BDV ai Domenicani di Firenze: Riaprite le Biblioteche agli Studiosi…
30 Aprile 2021
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, la nostra Benedetta De Vito si unisce a quanti chiedono ai frati domenicani di Firenze – Ordo Praedicatorum – di riaprire quelle sorgenti di sapere e fede che sono le biblioteche della città medicea. Buona lettura.
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Ieri pomeriggio, alle quattro e tante, seduta su una panchina che sonnecchia lungo la Via Marcantonio Colonna, a distanza di sicurezza dal mondo, mi sono tolta la mascherina e ho respirato libera il delizioso profumo della pioggia, il sapore di bagnato sulle labbra, la brezza odorosa di libertà e me ne sono rimasta lì, tutta in me, mentre scendevano le prime gocciolone di pioggia. Ai miei piedi, come in sfarfallata danza, tanti piccioni speravano che, dalla mia borsa bennibag tirassi fuori un crostone di pane, qualche briciola, un biscotto, ma io nulla avevo ed ero, nel mio grande, fatta quasi una di loro, in armonia con l’acqua sacra che correva giù dal cielo. Il mondo, a capo in su, con i piedi ben radicati in terra, sorrideva nel cielo grigio. Un respiro e via, pronta di nuovo e in corsa a riprendere il cammino nel mondo a capo in giù in cui siamo costretti a vivere, nostro malgrado. Un mondo al contrario, in eterno carnevale, dove dal piccolo al grande è tutto un rincorrersi di assurdità e contraddizioni. Dal grande appunto e comincio, tuffando le mani nel mazzo, con il Santissimo Ordine dei Domenicani, che festeggia gli Ottocento anni dalla morte del Fondatore, il dolcissimo San Domenico, e lo fa, ohimè, con una capriola che rende vuoto il pieno.
E tanto per cominciare dalla Fonte, mi collego al sito dominicus800.op.org. Dove al Capitolo 10 leggo “Chi era San Domenico?” e faccio un balzo sulla sedia, quando vedo che a corredar lo scritto c’è un’immagine senza volto del grandissimo Santo spagnolo. Vuoto, sì, Lui che era tutto pieno di Spirito Santo. E non mi importa un fico secco, con rispetto parlando, se il tal disegno, pur bello, che adorna la chiesina di Saint-Marie du Rosaire (Vence, in Francia), lo ha fatto un gran pittore di nome Henri Matisse e che, addirittura, considerava la cappellina il suo capolavoro… Metter su un volto muto per descrivere l’identità di una persona è un seme di contraddizione, sconforta, lascia attoniti. Quel viso senza occhi e senza labbra, senza anima direi, sembra dire, anzi gridare, guardatemi, non sono nessuno, seguite un nessuno, al passo, e marameo. Ma perché – mi chiedo, amando i domenicani che mi hanno donato la gemma preziosa che è il mio padre spirituale? Perché e chiudo gli occhi e sono al principio stesso del mio cammino, tanti anni fa, nella bella chiesa dei Santi Quirico e Giulitta, che apre la sua porta sul Foro di Augusto a Roma. Andavo lì a messa, allora, e il Signore non mi aveva ancora chiamata a seguirlo, accendendo il fuoco nel mio cuore. Che oggi, coronato di spine, in forma di rosa rosa, porta il segno della Croce come stendardo. Ero lì nella chiesa dedicata ai due martiri romani, mamma e figlioletto, ed era chiesa, pensavo, francescana che ancora oggi i frati custodiscono. Ma i quadri, tutto intorno mi parlavano di un altro Santo, di un altro Ordine. E i cani belli, con la fiaccola in bocca, mi indicavano, a lume acceso, il cammino. Certo, fino a prima, era chiesa domenicana! I domenicani erano il mio cammino…
E torniamo al volto senza volto di Domenico, che per me sonnecchia sempre sotto il suo arancio, l’albero che si può veder, oggi ancora vivo, da una finestrina della stupenda basilica, a Santa Sabina all’Aventino. Il volto, come sappiamo senza studiare psicologia né seguir le orme di Lombroso, è, a modo suo, immagine identitaria della persona, sì, sì, è la nostra identità, chi ti riconosce, ti conosce. E non c’è documento civile che non voglia il suo bel ritratto in fotografia per dir chi sei. E ancora di più, mi viene da dire, oggi, che siamo tutti mascherati con quelle bazze finte, dalle quali spiccano come dalla cella di un carcere, gli occhi spauriti degli italiani. E allora perché usare quella vuota immagine di Matisse per raccontare il dolce Domenico? Perché mostrarlo vuoto lui che era pieno di Dio?
Seguendo nel ragionamento e camminando dietro i bianchi abiti di panno di lana dei domenicani, mi sono imbattuta in un’altra contraddizione dell’Ordine che è dei predicatori, cioè di quanti fanno della Parola e del Vangelo l’arma per cambiare il mondo. E l’arma deve essere affinata e lo studio è strumento di lavoro. I libri, dunque, sono mezzi, nutrimento dello spirito e sentiero del cammino della Sapienza. Non a caso tra i principi dell’Ordine troviamo San Tommaso d’Aquino, un gigante del pensiero cattolico, il Dottor Angelicus, immerso nei libri e che libri di innumerevoli pagine e di infinito sapere ha scritto.
Ebbene, proprio i frati domenicani, che dovrebbero essere i cani da guardia dell’ortodossia, della cultura evangelica, degli scritti mistici e teologici della nostra Santa Romana Chiesa, hanno deciso – insieme al convento fiorentino di San Marco (che è a modo suo simbolo in mura e chiostri di Sant’Antonino, del Beato Angelico, di Girolamo Savonarola…) – di chiudere i battenti di una biblioteca annessa al convento che era fiore all’occhiello della città medicea. C’era una volta e non c’è più – o meglio è diventato un triste “fondo”dell’altra biblioteca domenicana, quella di Santa Maria Novella – la biblioteca Arrigo Levasti, che fino a pochi anni fa era viva, vera, fatta di amici che si incontrano, che discutono, di libri vivi che entrano fin dentro l’anima. Per toccar con il cuore il dolore di questa feroce chiusura – anche la lapide che la raccontava è stata sradicata e lasciato all’incuria il portone d’entrata – ho incontrato sul web il pianto, in forma di filmato su Youtube (“Come ti demolisco la cultura”), dei tanti professori e professoresse, orfani della biblioteca, che alla “Levasti” trovavano il sugo sapiente per i loro studi. I nomi non li ricordo, ma i volti sì, volti vivi, non come il ritratto di Matisse al nostro dolce Domenico, volti traditi e dispiaciuti e affranti per una chiusura che non si spiega. La ferita sanguina, si grida, ci si dispera e con il ricordo al miele del passato si racconta che, intorno al convento di San Marco, oltre alla Biblioteca, c’erano la Sala per le numerose conferenze, i locali della “Rivista di Ascetica e Mistica”, il chiostro per le mostre… e che la chiesa si apriva ad eventi come il Premio “Beato Angelico”, la medaglia consegnata in nome del Patrono degli Artisti (si veda per esempio la premiazione di Franco Zeffirelli, educato e cresciuto proprio dai frati di San Marco).
Così da qui, dopo aver scritto questo beve articolo, mi unisco, sulla carta, al coro dei professori e chiedo ai frati di San Marco di scegliere tra i bei quadri che lo ritraggono, il volto di Domenico e che non sia quello vuoto di Matisse, ma uno vivo che lo racconti fin nel profondo della sua anima accesa d’amore per il Signore. E, soprattutto, di riaprire la biblioteca “Levasti”, ricordandosi che proprio a San Marco, Cosimo I, fece costruir la stupenda Biblioteca di Michelozzo, che fu, e come non ricordarlo e gridarlo qui a gran voce, la prima biblioteca aperta al pubblico!
Sì, in questa nostra povera Patria ferita, ci vuole un nuovo Cosimo, un nuovo Rinascimento e anche, diciamocelo, un nuovo Savonarola…
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Ecco il collegamento per il libro in italiano.
And here is the link to the book in English.
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Tag: bdv, de vito, domenicani, firenze, levasti
Categoria: Generale
Caro S.E.
scrivo quel che segue con la massima serietà.
Sembra che i miei contributi a questo blog stiano diventando per Te un problema, un fastidio, un motivo di stizza, ciò inducendoti ad assumere un tono sarcastico che sconfina nello scortese, vedi il tuo ultimo giudizio di “povertà” dei commenti, riferendoti evidentemente a me, visto che sono l’unico, oltre a Te, ad essere entrato nel merito dello scritto della Signora De Vito.
Penso che uno scambio di vedute fra gentiluomini (e gentildonne) debba mantenersi entro i limiti della cortesia, anche e soprattutto quando tali vedute non si trovano sulla stessa lunghezza d’onda.
Il meraviglioso senso del vivere nipponico contempla una parola deliziosa: OMOIYARI, cioè la gentilezza e la sensibilità nei confronti del sentire degli altri.
Una mente aperta e piena della filosofia omoiyari ha sempre una condotta adeguata ad ogni situazione, perché è abituata all’ascolto istintivo di ciò che la circonda; è una mente che ha imparato a liberarsi dell’egoismo e dell’autocompiacimento, scoprendo che c’è tutta una nuova forma di benessere fuori di se stessi.
Un cordiale saluto.
Egregio Nippo, il mio comportamento verso di te non dipende solo da me, ma anche dal tuo comportamento nei miei confronti, che non sempre è stato ed è così gentile, rispettoso e beneducato come tu dici. Shalom.
Chiederei a entrambi di ignorarsi.
Saggio consiglio.
Chiedo scusa per averlo ignorato, dato che fu già dato e più di una volta.
Perdonate lo sfogo personale, non consono ad un blog che mai dovrebbe essere confuso con una chat.
Mi spiace vedere l’esiguità (e la povertà) dei commenti ad un articolo che a parer mio avrebbe dovuto essere di stimolo per una bella discussione fra gli abituali frequentatori di S.C. e mi spiace da parte di BDV non vi sia mai un intervento di rinforzo nei commenti. Vabbé : forse essendo la festa dei lavoratori nessuno vuole lavorare.
Può darsi che il bell’intervento della signora De Vito sia viziato da un eccesso di allarme che ha dato origine alle sue allarmate considerazioni, e che mettono in ombra un tratto essenziale della vita spirituale.
Infatti, il sito domenicano indicato si apre con l’immagine statuaria del Santo, e dei dieci capitoli dedicati alla figura del medesimo, nove recano sue immagini e soltanto il decimo reca il tratto senza volto ad opera di Matisse.
Mi limito ad osservare come l’assenza di identità indicata dal vuoto del volto, in definitiva la mancanza della testa (e, a ben vedere, dell’intera corporeità) rientri in un simbolismo spirituale della più bell’acqua.
“Perché mostrarlo vuoto lui che era pieno di Dio?” chiede la signora De Vito. La risposta è semplice: perché era vuoto di sé. E questo vuoto/pienezza traspare chiaramente da quanto scritto nel capitolo 10, che ci presenta il Santo, per così dire, sferico e vuoto:
San Domenico «estendeva la sua carità e compassione non solo ai fedeli ma anche agli infedeli e ai pagani e perfino ai dannati dell’inferno e piangeva molto per essi» (Processo di Canonizzazione di Bologna, 11).
Soltanto nel vuoto (facile a dirsi!) c’è posto per tutti, qualcosa che non dipende certo dall’aver letto una montagna di libri (che altrimenti la Chiesa sarebbe zeppa di santi tanto ecclesiastici quanto laici).
E varrà la pena di ricordare come lo stesso Dottor Angelicus, “immerso nei libri e che libri di innumerevoli pagine e di infinito sapere ha scritto”, a un certo punto li vide come paglia e non finì nemmeno di scrivere la Somma.
Un bellissimo esempio di inutilità della testa, agli effetti della santità, è dato dalla statua di San Denis sul portale di Notre Dame. Si noti come il Santo la tenga accuratamente fra le mani, segno che anche la testa serve ma con parsimonia e prudenza. La sapienza della testa può risultare ostacolante sulla via della santità.
ac8f8038a91970d7f92f6d55160d6f83.jpg (650×867) (pinimg.com)
Si vedano anche altri due esempi di santi cefalofori.
http://www.emiliamisteriosa.it/2013/12/i-santi-senza-testa.html
http://www.luoghimisteriosi.it/emilia%20romagna/Fidenza/fidenza%20(76)%20(Medium).JPG
Enrico,
tutte considerazioni molto belle, direi: “sublimi”. Soltanto che, per difendere lo spirito della tradizione, mi sembrano alquanto dissonanti , e, al contrario,
straordinariamente assonanti con la ” cancel culture”,- costi quel che costi-… anche la testa del professore francese Samuel Paty, il cui nome è diventato immediatamente pericoloso da pronunciare per timore di subire rappresaglie mortali.
Mi staresti dando del sovversivo? Ma tanto un fiore immaginario te lo mando lo stesso!😍
Opportunamente richiami “lo spirito della tradizione”. Ora la parola “tradizione”, almeno per me, è come una forziere senza fondo. In sintesi, vi è una tradizione orale, una tradizione scritta e una tradizione mistica.
La tradizione scritta, proprio perché tale, non può esaurire l’Assoluto, quindi non può pretendere un … assoluto prostrarsi. Il che, sia chiaro, non equivale in nessun modo al considerarla inutile, al contrario essa costituisce un prezioso e necessario orientamento … orientamento, non traguardo. La bussola indica la stella polare, ma per giungere alla stella polare bisogna volare attraverso il … vuoto.
La tradizione mistica, più precisamente apofatica, va al di là di quella scritta, cercando di (come già ti dissi recentemente) di “andare dentro” (intus-ire), e quindi salire sulla stella polare o al santuario interiore, se Paolo non racconta una balla quando dice che siamo Tempio dello Spirito Santo.
Quel che voglio dire è che la i seguaci della sola tradizione scritta, pur nella loro legittima posizione, non sono gli unici “in regola” e che “farsi una cultura” non solo non è sufficiente alla “Salita del Monte Carmelo”, ma può molto facilmente costituire un ostacolo. Sempre che anche Giovanni della Croce non abbia raccontato balle.
Ciao 😊
Tutto ciò mi riporta alla lettera del Petrarca sulla scalata al monte Ventoso in compagnia del fratello suo, Gherardo, fattosi frate.
( Familiares, IV, 1 ). Una delle lettere più spirituali e psicologicamente profonde che siano state scritte sulla impegnativa “salita” cristiana. Ma già, il Petrarca era un “maestro” nel sondare l’animo umano…e ad ognuno la sua strada a seconda delle sue forze.
(Nota: la vetta del monte è costituita da ciottoli o breccia, tanto il vento dei secoli ha lavorato su di essa Ne serbo un bel ricordo).
Adriana, non sei felice per la presenza di un così grande santo fra i commentatori di S.C. ?
Se è santo, sono felice per lui. Comunque sia tu, sia lui mi fate una grazia a dire una preghiera per Maurizio Blondet ricoverato all’Ospedale per inizio di infarto, nella speranza di poter ancora udire la sua voce.
Non lo sapevo. Tanti auguri a Maurizio!
Finito Rosario alla Salus Infirmorum per Blondet.
Grazie,
ero sicura che avresti accolto la mia indegna preghiera per quell’uomo appassionato che ha scosso tante anime, rinvigorendone la Fede senza mai piegarsi ai convenzionalismi di rito.
Gent.ma Benedetta De Vito, La sua penna è molto più raffinata della mia e di quella di tanti altri, ma più che la ricchezza del dire conta la ricchezza dei contenuti. E stavolta lei ha messo il dito su una piaga dolorosa e sanguinante della cultura odierna. Di contro alla mania di scrivere libri che ha preso un sacco di persone che sarebbe meglio stessero zitte, nessuno più legge. Sembra prevalere la mentalità del “vale più la pratica della grammatica” cara ai nostri vecchi artigiani, ma la pratica senza la teoria dà scarsi risultati come la teoria senza la pratica. La gente ha bisogno di imparare ad imparare studiando e facendo. E’ vero che ad andare in bicicletta si impara andando in bicicletta e non stando a casa in poltrona a leggere un libro di storia del ciclismo, ma è anche vero che nessuno diventerà mai un grande campione senza un valido allenatore. E in mancanza dell’allenatore in molte faccende della nostra vita più che un allenatore è bastato e basta un buon libro.
Lei parla di un mondo al contrario. Sapesse quante volte lo dico anch’io nel corso di una giornata. Guardando certi programmi televisivi di attualità, vedendo come si comporta e come parla la gente, gente che confonde mania con fobia, defatigare con affaticare, e che chiacchiera con aria dottorale mettendo ben in evidenza titoli altisonanti come professore ed esperto, non si può che dire che tutto va al contrario.
Segni dei tempi, dicono. Ma che tempi, dico io.
Stilum Cur. Emerito,
Versione televisiva di:” Unusquisque faber est fortunae suae”- ” Ognuno è artificiere della propria fortuna”:
“Festival musicale di Wagner a Bayreuth”- “Festival musicale di Uogner a Beirut”,
Allegriaaa! Ne abbiamo bisogno.