Laporta. Il PIL e ‘na Tazzulella ‘e Cafè. Storia di un Disastro Progressi(vo)(sta).

11 Gennaio 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il generale Piero Laporta ci invita a riflettere, mentre l’economia di questo sciagurato Paese sta sfaldandosi sotto i colpi di chiusure e incapacità, su come siamo giunti, di anno in anno, di decennio in decennio, a queste magnifiche sorti e progressive. Buona lettura. 

 

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Il PIL e ‘na Tazzulella ‘e Cafè


Le distanze si misurano col Metro, la forza in Newton, il peso in Chilogrammi, la corrente elettrica in Ampère, l’economia… in dollari; con una differenza: tutte le altre misure sono da sempre ovunque uguali, il dollaro no.  E al PIL che cosa accade? Ce lo dice ‘na tazzulella ‘e cafè.
30 centesimi di dollaro per ‘na tazzulella ‘e cafè in Brasile bastano, 1,20 US $ a Berlino, 3,30 a Dubai, 2,5 a New York.
Il contributo della tazulella ‘e café al PIL brasiliano è 11 volte inferiore a quello di Dubai (oppure i carioca dovrebbero ingollare 11 caffè invece d’uno solo); 8 volte inferiore a quello di New York e 4 a quello di Berlino. Un’analoga proporzione si instaura fra il PIL degli Stati e di conserva fra il valore delle merci.
Si confrontano le economie dei vari stati calcolandone i valori in dollari, ma il valore d’un dollaro fluttua nel tempo e nei luoghi. Significa che nei paesi dove il costo della vita è basso, il PIL sarà basso e il rapporto con il debito alto, una rincorsa senza possibilità di successo per i paesi poveri. Si tenta di correggere questa discrepanza calcolando il PIL reale cioè a prezzi costanti riferiti ad un certo anno di confronto.
Se volessimo confrontare la ripresa dei vari stati in un eventuale dopo Covid, dovremmo prendere a riferimento i prezzi 2020 e calcolare il PIL degli anni a venire a tali prezzi, ossia secondo il PIL reale, non gonfiato da eventuale inflazione (quello che avviene con il PIL nominale calcolato a prezzi correnti).
Il PIL reale obbliga a stime differenti tra Stato e Stato e nel tempo (il paniere di prodotti utilizzato per calcolare l’inflazione). È comunque una corsa a handicap dove i paesi a basso costo della vita partono penalizzati.
Nel calcolo del PIL entrano anche le “disgrazie” cioè terremoti, alluvioni e… pandemie, coi costi eccezionali conseguenti. I paesi che hanno speso di più per contrastare il Covid hanno un PIL 2020 in partenza relativamente maggiore rispetto a quelli che hanno speso meno.
Gli economisti sostengono che il PIL, come la democrazia è un pessimo metodo di governo, è un pessimo metodo di valutazione dell’economia; purtroppo non c’è di meglio in ambedue i casi. È davvero così?
Secondo Paolo Savona, esiliato alla Consob da Matteo Salvini, l’efficienza dell’economia di un paese è misurata mettendo in rapporto il debito e PIL nominali: se il debito cresce più del PIL, i soldi a disposizione sono usati male, ci sono falle da cui si perdono ricchezze.
Le principali falle sono due: il risparmio privato in contante (o in fondi di investimento internazionali, inquattato nel materasso o all’estero) oppure troppo consumo di beni importati.
Coi governi della sedicente sinistra dal 2011 al 2018, il PIL rimase fermo, il debito aumentò del 25%.
Gli economisti, i giornalisti, le associazioni di commercio e del turismo e perfino gli chef stellati lamentano perdite del 10% del PIL a causa delle chiusure anti (?) virus. Si perdono 180 miliardi rispetto al 2019, senza contare il nero. Dove sono questi 180 miliardi? Sono nel risparmio, nel contante o nei beni mobiliari, in Italia e all’estero. È un capitale sottratto allo sviluppo economico. 100 miliardi sono stati così “risparmiati” nel primo semestre 2020; possiamo presumerne quasi altrettanti nel secondo semestre.
Questi 180 miliardi sottratti al PIL sarebbero vera ricchezza per il paese? No, sono spese edonistiche, la cui capacità occupazionale si avverte solo perché la crisi ha dilaniato ben prima l’economia. Il piatto da 10 euro, servito al ristorante, contiene 1 o 2 euro di “merce”, cioè di produzione concreta; il resto sono costi di servizio e utili sul piatto portato in tavola.

Occorre tuttavia osservare quanto incida la crisi economica, comunque procurata, sulla produzione. Negli ultimi dieci anni le aziende di produzione di carne bovina del Centro Sud sono state decimate. La chiusura per Covid ne determina la crisi ulteriore. In quel piatto da dieci euro la quota di cibo importato (carni, formaggi, latte, farine…) è destinata quindi a crescere e quindi incidere negativamente nel rapporto fra PIL e debito. Una discesa a precipizio.
La contraddizione: qualcuno aumenta il proprio capitale riducendo l’occupazione al servizio dell’edonismo, incapace peraltro di produrre merci o servizi immateriali, in concorrenza con altri paesi. Bar, ristorazione e consimili sono servizi in concorrenza tra loro. Na’ tazzulella ‘e cafè la prendo da Giovanni o Salvatore? Se non la prendo né da Giovanni né da Salvatore, poiché li hanno chiusi, il PIL diminuisce, io risparmio ed impoverisco il paese, comprando fondi internazionali, esportando ricchezza o mettendo i soldi nel materasso. Giovanni e Salvatore, non guadagnando nulla, chiedono giustamente di essere mantenuti dallo Stato, a similitudine delle categorie politiche e burocratiche che hanno determinato il disastro. Come dar loro torto? Necessita quindi una patrimoniale.
C’è tuttavia una trappola. Con una patrimoniale sui risparmi lo Stato manterrebbe Giovanni e Salvatore, ma non spezzerebbe il circolo vizioso e infine non incoraggerebbe a  a bere ‘a tazzulella ‘e cafè perché i locali rimangono chiusi e il consumatore è a maggior ragione scoraggiato a spendere. È stato un lungo cammino scivoloso a portarci in questo incubo.
Con Bretton Woods (1944-1971) gli USA si impegnarono a cambiare 35 dollari con un oncia d’oro e gli Stati aderenti agli accordi a garantire la moneta emessa, in base ad un cambio fisso, con una pari riserva o di oro o di dollari (per esempio un dollaro valeva 625 lire). In Italia e altrove pagavi anche il caffè in dollari ricevendo un resto in moneta locale.
Certamente il prezzo della tazzulella ‘e cafè e delle altre merci differiva da paese a paese, ma con un correttivo automatico. Più il prezzo dei prodotti scendeva, più si produceva e si esportava, molto meno si importava.
Di fatto più la bilancia import-export era positiva, più dollari avevi a disposizione, più potevi aumentare il circolante sviluppando l’economia.
Tra il 1950 e il 1970 in Italia di PIL e di debito si parlava poco, perché l’economia del paese continuava a crescere. La paga media quadruplicò. I beni di prima necessità, pane, latte, pasta, riso, carne, zucchero, benzina invece aumentarono di poco o rimasero perfino stabili.
Il PIL sestuplicò, il debito aumentò di quasi 9 volte (c’era da scontare i costi della guerra, della ricostruzione), ma rimanendo sotto il 40% nel rapporto con il PIL.
Eppure, nonostante un andamento così positivo, gli anni ’70 furono gli anni di piombo, degli attentati, dell’imbecillità sessantottina, delle BR, come se i nati tra il ’45 ed il ’55 fossero con un cervello minato da oscure carenze pre-natali. È lecito chiedersi oggi quale, come e chi determinò un condizionamento di massa.
Negli anni ’70 due eventi terremotarono politica ed economia mondiali: prima il dollaro, non più garantito dalla riserva aurea statunitense (agosto 1971) e la conseguente fluttuazione incontrollata delle monete; poi la quintuplicazione del costo della benzina, a causa della guerra del Kippur, una sceneggiata coi morti veri, proprio come il virus oggi. Si determinò un’esplosione inflattiva, triplicando il costo del denaro. Non di meno PIL e debito rimasero paralleli nella crescita. Occorreva ben altro per conseguire un potere globale.
Occorreva un’associazione a delinquere politica internazionale che in Italia fece base– dopo la morte di Aldo Moro – sulla perdita della sovranità monetaria. Dal 6 giugno 1981, togliendo alla Banca d’Italia il ruolo calmieratore di prestatore d’ultima istanza per il debito eventualmente invenduto, il debito si impennò, superando il PIL in un decennio.
Il passaggio dagli anni ’70 agli anni ’80 fu marcato dalle complicità con Michele Sindona, poi eliminato in carcere; con Roberto Calvi, eliminato a Londra; Paolo Baffi defenestrato da Governatore della Banca d’Italia con accuse fasulle da parte della magistratura andreottiana.
Ucciso Aldo Moro, eliminato il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, con accuse dimostratesi fasulle, tromboneggiate dal Gruppo Espresso-Repubblica, da Marco Pannella ed Emma Bonino, i sicari della sovranità monetaria italiana ebbero vita facile.
I sicari della Lira furono il medium Romano Prodi, Nino Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi, Mario Monti, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga (dimessosi dopo l’uccisione di Aldo Moro fu ripescato, Presidente del Consiglio ago.1979-ott.1980), con la benedizione di Sandro Pertini (presidente della Repubblica), Ciriaco De Mita (Segretario della DC), Bettino Craxi (Segretario del PSI), Enrico Berlinguer (Segretario del PCI).
Quanti di costoro ebbero scrupolo a portare il piano fino a Maastricht , nel 1992, furono eliminati, in un modo o nell’altro.
I sopravvissuti, i venerabili e grandi maestri– autori del disastro, i loro pupilli, i loro complici e discepoli – Emma Bonino, Romano Prodi, Mario Monti, Giuliano Amato, Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella, i ragazzi del PD, Silvio Berlusconi, i residui metabolizzati e riciclati di Umberto Bossi e Gianfranco Fini – oggi sono ancora sul palcoscenico a spiegarci, nel letame, come rimediare al disastro, determinato da loro, dai loro grandi e venerabili maestri, dai loro pagatori: i Bush, i Soros, i Gates, i Rothschild. Alla combriccola s’è infine unito un vescovo scomunicato latae sententiae. Si sentono quindi investiti d’autorità sacra, nera, oscura, eppure sacra, secondo i loro demoni.
Fu così che na’ tazzulella ‘e cafè ebbe lo stesso prezzo a Berlino come a Roma.
Stringiamoci a coorte / Siam pronti alla morte… pepperepé pepperepé pe’‘na tazzulella ‘e café, obbligati da una moneta straniera e ostile – l’euro – con tutte le conseguenze disastrose, davanti agli occhi di tutti, per la nostra economia, per la nostra competitività sui mercati. Ora infine attaccano la libertà costituzionale e la salute, pe’ ‘na tazzulella ‘e café.

www.pierolaporta.it

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4 commenti

  • Diana ha detto:

    Generale, che dire del Carlo Azeglio più amato dagli Italiani?

  • Maria Michela Petti ha detto:

    E, presumo: dovremo ritenerci miracolati se, alla fine della fiera – e non ex voto suscepto – potremo continuare a sorseggiare na’ tazzulella ‘e cafè al chiuso delle nostre case, dal momento che con le “chiusure” i poveracci non possono più contare sul “caffè sospeso”…
    Se poi andrà a …frutto… l’appello al dovere – dovere: beninteso! perché il diritto che si sarebbe tentati di accampare è stato autorevolmente azzerato – di non “allontanarsi dall’unità”, perché “in questo tempo si deve giocare per l’unità, sempre”, allora: beh! il gioco sarà fatto… veramente.
    Per questo tempo… e… per sempre!

  • Iginio ha detto:

    Beh, Paolo Savona non l’ha esiliato Salvini. L’ha esiliato il Sommo Sergio, rifiutandosi di nominarlo ministro. Poi Salvini avrà cercato di piazzarlo almeno alla Consob (che in passato ha fatto danni, per esempio con Banca Etruria, quindi sarebbe auspicabile che ricevesse un direttore degno).
    E la parità del dollaro con l’oro cessò quando ormai si sapeva già che era una finzione; De Gaulle fu tra i primi a denunciarla.

    Piuttosto penso con nostalgia a Salazar, che nel Portogallo degli anni Venti-Trenta riuscì a sanare le finanze pubbliche evitando un prestito della Società delle Nazioni che avrebbe messo il Paese sotto controllo straniero. Altri tempi. E altra tempra di uomini.
    Nota tra parentesi per alcuni ingenui: Salazar NON era pliniano né assimilabile al plinianesimo. Non riportò la monarchia in Portogallo pur potendolo fare e non strumentalizzò politicamente il messaggio di Fatima. E non era simile né caratterialmente né ideologicamente a Franco, che anzi inizialmente rischiò di creargli qualche grosso problema.