Musica e sacro: qualche considerazione del M° Aurelio Porfiri.

3 Settembre 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, il M° Aurelio Porfiri ci offre questa riflessione profonda e documentata sul rapporto fra musica e sacro, e sulla necessità di una maggiore chiarezza nella distinzione fra quello che è “sacro” sin dal concepimento, e il cosiddetto “sacro di ritorno”. Buona lettura.

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Musica e sacro: qualche considerazione

 

Negli ultimi decenni si è spesso contestato l’uso del termine “musica sacra” per denotare la musica che viene usata per la liturgia, preferendo termini come musica rituale, liturgica e via dicendo. Certamente, per alcuni il termine “musica sacra” ha voluto significare la monumentalizzazione di certi repertori come intoccabili o intangibili, non come modelli quali essi sono. Parliamo certamente del cal canto gregoriano e della polifonia rinascimentale che hanno certamente un posto d’onore nei repertori liturgici, specialmente il canto gregoriano che è il canto proprio della liturgia, ma essi devono essere visti in forma dinamica e non meramente statica. Cioè essi non escludono quanto di buono al di fuori di questi repertori viene prodotto.

Questo è tanto vero che san Pio X nel suo Motu Proprio del 22 novembre 1903 indicava il gregoriano come modello per nuove composizioni: “Per tali motivi il canto gregoriano fu sempre considerato come il supremo modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme”. Come vediamo in questo importante documento il canto gregoriano viene chiaramente indicato come modello per composizioni a venire.

Dicevamo delle resistenze sull’uso della definizione della musica perla Chiesa come “sacra”. Alcuni ritengono l’uso di questa tradizione come una tradizione recente (vedi Nicolas Schalz, 1971, La notion de “musique sacrée” in La Maison-Dieu, 108). Una tradizione giovane che risalirebbe al diciassettesimo secolo e che solo nel diciannovesimo secolo e poi sotto san Pio X verrebbe ben precisato. In realtà, pur accettando come ipotesi di scuola quanto asserito dall’articolo di Schalz, non risolve affatto in senso avverso il problema dell’uso di quella definizione, in quanto essa conta non per come è formulata ma per quello che significa. Essa è stata impiegata per denotare un repertorio di musiche riservate al culto pubblico della Chiesa, pur se in epoca moderna si è voluto comprensibilmente includere in questa definizione un ventaglio più ampio di repertori sempre però distinti dalla musica di uso commerciale.

Forse non sarà improprio guardare da dove deriva questo termine “sacro”. Nell’ebraico (vedi Arnaldo Nesti, Il sacro, le teorie, i dilemmi in Le forme del sacro, 1991, a cura di Francesca Brezzi) abbiamo qadosh ed herem. Il primo termine è più usato con il senso di “separato” ma anche, secondo una differente derivazione dall’accadico, di brillante, splendente. Questo termine ha un senso anche connesso al numinoso, alla presenza maestosa della divinità che è stata trattata con grande acume nel classico libro sul sacro di Rudolf Otto (1869-1937).

In greco questi termini passano come hieròs, hagnos, hàgios e hòsios che hanno sempre questo senso di consacrato alla divinità, mentre in latino abbiamo sacer e sanctus che denoterebbero il sacro implicito e il sacro esplicito. Il sacer ha un valore più misterioso, proprio alla divinità mentre il sanctus riguarda più un tipo di interdizione di cui sono responsabili gli uomini. Oggi alcuni, tra cui Mons. Giuseppe Liberto Maestro emerito della Cappella Musicale Pontificia, preferiscono usare la definizione “musica santa”: “Nell’arte liturgica la bellezza non è l’effetto dell’arte umana che si autocompiace e, perciò, si autocelebra; non è nemmeno spettacolo su Dio a un Dio disincarnato, lontano, intoccabile, insensibile, inarrivabile. Nell’arte liturgica la bellezza è il riflesso della gloria divina che si svela e si rivela: l’orante liturgico entra in comunione d’amore con il nostro Dio “vicino e arrivabile”, fatto carne della nostra natura” (Musica santa per la liturgia).

Detto questo, ritengo che la definizione di “musica sacra” abbia un suo perché se rettamente intesa, cioè come denotazione di repertori che sono riservati al culto della Chiesa e che intendono essere riservati per questa funzione e non ripresi dagli stili profani in modo da offrirci una sorta di sacralizzazione di ritorno di quello che c’è fuori dal Tempio. Facciamo attenzione, una cosa è sacralizzare il profano come processo di trasformazione che trasforma per Dio quanto gli era contrario o indifferente, un altro è il “sacro di ritorno”, cioè la sacralizzazione del profano in quanto profano, quindi il regno del sentimentalismo (mezzo già ampiamente denunciato da Antonio Rosmini e in epoca diversa da Pio X) che è una via perversa per irretire anime non preparate. Ne parla Roger Caillois in L’uomo e il sacro, un testo che varrebbe la pena rileggere.

Lo studioso Mircea Eliade dice: “Tutte le religioni ammettono che vi sono un tempo, uno spazio e gesti che si possono definire sacri. Il profano invece è caratterizzato dal suo carattere illusorio, passeggero, senza significato” (Miti delle origini e ritmi cosmici). Ecco, in questo senso possiamo tranquillamente parlare di una musica sacra e allo stesso tempo adombrarci per la sua desacralizzazione.

 

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6 commenti

  • Davide Scarano ha detto:

    Un fuori tema che fuori tema non è.
    Stavo pensando di recarmi a visitare Orvieto e la sua cattedrale quando ho scoperto che “per la visita alla cattedrale è necessario il green pass”. Si veda il link sottostante:
    https://www.opsm.it/

    Non solo la Chiesa è stata assimilata ad un Museo, svilendo quindi la sua funzione principale, che dovrebbe essere quella di favorire la preghiera e l’incontro con Dio, anche attraverso l’arte ivi contenuta, ma la S. Messa è stata assimilata ad un assembramento qualsiasi, andando perfino, almeno a mio parere, oltre la legge, perciò violando la legge.
    Quale futuro poi per “l’ospedale da campo” di Francesco? Si trasferirà in tenda? Accoglierà peccatori non ligi all’orientamento politico dominante?
    E per “i pastori con l’odore delle pecore”? Si muniranno anche di un paio di occhiali e della necessaria APP per poter riconoscere, sempre e comunque, l’agognato simbolo di sanità fisica e mentale?
    Tutto ciò mi lascia troppe domande ed una profonda amarezza.

  • Il Matto ha detto:

    Lo studioso Mircea Eliade dice: “Tutte le religioni ammettono che vi sono un tempo, uno spazio e gesti che si possono definire sacri. Il profano invece è caratterizzato dal suo carattere illusorio, passeggero, senza significato” (Miti delle origini e ritmi cosmici).

    Questa preziosa citazione finale avrebbe potuto farla, condividendola, anche il sottoscritto in uno dei suoi articoli stimati “brodaglia” dai Sani di Mente.

    Avete letto attentamente, o Sani di mente? Vi si afferma che il sacro è prerogativa di tutte le religioni.

    Ci siamo capiti?

    Oppure anche il Maestro Porfiri è stato preso da un momento di mattitudine? 😜

    • alessio ha detto:

      Lei saprà che bisogna essere matti
      per essere cristiani , come
      successe a Gesù , quando
      arrivarono i parenti per
      portarlo via ma i discepoli
      li rimandarono indietro ,
      per quanto riguarda le
      preghiere dei pagani ,
      faccio conto che ragli un
      ciuco , come per quelle
      invocazioni spiritiche
      deteriori
      che hanno fatto
      i vertici vaticani con la
      preghiera a pachamama
      sia ai giardinetti che in
      chiesa .

      • Il Matto ha detto:

        Sì, ma a parte ragli di ciuco e invocazioni spiritiche, lei ammette che il sacro è prerogativa di tutte le religioni?

        Altrimenti deve richiamare all’ordine anche il Maestro Porfiri che utilizza citazioni fuori luogo.

        • alessio ha detto:

          le religioni non sono tutte
          uguali , sennò intruppiamoci
          anche noi con jorge mario
          nella chiesa inclusiva non
          rigida ; detto questo , ognuno
          se vuole può ascoltare anche
          i canti tibetani , ma non
          potranno mai far raggiungere le
          vette del sentimento come
          un Pachelbel , o Zèlenka e Biber
          che con le loro Messe in
          latino hanno raggiunto
          livelli celestiali .