale

Fare la fila per tre, risponder sempre di sì

E comportarti da persona civile”.

Americo Mascarucci- giornalista e scrittore

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2 commenti

  • ex : ha detto:

    Mah… anche sulle questioni meno importanti non vedo tutto questo diversificarsi della Lega dai partiti di sinistra, se non a parole (non molte e a bassa voce), che non incantano nessuno. Anzi, reiterarle senza passare all’azione decisiva, come giustamente dice Mascarucci (caso Lamorgese), toglie ad esse ancor più credibilità.

    Piuttosto quella che è diventata del tutto afona, e che invece dovrebbe gridare più di tutti (e non solo gridare, ma anche organizzare delle manifestazioni) in quanto è l’unica che sta all’opposizione, è la Meloni. Confesso che confidavo un po’ in lei perché mi sembrava coerente e brava, e quindi sta deludendo. Probabilmente teme il ricatto di essere chiamata fascista qualora intraprenda qualche (benemerita) azione di vero contrasto alle manovre del Governo. Ma col timore non si fa politica.

  • frama ha detto:

    Su Avvenire un editoriale a firma Ferdinando Camon si concludeva auspicando la “dittatura del bene” dove il “bene”era l’obbligo vaccinale. (Avvenire, sabato 20 novembre)